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Mario Tobino Il deserto della Libia

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Academic year: 2021

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1) INTRODUZIONE

Emilio Cecchi, in un intervento recensorio riguardante L’ angelo del

Liponard, Bandiera Nera e Il deserto della Libia, domandandosi: << si

volgerà lo scrittore in questo senso più lirico e colorito [riferito a L’ angelo

del Liponard]; o non piuttosto nei modi della Bandiera? >>1, intuisce di trovarsi di fronte ad un bivio nella produzione tobiniana ma, allo stesso tempo, non coglie quale strada avesse già imboccato lo scrittore. Entrambi i romanzi (Bandiera Nera e L’ angelo del Liponard ), nella loro diversità, sono una tappa che Tobino doveva superare per giungere ad una completa maturazione artistica e riuscire a comporre: Il deserto della Libia, che contiene temi e modi di entrambi e ne è, in qualche modo, la sintesi.

L’ analisi del Deserto della Libia non può prescindere dagli altri due romanzi, anche per una continuità cronologica: sono stati scritti uno di seguito all’altro; in alcuni casi, correzioni sui più avanzati e composizione dei più recenti, si sovrapponevano ed inoltre la critica e il dibattito culturale si ebbero contemporaneamente intorno ai tre libri, agli inizi degli anni cinquanta. In quasi tutti gli interventi sul Deserto della Libia ci sono riferimenti anche a Bandiera nera e a L’angelo del Liponard e viceversa. Nei primi due lavori l’ autobiografismo non è portato a sistema, la vita dello scrittore non è descritta direttamente, anche se sia L’ angelo del Liponard sia Bandiera nera sono il frutto di una qualche esperienza personale: i viaggi per mare e la vita universitaria durante il fascismo. Le vicende, nel particolare, non provengono dall’ esperienza diretta dell’ autore, ma sono di pura invenzione (in una lettera del 1 Ottobre 1936, Pasi, collega universitario e futuro personaggio del racconto, gli scrive: << Affrettati a Perugia ci sono ancora 7e posti >>2;ciò potrebbe far pensare che la trama dell’ inganno fosse realmente esistita, ma è più probabile che l’ amico si riferisse ai posti liberi per poter partecipare all’ esame di stato in quella facoltà ). Una delle modalità tipiche di composizione del Tobino futuro sarà

1

E. Cecchi, I gerarchi a scuola di Tobino (1952), in Letteratura italiana del Novecento, Milano, Mondadori, 1972, pagg. 1091-94.

2

Lettera di M. Pasi a M. Tobino, Archivio Alessandro Bonsanti, Firenze, coll. Mtb.I.201.3, riferita in M. Tobino, Opere scelte, I Meridiani, Milano, Mondadori, 2007, pag. LXXXVII.

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proprio quella della trasfigurazione del dato empirico: il “materiale umano” raccolto attraverso l’ esperienza è trasformato, attraverso la fantasia, in letteratura, ma il punto di partenza per la composizione sono avvenimenti o personaggi con i quali lo scrittore ebbe un effettivo contatto. Tobino raccoglie dal mondo che lo circonda gli spunti per le sue “commedie umane” totalmente e assolutamente romanzesche, ma che affondano le radici nella realtà. Questo procedimento è alla base della composizione del

Deserto della Libia.

Le due opere precedenti rappresentano un’ eccezione: sono una forma di sperimentazione e di variazione stilistica radicale nei confronti dei lavori futuri, non solo per l’ assenza del dato autobiografico in senso stretto, ma anche per la struttura narrativa, per l’ oggettività e per l’ importanza data all’ atmosfera a discapito dei personaggi.

Lo stile compositivo di Tobino sarà in genere rapsodico, ma in questi due libri domina la compattezza e la continuità narrativa, non ci sono i suoi tipici balzi della memoria e della fantasia, non sono passati in rassegna i quadri più disparati uniti soltanto da un filo condutture, ma le vicende sono raccontate secondo modalità tradizionali, con nitore e compostezza.

Entrambe le opere, nonostante i loro stili siano agli antipodi (uno liricheggiante, fitto di metafore e, in alcuni “slanci”, espressionistico, l’ altro spoglio e disadorno, cronachistico, a tratti caratterizzato da una paratassi elementare), hanno una medesima caratteristica: descrivono con più attenzione l’ atmosfera, l’ ambiente all’ interno del quale i personaggi si muovono, al contrario degli altri romanzi in cui il filtro di tutto è l’ occhio del protagonista-Tobino.

I singoli perdono di interesse e vengono utilizzati solamente come “esempio”: rappresentanti di “classi” di uomini, al fine di descrivere con maggiore efficacia l’ambiente in cui si muovono. Per far questo Tobino abbandona la prima persona e racconta le sue storie con l’ oggettività del cronista concedendo ai personaggi, soprattutto in Bandiera nera, ampi spazi per dar sfogo alle riflessioni più intime. Al contrario, nelle opere future, nonostante la prima persona non sia quasi mai usata, è facile riconoscere lo scrittore “camuffato” nei panni di uno dei personaggi.

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La risposta alla domanda di Cecchi è tutta nel Deserto della Libia, opera nella quale l’ esperienza di questi due romanzi fruttifica, permettendo all’ autore di raggiungere uno stile estremamente controllato e originalissimo nella sua caratteristica principale: la fusione di cronaca e lirica, di narrazione composta e ordinata alternata a sprazzi di poesia in prosa da un andamento angoloso ed espressionistico, unitamente alla capacità di armonizzare vicende in sé indipendenti.

In questo lavoro ci si propone di mostrare come Il deserto della Libia sia, in effetti, la sintesi e il pieno compimento delle sperimentazioni precedenti, non solo per quanto riguarda gli scritti di guerra, ma soprattutto per

L’Angelo del Liponard e Bandiera Nera, che, come accennato, sono il vero

laboratorio della futura produzione di Tobino, contenendo anche le chiavi per la completa comprensione del Deserto della Libia.

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2) LA LIBIA NELLA VITA E NELLE OPERE

Marabini, amico e critico di Tobino, in un intervento commemorativo, ricorda come l’autore fosse rimasto, durante la quarantennale produzione, sempre uguale a sé stesso nonostante variassero i titoli e le modalità narrative, alternando, addirittura, poesia e prosa:

Nel panorama della narrativa del secondo Novecento è molto difficile trovare uno scrittore come Tobino, così fedele a se stesso, così segnato dal suo stile, dal suo modo di raccontare.3

Il critico continua elencando i temi cardine dei testi tobiniani, temi che si ripeteranno dagli anni quaranta ai primi novanta, e che raggruppano le opere del viareggino in cinque nuclei: manicomiale, politico, familiare, marino ed un terzo che non ha un termine, se non patriottico, che, però, ha in Tobino una valenza lontana dalla retorica: quest’ultimo infatti si concretizza nel <<carattere dell’essere e del sentirsi italiano, di sentire l’amore per un certo modo di vita, che poi è la lingua e il dialetto insieme>>4. Il racconto dell’esperienza libica appartiene al nucleo politico.

Al Deserto della Libia, in questa classificazione, si possono accostare altri testi come Bandiera nera, Il clandestino e Tre amici, ma, proprio per la natura episodica e frammentaria del comporre tobiniano, non vanno escluse nemmeno quelle sezioni riguardanti, quando la Libia, quando la resistenza o il fascismo, che si trovano in altre opere come per esempio Le libere donne

di Magliano o Il perduto amore. La politica, intesa come cronaca, come

racconto dell’esistenza fascista e della resistenza, percorre più o meno velatamente la sua intera produzione (<< Tobino era uno scrittore politico dai piedi alla cima dei capelli>>5). L’esperienza libica è uno degli argomenti appartenenti alla “politica” e che ricorre nell’arco dell’intera vita dello

3

C. Marabini, I temi della narrativa di Mario Tobino, in Premio Pirandello 1991. Omaggio

a Mario Tobino, << Rivista di Studi Pirandelliani >>, s. III, a. X, n. 8-9, giugno-dicembre

1992, pag. 120.

4

Ivi, pag. 121.

5

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scrittore. Dopo Il deserto della Libia, opera che è pienamente dedicata a quest’argomento, persistono alcuni “rigagnoli” d’ispirazione, che avevano trovato un primo sfogo in capitoli scartati al momento dell’edizione Einaudi. I capitoli non accettati nell’edizione definitiva del 1951 sono Misurata, I

versi di Maometto, Brani di diario, Un gerarca e I simulatori, più un breve

trattato Come si deve condurre la guerra nel deserto.

