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La Bestia e il Sovrano è il titolo degli ultimi due seminari tenuti da Jacques Derrida, nel 2001/2002 e nel 2002/2003; essi giungono dopo un decennio di studi rivolti al tema della responsabilità, articolata secondo varie direzioni argomentative, quali il segreto, la pena di morte, la sovranità e altri, trattati in numerosi seminari304. Gli ultimi due seminari, in particolare il penultimo, rappresentano ancora un contributo della decostruzione al pensiero di Lacan, che prende le mosse dalla questione dell'animalità, questione su cui – a parere di Derrida – Lacan avrebbe operato una cesura di stampo antropocentrico, riassumibile con l'affermazione secondo cui «l'animale non risponde ma reagisce».305 Più in generale gli spunti offerti da questi lavori vertono sulla questione della legge, della criminalità e della crudeltà, questioni che verranno di seguito connesse a quella dell'imputabilità, proposta come sviluppo dell'articolazione, trattata nella prima parte della tesi, tra desiderio e legge.

Prima di passare all'analisi delle questioni menzionate a partire dall'ultima produzione di Derrida, è necessaria una breve ricognizione sul rapporto filosofico tra Derrida e Lacan, ampiamente trattato, in particolar modo da René Major,306 cui rinvio per un approfondimento accurato del lavoro derridiano degli anni Settanta.

Il primo episodio filosofico importante di questo rapporto risale alll'opera di Derrida Il fattore della verità del 1975, in cui si commenta il Seminario La lettera rubata di Lacan del

303 Rinvio ancora una volta al Manifesto per la psiconalisi, cit.

304 J. Derrida, La Bestia e il Sovrano I, (2001-2002), tr. di G. Carbonelli, Jaca Book, Milano 2009; Id., La

Bestia e il Sovrano II,(2002-2003), Jaca Book, Milano 2010. È in corso di pubblicazione il cospicuo

materiale che Derrida ha presentato nei suoi numerosi seminari tenuti all'EHESS (Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales), e che ha raccolto sotto il titolo «Questioni di responsabilità». Il lavoro è iniziato con la pubblicazione dei sopra citati seminari.

305 Ho approfondito il rapporto tra reazione e risposta nell'animale, “che l'uomo è”, nel già citato articolo raccolto in Animali, uomini e oltre (Quaderno di Edizione, cit.).

306 R. Major, Lacan avec Derrida, Flammarion, Parigi 2001 e recentemente (a cura di) R. Major, Derrida pour

1966.307 Per Derrida il sistema di pensiero lacaniano è un sistema di verità presupposta e di parola piena, che si sostiene sull'idea di un significante che resta integro e che giunge pertanto sempre a destinazione. Egli denuncia inoltre la sopravvalutazione del tema del fallo come trascendentale o a priori della logica significante. Ci sono tuttavia dei temi che possono avvicinare i due pensatori: uno di questi è quello secondo cui la verità «ça parle», la verità non sarebbe per Lacan, né in generale per la psicoanalisi, proprietà di un soggetto-Io, completamente presente a se stesso, unico produttore e ordinatore delle sue parole. Che la verità sia in relazione con la parola piuttosto che con la scrittura, rappresenta per Derrida il residuo metafisico (metafisica della presenza) del sistema di pensiero lacaniano. A questa critica di Derrida Lacan ha cercato di rispondere, individuando nella topologia dei nodi borromei la sua particolare scrittura: «A dire il vero il nodo bo cambia completamente il senso della scrittura. Dà alla suddetta scrittura un'autonomia, tanto più notevole in quanto c'è un'altra scrittura, quella che risulta da quanto potremmo chiamare una precipitazione del significante. Derrida ha insistito proprio su questo, ma è lampante che gli ho indicato io la via, come indica già sufficientemente il fatto che per dare supporto al significante non ho trovato altro modo che la scrittura S».308

Un richiamo alla grammatologia e alla sua critica al logocentrismo si trova anche nel Seminario, Libro XVIII, Di un discorso che non sarebbe del sembiante, in cui Lacan afferma che la parola piena non è che la parola che il soggetto cerca sulla spinta dell'oggetto a, l'acosa, cioè di un desiderio marchiato dalla teoria dell'unità, dell'appagamento originario, del primo oggetto del nostro appagamento, la Cosa.309

