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ESPERIENZE PROGETTUALI CON IL DESIGN COMPUTAZIONALE

7.5 Designer come artigiano di algoritm

La manipolazione diretta di algoritmi – filtrati con la sensibilità estetica – permette qualità altrimenti inottenibili, come dimostra- no varie sperimentazioni degli ultimi due decenni, da John Mae- da a Neri Oxman. Riguardo le esperienze progettuali descritte (particolarmente l’ultima), è interessante notare che governando l’evoluzione del software, il designer/sviluppatore può ottenere un senso simile a quello di plasmare un materiale reale. Come nota McCullogh (1996), l’approccio dell’artigiano non solo sopravvive

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tale vede il medium digitale come un altro materiale e lascia che ciò guidi la mano, allora si riesce ad ottenere il meglio da essa, renden- do la manipolazione digitale un’esperienza veramente gratificante. Così l’artigiano digitale, che elabora algoritmi generativi, si avvicina all’apprezzato concetto di workmanship of risk, definito come un artigianato che abbraccia l’incertezza della lavorazione «utilizzan- do qualsiasi tipo di tecnica o apparecchio che non predetermini la qualità del risultato, che resta dipendente dal giudizio, abilità e cura esercitata durante il lavoro del creatore» (Pye, 1968). Secondo questa interpretazione, un designer con l’attitudine di un artigiano può vedere gli algoritmi come materiali da elaborare con la stes- sa cura e la stessa curiosità che applicherebbe sul materiale fisico; di conseguenza, i prodotti disegnati e personalizzati parametrica- mente per la fabbricazione digitale possono essere visti come par- te del mondo dell’artigianato tanto quanto del mondo del design. Infatti, come nota Sennett (2008), l’atteggiamento dell’artigiano è ugualmente applicabile e importante per una lunga serie di profes- sioni, dal medico all’informatico. Granelli (2010) osserva che anche nel mondo digitale serve l’atteggiamento dell’artigiano che ha una conoscenza profonda della materia (informatica) del suo lavoro, e quindi può modificarlo e adattarlo virtuosamente. Con le dinami- che contemporanee del digitale, non è sempre applicabile l’idea del metodo predefinito (definibile) verso un obiettivo prestabilito; non sempre funziona la progettualità ben organizzata che segue una ricetta, per usare la metafora del ‘riso verde’ di Munari (1981). Si può osservare che emerge anche una maniera diversa di progettare, assimilabile all’approccio degli hacker, maker o, come esprime Levi- Strauss (1962), bricoleur, che lascia guidare il percorso progettuale dai mezzi che ha a disposizione (piuttosto che dall’obiettivo presta- bilito), e quindi realizza cose nuove con l’utilizzo creativo delle sue risorse esistenti. Questo è un approccio applicabile al mondo del software: quando si parte da risorse digitali, queste sono facili da replicare e modificare ma difficili da ricreare, e quindi il procedi- mento può assumere un carattere ‘opportunistico’: si cerca di fruire le risorse a disposizione al massimo e proseguire il più velocemente possibile, considerando la competizione intensa che può rendere presto obsoleto il risultato di uno sviluppo lento. I frammenti di soft- ware già sviluppati costituiscono il patrimonio dello sviluppatore - un capitale che si cerca di utilizzare al meglio possibile. A volte ciò significa seguire un approccio evolutivo piuttosto che progettuale, tornando all’idea del bricoleur: anziché decidere un punto di arrivo, Pagina di fronte, in alto: piattaforma

di personalizzazione che trasforma un messaggio vocale in una forma in tempo reale

Pagina di fronte, in basso: esempi del prodotto realizzato con la stampa 3D di metalli (acciaio infuso con bronzo; argento a cera persa). Il codice visi- bile all’interno del anello rimanda al messaggio vocale originale.

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si prosegue in una direzione generale, scegliendo ad ogni ‘incrocio’ la strada che offre risultati più promettenti e immediati. Questa fi- losofia si rispecchia nel mondo di software dove esiste il paradigma del lean development e di procedere attraverso un minimum via-

ble product (MVP), da evolvere gradualmente secondo le esigenze

emergenti dei primi utenti, mantenendo il prodotto eternamente in versione beta. Con il Design Computazionale che viene realizzato su richiesta attraverso la Fabbricazione Digitale, anche i prodotti fisici possono diventare questione di software, come è accaduto in molti ambiti: Andreessen (2011) osserva la natura ‘invasiva’ del software (“software is eating the world”), citando una serie di industrie che nei due decenni passati sono state travolte da imprese software, in grado di ottimizzare drammaticamente i flussi di risorse, fornendo così agli utenti prodotti e servizi migliori in tempi più brevi e a costo più basso. Così come il software ha dato la possibilità di mutamento illimitato della grafica 3D ‘dentro’ il computer, con la Fabbricazione Digitale accessibile si potrà fare anche con il design di prodotti fisici, permettendo non solo miglioramenti funzionali e organizzativi, ma anche un rinnovo del linguaggio (Manovich, 2013).