Un manoscritto sul petto di un soldato, breve pamphlet antifascista, pur

appartenendo all’elaborazione del Deserto della Libia, non compare negli indici preparatori degli anni quaranta.

Prima di individuare le parentesi libiche nella produzione del viareggino, conviene dare alcuni cenni biografici riguardo a quell’esperienza e fare riferimento ai pochi testi, poetici, che hanno preceduto l’esperienza militare. Conclusi gli studi liceali, spinto dal padre farmacista, carattere forte e pragmatico, Tobino si iscrisse alla facoltà di medicina a Pisa. passati due anni, nell’ anno accademico 1932-33 si trasferì a Bologna, dove portò a termine i suoi studi nel 1936.

E’ questo il periodo delle prime esperienze letterarie e degli incontri con i grandi intellettuali. Bologna fu un ambiente fertilissimo per il giovane Tobino, che entrò in contatto e amicizia con Raimondi, Morandi e il resto dell’ èlite culturale della città.

Sono gli anni di Strapaese e Stracittà, del << Selvaggio >> di Maccari, che fu rivista di azione politica e culturale. Nel medesimo periodo vengono pubblicati << 900 >> di Bontempelli e l’ << Italiano >> di Longanesi. Sentendosi più vicino al popolaresco espressionismo delle riviste strapaesane, Tobino affida, nel 1934, a << Cronache >>, il << foglio di letteratura arte e costumi >> diretto da Gino Vicentini, l’ edizione della sua prima opera: Poesie6.

<< Cronache >> era una rivista che si allineava con la più nota << Il Selvaggio >>, di cui condivideva la difesa dei diritti e degli interessi della piccola borghesia rurale e provinciale.

Poesie è un drappello di ventidue composizioni che dimostrano la scarsa

esperienza del giovane scrittore. Appare evidente nelle poesie un

6

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classicismo libresco e non vengono sfruttate a pieno le possibilità espressive della metrica libera: le composizioni, scandite in un dettato prosastico, non trovano un loro ritmo interno o una particolare tensione drammatica.

Terminati gli studi di medicina, Tobino dovette assolvere gli obblighi di leva, prima a Firenze, come allievo ufficiale medico, e poi in qualità di ufficiale del V Reggimento Alpini di Merano, dove rimase fino al settembre del 1938. Terminato il servizio di leva, tornò a Bologna dove si specializzò in psichiatria.

Il 1939 è l’ anno di pubblicazione della sua seconda raccolta di poesie:

Amicizia7.

Amicizia, con un’ affettuosa introduzione di Giuseppe Raimondi, comprende

anch’essa ventidue composizioni in versi, più una breve prosa posta a finale dell’ opera.

Questo libretto è frutto dell’ esperienza bolognese e fiorentina, delle frequentazioni culturali che lo scrittore ebbe in questi centri fondamentali per i letterati di allora ( Firenze, sebbene stesse tramontando il suo ruolo di capitale culturale d’ Italia, manteneva l’ eco dell’ immenso lavoro delle riviste e ancora si sentiva l’ influsso di <<Solaria>> e di <<Letteratura>>). Raimondi nota nella sua introduzione che << Il verso fluisce lento, come il sangue pigro di triste meditazione. Il torpido senso cola nella forma precisa dell’ espressione, filtrandosi in meditazione tersa>>8 a sottolineare l’ avvenuto accordo tra forma e contenuto. Le liriche hanno un andamento prosastico: disdegnano rime e rime interne, ma hanno un uso più dinamico della cesura, e spesso cedono ad una dimensione idilliaca; riescono a esprimere, in alcuni casi felici, la tensione del messaggio che portano: la resistenza etica alla dittatura fascista e un sentimento di unione tra uomo e uomo in virtù di valori come l’ amicizia e l’ amore.

La raccolta si conclude con una breve ed acerba prosa che è anche il primissimo esordio narrativo di Tobino: Gli amici della cantina.

7

Mario Tobino, Amicizia, con una nota introduttiva di Giuseppe Raimondi, Bologna, Tip. Vighi e Rizzoli, 1939.

(7)

Nel lirismo che domina la composizione troviamo uno dei temi principali della poetica tobiniana: quello dell’ “angulus oraziano”, il piccolo spazio riparato dall’ arroganza della storia, nel quale rifugiarsi dalla superficialità dei tempi con cui si è costretti a confrontarsi quotidianamente.

Nell’ armonia del gruppetto di amici si può esclamare che << la vita è una bella festa>>, come è detto in una poesia9 che fa quasi da corrispettivo in versi della prosa posta alla fine della raccolta.

Si conclude la raccolta con un inno all’ amicizia, all’ intimità e alla confidenza: valori da contrapporre alla volgarità dilagante dei tempi.

Nello stesso 1939, quale vincitore di concorso, Tobino passò all’ ospedale psichiatrico di Ancona e poi, per invito, dopo solo un anno, si trasferì a quello di Gorizia, dove soggiornò molto poco, un mese, poiché venne richiamato alle armi e mandato in Libia per combattere sul fronte africano della seconda guerra mondiale: era il 6 giugno del 1940. Tobino rimase diciotto mesi sul fronte.

Il 26 agosto 1941 è accolto nel 66° Ospedale da campo. Il 5 ottobre è assegnato al 303° Ospedale da campo di Tecnis, dove conosce la contessina Lelè Augusta Vittoria Bonasi Bonarelli. La loro storia diventerà il romanzo

Il perduto amore (1979). Il 30 ottobre è ricoverato all’ Ospedale militare di

Napoli, subito dimesso e giudicato temporaneamente inabile al servizio militare, passa la convalescenza a Viareggio e poi a Firenze.

Qui iniziò un intensissimo lavoro di produzione, che precedette il definitivo trasferimento di Tobino in quello che diverrà l’ ospedale protagonista dei suoi racconti sulla follia: Maggiano.

L’ esperienza della guerra, i suoi fanatismi e fantasmi, le sue illusioni e menzogne, il deserto e la sua luce accecante, il mondo segreto degli arabi e delle loro donne, la meschinità del nostro esercito, segnarono profondamente Tobino il quale, al ritorno a Viareggio, venne accolto da un fascismo ancora in vigore: non c’ era ancora spazio per nessuna ribellione, nonostante il malcontento cominciasse ad essere diffuso.

Chiudendosi al mondo esterno, Tobino cominciò un’ intensissima produzione che lo portò a ben tre pubblicazioni: Veleno e Amore10, La

9

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gelosia del marinaio11 e Il figlio del farmacista12 (quest’ultimo il primo

romanzo di Tobino, narra dell’ infanzia e dall’ adolescenza dell’ autore attraverso delle prose evocative che fanno spesso riferimento al ricordo del padre). Per la verità il romanzo fu iniziato già nel 1938-39 (contemporaneamente ad Amicizia) e poi concluso nel 1942 dopo svariate correzione, aggiunte e modifiche.

Veleno e Amore è un’ altra piccola raccolta edita a Firenze nelle Edizioni di

Rivoluzione; essa è molto importante per la presenza di alcuni temi che ritorneranno nelle opere successive di Tobino.

La raccolta è divisa in due parti: Veleno e Amore, la prima comprende quindici poesie, la seconda, quattro più due gruppi di epigrammi.

Le poesie abbandonano il tono idilliaco delle altre raccolte e risentono dell’ esperienza di guerra: sorta di diario in versi, raccontano l’ incertezza dell’ esistenza che quotidianamente viene sperimentata dal protagonista, il quale si affida al mondo della memoria nell’ attesa della fine, sentita come unico e scontato epilogo di quella vicenda.

Diario in versi, contemporaneo alla stesura dei primi appunti che costituiscono la base di partenza per Il deserto della Libia, le poesie suddette sono un importante documento di temi che ricorreranno nel romanzo quasi dieci anni dopo.

L’ amore e la fratellanza tra uomini accomunati dal medesimo destino appaiono in composizioni come Tra queste tende: << Soltanto, tra queste tende, / nei soldati con noi / nacque un umano amore / verso noi uomini / che eravamo facili a morire, / nacque tra noi un’ amicizia, / che distingueva i nostri sguardi. >> oppure in Eppure il così gentile: << Siamo noi / in un deserto senza confini. / Eppure il così gentile / c’è tra di noi / che a volte fa brillare / come una primavera / la sua intelligenza: / un breve vento di bosco / in un sogno di delitti. >>; la ragione dell’ umile, l’ istintiva e saggia intelligenza del semplice che si accende malgrado l’ insania della guerra, è descritta in Davanti a Tobruk : << Le intelligenze […] / alla sera, / al

10

M. Tobino, Veleno e Amore, Firenze, Edizioni di Rivoluzione, 1942.

11

M. Tobino, La gelosia del Marinaio, Roma, Tumminelli, 1942.

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finalmente fresco, / in un lampo di vita, / si accendono esse / quali papaveri / disordinati e felici / dondolanti sul lungo gambo >>; la nostalgia del Paese, dell’ Italia affiora in Basta un bicchiere, in cui il Barolo fa respirare all’ autore il profumo di casa, oppure in Una nostalgia, dove il pensiero corre alla famiglia e al focolare: << Una nostalgia mi è presa / di rivedere mia madre / i miei fratelli / la nostra casa tra i platani, / udire la voce di chi mi è consanguineo. >>.

