La proposta filmeriana di un modello politico centrato sull’indistinzione tra sfera politica e sfera domestica, in cui gli uomini non nascono liberi, ma sono, fin dalla nascita, incasellati in relazioni di potere gerarchiche, presuppone una valutazione critica dell’alternativa proposta dal modello giusnaturalista. Col- pendo diritto al suo tallone d’Achille, l’autore del Patriarca rileva la difficoltà di spiegare, sulla base di una concezione coerentemente individualista dello stato di natura, l’esistenza stessa delle relazioni familiari. Grozio – osserva Filmer –, che immagina i figli per na- tura soggetti ad un potere paterno fondato sulla generazione, non riesce a motivare come ciò possa conciliarsi con la dottrina dell’eguale libertà naturale degli uomini, né come e quando i figli acquisiscano la libertà76; Hobbes, d’altra parte, concepisce il pro-
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mondo i figli, tale per cui nella condizione di uguaglianza dello stato di natura esso dovrebbe andare piuttosto alle madri. Il potere patriarcale viene fondato da Hobbes sul consenso, un consenso che dà vita a una famiglia pensata a so- miglianza dello stato assoluto. Per una ricostruzione delle origini contrattualiste del potere patriarcale in Hobbes, cfr. C. Pateman, Il contratto sessuale, cit., pp. 58- 67; I. Makus, Women, Politics and Reproduction, cit., cap. I; D. H. Coole, Women in
Political Theory, cit, cap. IV; F. Di Donato, Quanto contano i corpi? Disuguaglianze sessuali e famiglia privata nel dibattito femminista, “Sociologia del diritto”, 3 (2000),
pp. 143-58, in part. pp. 148-50.
prio stato di natura immaginando un gruppo di individui “spunta- ti tutti insieme fuori dalla terra, come funghi (fungorum more), senza obblighi reciproci”77. Nello stato di natura hobbesiano non ci so-
no legami naturali che mantengano stabile la relazione tra genitori e figli, garantendo a questi ultimi il sostegno e la cura necessari per giungere alla maggiore età. Hobbes pensa a un dominio pa- terno, che si estende alla vita e alla morte dei figli, il cui fonda- mento affonda non nel potere di generare, bensì nel consenso. Questo pone un ulteriore problema: “Non comprendo – scrive Filmer – come un figlio possa esprimere il proprio consenso, o con altri argomenti sufficienti dichiararlo, prima dell’età della ra- gione [...]”78.
Locke non segue Hobbes nel tentativo di ricondurre il rappor- to tra genitori e figli nell’ambito delle relazioni consensuali. Rifiu- ta, inoltre, tanto l’estensione alla famiglia del modello dello stato, presente in Hobbes, quanto l’estensione allo stato del modello famigliare, presente in Filmer: famiglia e stato sono associazioni distinte. Le ragioni della distinzione tra ambito domestico e ambi- to politico riposano (come avverrà anche nel caso della chiesa e dell’associazione tra servo e padrone) nella diversità del fonda- mento, del fine, dei mezzi e della durata delle due diverse forme associative. Nel suo discorso l’attenzione si sposta “dal potere dei governanti (genitori, e padri in particolare), ai diritti e bisogni dei sudditi (i figli), a beneficio dei quali Dio ha istituito l’autorità fa- migliare”79. Locke sottrae ai genitori il potere di vita e di morte:
solo a Dio spetta un simile potere, in quanto creatore della vita (cfr. I, 52, 53). La generazione (che non è equiparabile in alcun modo alla creazione divina), alla quale contribuiscono – come abbiamo visto – in modo uguale il padre e la madre, non dà ai genitori né la proprietà della prole, né un potere politico su di es- sa (cfr. I, 51-59), ma solo “un governo e una giurisdizione tempo- ranei” (I, 55, 58, 59, 67), fino al raggiungimento della maggiore età e in vista del pieno esercizio della razionalità e della libertà. Il governo parentale contempla il diritto ad una piena libertà di scel- ta in materia di istruzione ed educazione dei figli, il diritto ad es- sere rispettati e onorati dalla prole, ma ad esso soprattutto spetta- –––––––
77 R. Filmer, The Originall of Govenrment, cit., p. 187, tr. mia. 78 Ibidem, p. 192, tr. mia.
no una serie di onerosi doveri di mantenimento e cura, doveri resi meno pesanti nel loro adempimento dal desiderio che i genitori hanno di “continuare se stessi attraverso la loro posterità” (I, 88) e da quel sentimento di “Natural Love and Tenderness” (I: 97) che il padre e la madre provano nei confronti della prole. La tenerezza e l’affetto temperano e dirigono nella giusta direzione il potere dei genitori, ricordando loro che esso non può essere esercitato in modo arbitrario (cfr. II, 63, 64). Il potere parentale è così lontano dall’essere un potere assoluto che i genitori ne possono essere privati: un padre che trascuri i figli, che non provveda al loro mantenimento, perde ogni diritto parentale (cfr. II, 65). Il signifi- cato non-politico di questa relazione tra genitori e figli viene indi- rettamente ribadito anche dal fatto che il figlio non deve conside- rarsi legato per nascita allo stato cui appartiene il padre: i figli mi- norenni vivono in una condizione che potremmo definire co- smopolita; solo al compimento della maggiore età essi scelgono la loro nazionalità (cfr. II, 72, 118).
