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derate insieme come fonti della sovranità

Nel documento John Locke, Due trattati sul governo (pagine 119-124)

73. Nei precedenti capitoli si è visto che cosa sia la monarchia di Adamo secondo l’opinione del nostro A. e in base a quali titoli l’abbia fondata. I fondamenti sui quali pone maggiore attenzione, da cui ritiene possa meglio essere fatto derivare il potere monar- chico dei prìncipi futuri, sono due: la paternità e la proprietà. Il modo in cui egli propone di “eliminare le assurdità e gli inconve- nienti derivanti dalla dottrina della libertà naturale è mantenere il dominio naturale e privato di Adamo” (O., p. 222). Di conse- guenza, egli dice che “i fondamenti e i principi del governo deri- vano necessariamente dall’origine della proprietà” (O., p. 108); “la soggezione dei fanciulli ai loro genitori è la fonte di ogni autorità regale” (p. 12) e “qualsiasi potere sulla terra è o derivato dall’auto- rità paterna o usurpato, non essendoci altra origine del potere” (O., p. 158). Non sto qui a esaminare come si possa dire, senza cadere in contraddizione, che “i fondamenti e i princìpi primi del governo derivano necessariamente dall’origine della proprietà” e al tempo stesso che “non c’è altra origine di quale che sia potere che quella paterna”: è difficile comprendere come non possa es- serci altra origine che non sia la paternità e tuttavia i fondamenti e i princìpi del governo dipendano dall’origine della proprietà; dal momento che la proprietà e la paternità sono così diverse tra loro come il signore di un castello e un padre. Né vedo come l’uno o l’altro possano concordare con quanto il nostro A. dice (O., p. 244) a proposito della sentenza di Dio nei confronti di Eva (Ge- nesi III, 16), ovvero che quella è “la concessione originaria del governo”. Se quella ne fosse l’origine, il governo non avrebbe fondamento, in base all’ammissione stessa del nostro A., né dalla proprietà né dalla paternità; e questo testo, che egli porta come prova del potere di Adamo su Eva, contraddice necessariamente quanto dice della paternità quale “unica fonte di ogni potere”. Se, infatti, Adamo ha avuto su Eva un potere regale, come sostiene il nostro A., deve per forza essere stato a titolo diverso da quello della generazione.

74. Lascio risolvere a lui queste e altre sue contraddizioni, che possono essere trovate in abbondanza da chiunque lo legga con un minimo di attenzione. Vengo ora, invece, a considerare come questi due fondamenti del governo, il dominio naturale e quello privato di Adamo, siano compatibili tra loro e servano a creare e a stabilire i titoli delle successive monarchie, che, secondo quanto il nostro A. impone loro, devono trarre il loro potere da queste fon- ti. Supponiamo, dunque, che Adamo fu fatto, per donazione di Dio, signore e unico proprietario della terra intera, in una maniera così larga e ampia quale potrebbe desiderarla Sir Robert; suppo- niamo anche che egli per diritto di paternità sia governante asso- luto sui suoi figli con una supremazia illimitata, mi chiedo: cosa accadrà del dominio privato e naturale di Adamo dopo la sua morte? Non dubito che mi si risponderà che esso sarà trasmesso al suo erede successivo – come il nostro A. ci dice in diversi pun- ti. Ma è chiaro che ciò non può riguardare il modo in cui viene trasferito tanto il suo dominio privato che il suo dominio natura- le. Ammettiamo infatti che tutta la proprietà e tutti i beni del pa- dre vadano in eredità al figlio maggiore (cosa che abbisognerebbe di prove per essere stabilita) e che quindi egli abbia in base a quel titolo tutto il dominio privato del padre. Il dominio naturale del padre, il potere paterno, tuttavia, non può essergli trasmesso per via ereditaria. Essendo un diritto che un uomo acquisisce solo generando dei figli, nessuno può avere questo dominio naturale su un altro se non lo ha generato, a meno che non si supponga che un uomo abbia diritto a qualsiasi cosa, senza fare quello su cui quel diritto soltanto si fonda. Perché se un padre in base al fatto di aver messo al mondo dei figli, e non in base a qualsiasi altro titolo, ha un dominio naturale sui suoi figli, colui che non li genera non può avere questo dominio naturale su di loro, e, quin- di, sia vero o falso quello che dice il nostro A. (e cioè che ogni uomo che nasce, in seguito alla nascita stessa, è soggetto a chi lo ha generato), ne segue necessariamente che un uomo per nascita non può divenire suddito del fratello che non lo ha generato, a meno che non si possa supporre che un uomo in base allo stesso titolo possa trovarsi nello stesso momento sotto il dominio natu- rale e assoluto di due diversi uomini; o sia sensato dire che un uomo per nascita è sotto il dominio naturale del padre, solo per- ché lo ha generato, e che un uomo per nascita è sotto il dominio naturale del fratello maggiore, sebbene non lo abbia generato.