La gelosia del marinaio è una raccolta di racconti scritti negli anni Trenta

(contemporaneamente a Il figlio del farmacista), ma pubblicati nel 1942. L’ amore di Tobino per il mare deriva dalla frequentazione della darsena viareggina negli anni dell’ infanzia e da alcune esperienze a bordo di mercantili durante i mesi estivi. La vita di mare diventa spesso simbolo di libertà e di comunione dell’ uomo con gli elementi naturali, da cui derivano la gioia dell’ armonia del singolo con il tutto e un’ atmosfera straniante e magica, che appartiene soltanto ai microcosmi delle imbarcazioni.

Lo stesso Tobino in un’ intervista ricorda come questa serie di racconti sia di preparazione a L’ angelo del Liponard, una delle sue opere più riuscite: << nacquero i primi racconti de La gelosia del marinaio. Non pensai allo stile ma a dire me stesso. Mi accorgo ora che furono racconti di preparazione per giungere a L’ angelo del Liponard>>13 e ancora: << Nei racconti de La gelosia del marinaio avevo preparato gli strumenti; ne L’

angelo del Liponard li usai con leggerezza >>14; Tobino sottolinea come da una prima composizione spontanea e istintiva, dettata dalla gioia di raccontare il proprio amore per il mare, sia passato ad una più consapevole e “ragionata” avendo, dopo alcuni anni, affinato ed elaborato al meglio il proprio stile. In verità, questa raccolta contiene solo nove racconti di mare su venti, ma sono quelli che danno maggiore spessore all’ opera.

La gelosia del marinaio è dunque il primo esperimento narrativo che fu

utilissimo a Tobino per inquadrare in modo più preciso la tematica

13

L’intervista di Tobino è contenuta in F. Del Beccaro, Tobino, Firenze, La Nuova Italia, 1967, pag. 2.

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marinaresca, traendone spunti e indicazioni di stile per uno dei racconti di mare più belli della letteratura italiana: L’ angelo del Liponard.

L’elaborazione di questo racconto, come si vedrà, porterà molti spunti al Tobino del Deserto della Libia, in particolare per quanto concerne la descrizione paesaggistica e l’utilizzo di un italiano “sgrammaticato”, “vociano”. L’angelo del Liponard, inoltre, contiene in sé molti dei motivi che verranno ripresi nel diario libico.

Dopo l’ otto settembre Tobino partecipò con fervore alla Resistenza. Il suo odio viscerale per il fascismo, dettato più da un’ insofferenza ai modi superficiali, volgari e violenti del regime, che da una vera e propria coscienza ideologica, trovò modo di sfogarsi nella guerra resistenziale. Anni dopo, in Ritratti su misura ricordò: << Il periodo più bello della mia vita fu nel Clandestino, nella lotta di liberazione nazionale, dove finalmente avevo la mia bandiera.>>15, sottolineando con estrema brevità quale fu la gioia per la partecipazione a questo movimento dove ognuno combatteva per un ideale preciso. La coscienza di essere all’ interno della storia in modo attivo per cercare di creare una nuova società diede un impulso quasi epico all’ esperienza di Tobino, che poi dovette subire tutte le disillusioni del dopoguerra con il sopraggiungere di una società altrettanto meschina e ingiusta quanto quella dell’anteguerra.

Frutto di questa breve epopea e della fine delle illusioni di rinnovamento è la quarta raccolta poetica di Tobino, ’44-’4816, che contiene quarantanove poesie.

Le esperienze della guerra in Libia prima, e della resistenza in Versilia dopo, resero Tobino molto più aderente alla realtà: ora questa adesione si manifesta con l’ inserimento in un contesto storico anche se l’ esperienza del reale era ben descritta nelle altre opere poetiche, manca in esse una coscienza di poesia civile e “utile” così ben espressa in ’44-’48, essendo spesso la guerra e il deserto, o il fascismo, dei simboli di condizioni esistenziali più che entità reali: << Sono nella mia storia, / in questo dei

15

E. F. Accrocca, Ritratti su misura, contenuto in L’ Angelo del Liponard, Milano, Mursia, 2006, pag. 69.

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secoli / il minaccioso. >> (Sono nella mia storia), oppure << Che, i secoli passati? / io sono in uno / e vi guardo, vi morrò.>> (Ho sempre amato) Lo stile si fa più ermetico, riprendendo una tendenza che era già di Veleno e

Amore, cogliendo la vita nella sua essenzialità e sottraendo la poesia civile

dell’autore ad ogni abbellimento retorico sentito come immorale.

Le esperienze letterarie pubblicate in questo periodo procedono di pari passo con la composizione del Deserto della Libia e con la pubblicazione in rivista di parte dei capitoli che costituiranno il testo definitivo. A quest’altezza, conviene precisare, i capitoli poi cassati hanno la medesima “autorità” di quelli effettivamente pubblicati. Tobino opererà una selezione solo alla fine degli anni quaranta, le vicende belliche, ancora produttive, danno svariati spunti all’autore che tenta di organizzarli in vari racconti.

Dopo la pubblicazione del Deserto della Libia, è il turno delle Libere donne

di Magliano. Benché nel Figlio del farmacista non manchino episodi sulla

follia e sulla vita in manicomio, o anche nello stesso Deserto della Libia la follia abbia un ruolo importante grazie alla figura di Oscar Pilli, Le libere

donne di Magliano è il primo romanzo manicomiale, concentrato con

fervore nella descrizione della condizione delle malate, in esso riaffiora quello che è stato il tema fondante del precedente lavoro: la comunione dell’autore con i più indifesi, riemerge sopra tutto quello che chiamerò l’ afflato umano di Tobino.

Le esperienze successive vedranno accantonare l’argomento libico, ma non quello politico, antifascista, che riaffiora in un episodio della Brace dei

Biassoli e soprattutto nel Clandestino, fino alla fine degli anni settanta.

Nel 1976 Tobino pubblica: La bella degli specchi17, con il quale ottenne il tanto desiderato premio Viareggio. Si tratta di una raccolta di racconti tra i quali appaiono cinque prose libiche riaprendo, in qualche modo, il ciclo della “guerra in divisa”, che continuerà con Il perduto amore e Zita dei fiori, di qualche anno più recenti. Il protagonista ha cambiato nome ma rimane alter ego di Tobino, le vicende sono riprese dal Deserto della Libia e narrate con un nuovo tono: più pacato e meno sofferto. Sono variazioni su temi già raccontati, ripensamenti su ricordi già pubblicati, ma che non smettono di

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tornare alla memoria dell’autore: trama ininterrotta di un vissuto sempre presente.

È a quest’altezza che i capitoli cassati dalla pubblicazione del Deserto della

Libia cominciano a trovare una collocazione “visibile”, come se l’autore

scoprisse nei cassetti i vecchi fascicoli di quella passata stagione. Gli episodi della Bella degli specchi, infatti, sono in gran parte una rielaborazione dei capitoli espunti I versi di Maometto e I simulatori, in particolar modo per gli episodi della visita medica e del bombardamento e, di non poca importanza, per il riferimento ad una parentesi libica all’ospedale militare di Barce.

Il perduto amore18 è l’ unico romanzo che ha come argomento principale la storia di due innamorati: Alfredo e Dedè.