Questi isolati riferimenti di Lacan a Derrida non sono tuttavia sufficienti per chiarire i complessi nessi che si potrebbero individuare tra i due autori in relazione a un tentativo, che si può dire comune, di decostruire una tradizione metafisica imperniata sull'idea di un soggetto pieno e autocentrato, di una coscienza egologica sempre presente a se stessa.310 Questa

307 L'opera di Lacan è raccolta con il titolo «Il seminario su La lettera rubata» negli Scritti, v. I, cit, pp. 7-57; l'opera di Derrida è Il fattore della verità, tr. di F. Zambon, Adelphi, Milano 1978.

308 J. Lacan, Il Seminario, Libro XXIII, Il sinthomo, a cura di A. Di Ciaccia, Astrolabio, Roma 2006, p. 140. 309 «Accusare di logocentrismo, così come è stato fatto, la suddetta presenza, l'idea della parola ispirata, come

si dice, in nome del fatto che, certo, si può riderne della parola ispirata, mettere in conto della parola tutte le sciocchezze in cui si è perso un certo discorso; condurci quindi verso una mitica archiscrittura costituita unicamente di ciò che, a giusto titolo, si percepisce come un punto cieco che si può denunciare in quanto è stato cogitato a proposito della scrittura, ebbene, tutto ciò non ci fa progredire. Si parla sempre d'altro per parlare de l'acosa. Quello che a suo tempo ho detto della parola piena, anzi, penso che la maggior parte di voi non mi abbia mai sentito attribuirle eccessiva importanza, quello che ho detto della parola piena è che adempie – le trovate del linguaggio sono sempre assai carine – , adempie la funzione de l'acosa che è scritta alla lavagna. In altri termini, la parola oltrepassa sempre il parlatore, il parlatore è un parlato. Ecco

un'altra cosa che dico da un bel po' di tempo» J. Lacan, Il Seminario, Libro XVIII, Di un discorso che non sarebbe del sembiante, 1971, cit., p. 70. Corsivo mio.

operazione ha uno dei suoi episodi più significativi nella decostruzione derridiana dello scritto di Freud sul notes magico, ovvero nelle riflessioni sulla traccia, il tempo e l'inconscio, raccolte nell'opera La scrittura e la differenza.311

Derrida in un intervento del 1992 al convegno «Lacan con i filosofi», dal titolo Pour l'amour de Lacan (in Résistances de la psychanalyse), esprime il suo riconoscimento verso il pensiero di Lacan.312 Ad esso segue la conferenza su Lacan pronunciata a Cerisy nel 1997, dal titolo «E se l'animale rispondesse?», confluita prima nell'opera L'animale che dunque sono313 e poi nel citato seminario del 2002-2003 La Bestia e il Sovrano.

Tanto Lacan quanto Derrida operano una messa in questione dei presupposti del pensiero metafisico, pensiero della presenza o della coscienza egologica, a partire da un autonomo e originale “ritorno a Freud”, confermato anche dal comune interesse per un'opera decisiva della produzione freudiana, Al di là del principio di piacere.314 Essa articola la

Nella seduta del 10 gennaio del 1962, Lacan afferma: «... se prendiamo in considerazione che l'inconscio è quel luogo del soggetto in cui ça parle, qui si arriva a toccare quel punto in cui possiamo dire che qualcosa all'insaputa del soggetto è profondamente rimaneggiato dagli effetti retroattivi del significante implicati nelle parole. È per questa ragione e per la più piccola delle sue parole che il soggetto parla, che non può fare a meno – una volta di più – di nominarsi sempre senza saperlo e senza sapere con quale nome» (testo consultabile nell'originale francese nel sito dell'ELP citato; per la mia traduzione ho consultato una traduzione inedita di F. Borghero e E. Macola). Anche prima della topologia, l'idea di parola e significante portava per il soggetto, in Lacan, i tratti della sua costitutiva finitezza.

