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Descrizione della sperimentazione per la classe seconda primaria

Capitolo 3 La sperimentazione in classe

3.3 Descrizione della sperimentazione per la classe seconda primaria

Come illustrato precedentemente, in questa fase abbiamo proposto e discusso un questionario appositamente progettato costituito da due problemi. Per evitare che i bambini si sentissero giudicati, pensando che la prova proposta fosse una verifica valutata da me o dall’insegnante, non è stata stabilita a priori nessuna scadenza rigida allo svolgimento della prova. Generalmente in entrambe le classi il tempo necessario allo svolgimento della stessa è stato di circa una ventina di minuti. Dopodiché è stata sviluppata una discussione durata circa mezzora, nella quale, attraverso il confronto collettivo e i nostri stimoli i bambini erano incoraggiati a intervenire per commentare le risposte degli altri, oltre che per giustificare le proprie.

Riportiamo di seguito la prima domanda del questionario:

Questo esercizio è legato alla lettura di un istogramma. Nella classe, come si è detto, non sono mai stati mostrati istogrammi e lo scopo del quesito è capire quali sono le reazioni dei bambini di fronte ad una rappresentazione tradizionale, ma da loro mai incontrata in ambiente di classe.

Il secondo quesito, riportato qui di seguito, riguarda l’uso delle parole “sempre”, “a volte”, “mai”:

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Esso ha come obiettivo capire quale significato i bambini associano a termini rilevanti per il lavoro sulla probabilità, ma anche tipicamente usati nel linguaggio quotidiano, quali appunto “mai, sempre, a volte”. La discussione su questo significato è stata pensata per introdurre le parole: “Impossibile, certo, probabile”. Nel corso della discussione era, infatti, previsto di chiedere ai bambini, in maniera abbastanza naturale, se trovano differenze tra il significato di “certo” e “qualcosa che accade sempre”, o tra “impossibile” e “qualcosa che non accade mai”, invitando i bambini a fornire esempi di eventi o situazioni ritenute certe o impossibili.

Analizziamo dapprima le risposte date al primo quesito; gli alunni sembrano avere una grande difficoltà nel motivare per iscritto le risposte date, cosa abbastanza comprensibile considerata l’età. Molti di loro, infatti, sono in grado di spiegare a voce il perché della loro risposta, ma non di scriverlo.

Alla domanda “quanti bambini sono stati al lago?” la maggior parte, in entrambe le classi, ha sorprendentemente risposto in modo corretto, associando il numero 9 a quello dei bambini che sono stati al lago; si notano però alcune interessanti risposte alternative, che potrebbero essere riconducibili ad altri tipi di letture del grafico: c’è chi sembra non correlare ascissa e ordinata e risponde 11, numero più alto che compare nel grafico e probabilmente ritenuto per così dire “più importante” rispetto agli altri. Altri due alunni rispondono che i bambini che sono stati al lago sono dieci; questo tipo di lettura può essere dovuto alla non conoscenza della convenzione usata, secondo la quale la prima riga alla base dell’istogramma corrisponde a zero, e questo porterebbe l’alunno a contare tutte le righe riferite alla barra blu del lago.

Per quel che riguarda il secondo esercizio e quindi la valutazione del significato delle espressioni “mai”, “a volte” e “sempre”, la discussione fatta in classe ha portato a due

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risultati importanti; il primo, che mi ha particolarmente stupito considerata l’età degli alunni, è che sembra esserci nei bambini la capacità di distinguere tra ciò che può avvenire nella finzione o nei sogni e ciò che può accadere nella realtà; mi sarei aspettata infatti una non ancora netta separazione tra finzione e realtà. Ad esempio all’affermazione “la mia

vicina di casa ha le ali”, tutti rispondono “mai”. Si è fatto notare che la vicina di casa può

comprare un costume di carnevale con le ali; a tale provocazione qualcuno risponde che “le

ali sono finte e non si possono averle vere, solo nei sogni questo può essere possibile”.

