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Dopo aver individuato attraverso il lavoro di Derrida su Foucault, una resistenza di Foucault alla psicoanalisi, che tuttavia non deve impedirci di pensare – com'è stato fatto nei capitoli precedenti – anche a Foucault come a un possibile alleato nel pensare alla psicoanalisi come resistenza ai regimi di governamentalità biopolitica, possiamo guardare ora all'introduzione di una questione attuale importante, vitale/mortifera per la psicoanalisi, ovvero la resistenza non alla psicoanalisi, ma della psicoanalisi stessa, che trova questo suo nucleo di fissità mortifera proprio nel concetto di resistenza.

Derrida sottopone alla psicoanalisi una questione che nasce da un suo cedere alla coazione a ripetere, ma che se correttamente imputato – le può aprire nuove e inaspettate vie. La psicoanalisi non è immune, così come il pensiero di Foucault, da una tentazione autoimmunitaria. Foucault ha respinto la psicoanalisi fin dall'epoca della sua introduzione all'opera sul sogno di Binswanger e tale resistenza ha trovato conferma nell'ultimo corso al Collège de France, Il coraggio della verità, nella lezione del 1° febbraio 1984, dove tutta la psicoanalisi viene collocata tra le discipline “psi” istituzionalizzate, cioè devitalizzate, morte

297 Ivi, pp. 19-20. Nel seguito dell'intervista il problema del soggetto incontrerà quello dell'animale in una direzione che è sempre quella di un'interrogazione problematica di ciò che divide, che separa dentro e fuori dal soggetto.

del loro stesso potere presupposto.

Ricordo che nel 2000 Derrida venne invitato da René Major e da altri a partecipare agli “Stati generali della psicoanalisi”, il cui scopo era innanzitutto quello di sottolineare la portata costituente e costitutiva della psicoanalisi per un discorso soggettivante di apertura etica e civile. Valorizzare la specificità della psicoanalisi rispetto ai saperi e alle pratiche istituzionalizzate del cosiddetto mondo “psi”, ma non solo. Nel contesto di quell'iniziativa, Derrida afferma che la specificità della psicoanalisi – aspetto su cui ritorneremo – consiste nel suo essere «sans alibi».298

Non è giusto Foucault con Freud, ma è giusta la psicoanalisi? Come può collocarsi oggi il discorso psicoanalitico dentro la questione della giustizia e del diritto? La psicoanalisi è giusta se sa essere «sans alibi», ovvero aperta al dubbio e al rischio di accogliere nella loro singolarità, fuori da ogni presupposizione, gli eventi del mondo, senza abdicare al lavoro del pensiero. Un lavoro simile a quello che viene fatto in psicoanalisi per accogliere le formazioni dell'inconscio, inclusi i sintomi, quando tutti questi anziché essere ricondotti a uno schema patologico che li ingabbia e neutralizza, vengono compresi a partire da ciò che hanno da dire di più scomodo sul soggetto e al soggetto. La questione dell'imputabilità si innesta proprio in questo punto, perché essa può essere la risorsa con cui il soggetto accede alla verità del suo desiderio quando smette di fornirsi alibi. Nel lavoro svolto a partire da Foucault si è cercato di riconoscere nell'imputabilità la questione per cui il coraggio della verità non sta solo nel professarla a un potente, ma a se stessi, riconoscendo quanto pigramente ci si accomodi nell'impotenza, persino denunciandola come l'effetto di un potere subito, supposto sempre più potente di sé, supposizione che crea l'alibi del non-poter... agire, pensare, intraprendere, iniziare, e così via. La verità – cui si accede con un lavoro di imputabilità – può svelarci che i primi ad avere conferito potere a qualcosa o a qualcuno siamo stati noi stessi e che sempre, in ogni momento, si offre, anche grazie all'inconscio, la possibilità per il soggetto di prendere altre strade e di smascherare l'autoinganno. Riprendo l'affermazione di Freud da L'Io e l'Es, che fa da sfondo continuo a questo lavoro: «[L'analisi] non ha certo il compito di rendere impossibili le reazioni morbose, ma piuttosto quello di creare per l'Io del malato la libertà di optare per una soluzione o per l'altra».