311 Cfr. J. Derrida, «Freud e la scena della scrittura», in La scrittura e la differenza, cit., pp. 255-297. «È dunque necessario radicalizzare il concetto freudiano di traccia ed estrarlo dalla metafisica della presenza che lo trattiene ancora (in particolare nei concetti di conscio, inconscio, percezione, memoria, realtà, e quindi anche di qualche altro») J. Derrida, op. cit., p. 296. Cito ancora dal saggio per osservare un'altra prossimità con Lacan, quella di un'idea di superficie senza profondità: «Notiamo che la profondità del notes magico è nello stesso tempo una profondità senza fondo, un infinito rinvio ed una esteriorità assolutamente superficiale» J. Derrida, op. cit., p. 289. Rappresentare così il soggetto, come effetto di una differenza che non vive di opposti, non è distante dal modo topologico in cui lo pensa Lacan. In Lacan questa è rappresentata dal nastro di Möbius, figura matematica o topologica in cui dato un nastro è possibile percorrerlo senza incontrare un bordo, trovandosi così dopo un giro sul lato “opposto” del nastro e dopo due giri sul lato iniziale, senza che vi sia stato oltrepassamento di un bordo, di un limite che divida le due facce del nastro. Le opposizioni di cui parlava Derrida nella citazione iniziale (conscio/inconscio, percezione-memoria ecc.) verrebbero così superate. Derrida nello scritto Pour l'amour de Lacan riprende un'espressione che a suo stesso dire è topologica, già utilizzata in Parages (Galilée, Paris 1986), e che ricorda il nastro di Möbius: «L'invagination chiasmatique des bords» (J. Derrida, Résistances, cit. p. 88).

312 È innanzitutto dovuto a Lacan, secondo Derrida, un riconoscimento politico: «Trovo che questo omaggio [a Lacan] abbia una virtù politica. Considero come un atto di resistenza culturale l'omaggio pubblico a un pensiero, un discorso, una scrittura difficili, poco docili alla normalizzazione mediatica, accademica o editoriale, ribelle alla restaurazione in corso, al neo-conformismo filosofico o teorico in generale (non parliamo della letteratura) che appiattisce e appiana tutto intorno a noi» J. Derrida, Pour l'amour de

Lacan,cit., p. 64, tr. mia. Ancora: «Lacan ha messo in scena il desiderio singolare del filosofo» Ivi, p. 65, tr.

mia. Il riferimento di Derrida all'importanza di Lacan per il proprio lavoro si trova a p. 74. In questo scritto Derrida ricorda anche le occasioni di incontro con Lacan: la prima negli Stati Uniti, a Baltimora, nel 1966, entrambi all'estero come «prodotti di esportazione» ironizza Derrida (Ivi, p. 68). Vi fu poi un secondo e ultimo incontro l'anno successivo. Il resoconto dettagliato di questi due incontri si trova in E. Roudinesco,

Histoire de la psychanalyse en France, t. 2, Le Seuil, Paris 1986 (ried. La Fayard, Paris 1994). In entrambi

gli incontri – afferma Derrida – «c'era la morte tra noi» (Ivi, p. 70). Nel primo incontro per il pensiero di Lacan di come sarebbe stato letto dallo stesso Derrida dopo la sua morte. Nel secondo per un riferimento alla morte (“padre morto”) nella rielaborazione che Lacan fece di un aneddoto familiare che Derrida gli riferì. 313 J. Derrida, L'animale che dunque sono, tr. di M. Zannini, Jaca Book, Milano 2006.

questione del piacere e del desiderio alla morte, ovvero alla costitutiva finitezza del soggetto. Inutile ribadire che se per l'uomo si pone una questione di piacere e di desiderio è perché lo consente la costituzione temporale finita della sua esistenza.

Come afferma Moustafà Safouan in Essere e piacere il tema trattato da Freud in quest'opera rappresenta «l'ingresso inaugurale della morte nella vita».315 Pensare a un al di là del principio di piacere non ha nulla di “mortificante”, ma ci consente di articolare in tutta la sua complessa consistenza il tema non solo del piacere, ma anche del principio, in quanto principio di orientamento che può avere una direzione solo in quanto connesso a una costitutiva finitezza dell'uomo, al concludersi come meta orientativa dell'esistenza.