Altro aspetto da segnalare è quanto l’esperienza e le convinzioni del bambino sembrino influenzare il modo di rispondere: all’affermazione “l’aquila si trova nel mare”, qualcuno risponde a volte perché sostiene di aver visto un’aquila in mezzo al mare a prendere i pesci. Probabilmente l’animale visto è un gabbiano, ma la sua convinzione sembra essere così forte da portarlo a rispondere in quel modo. All’asserzione “i gatti cacciano i topi” qualcuno risponde “a volte”, spiegando che il proprio gatto ha paura dei topi e quindi non li caccia. Questo ci porta a pensare che l’esperienza influenzi la risposta: il bambino il cui gatto è un cacciatore di topi, oppure abituato a tale immaginario, probabilmente risponderà “sempre”; il bambino che ha conosciuto gatti non cacciatori di topi, potrebbe essere portato a rispondere “a volte”, o addirittura “mai”. I bambini a quest’età non necessariamente hanno subito ancora un adeguamento a certi stereotipi, dati per scontati dagli adulti. Analogamente per “i cani hanno quattro zampe” sembra intervenire ancora una volta l’esperienza del bambino: qualcuno risponde “a volte”, giustificando la risposta dicendo che ha visto un cane con tre zampe, perché gli era stata amputata una zampa.

Seconda fase:

La seconda fase è caratterizzata da diverse attività: -Attività 1, Dalla lettura alla costruzione di istogrammi:

I bambini hanno stilato una lista dei personaggi di fantasia a loro familiari e graditi e, una volta compilata la lista, ogni bambino ha scelto un personaggio a lui preferito. Dopo aver ordinato in ordine alfabetico i personaggi, si sono segnate le preferenze date da ogni bambino alla lavagna con delle crocette e si è costruito il relativo istogramma, associando a ogni crocetta un quadratino. I bambini sono stati coinvolti attivamente durante la costruzione dell’istogramma, chiedendo loro di indicare quanti quadratini disegnare per ogni personaggio scelto; questo è sembrato un buon modo per verificare sia la comprensione dell’associazione crocetta-quadratino che quella personaggio-preferenze. L’associazione crocetta-quadratino sembra essere per loro molto naturale poiché alla domanda quanti quadratini disegnare in corrispondenza di ogni personaggio, hanno tutti risposto, controllando il numero di crocette. Anche l’associazione personaggio-preferenze pare non suscitare grandi perplessità: alle richieste di individuare il personaggio più gradito e quello meno, se ci sono personaggi che non hanno ottenuto preferenze o se alcuni hanno ottenuto lo stesso numero di preferenze, i bambini hanno risposto in modo coerente al grafico costruito. Poi la classe ha confrontato le due diverse rappresentazioni quella con le crocette e quella con l’istogramma, si è richiesto di esprimere un’opinione circa la loro

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utilità: i bambini, dopo attenta riflessione, hanno risposto che preferiscono il grafico con i quadratini “perché si capisce subito qual è il personaggio preferito, inoltre è più semplice

consultarlo grazie ai diversi colori utilizzati”. A questo punto è stato mostrato nuovamente

il grafico sulle mete di vacanza contenuto nel questionario iniziale e si sono discusse le analogie e le differenze tra le due rappresentazioni. Dal confronto i bambini hanno ritenuto che i due istogrammi sono grafici molto diversi tra loro, poiché “uno è più grande

dell’altro, uno ha le righe e l’altro i quadretti e in quello dei personaggi vi sono molte più sbarrette rispetto all’altro”.

I bambini sembrano attratti dai particolari di ciascun disegno e dalle differenze e l’idea che entrambi sono uno stesso modo di rappresentare i dati, sembra non emergere. La capacità di astrarre e cogliere l’idea di avere imparato un nuovo tipo di rappresentazione da poter utilizzare in situazioni diverse non è forse ancora possibile per bambini di 7 anni o comunque non possiamo dire di averla riscontrata.