Nel descrivere la famiglia, sia come rapporto coniugale sia come relazione parentale, Locke si muove su un piano normativo: non ne sta ritraendo la realtà storica, ma ne sta disegnando la na- tura ideale. La storia antica e moderna – egli stesso osserva nel First Treatise (cfr. I, 56, 57, 58) – è piena di esempi contrari al mo- dello che sta tracciando. La molteplicità di usanze di popoli diver- si e il carattere barbaro di molti di essi, offrono anche qui lo spunto per ridimensionare l’insegnamento che si deve trarre dalla storia e dall’esperienza, sancendo la priorità della morality sulla hi- story (cfr. I, 57 e II, 103)80. La riforma della famiglia patriarcale
appare così come il primo fondamentale tassello di una trasfor- mazione complessiva della società81. La violenza sembra uscire
dalla scena domestica per lasciare spazio a relazioni dolci82, incen-
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80 Cfr. F. Fagiani, Nel crepuscolo della probabilità. Ragione ed esperienza nella filoso- fia sociale di John Locke, Napoli, Bibliopolis, 1983, p. 73.
81 Cfr. N. Tarcov, Education for Liberty, Lexington Books, Lanham-Boulder-
New York, Oxford 1999 (I 1984 by The University of Chicago Press), cap. I; D. Foster. Taming the Father: John Locke’s Critique of Patriarcal Fatherhood, “The Review of Politics”, 56 (1994) 4, pp. 641-670.
82 Più che una completa prefigurazione di quello che sarà l’ideale del “com- panionate marriage”, della famiglia sentimentale tra Sette e Ottocento, abbiamo in
trate su uno spirito di collaborazione tra i coniugi nell’impresa comune di educazione dei figli. L’addolcimento delle relazioni familiari non è solo conseguenza dell’aver sottratto alla figura del pater familias un potere di vita e di morte sulla moglie, sui figli e sui servi, ma anche del riconoscimento di uno status di uguaglianza dei figli. Dalla legge di natura, e in particolare dal dovere di utiliz- zare la proprietà per garantire la sopravvivenza della specie, Lo- cke deriva una conseguenza spesso sottovalutata dalla critica nei suoi effetti economico-sociali83: l’affermazione del carattere inna-
turale dell’istituto della primogenitura. Un diritto riconosciuto dalle consuetudini e dal diritto locale, la cui legittimità viene smentita dalla natura che impone al padre e alla madre di provve- dere ugualmente a tutti i figli (I, 93), e dà a questi ultimi un uguale titolo ai beni dei genitori:
Poiché gli uomini sono tenuti in base ad uno stesso obbli- go a preservare tanto ciò che hanno generato quanto se stessi, – scrive Locke – la loro discendenza viene ad avere un diritto sui beni che essi possiedono (I, 88).
L’istituto dell’eredità non si legittima dunque sulla base della libertà dell’individuo di disporre della proprietà secondo la pro- pria volontà, destinandola dopo la sua morte a chiunque desideri – come suggerisce la prospettiva libertaria e il principio nozickia- no “from each as they choose, to each as they are chosen”. A giustificarlo è piuttosto il dovere dei genitori di garantire il mantenimento della prole84 (“non un diritto alla sussistenza – precisa per di più Locke
– ma ai comodi e conforti della vita nella misura in cui le possibi- lità dei loro genitori lo consentono”, I, 89), dovere che mette in rilievo, ancora una volta, il tessuto di obblighi sociali in cui è inse- rita la proprietà lockeiana. Anticipando quelle che saranno le criti- che di tanti autori radicali del periodo della rivoluzione americana –––––––
Locke i primi segnali di un mutamento in quella direzione, cfr. S. M. Okin, The
Making of the Sentimental Family, cit., p. 69.
83 Sull’importanza della critica lockeiana al diritto di primogenitura, cfr. R:
Ashcraft, Revolutionary Politics and Locke’s Two Treatises of Government, Princeton (N.J.), Princeton University Press, 1986, p. 283 e J. Waldron, Locke’s Account of
Inheritance and Bequest, “Journal of the History of Philosophy”, 19 (1981), 1, pp.
39-51 e Id., God, Locke and Equality, cit., p. 152.
84 Cfr. G. H. Sreenivasan, The Limits of Lockean Rights in Property, Oxford,
e poi di quella francese, Locke denuncia il conflitto tra legge di natura e diritto di primogenitura, sulla base di un argomento che, dopo essere stato avanzato dai Levellers durante la prima rivolu- zione inglese85, risuonerà ancora nel secolo successivo nelle pagi-
ne di Thomas Paine e di Thomas Jefferson86. Gli effetti di questa
rivoluzione nelle leggi di successione saranno enormi. Scriverà Tocqueville:
In virtù della legge sulle successioni, la morte di ogni pro- prietario porta una rivoluzione nella proprietà; non solo i beni cambiano di padrone, ma cambiano per così dire di natura, poiché si frazionano senza tregua in porzioni più piccole. [...]. La legge sull’eguale divisione della proprietà procede per due vie: agendo sulle cose, agisce sull’uomo, agendo sull’uomo, giunge alle cose87.
7. Le critiche di Filmer al giusnaturalismo e le risposte im-