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6) IL DESERTO DELLA LIBIA E LA QUESTIONE DEL GENERE

Nel documento Mario Tobino Il deserto della Libia (pagine 76-86)

Biografia, romanzo autobiografico, diario intimo, collezione antologica di racconti brevi accumunati dalla medesima ambientazione geografica, reportage di guerra, libello panflettistico di satira antifascista, indagine sulle dinamiche burocratiche e strategiche di un esercito sconfitto?

Sono tutte definizioni possibili per inquadrare Il deserto della Libia in una qualche comoda bacheca di “generi”, utile alla storia della letteratura scolastica, che comunque ha, fino ad ora, ignorato il Deserto della Libia, più che alla comprensione dell’ oggetto-testo, della sua reale natura.

L’ abbondanza di tematiche e di “stili”, all’ interno del medesimo libro, spinge il lettore ad abbandonare l’ idea scolastica del catalogo e a considerare che l’ opera contenga in sé, e superi in sé, i confini dei “generi”, ulteriore riprova del valore del Deserto della Libia.

Nonostante ciò, è inutile evitare l’ evidenza della maggiore predominanza del tema autobiografico, tipico in Tobino, che farebbe del Deserto della

Libia, ad un primo sguardo, un testo riconducibile ad un romanzo autobiografico, come lo intende Lejeune.

Il critico francese, nel Patto autobiografico, definisce l’autobiografia in questi termini :

Racconto retrospettivo in prosa che una persona reale fa della propria esistenza, quando mette l’ accento sulla sua vita individuale, in particolare sulla storia della sua personalità. 203

L‘ autore continua affermando che le categorie alle quali fa riferimento non sono rigide: certe condizioni possono essere soddisfatte in maniera ineguale. Il testo deve essere principalmente un racconto, principalmente retrospettivo e principalmente interessarsi alla vita individuale, alla genesi della personalità. Lejeune, per i vari casi particolari, lascia una certa libertà a colui che classifica, spostando il problema su proporzioni e gerarchie dei vari generi della letteratura intima all’ interno del testo.

203

Ciò che è imprescindibile per far sussistere l’ autobiografia è l’ identità fra l’ autore, il narratore e il personaggio; lo studioso precisa:

qui non c’è interscambio né libertà. Una identità è o non è. Non ci sono gradi possibili, e ogni dubbio porta ad una conclusione negativa204

Il patto autobiografico è l’ affermazione di questa identità nel testo.

Alla luce della definizione, non si può affermare che Il deserto della Libia sia una autobiografia, ma, seguendo sempre il critico, sarebbe un romanzo

autobiografico, mancherebbe, cioè, la fondamentale identità tra autore in

copertina, narratore e personaggio principale. Infatti il romanzo

autobiografico, sempre per Lejeune, è un racconto di una vita individuale o

della storia di una personalità, in cui, però, manca l’ identità tra narratore e autore:

Chiamerò così tutti i testi di finzione nei quali il lettore può sospettare, dalle rassomiglianze che crede di scoprire, che ci sia identità tra autore e

personaggio, mentre proprio l’ autore ha scelto di negare questa identità o

almeno di non affermarla. Così definito, il romanzo autobiografico comprende anche racconti personali (identità fra narratore e personaggio) e racconti <<impersonali>> (personaggi indicati con la terza persona).205

Già a quest’ altezza si incontrano i primi problemi definitori.

Lejeune richiama Genette, il quale, nel capitolo Voce di Figure III206, definendo i vari statuti del narratore: eterodiegetico come assente all’ interno della storia raccontata; omodiegetico, quello presente come personaggio, e autodiegetico, dato che l’ assenza è assoluta e la presenza ha dei gradi, il racconto in cui il narratore è protagonista del racconto.