- Attività 2, Il gioco con i dadi truccati:

Si sono scelti i due personaggi più votati della lista stilata nell’attività precedente e si sono costruiti dei dadi con le facce di tali personaggi. In totale i dadi utilizzati sono cinque: due con tutte le facce uguali, che chiameremo nel corso della descrizione dado “unico”, due con quattro facce di un personaggio e due dell’altro, che chiameremo dado “sbilanciato” e il dado “equo” con tre facce di un tipo e tre dell’altro. Si è divisa la classe in due squadre e si è associato a ognuna uno dei due personaggi; a turno ogni alunno delle due squadre ha lanciato il dado sbilanciato; a ogni lancio la squadra corrispondente al personaggio uscito guadagna un punto, il punto è registrato sulla lavagna, attribuendo una crocetta ad ogni squadra per ogni punto ottenuto. Si osserva che in entrambe le classi arriva il dubbio che il dado sia truccato dopo circa una quindicina di lanci. Inizialmente si sono sentite affermazioni del tipo: “Siamo proprio sfortunati, esce sempre l’altro personaggio”; in seguito qualcuno si è soffermato a osservare il dado e ha affermato che avremmo dovuto giocare con un dado che ha tante facce con uno dei due personaggi quante ne ha con l’altro affinché non ci siano “ingiustizie”. Quando ho mostrato loro tutti i dadi che possedevo, qualcuno di loro ha affermato di voler giocare con quello che ha tutte le facce del suo personaggio, perché avrebbe avuto in questo modo la certezza della vincita, ma l’altra squadra ovviamente non ha accettato.

Notiamo che l’uscita di una faccia con un dato personaggio, piuttosto che con l’altro, potrebbe essere primitivamente considerata una questione esclusivamente di fortuna, anche se le facce dei due personaggi non sono nello stesso numero; in realtà ci accorgiamo che, attraverso l’esperienza, i bambini non attribuiscono l’accadere o meno di certi eventi solo alla fortuna, ma colgono il vantaggio o lo svantaggio di certe situazioni e arrivano a considerarle “eque” o “non eque”.

Queste osservazioni portano a dedurre che nel bambino sembrerebbero presenti molto precocemente:

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- l’idea di gioco equo; qui è da intendersi in termini di uguale possibilità di vincita per i due competitori non avendo introdotto una vera scommessa e non essendoci quindi un guadagno; ma sembrerebbe esserci anche la precoce intuizione del “pagare di più se si ha

maggiori possibilità di vincere” [15].

- un’intuizione probabilistica soggettiva, in base alla quale, grazie alle informazioni in suo possesso, valuta se ha convenienza a giocare oppure no e, se sceglie la condizione che porterebbe a vittoria certa, trova l’opposizione dei compagni che non sono disposti ad accettare la perdita certa.

Inoltre, attraverso il gioco dei dadi, i bambini hanno potuto familiarizzare con i termini: “Impossibile”, “certo”, “probabile”, “molto probabile” e “poco probabile”.

- Attività 3, Estrazione a sorte:

Ogni bambino ha inserito in un cappello un contenitore porta-sorpresa degli ovetti di cioccolata, all’interno del quale ha posto un cartoncino con scritto il nome del personaggio di fantasia che aveva scelto nell’attività precedente; i vari nomi, quindi, non erano presenti in ugual numero nel cappello, essendo quest’ultimo determinato dalle preferenze ottenute. A questo punto, procedendo con l’estrazione, i bambini hanno scommesso su quale personaggio sarebbe uscito. Inizialmente la maggior parte ha pensato al nome del proprio prediletto.

Questo legame possibilità-desiderio sembra essere molto forte nel bambino: è come se il desiderio di uscita di un particolare personaggio potesse effettivamente determinarne l’uscita. Dopo un po’ di estrazioni, effettuate con rimessa, si è osservato che alcuni personaggi escono più frequentemente rispetto ad altri e si è richiesto ai bambini di dare una loro motivazione; i bambini sono arrivati alla conclusione che “alcuni nomi hanno più

possibilità di essere estratti perché sono presenti in quantità maggiore all’interno del cappello”. Interessante l’affermazione di un bambino rispetto all’evento “uscita di un

personaggio che possiede una sola preferenza”: “E’ impossibile che esca quel personaggio,

anzi quasi impossibile”. Quest’asserzione è notevole perché il bambino sembrerebbe aver

compreso la differenza tra evento impossibile ed evento poco probabile.