Contri, alla luce delle precedenti riflessioni sull'imputabilità, suggerisce di leggere la questione del principio di piacere, incluso il suo “al di là” (in quanto al di là del piacere, ma non del principio), come conferma che non vi è un comando pre-soggettivo, astratto e infinito, ma vi è principio come inizio, come competenza legislativa del soggetto stesso a farsi promotore della sua iniziativa orientata verso una meta o conclusione soddisfacente.316

L'imputabilità mostra come la capacità di iniziativa muova da un'assunzione dei propri errori, del proprio assoggettamento, della propria “minorità”, e ciò non può non aver a che fare con la ripetizione – su cui l'opera di Freud porta con insistenza il nostro sguardo. La ripetizione è quanto resiste al lavoro di imputabilità, ma è anche quanto fa dell'imputabilità un'occasione non scontata per il soggetto di assumere la propria finitezza, quando essa si afferma come tentazione, spesso riuscita, di supporre e lasciar agire una ripetizione automatica e quindi un principio d'azione eteronomo, deimputante. Vengono alla mente le

è Speculare - su “Freud” (tr. di G. Berto, Cortina, Milano 2000). Quest'opera di Derrida verrà presentata nel paragrafo del presente lavoro: «Imputabilità e psicoanalisi senza alibi».

315«La significazione metapsicologica del gioco inventato dal nipotino di Freud potrebbe invece formularsi come un'immissione della morte nella vita; non ritorno della vita alla morte bensì l'ingresso inaugurale della morte nella vita» M. Safouan, Essere e piacere. Lo scacco del principio di piacere, Spirali, Milano 1980, p. 74.

316 «La millenaria e tradizionale, benché modernamente riproposta, discussione morale tra edonismo (il bene come “Il piacere”) ed eudemonismo (“La felicità”, “Il bene”) è millenariamente e tradizionalmente

insoddisfacente e insoddisfatta. Nella critica kantiana, la “purezza” non è che un nome dell’insoddisfazione – della ragione – eretta a principio. In queste pagine è criticata l’idea astratta “Il bene”: non c’è legge di moto dei corpi che come legge di bene-ficio, che comporta la distinzione tra il posto del Soggetto del beneficio e la fonte di questo il cui posto è occupato da un

Altro tratto dall’universo di tutti gli Altri e rappresentante di esso come il tesoro del beneficio. Il desiderio stesso risulta come beneficio dal rapporto, invece della sua concezione e pratica più comune come anticipatorio contenitore infelice e insoddisfatto di un bene che allora potrà soltanto farsi attendere, e lasciare a… desiderare. L’espressione freudiana “principio di piacere”, il cui concetto è critico di edonismo, eudemonismo, purezza kantiana, designa il concetto di una tale legge di rapporto in quanto nella soddisfazione è implicato essenzialmente – ma meglio sarebbe dire: giuridicamente – un Altro (reale). La distinzione del godimento dalla soddisfazione esiste, ma essa segue destini diversi e opposti, a seconda della sua obbedienza all’unica legge di soddisfazione, o della sua autonomia da essa. Questa autonomia si chiama perversione: è quell’auto-nomia non normativa, ma imperativa e usurpativa, che Lacan ravvisava nel cosiddetto “superio” freudiano come “imperativo del godimento, osceno e feroce”». G. B. Contri, Il pensiero

considerazioni di Lacan nel Seminario XI, I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi, su automaton e tyché, su cui si ritornerà nel capitolo finale, ma che ora anticipo nei soli aspetti che riguardano questa argomentazione. Afferma Lacan: «Tyche … l'abbiamo tradotta: incontro con il reale. Il reale è aldilà dell'automaton, del ritorno, del rinvenire, dell'insistenza dei segni cui ci vediamo comandati dal principio di piacere».317 L'imputabilità è tyché, incontro con il reale, assunzione del reale che mi riguarda, quando ciò non avviene il reale incessantemente si ripresenta nella forma della ripetizione318. Ricordo che anche Derrida, in Politiche dell'amicizia, nominando tyche parla di una «decisione passiva, decisione inconscia, decisione dell'altro in me».319

