Dettaglio delle prestazioni erogate dai Centri Salute Mentale (%)
4.2 Tra costi standard e fabbisogni standard
5.1.1 I dettagli della spesa italiana
Le prestazioni sociali sono i trasferimenti alle famiglie (persone), in prestazioni o denaro, fatti dai diversi soggetti eroganti (Enti previdenziali, Stato, Regioni, Comuni etc.) al fine di coprire gli oneri derivanti da specifici rischi, eventi, bisogni 120.
Analizzando i singoli settori di intervento, si possono distinguere:
a. sanità: riguarda tutti gli interventi volti a mantenere o a riacquistare lo stato di salute;
b. previdenza: presuppone la costituzione di una posizione contributiva precedente e comprende anche gli interventi atti a salvaguardare - a breve termine - il salario;
c) assistenza: non presuppone una posizione contributiva ed è destinata a sostenere i redditi insufficienti Per quanto riguarda le ENTRATE, nella UE27 (Dati Eurostat 2010) il finanziamento della previdenza sociale è costituito:
-per il 56,8% dai contributi a carico del datore di lavoro (36,7%), del lavoratore (20,1%) ed altro (4%) -per il 39,1% dal finanziamento pubblico.
In Italia (dati 2010), esso è invece costituito:
-per il 54,6% dai contributi a carico del datore di lavoro (39%), del lavoratore (15,6%) ed altro (1,6%) -per il 43,8% dal finanziamento pubblico.
La spesa sociale globale è così finanziata sia dai singoli (versamenti di varia natura, individuali o datoriali), che dal bilancio dello Stato, come tale.
Nella UE27, la spesa per la protezione sociale anno 2010 ammonta a 7185 euro/capite (range 1.936-14.896), pari al 29,5% del PIL UE27.
In Italia essa è –nel 2011- di 7.335 euro/capite, pari a circa il 29,7% del PIL ( dodicesima posizione europea; valeva il 28,6% nel 2010, nona posizione, rispetto alla media UE27, con un importo pro capite in crescita ( era 6.242 euro nel 2006 )
119
MAZZOTTI Filippo, op. cit.
120
Le entrate coprirebbero circa l’81,2% della spesa, fatto degno di essere meditato, in tempi di spending review.
In sintesi, la spesa sociale italiana ha sempre privilegiato 3 funzioni: vecchiaia, malattia e superstiti, trascurando le altre (invalidità, famiglia, disoccupazione, esclusione sociale, casa), andando cioé in controtendenza rispetto alla UE27 ed alla UE15, dove si è privilegiata la tutela anche della precarietà lavorativa e familiare.
Secondo l’Istat nel 2010, il peso della spesa delle prestazioni sociali rispetto al PIL è cresciuto del 3,6% in sei anni (2004-2010), soprattutto per i costi di due funzioni: vecchiaia e sanità (+1,6 e +1,1%, rispettivamente). In sei anni, sono aumentate, in valori assoluti, anche le spese legate alla disoccupazione (+1,2%), alla malattia (+0.7%) e alla famiglia (+0.4%).
Al proposito, riteniamo utile confrontare tra loro i dati 2009-2010-2011, fondamentali per capire cosa potrà succedere negli anni più bui della recessione (2013 e successivi).
Nel 2009, i costi della protezione sociale globale ammontavano a 432,357 miliardi, così articolati: sanità, 102,782 miliardi (23,7%); previdenza, 290,905 (67,28%); assistenza, 38,670 (8,94%). Le ultime due voci, dunque, ammontavano da sole 329.575 milioni di euro. Inoltre, su 432,357 miliardi di costi della protezione sociale ben 402,189 (=93% del totale) erano attribuibili alla Pubblica Amministrazione, sottolineando così l’importanza della spesa pubblica nel settore specifico.121
Altri dati Istat per il 2009122 riportano cifre diverse: spesa sociale non sanitaria, 285.145 milioni di euro (18,7% del PIL), articolata in: previdenza, 264.185; assistenza, 20.747; socio-sanità, 214 milioni di euro. I contributi previdenziali sono pari a 222.975 milioni di euro (14,7% del PIL).