L’attività è proseguita inserendo nel cappello i cartellini con i nomi dei bambini stessi, al posto di quelli dei loro personaggi preferiti.

Prima di procedere alle estrazioni, si è chiesto di nuovo ai bambini di fare esempi di qualcosa di certo e qualcosa d’impossibile che possa accadere come esito dell’estrazione: qualche bambino considera certa l’uscita del proprio nome, altri ribattono “è certo che

uscirà uno dei nostri nomi, ma non è certo quale uscirà” . Alla domanda che cosa è

impossibile che accada, qualcuno afferma: “E’ impossibile che peschiamo un nome di una

pianta carnivora”, qui il bambino pensa a un evento non impossibile in sé, ma impossibile

giustamente rispetto al presente contesto, vale a dire rispetto allo spazio degli eventi riferibili a questo contesto; un altro afferma è “impossibile che esca un nome con 0

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peraltro alla variabile numero di lettere da cui il nome è composto (la variabile non può assumere valore zero). C’è quindi anche un’idea di relazione tra nome e numero di lettere di cui il nome è composto.

Terza fase:

Nel corso dell’ultima fase si è proposto ai bambini un questionario di verifica composto da due quesiti. Come per il questionario iniziale non è stato fissato un tempo rigido per la compilazione del questionario: si è atteso che tutti i bambini terminassero, circa mezzora, e poi si sono discusse insieme le risposte date. Anche il tempo riservato alla discussione è stato di mezzora.

Il primo quesito riguarda la lettura di un istogramma ed è stato proposto ai bambini in due versioni diverse; la prima, riportata di seguito, presenta un istogramma con un unico valore modale.

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La seconda versione dell’esercizio proposto differisce dalla prima per un unico aspetto: il grafico presenta due valori modali (Aprile e Agosto), per questo non ho ritenuto necessario riportarlo. In entrambe le versioni sono presenti alcuni mesi in cui non è nato nessuno dei bambini della classe cui si fa riferimento nel testo. Inoltre si è richiesto di dedurre dal grafico non solo la numerosità relativa di una singola barra, ma il numero totale dei bambini che compongono la classe.

Lo scopo del quesito è quello di verificare se i bambini, dopo la discussione sulla lettura dell’istogramma del questionario iniziale e dopo l’attività di costruzione vera e propria di questo tipo di rappresentazione, sono in grado di cogliere informazioni da un istogramma in qualunque contesto esso si collochi, sebbene esso si presenti con caratteristiche diverse rispetto a quelli visti da loro nel corso dell’attività (es colore e numero diverso delle barre, rappresentazione con rettangolini anziché quadratini, ecc.).

Analizziamo le risposte date e la relativa discussione. In entrambe le classi pare emergere una maggior difficoltà nel rispondere alla seconda parte del quesito, dove si chiede di dedurre quanti sono i bambini della classe cui fa riferimento l’istogramma; comunque circa il 67% dei bambini risponde correttamente, identificando il numero di bambini della classe con il numero totale di quadratini. Nella restante percentuale i bambini rispondono in vario modo: c’è chi dà come risposta il numero di quanti sono nella loro classe. Qualcuno commenta: “Come hai fatto a dimenticarti? Noi siamo 13”. Altri non rispondono o dicono “Alessia dovrebbe contarli”, come se dal grafico non si potesse ricavare tale numero. Una bambina esprime a voce la sua difficoltà nel dare la risposta, dicendo: “Non posso sapere

quanti bambini sono, perché nei mesi in cui i bambini non hanno festeggiato il compleanno, i bambini ci sono sempre, non è che non esistono”; il problema potrebbe

essere generato dall’aver usato nel testo la parola “festeggia” e forse nell’esperienza di questa bambina non tutti i bambini festeggiano il compleanno. Potrebbe anche essere che la bambina trovi difficoltà ad accettare la presenza nell’istogramma di dati senza corrispondenza; questo potrebbe spingerla a dimenticare la particolare classe a cui l’istogramma fa riferimento, in favore di un universo più ampio dove si troverebbe certamente per ogni mese almeno un bambino che vi è nato.