Proprio questo romanzo d’amore, il più tradizionale della produzione tobiniana, prende avvio dal soggiorno di Marcello in un ospedale lontano dal fronte per una finta ferita ad una gamba. Alcune figure come il Colonnello che ne sentenzia la permanenza in Libia, o le crocerossine che si adoperano per i malati (Dedè sarà una di queste) sono accennate nel capitolo

I simulatori

Da notare come, siamo nel 1979, l’ esperienza libica e tanti temi del Deserto

della Libia siano ancora vitali. Sullo sfondo della storia d’ amore risaltano la

corruzione e l’ impreparazione dell’ esercito fascista. Gli episodi raccontati parlano di una umanità pronta ad ogni bassezza pur di sfuggire alla disfatta; come la crocerossina popolana Ristori, che “raccomanda” Alfredo al responsabile sanitario della Libia, il colonnello Guiduccioni, utilizzando la sua sensualità, e permette ad Alfredo di abbandonare i campi di guerra, oppure come il capitano Trenta che in ogni modo tenta di ottenere un’ immeritata medaglia al valore, fino allo stesso Guiduccioni, che arriva a far compilare centinaia di cartelle cliniche false per poter congedare i soliti “raccomandati”, sono l’immagine della Libia del romanzo composto negli anni quaranta. Lo stile, la concitazione si sono perduti, come la forza sperimentatrice di quella stagione, ma l’amarezza per l’Italia piccola e fascista rimane vivissima.

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Tra le ultime opere di Tobino ci sono La ladra19, Zita dei fiori20 e Tre

amici21 rispettivamente del 1984, del 1986 e del 1988.

Zita dei Fiori è una raccolta di racconti di carattere autobiografico al limite

della confessione. Particolari di una vita che sembravano dimenticati riemergono ad intermittenza nelle lunghe riflessioni della vecchiaia e Tobino istintivamente li trasforma in prosa romanzesca con uno stile ormai raffinato.

Anche in quest’opera affiorano vicende libiche: rielaborazioni di episodi già narrati. L’autore ripercorre e riannoda i fili della memoria, seguendo le varie strade già battute negli ormai tanti romanzi.

Tre amici, del 1988, narra le vicende di Tobino, questa volta Ottaviani, e di

due amici: Turri e Campi.

Intessuta tra le vicende dei protagonisti c’è una riflessione sul destino, una sorta di aura che segue e segna i personaggi fin dall’ inizio: di Turri, già “capo” prima di diventarlo con la sua forte personalità, e di Campi, in cui è facile presagire la sua fine da martire immerso com’è in mille sospetti e fantasmi su una sua imminente cattura.

Tobino rimarrà legato per la vita al superstite Turri con il quale riuscirà a sentir vivo anche l’ altro amico immolatosi per l’ ideale marxista, e lo seguirà nelle tristi vicende del dopoguerra, quando Turri si troverà isolato e addirittura spiato per le sue posizioni critiche nei confronti del Partito Comunista. Da questo partito, Turri, infatti, si dissocia, volendo proporre un “socialismo italiano” differente da quello di Stalin.

Tobino, spinto dalla voglia di ricordare, di “dialogare” un’ ultima volta con gli amici fraterni che lo accompagnarono nel cammino della vita, all’ indomani della morte di Turri dà nuovamente uno spaccato sulla società fascista e del dopoguerra e una riflessione sul destino e sul ruolo dell’ uomo nel mondo.

19

M. Tobino, La ladra, Milano, Mondadori, 1984.

20

M. Tobino, Zita dei fiori, Milano, Mondadori, 1986.

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Proprio in Tre amici trova posto un breve scritto pamphlettistico, di cui si è detto, già presente al momento della composizione del Deserto della Libia:

Passione giovanile.

La storia di questo testo di natura politica, antifascista, è molto lunga, poiché inizia negli anni trenta e si conclude solamente nel 1989. Il pamphlet contro il regime, vagamente machiavelliano, descrive l’impossibilità di una coscienza politica all’interno di una dittatura. Fu scritto nel 1930 ed è conservato all’archivio Bonsanti insieme ad altro materiale risalente alla prima fase redazionale del Deserto della Libia, di cui si dirà poi. Il testo compare sotto il nome di Manoscritto ritrovato sul petto di un soldato22 ed è in forma dattiloscritta. Con l’ espediente del manoscritto ritrovato (il narratore scova, tra gli effetti personali di un soldato morto, senza piastrina, abbandonato su una pista nel deserto, un <<plico>>), lo scritto Passione

giovanile avrebbe avuto posto all’interno del Deserto della Libia. Questo

pamphlet è la prima opera politica e letterariamente distesa del narratore viareggino, è la prima prova appartenente a questo filone a cui fanno capo, oltre al nostro “romanzo”, altre opere importanti di Tobino, tra cui Tre

amici. Proprio in quest’ultimo testo, il viareggino, chiude i conti con la

politica riuscendo a pubblicare, sebbene con i dovuti cambiamenti, Passione

giovanile. La prima parte del secondo capitolo, Un giovane durante il fascismo, è ricalcata, sebbene in modo più sintetico e narrativo, sul piccolo

trattato scritto dall’autore nel 1930.

Si è visto come l’esperienza libica, anche in virtù della sua appartenenza alla sfera più ampia della vita durante il fascismo, sia uno degli argomenti principali dell’intera produzione tobiniana, nonostante culmini, e quasi si realizzi, nel Deserto della Libia.

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3) DALL’ ANGELO DEL LIPONARD E BANDIERA NERA AL DESERTO DELLA LIBIA

3.1) L’angelo del Liponard e Il deserto della Libia

L’ Angelo del Liponard fu edito nel 194723 sulla rivista << Letteratura >>; fu scritto dal 1942, poco dopo La gelosia del marinaio, e terminato nel dicembre del ’46. Una seconda ristampa è del 195124 insieme a Bandiera

nera.

Il Deserto della Libia dipende dall’ esperienza dell’ Angelo del Liponard non solo per la quasi contemporaneità della composizione, ma per vari temi presenti in entrambi.

Una caratteristica che li accomuna è l’ isolamento. Le vicende si svolgono in situazioni straordinarie, le ambientazioni sono dominate dalla lontananza dalla civiltà consueta, dall’ usuale e rassicurante svolgersi del quotidiano. Nell’ Angelo del Liponard sono presenti alcuni espliciti riferimenti all’ isolamento: <<Se un bastimento si ferma per la bonaccia in mezzo al mare, il bastimento diventa un’ isola>>25 ; << Il bastimento fermo è una conchiglia abbandonata>>26; ma più importante è l’ atmosfera di solitudine e abbandono tangibile a bordo.

L’ isola-bastimento diventa, allora, laboratorio in cui il comportamento umano viene analizzato: una sorta di “società in provetta” in cui il narratore-scienziato inserisce un reagente chimico: la novella vedova Fernanda. La bonaccia è l’ inaspettato immobilizzarsi degli eventi. Al suo sopraggiungere tutto si ferma e può prendere il via l’ esperimento: si crea la microsocietà in cui le personalità verranno forzate in un punto di crisi.

23

M. Tobino, L’ angelo del Liponard, in << Letteratura >>, n. 3, maggio-giugno 1947.

24

M. Tobino, L’ angelo del Liponard e Bandiera nera, Firenze, Vallecchi, 1952.

25

M. Tobino, L’angelo del Liponard, in Opere Scelte, I Meridiani, Milano, Mondadori, 2007, pag. 117.

26

(16)

Il racconto si apre con una tranquilla navigazione, ma, dopo tre giorni, all’ improvviso << Il vento scomparve. La barca si fermò. […] I marinai di guardia constatarono la bonaccia>>27.

La sensazione predominante è l’ assenza di movimento: <<La bonaccia è una specie di morte leggera. Un bastimento fermo nel cielo>>28.

Lo stupore iniziale dei marinai e di Fernanda è tutto concentrato sull’ immobilità, lo stare fermi: << A uno a uno, come per comando, si affacciarono alla murata per guardare il mare che era fermo >>29; e, ancora, << La Fernanda si avvicinò in mezzo a loro e disse :- Si è fermato il mare->>30.

Il mare diventa un silenzioso deserto: << Non ci sono piante intorno, alberi, strade, rumore alcuno>>31; << Il mare per ogni raggio era muto, un regno>>32. La bonaccia, man mano che passano i giorni, si fa una presenza opprimente e corposa: << Il giorno dilagò bianco […] I marinai videro una bambagia trasparente, dove si affondava e rendeva il silenzio ancora più astratto >>33. L’ astrattezza, la perdita dei consueti e pratici punti di riferimento, mentre << la bonaccia sovrastava >>, sono condizioni necessarie all’ introspezione. I marinai sono isolati, poiché immersi in un ambiente indifferenziato fatto di luce e silenzio:

La bonaccia è come una tela bianca, nella quale non una voce, un volo; nella bonaccia non c’ è udito. L’ angelo del Liponard aveva la prua immobile.34

Il mondo diventa incomprensibile, la natura, che era familiare, appare trasformata:

27

Ivi, pag. 117.

28

Ibidem (corsivo mio).

29

Ibidem (corsivo mio).