Derrida nell'intervento agli Stati Generali della psicoanalisi nel 2000, sostiene che ciò che la psicoanalisi può fare è interrogarsi sull'al di là di ogni principio, che è anche l'al di là dell'al di là (freudiano dell'opera Al di là del principio di piacere). Egli individua, come si vedrà nelle pagine successive, un al di là del principio nella legge eteronoma dell'altro: «si può pensare questa cosa apparentemente impossibile, ma altrimenti impossibile, ovvero un di-là della pulsione di morte o di sovrana padronanza, dunque un di-là della crudeltà, un al-di-là che non avrebbe nulla a che vedere né con le pulsioni né con i principi? (…) In merito a questo al-di-là dell'al-di-là è possibile una risposta decidibile?».320

L'utilità della domanda di Derrida per il presente lavoro è quella di liberare l'idea del principio come competenza legislativa universale del soggetto – che è stata presentata a partire dai contributi di Giacomo Contri e di Hannah Arendt – dal sospetto di un progetto di riedizione del vecchio soggetto sovrano, padrone e presente a se stesso; tutto il lavoro sull'imputabilità mostra che questa sovranità è costituita da un'assunzione radicale della propria erranza, in cui propriamente consiste il lavoro di giudizio, che è anche decostruzione

317 J. Lacan, Il Seminario, Libro XI, I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi, cit., p. 55.

318 Il sogno che Lacan commenta nel seminario XI, “Padre non vedi che brucio?”, può illustrarci questa relazione tra tyche e automaton. Un padre, cui è morto il figlio, dopo aver lasciato alla vigilanza di un anziano custode la salma, si addormenta per poi svegliarsi bruscamente. Durante il breve sonno l'uomo aveva fatto un sogno, in cui il figlio morto gli era apparso dicendogli, “Padre, non vedi che brucio?”. Che cosa sveglia l'uomo? Lacan non ha dubbi: non è il rumore del fuoco che nella realtà, per disattenzione del custode, sta crepitando e bruciando attorno alla salma del bambino, ma il reale del sogno. Impossibile reale di una verità che dice al padre di non essere riuscito a salvare il figlio. Nell'espressione: “Padre, non vedi che brucio?” il riferimento al bruciare ripresenta la causa della morte, per febbre, del figlio, tuttavia esso si presta anche a distogliere lo sguardo dal reale per portarlo, attraverso il risveglio, alla realtà effettiva del bruciare, mancando all'appuntmento, tyche, con il reale. Il sogno rappresenta questo incontro con il reale, non assumerne la verità determinerà la sua ripetizione, il suo ripresentarsi incessante.

319 J. Derrida, Politiche dell'amicizia, tr. di G. Chiurazzi, Cortina, Milano 1995, p. 215.

320 Id., Etats d'âme de la psychanalyse. L'impossible au-delà d'une souveraine cruauté, cit., p. 15. Riporto il testo originale (la trad. è mia) «peut-on penser cette chose apparemment impossible, mais autrement impossible, à savoir un au-delà de la pulsion de mort ou de maîtrise souveraine, donc l'au-delà d'une crauté, un au-delà qui n'aurait rien à voir ni avec les pulsions ni avec les principes? (…) Quant à cet au-delà de l'au-delà, une réponse décidable est-elle possible?».

dei presupposti, o teorie assunte passivamente.

Nel sottotitolo del testo pronunciato agli stati generali della psicoanalisi, che recita «L'impossible au-delà d'une souveraine cruauté», Derrida ci dice che non c'è un al di là di una crudeltà con cui il soggetto, ecco il principio sovrano soggettivo, possa deimputarsi. Non c'è al di là della sovranità soggettiva, non c'è al di là del principio di imputabilità: «Il solo discorso che possa oggi rivendicare come affar suo la cosa della crudeltà psichica, è ciò che da un secolo pressappoco si chiama proprio psicanalisi (...) Ma “psicanalisi” è il nome di ciò che, senza alibi teologico o altro, si rivolge verso ciò che la crudeltà psichica ha di più proprio. La psicanalisi, per me, se mi permettete questa confidenza, sarebbe l'altro nome del “senza alibi”».321

Essere «sans alibi» vuol dire innanzitutto, riprendendo quanto detto in precedenza, essere imputabili della forma, della legge impressa ai nostri atti, anche quando risultassero causati da qualcosa di così inassumibile da toglierci la parola, come ciò che resta di reale nel lapsus o nel sogno quando non riesce più a custodire il nostro sonno.322