Il concetto di resistenza in Foucault, come gioco, lasco tra due forze reciprocamente costrette tra forze di potere e processi di liberazione, rende complesso e difficile indicare al

298 Questione proposta nell'opera di J. Derrida, Etats d'âme de la psychanalyse. Adresse aux Etats Généraux de

la Psychanalyse, cit. Nel 2000 all'anfiteatro della Sorbonne vennero convocati da alcuni psicoanalisti, tra i

quali René Major, gli Stati Generali della psicoanalisi, in cui per due giorni venne affrontato da vari punti di vista il problema dello statuto culturale, clinico e anche giuridico della psicoanalisi. Cfr. R. Major, a cura di,

soggetto un lavoro di imputabilità, perché non c'è in Foucault un chi operi la resistenza, ma solo un gioco di forze anonime, da cui il soggetto può uscire più o meno libero. Afferma Foucault: «Questo vuol dire che, nelle relazioni di potere, vi è necessariamente possibilità di resistenza, perché, se non ci fosse possibilità di resistenza – di resistenza violenta, di fuga, di sotterfugio, di strategie che ribaltano la situazione –, non ci sarebbero affatto relazioni di potere [“ma una violenza infinita e illimitata” (in un passo precedente)] ... se le relazioni di potere attraversano tutto il campo sociale, è perché la libertà è dappertutto».299

Se è vero che non è il potere che produce la resistenza, è vero però che il potere ha bisogno di margini di libertà, perché altrimenti come e dove esso si eserciterebbe? La questione della libertà si pone per il soggetto come conseguenza di un lasco necessario per far essere i giochi di potere. È questo il modo in cui Foucault, come si evince dalla citazione precedente, risponde – eludendo la questione del soggetto – a una domanda in cui tale questione è posta esplicitamente.300 La resistenza di Foucault, riprendendola nel senso derridiano dell'opera Résistances de la psychanalyse, è resistenza al soggetto della psicoanalisi, che di potere e di resistenza ne sa qualcosa; ed è anche resistenza di Foucault a imputarsi tale resistenza. Ma – conclude Derrida – avrebbe Foucault potuto dire quanto ha detto se non vi fosse nel suo dire l'eredità della psicoanalisi, un'eredità non sempre riconosciuta e tuttavia operante?301 «Il progetto di Foucault sarebbe stato possibile senza la psicoanalisi di cui è il contemporaneo e di cui parla poco e soprattutto in modo così equivoco e ambivalente nel libro? Le deve qualcosa? E cosa? Il debito, se fosse stato contratto, è essenziale? O definisce al contrario proprio ciò da cui sarebbe stato necessario slegarsi, in modo critico, per formare il progetto?».302

Leggere ora queste parole di Derrida rende meno univoca l'osservazione sul mancato credito di Foucault alla psicoanalisi. Occorre – come finora non si è mai cessato di dire – non dare mai per presupposto nulla. Il lemma psicoanalisi di per sé non significa nulla e non è affatto scontato che essa stia dalla parte di un lavoro critico dei presupposti, anche la

299 M. Foucault, «L'etica della cura di sé come pratica della libertà» in Archivio Foucault 3, cit., pp. 284-285. 300 «Sembra esserci una sorta di carenza nella sua problematica, cioè la concezione di una resistenza contro il

potere. Questo elemento presuppone un soggetto molto attivo, che ha molta cura di sé e degli altri, dunque politicamente e filosoficamente capace», Ivi, p. 244.

301 Nell'Introduzione all'edizione italiana dell'opera di Foucault Malattia mentale e psicologia Fabio Polidori presenta l'oscillazione di Foucault rispetto alla psicoanalisi come questione che accompagna anche la stesura di questa sua prima opera (inizio stesura tra il 1952 e il 1953), prima benché completata dopo la pubblicazione dell'opera più nota del 1961 Storia della follia. «... sebbene in Freud Foucault riconosca, parlandone in termini più precisi, il merito di “essere ben presto riuscito a superare l'orizzonte evoluzionistico, definito dalla nozione di libido, per accedere alla dimensione storica dello psichismo umano” (M. Foucault, Malattia mentale e psicologia, a cura di F. Polidori, Cortina, Milano 1997, p. 36), non esita a restituire e ridurre, una riga dopo, la psicoanalisi alla psicologia» (F. Polidori, Introduzione a Malattia

mentale e psicologia, cit., p. XV).

psicoanalisi è tentata di cedere alle seduzioni del potere, delle oggettivazioni, come ampiamente dimostrato dalla storia dei movimenti psicoanalitici fino ad oggi. Occorre di volta in volta interrogarla e portarla sempre al suo compito essenziale, che è mantenere aperto uno spazio di parola e di ascolto, senza che istanze altre e superiori ne appannino l'impegnativo e scomodo lavoro. Nel fare ciò anche il contributo critico del pensiero di Foucault si è mostrato indispensabile.303