Nel 2010123, la spesa per la protezione sociale presentava cifre abbastanza diverse da quelle del 2009, con un totale pressoché analogo di 442.638 milioni di euro, ripartito in: 105.451 milioni di euro di spesa sanitaria. La spesa per Previdenza ed Assistenza, erogata in Italia dalle Istituzioni pubbliche e private, era di 337.188 milioni di euro (di cui 299.111 per prestazioni sociali in denaro e 38.076 per assistenza) pari a 4.957 euro/capite.
Le entrate ammontano a 321.601 milioni di euro, di cui, 242.766 come contributi sociali, che coprono così l’81,1%% della spesa per prestazioni.
Indipendentemente dall’affidabilità dei dati (e dal ritardo con cui essi vengono elaborati, rispetto al momento della raccolta) resta un fatto certo: la spesa previdenziale e assistenziale supera il finanziamento relativo di almeno 17milioni di euro.124 Resta, dunque, difficile fare una valutazione corretta, data la variabilità dei dati forniti125 come risulta anche dall’allegata Tabella VI, ricostruita utilizzando i dati ricavati da diverse fonti: Relazione CNEL 2011, 2012,2013; CENSIS 2012; Annuario Statistico Istat 2012. I dati sono espressi in miliardi di euro e in percentuale.
121
AA.VV., Il primo rapporto di attività dei nuclei per l’analisi e la valutazione della spesa pubblica,
http://www.rgs.mef.gov.il/VERSIONE-I/Servizio-s/Studi-per-1/Rapporto-s/2012/index.html
122
Relazione CNEL 2012, op.cit., pag 184
123 ibidem, pagg..160,174,178 124 iibidem, pagg. 160, 184). 125 (ibidem, pag.160, 178, 179, 184)
L’ANALISI DELLA SPESA ITALIANA PER IL WELFARE (2009/2011)
Si tratta di cifre significative e di un andamento significativo della spesa globale per il welfare, che vede nel 2011 raggiungere la cifra totale di 449,885 miliardi di euro, pari al 29,7% del PIL dello stesso anno, stimato in 1.579 miliardi di euro. Di questi 449,885 ben 417,833 miliardi di euro (92,87% della spesa totale; 26,5% del PIL; 55,7% della spesa pubblica corrente) sono stati spesi dalle Amministrazioni Pubbliche, per prestazioni ai cittadini e per spese organizzative. La spesa privata, quindi, ammonterebbe a 32,05 miliardi di euro, pari all’1,96% del PIL.
Il 68,2% della spesa per prestazioni della P.A. si concentra sulla previdenza (17,8% del PIL) ;l’8,63% (2,1% PIL) è riservato all’assistenza , mentre alla sanità va il 23,15% della spesa (6,6% del PIL).
Prestazioni sociali e contributi previdenziali sono legati alla struttura produttiva e demografica del Paese: più elevati al Nord e più ridotti al Mezzogiorno e al Centro-Sud.
Indipendentemente dai dati presi in considerazione (anni 2009/2011) una cosa è certa: nel complesso dei paesi europei, le risorse devolute a scopi sociali evidenziano, in termine di PIL, una sostanziale stabilità di valori, valutabile tra il 27 e il 28% del PIL (costi amministrativi inclusi).
L’Italia presenta livelli di spesa tra i più contenuti in ambito comunitario, costantemente inferiori alla media UE-15, per valori oscillanti tra - 0,7 e -1.0 punti rispetto al PIL medio UE. I livelli più elevati di prestazioni sociali si osservano nei paesi del Nord Europa (Svezia, Francia, Danimarca, Belgio), con quote tra il 28 ed il 30% del PIL.
Nel periodo 1995-2011, la media europea dei 15 anni mostra una sostanziale stabilità delle risorse destinate a scopi sociali; l’Italia presenta invece un lieve incremento negli anni 2001-2006 (dal 24 al 25,7% del PIL) e una certa stabilità negli anni 2007-2009 (26,6-26,8% del PIL) ed una crescita nel biennio 2010-2011 (28,6-28,46% del PIL), legata sia alla scarsa crescita economica (con compressione del PIL), che a un aumento reale della spesa sociale (+36,6 miliardi, in 3 anni). Resta da definire, tuttavia, il peso reale della “spesa sanitaria out of pocket” sul valore complessivo della spesa sanitaria 2011/2013, ipotizzabile tra i 23 ed i 30 miliardi di euro/anno.
Per il complesso dei paesi europei, le voci più consistenti risultano quelle per sanità e vecchiaia: in rapporto alla spesa sociale totale, le due funzioni rappresentano circa il 40 e il 29%. Invalidità e sostegno alla famiglia valgono circa il 9% delle prestazioni totali.