Un tale cambiamento di prospettiva però non arriva in modo intuiti- vo al designer, ma richiede lo sforzo di elaborare algoritmi o disegni digitali ben strutturati, diversamente da «un semplice disegnatore indifferente alla struttura del suo disegno. Penna, inchiostro, mati- ta e carta non hanno una struttura intrinseca. Fanno solo macchie sporche sulla carta». Invece, come suggerisce Sutherland (1975), «la versione computerizzata del disegno dovrebbe essere il docu- mento principale da cui derivano tutte le informazioni ausiliarie». Quest’idea, nata mezzo secolo fa, ha potenzialità interessanti non solo per ingegneri e architetti (che la stanno adottando già dagli anni novanta) ma anche per il nuovo ambiente creativo di designer, maker e artigiani: l’utilizzo maestoso dei strumenti di progettazi- one parametrica-algoritmica non è semplicemente una competenza tecnica realizzativa, ma può aiutare a generare una varietà interes- sante anche dal punto di vista concettuale.

Bibliografia capitolo 7

Andreessen, M. (2011). Why Software Is Eating the World. In The Wall Street

Journal, August 20, 2011 http://online.wsj.com/article/SB1000142405311

1903480904576512250915629460.html This

Granelli, A. (2010). Artigiani del digitale. Come creare valore con le nuove

tecnologie. Roma: Luca Sossella editore.

Levi-Strauss, C. (1962). La pensee sauvage. Paris: Plon. Traduzione italiana. Il

pensiero selvaggio. Milano: Il Saggiatore, 1996

McCullough, M. (1996). Abstracting Craft: The Practiced Digital Hand. Cambridge, MA: MIT Press.

Manovich, L. (2013). Software takes command: extending the language of new

media. New York: Bloomsbury Academic.

Munari, B. (1981). Da cosa nasce cosa. Roma: Laterza.

Pye, D. W. (1968). The Nature and Art of Workmanship. Cambridge University Press

Sennett, R. (2008). The Craftsman. New Haven: Yale University Press. Sutherland, I. (1975). Structure in Drawing and the Hidden-Surface Problem.

In N. Negroponte (a cura di), Reflections on Computer Aids to Design and

Questo è un capitolo chiave che descrive le sperimentazioni didattiche e metodolog- iche con i relativi strumenti elaborati, basandosi sulla precedente analisi di lettera- tura, casi studio e progetti elaborati con un focus tecnico. Si ricorda che il capitolo 6 ha previsto l’emergere della figura di meta-designer e ha formulato l’ipotesi che lo sviluppo di oggetti personalizzabili potrebbe diventare una pratica consolidata con risultati consistenti, ma richiede un approccio di concept design più sensibile alle esigenze divergenti tra gli utenti. Per dimostrare questa possibilità, è stato elaborato un metodo e un tool di sviluppo concettuale focalizzato sul concetto della variabil- ità del prodotto finale; questo capitolo descrive il percorso che ha portato a tale risultato. Si parte da una sintetica revisione di letteratura riguardo i metodi e gli strumenti utili per l’agevolazione della fase concettuale del design: si identificano alcuni esempi interessanti, ma si osserva anche che nessuno di questi è particolar- mente adatto nel guidare il pensiero progettuale secondo gli obiettivi della ricerca. Successivamente si descrive l’esperienza di tre workshop con tema, impostazione, scala e pubblico diversi; di conseguenza la strategia formativa si è manifestata in tre approcci operativi (e strumenti didattici) diversi. L’ultimo workshop didattico svol- to con oltre cinquanta studenti ha avvicinato maggiormente gli obiettivi formativi della ricerca, valutando sul campo il prototipo dello strumento proposto; il feedback raccolto ha aiutato a riformulare parti del canvas e a ottenere la versione definitiva che verrà descritta nel capitolo 9. Infine, si descrive uno strumento informatico svi- luppato appositamente per la mappatura di casi studio e l’individuazione di nuovi punti di intervento, ossia tipologie di prodotti che potrebbero fruire i vantaggi car- atteristici per il DC e la FD.

SPERIMENTAZIONI PER LO SVILUPPO