75. Se dunque il dominio privato di Adamo, ovvero la sua proprietà sulle creature, fu trasmesso alla sua morte tutto intero al figlio maggiore, suo erede (perché, se non fu così, si pone subito fine a tutta la monarchia di Sir Robert); e il suo dominio naturale, il dominio per generazione di un padre sopra i figli, dopo la mor- te di Adamo è appartenuto in modo uguale a tutti i suoi figli che avevano figli, in base allo stesso titolo per cui lo ebbe loro padre, la sovranità fondata sulla proprietà e la sovranità fondata sulla paternità vengono a essere divise: Caino come erede ebbe da solo quella della proprietà, Set e gli altri figli ebbero insieme con lui in modo eguale quella della paternità. Questa è la migliore interpre- tazione possibile della dottrina del nostro A. Dei due titoli di so- vranità che egli assegna a Adamo uno non deve significare nulla. Se, infatti, entrambi dovessero essere considerati validi, potrebbe- ro servire soltanto a confondere i diritti dei prìncipi e a introdurre il disordine nel governo della posterità. Costruendo la sua argo- mentazione su due titoli di dominio, che non possono essere tra- smessi insieme, e che egli stesso ammette siano separati, dal mo- mento che sostiene che “i figli di Adamo ebbero i loro diversi territori per diritto di dominio privato” (O., p. 210, p. 40), il no- stro A. solleva un dubbio perpetuo su dove risieda la sovranità in base ai suoi princìpi, o sulla persona a cui si deve obbedienza, dal momento che paternità e proprietà sono titoli distinti, che alla morte di Adamo furono ripartiti tra persone diverse. Quale di questi due princìpi deve avere la precedenza?

76. Seguiamo la spiegazione che egli ci dà a questo proposito. Appoggiandosi a Grozio, afferma che “i figli di Adamo per dona- zione, assegnazione, o qualche tipo di concessione, prima che egli fosse morto, ebbero i loro distinti territori per diritto di dominio privato; Abele ebbe i suoi greggi e i suoi pascoli; Caino i suoi campi di grano, e la terra di Nod dove costruì una città” (O., p. 210). Qui, è ovvio chiedersi: quale dei due fu sovrano dopo la morte di Adamo? Caino, dice il nostro A. (p. 19). In base a quale titolo? “In quanto erede, perché gli eredi dei progenitori che fu- rono genitori naturali del loro popolo, sono non solo signori dei loro figli, ma anche dei loro fratelli”, dice il nostro A. (p. 19). Co- sa ereditò Caino? Non tutti i possedimenti di Adamo, non tutto ciò su cui Adamo aveva un dominio privato, perché il nostro A. ammette che Abele, grazie a un titolo concessogli dal padre, aveva