30 Ibidem. 31 Ivi,pag. 119. 32 Ibidem. 33 Ivi, pag.123. 34 Ivi, pag.121.

(17)

La bonaccia avvolgeva ogni particolare del mare, le vele pendevano come sanguisughe morte. Che mai era diventata la natura? Le albe erano di latte trasparente, il giorno andava via morente che nessuno se ne accorgeva. Nessuno più trovava da lavorare […] I marinai non erano più marinai.35

Nel Deserto della Libia, sebbene l’ ambiente possa sembrare antitetico a quello dell’ Angelo del Liponard, si riscontrano i medesimi tratti. I soldati sono isolati, anzi, isolani di un’ oasi: il deserto è ovunque e si ricrea, ancora, un’ atmosfera da laboratorio.

All’ immobilità nell’ acqua succede la lontananza da qualsiasi cosa nota: <<Fuori il deserto si stendeva lontano e senza vista>>36, il paesaggio è una massa indistinta di sabbia e cielo, l’ unica nota di colore è una macchia di sangue, il rosso della violenza:

Il paesaggio che lo circondava non aveva colori, la sabbia e le cose si confondevano nella stessa tinta consunta e se un colore davvero appariva, per esempio il rosso, era il sangue.37

Il tempo sembra non scorrere, è cadenzato solo dall’ alternanza di giorno e notte, non ci sono stagioni; niente nasce e muore, ma c’è un perpetuo presente: << Il deserto immutabile, non c’ erano riferimenti, non stagioni>>38.

I personaggi sono irretiti dal calore e dalla luce che è costantemente, fin dalla prima mattina alla sera, sulla medesima altezza e forza:

La mattina il sole poggiava il suo dorso ai teli delle tende. E per tutto il giorno.39

La centralità dell’ uomo, della guerra, si perde nell’ immensità delle dune. I soldati, assonnati e impotenti, comprendono la loro nullità: trastulli della

35

Ivi, pag. 128.

36

M. Tobino, Il deserto della Libia, in Op. Cit., pag. 407.

37 Ivi, pag. 338. 38 Ibidem. 39 Ivi, pag. 415.

(18)

natura, non madre né tanto meno matrigna, ma immensa e imperturbabile spettatrice:

Capitava per questo che all’ arrivo, ricadendo sul consueto deserto sirtico, nascesse un imbambolamento, sembrava che il deserto ci mirasse con scherzo, noi suo gioco[…] La natura aveva invincibile dominio.40

<< Il colore del deserto abbagliava >>, e ancora: << Il sole era presente in tutte le cose>>41. La luce è abbagliante; invece di illuminare, offusca e allucina. È una presenza logorante che porta alla disperazione.

L’ oasi è immersa nel silenzio e nella desolazione: << Non c’ era nessuno, non si sentiva nessun rumore>>42; ancora appare l’ idea dell’ isola: << L’ oasi è un cerchio circondato dal deserto.>>43

Si è detto come i marinai siano in balia degli eventi, come la bonaccia, sebbene usuale nelle navigazioni estive, non fosse attesa e come colga di sorpresa la tranquilla navigazione; allo stesso modo i soldati del Deserto

della Libia non sono partecipi del proprio destino, non hanno alcuna

possibilità di scelta. Comandati, e costretti ad eseguire, non comprendono le motivazioni del conflitto. Non hanno la minima volontà di partecipare:

Quei cittadini erano stati tolti dai loro luoghi e occupazioni, e si erano all’ improvviso trovati in un’ oasi, il caldo non li faceva uscire dall’ accampamento, da fare non c’ era nulla, tra loro non si sapevano che poco aprire, ché la dittatura aveva insegnato ogni sospetto.44

E ancora:

Nessuno aveva voglia di fare la guerra. Tutti desideravano con ardore ritornare a casa, vedere l’ Italia; questa era l’ unica preghiera; e l’ unica sincerità[…]

40 Ivi, pag. 383. 41 Ivi, pag.279. 42 Ibidem. 43 Ivi,pag. 382. 44 Ivi, pag. 285.

(19)

Già molti mesi erano nel deserto, come in vita e già morti, e si muovevano su un terreno che non era neppure un terreno, che non sapevano, non amavano, non comprendevano, non c’ erano voluti venire, e ce li avevan portati.45

La leva forzata è uno dei temi politici più importanti del Deserto della Libia, ma, in questo caso, vi si associa un senso di fatalità e di mancanza di controllo sulle proprie vite, assimilabile, per l’ appunto, all’ imprevedibilità della bonaccia, alla morte del capitano, ecc. Fondamentale è l’ assoluta estraneità dell’ individuo dagli eventi, e dagli altri compagni: ognuno è un’ isola nell’ isola. La solitudine del luogo geografico si ratifica nelle relazioni sociali. Il sospetto della delazione derivato da anni di fascismo ( una delle tematiche fondamentali di Bandiera nera ) e la monodia della sabbia portano all’ introspezione: << Il deserto sembrava un bianco osso al sole che da secoli non conosce sangue>>46. Con questa similitudine, Tobino rende l’ idea del candore soffocante della Libia e della sterilità della sabbia. Il deserto essicca, inaridisce con il calore ogni cosa vivente, riducendola all’ osso. Il sangue e la vitalità evaporano, rimane l’ impalcatura della vita: l’ individuo si riduce a scheletro. La solitudine, la continuativa inondazione di luce e calore provoca l’ inevitabile sfaldamento di ogni consuetudine sociale, prima fra tutte il lavoro.

L’ immobilità della bonaccia ha come prima conseguenza la sosta apparente sul mare e come seconda l’ assenza di attività a bordo. Mancando la navigazione, manca l’ occupazione. In entrambi i testi il primo sintomo dello scardinamento della quotidianità è la mancanza di azione.

Un battello fermo in mezzo in un olio celeste. Non si sa più cosa fare.[…] Il capitano dice dietro, con una voce appena nervosa:- Non dovevate pitturare le murate? – Tutti si voltano e si sciolgono come sorpresi ad un azione non regolare. Si spargono per il bastimento per iniziare il lavoro.

Chi prende i bricchetti della tinta, chi cala il gozzo in mare, chi sfila le tavole.47

45 Ivi, pagg. 411-413. 46 Ivi, pag. 383. 47

(20)

Richiamati dall’ ordine costituito, dal capitano, i marinai trovano uno stimolo, ne riconoscono ancora l’ autorità: rappresentante della legge sociale. Nonostante ciò, la concentrazione è effimera, deve intervenire il secondo di bordo: <<Il secondo di bordo disse ai marinai, che cincischiavano, che si rimettessero a lavoro. I marinai si mossero>>48. Già al secondo giorno di bonaccia è difficile impartire dei comandi e organizzare le attività:

La mattina dopo il bastimento era fermo. I marinai rimasero nelle cuccette, il bastimento era come vuoto. Il secondo di bordo non ebbe voglia o non si sentì la forza di sollecitare i marinai perché si alzassero per il lavoro […] I marinai si erano anche loro alzati e vagabondavano per il bastimento, chi appoggiato pendolante alla murata.[…]

Il secondo trovò per tutti qualche lavoro e, dopo poco, ognuno qualche cosa, sebbene senza fervore, faceva.49

La mancanza di lavoro sconvolge anche i ritmi del sonno: << La notte pochi avevano dormito per avere sbadatamente lavorato durante il giorno >>50 e, lentamente, le leggi delle terra ferma, incarnate dal capitano, perdono di autorità; quest’ ultimo diventa un semplice villeggiante, o, peggio, un comune marinaio:

Il capitano parlava poco ai marinai […] Il capitano era come un ospite che villeggiava a poppa, o meglio, era uno qualsiasi dell’ equipaggio che non si distingueva per nulla dagli altri soltanto che per il fatto che lui parlava alla Fernanda e l’ accompagnava dentro la poppa.51

L’ unico termine che connota il capitano e gli restituisce un’ aura di rispetto, è la capacità di interagire con l’ “idolo”, con Fernanda.

48 Ivi, pag. 120. 49 Ivi, pag. 123. 50 Ibidem. 51 Ivi, pag. 126.

(21)

Ormai, con l’ andare avanti della bonaccia << Mai più sembrava di essere su

L’ angelo del Liponard >>52; << Nessuno più trovava da lavorare, se qualche piccolo lavoro era maneggiato era sempre con la testa che cogitava su altro. I marinai non erano più marinai>>53.