Genette aggiunge, precisando circa le intromissioni in prima persona del narratore all’ interno della storia, al fine di chiarirne la presenza o assenza, malgrado qualche intervento:

204 Ivi, pag. 13. 205 Ivi, pag. 2. 206

Dato che il narratore può, ad ogni momento, intervenire come tale nel racconto, qualunque narrazione è, per definizione, virtualmente fatta in prima persona […] Il vero problema è sapere se il narratore ha o no l’ occasione di usare la prima persona per designare uno dei personaggi.207

Richiamo questo passo perché nel Deserto della Libia il narratore interviene

come tale abbastanza spesso, specie nelle “parentesi” didascaliche che

illustrano giornalisticamente, come in un reportage, l’ impreparazione dell’ esercito fascista o la sua inutile burocrazia:<< tra le nostre pattuglie e lo loro vi era una differenza che sia permesso accennare>>208, << Analizziamo questi due mesi di convalescenza>>209, << Preghiamo un momento di attenzione su questo ragionamento…>>210, ecc.; molte altre volte il narratore interviene con espressioni del tipo: “come si è detto”, “si disse”, “come si è già accennato”, ecc., oppure usa la prima persona plurale dichiarandosi parte della truppa: << E all’ improvviso, ora che non si

aspettava più, si presentava la nostalgia, che era l’ Italia, noi che siamo

nati…>>211.

In un punto, ma solo in quello, si smaschera apertamente dicendo “io”, collocando storicamente la vicenda con una data. Inoltre, fatto ancora più importante, ci dà notizia del suo lavoro da civile nel presente:

Io sono medico di manicomio, e una sera di Marzo del 1940 ero, come

naturale, al manicomio di V., e anzi finivo di consultare certe cartelle, quando capitò alla porta dell’ ospedale […] un uomo di media statura.212

e più oltre:

Davanti a me c’è Oscar Pilli. Egli apparve, mentre iniziava la discesa, terrorizzato del vuoto. Aveva in mano la valigetta. Gli dico di darmela.213

207

Ivi, pag. 292.

208

M. Tobino, Il deserto della Libia, in Op. cit., pag. 410.

209

Ivi, pag. 326 (corsivo mio).

210

Ibidem.

211

Ivi, pag. 417 (corsivo mio)

212

Anche in un'altra scena il narratore palesa la sua presenza in Libia: <<Questo episodio me lo raccontò Marcello pochi giorni prima che morisse davanti a Tobruk>>214 e poco oltre: <<Qui veramente il tenente Marcello, a

quanto mi disse, non si ricordava bene>>.215

Se ne deduce che il personaggio che narra è presente nella storia, anche se non ha lo statuto di un personaggio attivo nella vicenda, più un osservatore o un confidente, eccetto nel capitolo Oscar Pilli, e conosce avvenimenti (i pensieri di Marcello, descrive scene in cui i personaggi sono soli, ecc.) che solo un narratore onnisciente potrebbe sapere, ma, allo stesso tempo, ne è vivida l’ impressione, “come se fosse presente”, e quindi, <<ha l’ occasione di utilizzare la prima persona per designare uno dei personaggi >>.

Anche in questo caso, la presenza o meno del narratore che dice “io” è in bilico: inferibile, ipotizzabile, ma Tobino non ammette scene in cui un altro personaggio lo chiama direttamente o in cui si raffigura palesemente partecipe alla vicenda, eccetto nel capitolo Oscar Pilli: questo “io” isolato sembrerebbe quasi una dimenticanza.

Nella prima edizione, nei risvolti di copertina, c’era una breve <<schedina>> biografica dell’ autore. In questa si sottolineava la sua esperienza di guerra, e le varie vicende vissute in Libia, con precisi riferimenti geografici che trovano riscontro nel testo, annotazioni suggerite dallo stesso Tobino in una lettera a Calvino, allora dipendente Einaudi:

In quanto al “Il deserto”: fui richiamato all’ inizio della guerra e inviato in Libia dove rimasi per circa due anni percorrendola, medico di una Sezione di sanità, dal confine tunisino fino davanti Tobruk.216

Questo particolare, se può sembrare scontato, non lo è.

213

Ivi, pag. 293 (corsivo mio).