Come si evince dalla sottostante Tabella, nell’Italia del 2011, invece, vecchiaia e sanità costituivano rispettivamente il 51,9% e il 25,1% della spesa totale. L’Italia, inoltre, occupava gli ultimi posti in Europa per le misure a sostegno della famiglia (1,3% PIL), per il contrasto alla disoccupazione (0,8% PIL), per la prevenzione alla povertà e all’esclusione totale.
I dati della successiva Tabella VIII evidenziano percentuali di spesa sanitaria diverse rispetto alla precedente Tabella (23,82% nel 2010 e 24,9% nel 2011), anche se i dati provengono dalle stesse fonti,121 a testimonianza della possibile aleatorietà degli stessi. Comunque sia, le % in questione sono riferite ad una spesa welfare 2010 di 442,638 miliardi,, di cui circa il 93% è attribuibile alla P.A. Nel 2011, la spesa era di 449,885 miliardi di euro, di cui il 92,8% è attribuibile alla P.A.
In base ai dati Eurostat, l’Italia si contraddistingue per un basso livello di spesa sociale complessiva e, nell’ambito di questa, per l’elevata quota devoluta alla vecchiaia, a scapito delle misure assistenziali (servizi e denaro).126
Quanto alla presunta anomalia dell’Italia, che avrebbe destinato una parte considerevole delle risorse per la spesa sociale alla vecchiaia, un più attento esame dei dati (pur nella loro precarietà) porta a ridimensionare l’entità della spesa previdenziale. Ecco i punti salienti:
1. per l’Italia le indennità di TFR o TFS (circa l’1,3% del PIL) sono incluse indebitamente nella spesa pensionistica, indipendentemente dall’età del percettore. Si tratta, invece, di salario differito;
126
PIZZUTI Felice-Roberto, Spesa sociale, Italia ed UE a confronto, in Eguaglianza e libertà. Rivista di critica sociale.2009, Novembre; Dati CNEL, CENSIS,ISTAT (Relazione annuale CNEL 2013)
2. i Paesi europei adottano diversi strumenti, per coprire bisogni simili. In Italia, le pensioni di anzianità hanno costituito, in modo improprio, un canale di uscita dal mondo del lavoro. In altri Paesi, invece (es: Olanda e Svezia), si sono usate specifiche indennità di disoccupazione;
3. le prestazioni sociali sono considerate al lordo delle tasse, molto diverse nei vari Paesi europei. Nel nostro Paese, l’onere fiscale, pari al 3,5% del PIL (circa) è più elevato rispetto alla maggior parte dei Paesi europei, con l’esclusione di Danimarca, Austria, Finlandia e Svezia, in cui il peso fiscale oscilla tra il 5 ed il 7% del PIL.
Negli altri Paesi europei (Regno Unito, Irlanda e Germania, in primis), l’onere fiscale oscilla tra l’1,2 e l’1,6% del PIL.
In Italia, la tassazione superiore alla media europea aumenta il gap negativo della nostra spesa sociale rispetto alla UE; la spesa sociale pubblica “netta” così calerebbe dal 26,6% circa al 23,1% circa, migliorando nettamente i valori della spesa pensionistica italiana “lorda”.
Quanto al finanziamento delle spese sociali, negli ultimi 15 anni, è sempre avvenuto (a livello europeo) più per un aumento della fiscalità generale che della contribuzione individuale, specifica. In questi anni la “quota statale” è cresciuta almeno dell’ 1,6% del PIL, pur con andamenti diversi nei singoli Paesi.
In Italia, ad esempio, la quota a carico del datore di lavoro si è ridotta di circa il 9% in 12 anni (1995-2006), a fronte di una stabilità della contribuzione dei lavoratori. Il fenomeno sembra dovuto alla graduale fiscalizzazione degli oneri sociali.
Nella restante Europa dei quindici, invece, la quota dei contributi sociali a carico dell’azienda e del lavoratore è del tutto prevalente (oltre il 56% del valore totale). In Italia, gli oneri sociali rappresentano circa il 32% del costo del lavoro complessivo; la tassazione il 15% , mentre il cuneo fiscale (46,5%) è lievemente superiore al valore medio (43%), ma inferiore a quello di Belgio, Francia, Germania.