il suo distinto territorio per il pascolo secondo un diritto di domi- nio privato. Quello che Abele aveva per dominio privato, dunque, era esente dal dominio di Caino. La sovranità di Caino sul fratello viene a cadere poiché egli non poteva avere un dominio privato su quello che era sotto il dominio privato di un altro. Ci sono ora due sovrani e l’immaginario titolo di paternità del nostro A. è campato in aria. Caino non è principe sopra il fratello; oppure, se Caino mantiene la sua sovranità su Abele, nonostante il dominio privato che quest’ultimo possiede, ne segue che i fondamenti primi e i princìpi del governo non hanno nulla a che fare con la proprietà, qualunque cosa dica in contrario il nostro A. È vero che Abele non sopravvisse a suo padre Adamo, ma ciò non infi- cia l’argomento che resisterà contro Sir Robert per quanto riguar- da Abele, Set o qualsiasi altro discendente di Adamo, che non discenda da Caino.

77. Filmer incorre nello stesso problema parlando dei tre figli di Noè, tra i quali, dice (p. 13), “il mondo intero fu diviso dal loro padre”. Mi chiedo: in quale dei tre si troverà stabilito il potere re- gale dopo la morte di Noè? Se in tutti e tre – come sembra dire qui il nostro A. –, allora ne seguirà che il potere regale è fondato sulla proprietà della terra, che esso segue il dominio privato, e non è fondato sul potere paterno o sul dominio naturale, e quindi ha fine qui il potere paterno come fonte dell’autorità regale, e la tanto magnificata paternità svanisce. Se il potere regale è stato trasmesso a Sem in quanto figlio maggiore, ed erede di suo padre, allora la divisione in parti del mondo tra i suoi tre figli, o i suoi dieci anni di navigazione nel Mediterraneo per scegliere per ogni figlio una parte, che il nostro autore ci racconta (p. 15), fu lavoro sprecato. La divisione del mondo tra loro fu dannosa o priva di scopo, poiché la sua concessione a Cam e a Iafet aveva poca im- portanza, se Sem, nonostante questa concessione, era destinato a divenire loro re, non appena Noè fosse morto. Oppure, se questa concessione di dominio privato fatta sui territori assegnati loro era valida, furono istituiti qui due diversi tipi di poteri, non su- bordinati l’uno all’altro, con tutti quegli inconvenienti che egli solleva contro il potere del popolo (O., p. 158), e che citerò con le sue stesse parole sostituendo proprietà a popolo. “Tutto il potere sulla terra è o derivato o usurpato dal potere paterno, non poten- dosi trovare altra origine di un qualsiasi altro potere: perché se si

dovessero concedere due tipi di potere, privi di subordinazione l’uno all’altro, sarebbero in perpetuo conflitto tra loro per stabilire quale dei due è supremo, perché due poteri supremi non possono andare d’accordo: se il potere paterno è supremo, allora il potere fondato sul dominio privato deve essere subordinato, e dipendere da esso; e se il potere fondato sulla proprietà è supremo, allora il potere paterno deve essere subordinato a esso e non può essere esercitato senza la licenza dei proprietari, il che deve necessaria- mente distruggere lo schema e il corso della natura”. Questo è il suo stesso ragionamento contro due poteri distinti e indipendenti, un ragionamento che io ho esposto con le sue stesse parole, sosti- tuendo soltanto “potere derivante dalla proprietà” a “potere del popolo”. Ciò che egli stesso dice qui contro due poteri distinti, ci aiuta a vedere come, con quale grado tollerabile di ragionevolez- za, può derivare ogni autorità regale dal dominio naturale e priva- to di Adamo, insieme dalla paternità e dalla proprietà, che sono titoli separati che non sempre si trovano contemporaneamente nella stessa persona, e che, per sua stessa ammissione, furono su- bito divisi non appena la morte sia di Adamo sia di Noè diede il via alla successione, sebbene il nostro A. frequentemente nei suoi scritti li mischi insieme, e non esiti a far uso di entrambi, quando crede che possa risultare utile ai suoi fini. L’assurdità di ciò appa- rirà più chiaramente nel capitolo successivo, dove esamineremo i modi con cui la sovranità di Adamo fu trasferita ai prìncipi che dovevano regnare dopo di lui.

Nel documento John Locke, Due trattati sul governo (pagine 119-124)