214

Ivi, pag. 442 (corsivo mio).

215

Ibidem (corsivo mio).

216

M. Tobino a I. Calvino, Archivio Einaudi 21-22, 12 dicembre 1951. Contenuto anche in M. Tobino, Op. Cit.,pag. 1768.

Lejeune afferma l’ importanza della copertina, di queste annotazioni, che entrano a far parte del testo, sul medesimo livello del racconto vero e proprio:

Il romanzo può imitare, e spesso lo ha fatto, tutti i procedimenti che l’ autobiografia usa per convincerci dell’ autenticità del suo racconto. Ciò era giusto fin tanto che ci si limitava al testo senza considerare la pagina del titolo; da quando questa ne fa parte, col nome dell’ autore, si dispone di un criterio testuale generale, l’ identità del nome.217

Tobino, con quella scheda biografica, che poteva solamente presentare l’ autore come psichiatra e medico a Lucca, dichiara la sua volontà di farsi identificare con un probabile testimone diretto degli avvenimenti, quale è il narratore, e rimanda l’ autore di copertina, Tobino, a quell’ “io” che si racconta nel capitolo Oscar Pilli.

Inoltre, dichiarasi medico di manicomio è ancor più gravido di conseguenze. Sempre Lejeune dichiara l’ importanza di quello che chiama lo “spazio autobiografico”: la serie d’ informazioni che il lettore ha sull’ autore, indipendentemente dal testo singolo, ma per tutte le notizie ricavate o da altri testi o dalle “cronache”. Tanto che un autore è tale, per Lejeune, solo dopo il primo o i primi libri: diventa, cioè, il produttore di una serie di esperienze narrative, che il lettore è capace di connettere, ricostruendone l’ identità. Tobino, in questo senso, aveva già pubblicato, anche se con poche tirature, un testo, Il figlio del farmacista, in cui si descriveva come medico di manicomio; da qui l’ importanza dell’ informazione, che ci dichiara ancor di più la vicinanza dell’ “io” a Tobino.

Detto ciò, forse, sarebbe più giusto definire il Deserto della Libia una

biografia: un racconto biografico in cui un personaggio, autore-narratore,

comparsa o silente osservatore, narra le vicende del protagonista, definizione in contraddizione con la precedente che non riconosceva l’ identità di autore-narratore, ma che, alla luce di questi dati, pare di poter accettare.

217

La verità è che il Deserto della Libia non è né l’una né l’ altra, o, meglio, è entrambe.

Non dilungandosi adesso sullo statuto del narratore e del suo rapporto con l’ alter ego Marcello, conviene giustificare questa contraddizione indagando sulla storia del testo e sulle sue vicende editoriali.

Tobino, sin dall’ inizio della sua permanenza in Libia, pensò ad un esito letterario di quelle vicende, che vennero annotate su di una serie di quadernetti: venti, in ciò spinto anche da Enrico Vallecchi (lettera del 5 novembre 1940):

Guardate, se vi fosse possibile, di inviarmi qualche vostra prosa di sapore africano; l’ esperienza del continente nero dovrebbe fornire argomento degnissimo della vostra arte, e della più grande attualità.218

Un gruppo di quaderni contiene sprazzi, appunti di un diario in “presa diretta”, mentre, un altro, più numeroso e più tardo, raccoglie già una prima ricostruzione pianamente diacronica dell’ esperienza bellica, ed ha come titolo Per il libro della Libia.

Già a quest’ altezza ben cinque quaderni sono dedicati interamente a Oscar Pilli ( qui <<Mario Grilli>>, poi <<Oscar Polli>>); si suppone che appartengano ad una fase d’ elaborazione separata dagli altri, e di conseguenza costituiscano materiale preparatorio per un racconto indipendente.

Nel Fondo Tobino, nell’ archivio A. Bonsanti di Firenze, sono conservati moltissimi materiali in attesa di un’ analisi approfondita: circa mille carte di esperimenti e prime stesure vere e proprie.