L’ abbandono è totale:

Le cuccette erano umide di caldo, i marinai a gambe abbandonate, con la coperta buttata in fondo, gli sguardi che si perdevano, parevano dei personaggi visti per una volata e poi non più e che si ricordano nella memoria con una luce lontana, come quando si guarda in un polveroso cannocchiale alla rovescia.54

Ogni particolare della descrizione rimanda alla rilassatezza.

La cura dei marinai per l’ ordine delle proprie cuccette è sostituita dalla noncuranza dei letti sfatti, la solerzia nel lavoro è divenuta la gamba abbandonata all’ inerzia e, soprattutto, l’ immagine del cannocchiale rovesciato. La distorsione della bonaccia allontana gli oggetti vicini, i compagni sono figurine sfumate, ognuno è solo con se stesso.

L’ isolamento e l’ apparente immobilità del tempo, anche nel deserto, hanno come prima e pratica conseguenza l’ abbandono delle quotidiane mansioni: << La sezione fu in riposo, abbandonata a non far niente ai margini di un’ oasi>>55 e, più oltre, nella sonnolenza del dopopranzo:

Mentre il sole era immobile con le ali aperte sull’ oasi, tutti sotto le tende, in un’ ombra di pianta, nascosti imbambolati stavano, essendo le due del dopopranzo.56

52 Ivi, pag. 127. 53 Ivi, pag. 128. 54 Ivi, pag. 124. 55

M. Tobino, Il deserto della Libia, in Op. Cit., pag. 297.

56

(22)

E, ancora:

Il caldo avvolgeva e un torpore invadeva i corpi che faticavano a digerire, presto la loquela si piegava e ognuno si dirigeva alla propria tenda.57

La guerra è lontana e la sezione si adagia nel torpore dell’ oasi: << la 31° sezione di sanità, chiusa e assonnata nell’ oasi di Sorman, priva del mondo, aspettava di ricevere l’ ordine che la trasferisse nell’ infuocata Marmarica.>>58. La guerra rimane, però, uno spettro lontano anche all’ arrivo sul fronte, nella Sirte:

La sezione arrivata a Sirte, presto si era di nuovo ritrovata nella più lontana retrovia. […] di nuovo ripiegata e immobile, come nell’ oasi di Sorman, riprese ad aspettare che la guerra la richiamasse.59

Quando finalmente, all’ assedio di Tobruk, la sonnolenza sembrerebbe vinta dall’ azione della guerra, quando il singolo pone le proprie speranze nella distrazione dal pensiero, nella consumazione della tragica violenza, allora, ancora una volta, il deserto avrà ragione dei movimenti umani e non permetterà lo svolgersi di alcuna azione militare. Nemici e compagni sono immersi in un calore che annulla gli schieramenti e unisce tutti nella sottomissione al dominio degli elementi:

Le ore più cupe erano le una, le due, le tre del dopopranzo. Nell’ accampamento tutto era con la testa fasciata dal calore. Ognuno rinchiuso. Non esistevano in quelle ore nemici.

La natura aveva invincibile dominio.60

Le ore di maggior luce sono quelle più scure, ancora una volta il calore e l’ abbagliante deserto provocano la perdita della volontà e l’ isolamento, in una dimensione infernale da dannati danteschi:

57 Ivi, pag. 333. 58 Ivi, pag. 337. 59 Ivi, pag. 403. 60 Ivi, pag. 415.

(23)

Quelli delle prime linee rinchiusi dentro una buca, coperta da un telo di tenda, erano in quell’ inferno come nell’ immaginazione di dante quelli che odiava.61

Il Ghibli, il vento del deserto, culla i soldati con una nenia dai colori acidi e ne impedisce la veglia, avvolgendoli in una “ragnatela sognante”:

Nella Sirtica il ghibli è una sognante ragnatela che si adagia e dorme per ogni dove, in Tripolitania è violaceo e orientalmente sensuale; in Marmarica infinite pietruzze con ira si percuoton su ogni cosa e tra loro.62

Si è detto come in entrambi i testi l’ immobilità del deserto e del mare provochi il rallentamento della vita quotidiana e, come conseguenza principale, l’ abbandono del lavoro.

L’ inattività in entrambe le situazioni genera il fluire del pensiero.

Gli individui si adagiano nella solitudine della riflessione. Ad un’ immobilità fisica fa da contro altare l’ iperattivismo della fantasia. L’ “io”, straniato dalla vita sociale, si ripiega su se stesso e si lancia nelle più ardite riflessioni. Sia sull’ Angelo del Liponard, sia all’ assedio di Tobruk, i personaggi liberano i cordoni alla speculazione, con esiti tanto imprevedibili quanto pericolosi.

Nell’ Angelo del Liponard << lo star fermi apporta irritazione, senso di sonno; e tutto è limpido, sembra ogni cosa vista nello specchio>>63. In questi brevi periodi si trova la descrizione del processo che si è descritto più sopra. L’ immobilismo genera l’ irritazione e la sonnolenza, nella cui dimensione la realtà si rischiara e si beneficia della limpidezza del distacco. Lo specchio, come dirà Magrini, “lo specchio ustorio”, restituisce il sistema dei rapporti sociali filtrato e preciso. Il lavoro dell’ immaginazione porta al disvelamento di sé e al proprio riconoscimento nella personalità degli altri, altrettanto denudata:

61 Ivi, pag. 409. 62 Ivi, pag. 408. 63

(24)

Allora nella bonaccia le personalità, i marinai, si mostrano, si tolgono il vestito, fino a diventar scheletro.64

L’ irretimento porta al completo distacco dalla realtà, sia temporale, sia spaziale; come nel deserto, i personaggi si muovono in un presente continuo, in una geografia monodica e astratta. La funzione sociale, il proprio ruolo, la giustificazione del viaggio, vengono dimenticati al pari della bonaccia, normalmente odiata dai marinai poiché allunga la lontananza dagli affetti:

Nessuno imprecava alla bonaccia, sembrava che non si fosse a bordo per trasportare una merce, che tutto il passato fosse scomparso.65

E, poco più avanti nel testo:

Si doveva arrivare a Medusa a scaricare quei mucchi di stoccafissi ma nessuno più ricordava medusa e la merce.66

L’ immaginazione, si è detto, prende possesso dell’ ordine a bordo, scalzando l’ istituzione consuetudinaria e razionale del capitano.

Il pensiero si rivolge all’ idolo: Fernanda. Sulla carnalità della ragazza e sulle sue ambigue movenze sono tutti concentrati e lentamente, ma inesorabilmente, la pulsione animale dei marinai, liberata dall’ assenza d’ impedimenti socio-morali, nell’ atmosfera astratta della bonaccia, troverà soddisfazione:

Sulla barca alitava un vento alto, ma distinto, un ronzio sottile, come di un rocchetto che si dipana velocemente, un ronzio sottile, che si ascoltava attenti, si sentiva fino al cervello, interminabile, incorporeo, che non provocava tristezza o nostalgia ma era come un tarlo che lavorava accanito su un legno morto, eppure buca.67

64 Ivi, pag. 117. 65 Ivi, pag. 126. 66 Ivi, pag. 128. 67 Ibidem.

(25)

La processione orgiastica finale è il compimento di questo processo di allontanamento dalla ragione verso il sogno e il soddisfacimento di sé. I marinai si abbandonano completamente, le leggi si disalberano, ognuno cade serenamente, pazzo e contento, in fondo al pozzo dell’ immaginazione. Tutti, eccetto il secondo del capitano e il ragazzo di bordo, giacciono con la moglie del capitano, loro amico e compagno, da poco morto: un tradimento terribile, inconcepibile al di fuori del nuovo ordine imposto dall’ immobilità. La tensione drammatica dell’ inabissamento dei marinai viene descritta da chi ne è al di fuori, dal secondo del capitano:

[ Il secondo] navigava in un suo mare dove vivevano la Dignità, l’ Orgoglio, la Fierezza, ma mai la sua prua spumava candidamente gli occhi in quella nenia dove ora bevevano pazzi e sereni i marinai. Né per consolarsi valeva ripensare al capitano morto o riflettere alla moglie che subitamente lo aveva tradito addirittura con tutti; sapeva bene che questa non era la solita faccenda, ma la bonaccia, la disalberazione delle leggi, per la diafana morte che come i cacciatori fanno per le allodole così essa specchia i marinai, la musica del mare; nessuno tradiva, Fernanda, equipaggio, erano un essere cieco, serenamente ubriaco che precipita, abbandonato, nell’ abisso e fruscia la musica come un arcangelo le ali.[…]

La maggior sofferenza era per il secondo di dover ascoltare l’ arcana legge ma non vi potere abbandonare, non naufragare in quella, non cadere come tutti, laggiù, nel pozzo.68

Nel Deserto della Libia, si è detto, i soldati sono immobilizzati e senza occupazione al pari dei marinai dell’ Angelo del Liponard e come questi si distaccano dalla realtà per rifugiarsi nei pensieri:

Chi è su un automezzo che viaggia su quella strada, si sradicano dentro di lui i sogni, i ricordi; le fantasie più lontane si alzano dal sepolcro. Accadeva durante quella guerra che si viaggiasse su automezzi per giorni e giorni, il luogo della partenza era uguale all’ arrivo, cioè un punto nel deserto. Accadeva che l’ anima si mostrasse popolata come una fiera. Accadeva in tutti.69

68

Ivi, pagg. 152-53.