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Il quesito proposto torna sul significato dei termini “impossibile”, “certo”, “poco probabile”, “molto probabile”, collocandosi in una situazione che si è ritenuta molto familiare ai bambini.

L’esercizio, come si noterà, lascia al bambino molta libertà di espressione, sempre tenendo conto che uno degli obiettivi di questa sperimentazione è rompere il “contratto didattico” che spesso si crea tra insegnante e alunno e far sì che il bambino si senta libero dal vincolo della risposta “corretta”, nel senso di voluta dall’insegnante.

Analizzando le risposte date, si riscontra una difficoltà nota e già evidenziata nel cap.2, per la maggior parte degli alunni il termine “molto probabile” è utilizzato come sinonimo di “certo” e “poco probabile” come sinonimo di “impossibile”. Riporto alcuni esempi a riguardo: “E’ poco probabile che mi arrampico sull’albero, perché non lo faccio mai”, “è

poco probabile che i miei colori mettano le gambe, perché i colori non hanno le gambe ed è molto probabile che oggi vado a cavallo, perché è nella realtà”; “è poco probabile che un bambino voli, perché i bambini non volano e molto probabile che i bambini giocano, perché al parco si gioca”. Pochi sembrano riuscire a distinguere situazioni impossibili o

certe da quelle poco o molto probabili. Su questa difficoltà incide, come già osservato, il linguaggio, non sempre rigoroso, del parlato di tutti i giorni; in effetti nel linguaggio comune, spesso il termine “molto probabile” è utilizzato in riferimento a qualcosa di cui siamo certi, a meno che non si verifichi qualche evento che va aldilà della nostra volontà. Analogamente per il termine “poco probabile”.

La valutazione del molto o poco probabile nasce dall’esperienza del singolo, spesso esperienze che si sono ripetute portando allo stesso esito: “Domani certamente sorgerà il

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sole”, ma in quel certamente c’è in fondo un molto probabile, perché dentro di noi pensiamo che ci possa essere pur sempre qualcosa d’imponderabile, al di fuori della nostra volontà o controllo, che può accadere. Il concetto di evento impossibile, rappresentato in matematica dall’insieme vuoto, così come quello di evento certo, rappresentato dallo spazio degli eventi, può apparire più una necessità teorica, se non quasi una forzatura matematica in questi contesti di vita reale. Del resto nei confronti di eventi incerti non ci interessa tanto l’impossibile o il certo, ma piuttosto il possibile. Degno di nota è anche il fatto che nella maggior parte dei casi la concezione del bambino su che cosa può essere impossibile, certo o molto/poco probabile sembra ancora una volta dipendere fortemente dall’esperienza personale: per esempio “è certo che al parco vedrò i giochi e impossibile

che al parco non c’è nessuno”; “certamente accadrà che non ci saranno bravi bambini”,

motivato dal fatto che al parco gli altri bambini non lo coinvolgono mai nei giochi; “è

impossibile che non ci sarebbe mai e poi mai Anas”, perché dice di averlo aspettato molte

volte fino a tardi al parco, ma che non si è mai presentato.

Si osserva infine come sia più facile per il bambino utilizzare correttamente i termini “certo”, “impossibile”, “poco probabile” e “molto probabile”, quando riferibili a situazioni semplici e più circoscritte come quelle descritte nelle attività 2 e 3 della seconda fase, rispetto a contesti più legati alla vita quotidiana, dove il linguaggio comune parrebbe prendere il sopravvento sul linguaggio logico-matematico.

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