Nel gran numero di reperti, privi di ordinamento d’ autore, si riconoscono tre fasi intermedie che il testo ha avuto negli anni quaranta: A e B: stesure complete, ed una tra le due che è solamente una fase di elaborazione conservata a frammenti.

La prima stesura ( A: MTb.II.2.27 e MTb.II.2.3 ) è composta da un dattiloscritto raccogliticcio di 110 pagine numerate dall’ autore. Il titolo è Il

218

Fondo M. Tobino, archivio A. Bonsanti, Firenze, coll. MTb.I.663.1. Contenuto anche in M. Tobino, Op. Cit., pag. 1754.

libro della Libia, poi corretto, con un appunto a lapis, dopo il fallimento del

progetto, in “appunti per il libro della Libia”.

Interessante è l’ esergo che accompagna questo testo, perché informa sul primo orientamento dell’ autore riguardo al genere di romanzo che era intenzionato a scrivere:

Eroe del mio racconto, che io amo con tutte le forze dell’ animo mio, che mi sono sforzato di riprodurre in tutta la sua bellezza, e che sempre fu, è e sarà magnifico, è la verità./ Tolstoj.219

Il richiamo al narratore russo delinea la scia nella quale Tobino voleva inserire il testo: nel segno di Guerra e Pace, in questo momento, il Deserto

della Libia molto diverso dal risultato definitivo, con un impianto

epicheggiante e tradizionalmente compatto.

Il libro della Libia inizia con la medesima cartolina precetto, per poi narrare

in prima persona, senza mutamenti di punto di vista, gli avvenimenti: dallo sbarco fino a Tobruk. Le uniche concessioni alla modernità sono le alternanze di racconto e diario vero e proprio, caratteristica anche del testo finale.

La maggior parte degli episodi non avrà spazio nella redazione definitiva, ma rimarranno in attesa di una collocazione, come si è detto, avvenuta diversi decenni dopo.

Oscar Pilli, anche in questo caso, è separato dal testo: un racconto a sé, al

quale era dedicata un’ appendice.

Questa prima stesura termina, da come si inferisce da un appunto sul diario, il 10 Marzo 1945:

Ho finito il Libro della Libia. Debbo lasciarlo riposare, poi rileggerlo, poi pubblicarlo. Debbo lavorare di più, sempre compiutamente.220

Pochi mesi più tardi è impegnato nella stesura di Oscar Pilli. Indipendentemente dal resto del testo, lavora a questo non come ad un

219

M. Tobino, Op. Cit., pag, 1756.

220

capitolo, ma come ad un racconto breve; annota sul diario il 19 giugno 1945: << Lavoro indefessamente, scrivo, pulisco, rileggo, correggo, rileggo>.>221

Nel 1947, sulla <<Fiera Letteraria>>, esce il racconto della saga di Oscar Pilli, con il titolo: La guerra in Libia222.

Da questa pubblicazione la storia del Libro della Libia diventa quella del

Deserto della Libia: Tobino inizia a pubblicare i vari capitoli del libro,

separatamente, in rivista, fino all’ uscita del volume intero per Einaudi. Le correzioni sono di poco conto, il testo elaborato per le prime stampe è, in sostanza, quello definitivo.

Questa seconda stesura (B: MTb.II.2.28) è composta da un dattiloscritto numerato dall’ autore, su cui campeggiano pochissime correzioni a penna, probabilmente la sua copia “in bella”; con l’ aggiunta di Strategia, qui mancante, fu inviata all’ Einaudi.

Le uniche variazioni riguardano l’ ordine di alcuni capitoli e l’ espunzione di altri, recentemente pubblicati.

Questo breve excursus nelle vicende editoriali e di “avantesto” del Deserto

della Libia, servono nella misura in cui si volessero considerare più

attentamente alcune contraddizioni della stesura definitiva.

Come si è detto, il narratore che dice “io” compare solo nel capitolo Oscar

Pilli; adesso si può intuire il perché: racconto separato dagli altri in cui

Marcello non era ancora stato “creato”. Si potrebbe pensare che per lasciare spazio a Pilli venga lasciato in secondo piano il tenente, ma è improbabile: Marcello non c’era nel 1947 e non compare nel 1952.