69

(26)

In questo caso i soldati sono immortalati nell’ “arrovellio” di pensieri ritenuti morti da tempo, ma che riaffiorano fisici, come fiere. Ufficiali e non, tutti, istruiti ed analfabeti, sono presi dall’ immaginazione, ognuno si astrae in una dimensione “altra” durante lo spostamento da un punto A ad un punto B: il deserto è sempre lo stesso.

Il tenente Marcello cade più di tutti nella rete ordita dal deserto e dal Ghibli:

Sirte è un paese limpido e fresco e insieme è nel deserto; chi, stando in Sirte, guardava verso l’ immenso Sahara, anche se costui è di feroce immaginazione trova il terreno per stancarsi; e così Sirte è il luogo ideale, cullata dalla fragranza delle onde, per abbandonasi, nell’ inerzia della retrovia, ai più liberi sogni.70

Sirte, a metà tra una distesa d’ acqua e una di sabbia, è il luogo ideale per sprofondare nel pozzo dei marinai dell’ Angelo del Liponard. La realtà si profila all’ orizzonte come sbiadita e sfumata nella luce accecante del deserto. Come sulla nave, maliose fantasticherie prendono il sopravvento su tutto:

La fantasia in quel deserto, sotto quell’ immobile fuoco, dentro l’ umido fumo della tenda, sradicava tutti gli ormeggi; l’ uomo era vivo per quella, non aveva affetti, parvenze di ricordi, non futuro, né vittoria o sconfitta; viveva la fantasia.71

La casa e la famiglia: gli affetti, il passato e il presente, la motivazione che giustifica la loro presenza nel deserto: la guerra con la vittoria o la sconfitta, sono cancellate dall’ immaginazione.

Il protagonista non è più in grado di gestire la violenza della guerra, la nenia della fantasia lo ha stregato impedendogli di distinguere la vita dalla morte, l’ irreale dal reale:

Il tenente domandò:- E’ morto?-

70

Ivi, pag. 404.

71

(27)

-Credo di sì-

Il tenente prese tra le dita il polso del ferito: non lo sentì battere. Quel soldato sembrava dormisse.72

Nel capitolo Una visita, un tenente, medico militare, non è più in grado di dichiarare un decesso. La gioventù del ferito ( << il ferito era un ragazzo che nasceva allora>>73; << doveva avere diciannove o vent’anni>>74), il completo abbandono ai pensieri, l’ assurdità di quella morte: senza una causa, un ideale, gli impediscono di riconoscerla, confusa con un dolce sonno: << Il tenente si accorse che non riusciva a capire l’ esistenza della morte>>75.

Le immagini si susseguono nella sua mente senza ordine e razionalità: <<All’ improvviso […] sorsero e batterono in lui una moltitudine di immagini>>76. La realtà si sovrappone all’ irrealtà:

Il tenente rimase ancora sulla porta in indugio, come nel preciso confine tra realtà e irreale, quando una nuova furia di immagini si ripresentarono .77

L’ immaginazione diventa fisica, asfissiante: << Il tenente sentì dentro di sé lo sgomento come un peso, qualcosa di fisico>>78; << quell’ afoso e segreto immaginare>>79.

Il tenente non riesce più a cogliere la realtà: << No, no. Non riusciva. La realtà sfuggiva. Non riusciva ad avere l’ idea delle cose. Non sapeva cos’ era la morte>>80.

L’ unica soluzione è fuggire e abbandona la baracchetta chirurgica dove gli avevano portato il ferito.

72 Ivi, pag. 430. 73 Ivi, pag. 431. 74 Ibidem. 75 Ibidem. 76 Ivi, pag. 431. 77 Ibidem. 78 Ibidem. 79 Ibidem. 80 Ibidem.

(28)

Anche in questo caso la disalberazione delle leggi, l’ effetto straniante di una dimensione insulare e “altra” annullano la coordinazione quotidiana, lasciando spazio al potere dell’ immaginazione che rende, in un caso, i marinai e Fernanda, traditori, rispettivamente, del capitano e del marito; nell’ altro, porta il medico a dimenticare l’ universo delle proprie conoscenze pratiche, non riuscendo a riconoscere l’ avvenuto decesso di un soldato.

L’ individuo, forzato dagli eventi, è descritto nella reazione a questi. Lo sbandamento e l’ irrefrenabile fuga dalla realtà verso il soddisfacimento del proprio piacere: il possesso di Fernanda, in un caso, e l’ allontanamento dall’ idea e dalla pratica della morte, nell’ altro, è il soggetto inscenato da Tobino, attento e clinico indagatore della mente e dei suoi processi vitali. Altro tema che i due testi hanno in comune è quello del destino. Il drammatico epilogo è presentito fin dalle prime pagine.

Sia i marinai sia i soldati sono legati alla catena degli eventi dalla quale sono trascinati, non hanno la capacità di ribellarsi e come “esseri ciechi” seguono gli avvenimenti senza fare opposizione.

La tragicità della morte del capitano non trova spazio nella narrazione: evento scontato e inaspettato allo stesso tempo. Nella economica consequenzialità dell’ intreccio, la sua figura era d’ intralcio fin dalla partenza e, quindi, è giusta la sua eliminazione. Il dolore e la compassione per la scomparsa di un amico non ci sono, cedono il passo ad “una miriade di sensazioni semplici” che velocizzano l’ unione con Fernanda.

I soldati eseguono e non domandano ed inesorabilmente muoiono.

La morte del tenente Marcello, il protagonista: << poiché è lui il nostro eroe>>81, è comunicata in un inciso, quasi per caso, nell’ ultimo capitolo: <<Questo episodio me lo raccontò Marcello pochi giorni prima che morisse davanti a Tobruk>>82. Niente di più ci è dato sapere sulla sua fine. Non una parola sul come morì. Non è singolare se si rammentasse come anche agli altri personaggi Tobino riservi un trattamento simile. Nel capitolo dedicato

81

Ivi, pag. 333.

82

(29)

alla costruzione del cimitero, Strategia, la scomparsa dei compagni è freddamente elencata, come in una lista:

Quel ragazzo che prima di morire chiamò il padre come fosse nella stanza accanto fu il settimo.

Il maggiore medico fu il ventiduesimo. Il generale assisté alla cerimonia.83

La certezza dell’ inevitabilità della morte si fa strada man mano che passano i giorni al fronte. Le ferite gravi, le atrocità e la morte stessa sono accettate ed attese con serena pacatezza. Dopo un violento bombardamento, i medici e i soldati, nella calma della quotidianità, tentano di fare ordine nel caos della guerra, ognuno perfettamente conscio dell’ eventualità della fine e rassegnato a questa:

I feriti che potevano muoversi da sé, si presentavano, parevano calmi, come in un sogno; un giovane che aveva asportato un braccio e una gamba domandò pacatamente se con un apparecchio, una protesi, avrebbe potuto lavorare; sembrava che il dolore fisico non esistesse; era cambiato il concetto che si aveva della carne divenuto impersonale; […] Tutto si svolgeva quasi in silenzio ed era avvenuto un ordine nelle diverse operazioni quasi perfetto; i morti disposti nel cortile sembravano bambini che dormono; e un senso che tutti l’ avessero già saputo che questo doveva accadere.84

La fatalità, il destino già segnato ( tutti sapevano, erano consapevoli che prima o dopo sarebbero morti nel deserto) rendono la carne un oggetto differente, << impersonale >>. Gli uomini, per la rassegnazione, sono immunizzati, la morte un particolare, adesso vago e accessorio, ma presto inevitabilmente preciso:

E ormai il tenente Marcello aveva la sicurezza di non vedere più la Toscana, più non ascoltare la gentilezza delle parole, si sentiva senza patria e religione, secco fuscello del deserto, trastullo incomprensibile del destino 85.