Allo stesso modo, nel capitolo Un tenente, si potrebbe immediatamente pensare a Marcello, ma in realtà non è nominato. Il protagonista è un tenente medico, ma non compare il nome di Marcello, così come in Una visita. Si tratta di racconti brevi che non avevano lui come protagonista, ma altri (Colabucci, per il primo, che si trova alle pagg.88ss. del dattiloscritto A. L’ altro è alle pagg. 91ss.) risalenti addirittura al Libro della Libia, dove erano capitoli.

221

Ibidem.

222

Si può concludere che Tobino abbia composto con impostazioni narrative differenti varie prose libiche, poi ristampate insieme. Si spiegherebbe il perché della continua ripetizione d’ informazioni date, ogni volta, all’ inizio di ogni capitolo, così come la presenza sfuggente di questo protagonista Marcello, oppure di un narratore in prima persona, coerentemente, per la saga di Oscar Pilli, un narratore non celato ma che, si è visto, lascia intendere di essere, non solo reale storicamente, ma di rispondere al nome dell’ autore in copertina: un vero capitolo di autobiografia, e poi il suo celarsi dietro un’altra tipologia di voce.

La stessa alternanza di registri linguistici e stili differenti (quello della satira e della parodia politica, di petroliniana memoria, prevalente in Oscar Pilli e in Strategia, il diario vero e proprio in Taccuino ritrovato nella cassetta

militare del tenente Marcello, la “novella exemplum” in Storia di alessandrina Tynne, la prosa lirica tipica di Tobino, che riaffiora in vari

capitoli, ed infine il tono di leggerezza e nonsenso dell’ eroismo casuale nel capitolo L’ eroica medaglia) testimonia e conferma una disarticolazione del testo al limite dell’ antologia.

In realtà, per concludere come si è iniziato il paragrafo, Il deserto della

Libia, non è adatto alla catalogazione.

Si può parlare di questo testo come di una raccolta di prose di argomento prevalentemente autobiografico: quasi episodi, stazioni, di un diario letterario, ambientate nei primi anni quaranta durante la guerra libica, che hanno, principalmente, come protagonista un tenente di nome Marcello, attraverso le “avventure” e i pensieri del quale il narratore disegna un affresco non solo della guerra e della società fascista, ma anche della personalità di un singolo a confronto con quelle.

Analizzare, però, i capitoli separatamente, abbandonando l’ idea di organicità, è sbagliato.

Nonostante tutto, Il deserto della Libia è un romanzo compatto, con una evoluzione cronologica relativamente piana e tradizionale, che non si esaurisce nella narrativa distesa, ma si rigenera nella dinamicità dei capitoli, compiuti e autonomi quanto deficienti, se isolati. Si può parlare di un diario- romanzo che si profila come la denuncia di un regime, come reportage di fatti reali, di Storia, che si avvicina ai vari autori di cui si è già fatto cenno,

ma, allo stesso tempo, è frammentato e lirico come la più “artistica” delle prose vociane o di Pea, a cui Tobino si ispirò per la formazione del proprio gusto.

Nel tessuto complessivo le parti si armonizzano, i disparati rimandi della memoria si organizzano in romanzo, nonostante il respiro breve di capitoli- racconti: si presenta in quest’opera lo stile compositivo che sarà di Tobino per tutta la sua produzione da qui in avanti, eccetto alcuni casi significativi (Il clandestino).

La costanza e la coerenza nell’ utilizzo di questo “stile” lo caratterizzerà nel panorama letterario italiano della seconda metà del Novecento, prendendo avvio e costituendosi compiutamente, dopo lo sperimentale Il figlio del

farmacista e i due racconti L’ angelo del Liponard e Bandiera nera, nel Deserto della Libia.

Nel documento Mario Tobino Il deserto della Libia (pagine 76-86)

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