83 Ivi, pag. 426. 84 Ivi, pag. 439. 85 Ivi, pag. 403.

(30)

E, poco oltre:

E sembrava che quell’ assedio già fosse al nostra tomba, spolverata di sabbia; il particolare “morte” sarebbe poi venuto, a suo tempo preciso.86

L’ “io” diventa arido, marionetta del destino, dal quale è inutile tentare di sfuggire; unica possibilità il ricordo, la memoria del paese e della quotidianità perduta. La patria e la religione, la casa e la sicurezza di uno scopo nell’ esistenza, scompaiono nella monocromia della Sirte. Marcello diventa un arboscello del deserto, inaridito, spogliato e pronto alla fine. La ribellione, la volontà di sfuggire al destino, si sfuma nella perdita di speranza e nell’ impossibilità di vivere un futuro. Il deserto, si è detto, non ha tempo e, come nell’ inferno dantesco, si esiste solo in un eterno presente. L’ immobilità non è solo del corpo, ma anche della sorte.

Nell’ atemporalità che non ammette futuro non si può concepire la speranza che è cambiamento, azione, rivolgimento, impegno, ma solo la morte. La vita passata, nel ricordo, perde di consistenza, l’ Italia, le conoscenze, non sono più reali ma sfumate, lontane nel tempo, e distanziate dalla certezza del non ritorno:

L’ Italia che prende forme sempre più astratte, un paese che viene in mente come una cosa che forse e imprecisamente si visse; i volti, i luoghi, le strade, le ragazze, le grida, sì, ci furono, ma ora continuamente di nuovo immaginandoli non paiono più realtà ma il prodotto di una malinconica immaginazione.87

Lentamente la nostalgia diventa faticosa, la consuetudine della guerra logora il ricordo, e la rassegnazione colpisce anche la sfera delle passioni. La famiglia è immaginata assediata da meschini proci, le personalità lentamente si sfaldano:

La nostalgia così acuta quando eravamo in Tripolitania, e ancora tanto viva nella Sirtica, qui in Marmarica, davanti a Tobruk, non si nutrì più di desideri.

86

Ivi., pag. 413.

87

(31)

La masturbazione regnava. In Tripolitania ancora i soldati si sentivano padroni delle loro donne, erano gelosi, virili; ormai non più, ormai sentivano che il prete del paese e il segretario del fascio erano assoluti padroni.

E in tutti nacque una debolezza che poteva sembrare bontà ed era un piegarsi davanti a tutto, e si vide come è esile l’ uomo.88

L’ uomo muore lentamente, ogni prerogativa che lo rendeva tale nella vita precedente, nell’ inferno libico si sfilaccia; pian piano, la virilità e il desiderio si acquietano nella rassegnazione che gli “imboscati” si godano i loro amori. L’ individuo è “sottratto” fino a divenire, come Marcello, un’ esile pianta che si piega ad ogni brezza.

La nostalgia e l’ inconsistenza della realtà sono causate dalla certezza del non ritorno. L’ Italia è tanto lontana e inafferrabile proprio per la coscienza della morte.

E all’ improvviso, ora che non si aspettava più, si presentava la nostalgia, che era l’ Italia, noi che ci siamo nati, giovani che non vedevano da anni ragazze e donne; che sapevamo in quel momento […] che laggiù c’erano le città, le quali non pensavano a loro, né vi era alcuna speranza di sortir dal deserto.89

L’ unico momento in cui i soldati prendono forza è subito prima della notte, che nel deserto è <<umida e fredda >>, a sera, quando il clima è simile al fresco dell’ estate italiana. Non appena la furia degli elementi molla la presa, gli individui <<garriscono>>, scoppiano di vitalità. La momentanea primavera dà slancio alla truppa, che rivive un attimo di casa e di riposo. Attimo, si è detto, perché rapidamente, la guerra, che con il buio è più violenta, riporta i soldati all’ incosciente realtà della rassegnazione alla fine:

Nel passaggio tra il giorno e la notte viveva circa un’ ora in cui il clima si bilanciava; primavera; e in quella bilancia l’ accampamento sembrava garrisse. Perché in quell’ ora mancavano le piante[…]il sabato del villaggio, ma l’ aria era come in Italia, sembrava di rinascere, di trovarsi improvvisamente nei nostri luoghi, e incosciente, fanciullesca, sventata, nasceva una festa del chiasso e del sospiro di liberazione[…] Poi veniva

88

Ivi, pag. 414.

89

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rapida, autoritaria, l’ umida e fredda notte marmarica. Riprendevano, dall’ altro polo le azioni del sogno, […] Il monodico suono della RAF.90

La rinascita e la gioventù dell’ esercito sono subito annullate dal ronzio mortifero dei caccia inglesi. Sembrerebbe che Tobino si richiami a Leopardi e a passi noti quando parla di giovinezza effimera, di illusione di vitalità, di sabato del villaggio, ma, forse, spostando la rinascita quotidiana cantata dal

Gallo Silvestre dalla mattina alla sera, la sua operazione è ancora più

significativa. Un’ ora d’ aria dall’ inferno, un’ ora di <<incosciente, fanciullesca, sventata >> lucidità.

Nell’ Angelo del Liponard si riscontra la medesima predestinazione. I marinai non sono condannati a morte, ma a tradire infimamente il loro capitano; lo si vede fin dalle prime righe del racconto:

L’ angelo del Liponard partì con 11 uomini di equipaggio, mise la prua verso

Medusa, era carico di stoccafissi, un barco-bestia di 600 tonnellate. In più c’era a bordo la moglie del capitano.91

Alla cronachistica rappresentazione della scena iniziale, compiuta con poche e disadorne frasi, con quei numeri scritti scientificamente in cifre, fa da controcanto la notizia della moglie del capitano. Dopo il tonnellaggio, la natura del carico, il nome e il modello della barca, la quantità dell’ equipaggio, il narratore informa sulla presenza di una donna, anzi della moglie del capitano; solo più tardi si saprà chiamarsi Fernanda. La sua presenza è quasi ingiustificata, di sicuro inconsueta, quando in realtà era usuale, specie in questi equipaggi sui quali il capitano era più un amico che un superiore, che la moglie alloggiasse a bordo. In questo caso, però, Fernanda è una presenza << in più >>, non attesa e che crea, fin da subito, l’ inizio di uno sconvolgimento, poi nutrito dalla bonaccia. Il germe della malattia è già presente anche durante la tranquilla navigazione dei primi giorni:

90

Ivi, pag. 418.

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A bordo c’era una donna, con loro, nel mare, i marinai lo sentivano questo, ed ora, radunati sotto prua tra le cuccette, mentre si spogliavano per sdraiarsi a dormire, non si confessavano, ma nel silenzio nel quale svolgevano gli atti c’era una specie di profumo e insomma una cosa nuova e felice, di quella felicità non distinguibile, che è così differente dalla contentezza.92

La processione orgiastica diviene, nella semplicità dell’ intreccio, linearmente necessaria, evento non solo presentito, per i tanti messaggi subliminali che la ragazza manda ai marinai, ma, appunto, predestinato, già scritto.

La sensualità emerge sulla nave ancor prima della bonaccia e della morte del capitano. Le azioni sembrano indirizzate da una forza superiore, immutabile, un destino che costringe gli eventi al loro punto di crisi.

Un’ altra caratteristica che i due testi hanno in comune, è il topos letterario del “pozzo”: il “pozzo” inteso, da un lato, come fondo della coscienza, luogo dell’ interiorità irrazionale costitutiva della personalità; e, dall’ altro, come il contenitore dei ricordi rimossi: della nostalgia dolorosa.

Nel Novecento italiano, da Pea a Montale, il “pozzo” figurato e “figurante”, è stato un prolifico catalizzatore di senso e ispiratore di “letteratura”. Specialmente il versiliese Pea, della cui influenza Tobino risente molto, costruisce, sul topos del pozzo, un’ intera scena in Moscardino.

Nel Angelo del Liponard il “pozzo” appare una sola volta, ma fondamentale per tutto il testo. Il passo è già stato citato più sopra ma converrà riprenderlo. È il momento in cui il secondo del capitano, << tra i fitti e quasi fisici pensieri>>93, è intento ad immaginare i compagni con Fernanda:

La maggior sofferenza era per il secondo di dover ascoltare l’ arcana legge ma non vi potere abbandonare, non naufragare in quella, non cadere come tutti, laggiù, nel pozzo.94

I marinai cadono, sprofondano, nell’ arcana legge della carne e della vitalità incontenibile, ormai liberata dall’ imbrigliamento morale. Il “pozzo” è,

92 Ibidem. 93 Ivi, pag. 151. 94 Ivi, pagg. 152-53.

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