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DI CERTEZZA DEL DIRITTO NELLA CODIFICAZIONE TEODOSIANA

Tommaso Bianchi

SOMMARIO: 1. Introduzione. 2. La ‘legge delle citazioni’. 3. La legge delle

citazioni nelle codificazioni orientali e romano-barbariche. 4. Conclusioni.

1. Introduzione

Il termine ‘certezza’ può essere inteso in senso soggettivo, per cui significa «una salda convinzione della verità di un asserto», ovvero in senso oggettivo, per cui si intende «l’attitudine di un asserto a garantire la sua corrispondenza con uno stato di cose»1. La certezza del diritto2

1 Così M. CORSALE, Certezza del diritto: profili teorici, in Enciclopedia Giuridica,

VI, Roma, 1989. Si veda anche la voce successiva (A. PIZZORUSSO, Certezza del diritto: profili applicativi, ivi) e le relative bibliografie, cui mi permetto di rimandare per ragio- ni di spazio, stando l’avvertenza dell’Autore per cui «Una bibliografia specificamente concernente il nostro problema urta contro una difficoltà di fondo: proprio per la natura del concetto di certezza, gran parte dei discorsi sul diritto direttamente o indirettamente vi fanno riferimento» (M. CORSALE, op. cit. appena supra). Si veda anche quanto ripor- tato da M. LONGO, Certezza del diritto, in Novissimo Digesto Italiano, III, Torino, 1974, p. 124 ss., alla cui bibliografia mi permetto di rimandare per i medesimi motivi di cui sopra.

2 G.G. ARCHI, Le codificazioni postclassiche, in M. SARGENTI, G. LURASCHI (a cura

di), La certezza del diritto nell’esperienza giuridica romana, Padova, 1987, p. 149 af- ferma che «…nel collegare l’esigenza della certezza del diritto a quei fenomeni, che con pregnanza fortemente moderna noi chiamiamo codificazioni, hanno fatta propria [la] convinzione … che uno dei mezzi principali … attraverso il quale la certezza si raggiunge, è quanto si vuole indicare con le parole codice, codificazione. E siccome la certezza è un’esigenza, … tutte le vicende che appartengono a momenti codificatori acquistano una grande importanza».

non sottende necessariamente, come vorrebbe un postulato del positivi- smo giuridico, l’idea di un enunciato normativo immutabile, né di una sua interpretazione meramente enunciativa3: un sistema giuridico può

essere ritenuto tanto più efficace quanto più le sue norme siano com- prensibili4 e, in certa misura, prevedibili. A sua volta, la prevedibilità

degli effetti derivanti dall’applicazione delle norme5 è dovuta in larga

misura agli strumenti processuali approntati a tal fine6. Sarebbe tuttavia

incompleta la definizione che escludesse dal novero anche l’interpreta-

3 Cfr. L. MENGONI, Diritto e tempo, in C. CASTRONOVO, A. ALBANESE, A. NICO-

LUSSI (a cura di), Metodo e teoria Giuridica, Scritti I, Milano, 2011, p. 12.

4 G. NOCERA, Sul significato del normativismo e delle codificazioni nell’esperienza

giuridica romana, in M. SARGENTI, G. LURASCHI (a cura di), La certezza del diritto nel- l’esperienza giuridica romana, Padova, 1987, p. 12: «L’idea di norma … viene, in sen- so proprio, ritrovata nell’altra parola corrispondente regula», riprendendo poi quanto enunciato dall’Arpinate (Cic. Brut. 41, 152): «Sic enim, inquam, Brute, existimo, iuris civilis magnum usum et apud Scaevolam et apud multos fuisse, artem in hoc uno; quod numquam effecisset ipsius iuris scientia, nisi eam praeterea didicisset artem quae doceret rem universam tribuere in partis, latentem explicare definiendo, obscuram explanare interpretando, ambigua primum videre, deinde distinguere, postremo habere regulam qua vera et falsa iudicarentur et quae quibus propositis essent quaeque non essent consequentia». Sul passo appena citato e sul metodo dialettico della giurispru- denza romana si veda, su tutti, M. MIGLIETTA, ‘Servius respondit’. Studi intorno a me- todo ed interpretazione nella scuola giuridica serviana, Trento, 2010, passim p. 38 ss.; ID., Giurisprudenza romana tardorepubblicana e formazione della ‘regula iuris’, in SCDR, 25, 2012, p. 190 e 223; ID., ‘Est vir qui adest’, in C. CASCIONE, C. MASI DORIA

(a cura di), Quid est veritas? Un seminario su verità e forme giuridiche, Napoli, 2013, p. 309 ss. Si potrebbe dire che, dunque, il diritto, nell’accezione casistica romana, è l’arte di scomporre il tutto nelle sue parti, definendo, interpretando, distinguendo per individuare la regula in virtù della quale giudicare. Sul tema di regulae iuris si vedano i notissimi testi di Paul., lib XVI ad Plauttium (D. 50.17.1) e Iav., lib. XI ep. (D. 50.17.202).

5 In merito, si veda G. NOCERA, op. cit., p. 11, quando afferma che «…le istituzioni

si avvalgono, per una legge etica di conservazione, della limitazione e ripetizione dei fatti e degli effetti, come dei fini e degli scopi relativi».

6 Ibidem, p. 40, per cui il problema della certezza del diritto era vissuto, a Roma,

sotto il duplice aspetto della ‘giustizia sostanziale’ (la prevalenza della ragione sul tor- to) e, specularmente, della ‘giustizia formale’ (osservanza della norma).

zione delle norme7, momento cruciale per la ‘certezza’ del diritto: l’er-

meneusi può tanto rafforzarla, quanto indebolirla8.

2. La ‘legge delle citazioni’

Fu sul volgere dell’evo antico che gli imperatori Valentiniano III e Teodosio II, per la prima volta, cercarono di dare agli operatori del di- ritto uno strumento capace, almeno nelle intenzioni, di venire a capo e sistematizzare la mole sterminata di leges e iura fino ad allora accumu-

7 Ibidem, p. 27: «L’esprimersi mediante responso, di tono oracolare, è una caratteri-

stica professionale della giurisprudenza, onde suona del tutto naturale la qualificazione di sacerdozio attribuita sino a tardi alla consulenza, di là dalle stesse origini pontificali: principio, questo, tanto più raffinato quanto più sorretto dalla conoscenza combinata del divino e dell’umano … e dal discernimento del giusto e dell’ingiusto…», riprendendo il pensiero di Ulpiano (lib. II reg., D. 1.1.10.2 «Iuris prudentia est divinarum atque humanarum rerum notitia, iusti atque iniusti scientia»). Potrebbe essere argomentato che, alla luce di questa percezione ‘sacrale’ del ruolo dei giuristi, il potere assoluto postclassico si volle appropriare non solo del prestigio, ma anche tenere sotto controllo una fonte del diritto.

8 Con effetti sia (ri)costruttivi, che destrutturanti. A riguardo, ancora G. NOCERA,

op. cit., p. 6 argomenta che «Sul terreno storico, la formazione di un principio d’ordine è avvenuta fuori dalla prefissione di criteri astratti di comportamento e la stessa sfera del diritto, … deve la sua graduale delimitazione ad una sorta di processo di decanta- zione degli elementi che concorrono all’immagine composita … dell’ordinamento pri- mitivo». Riprendendo il pensiero di F. SCHULZ, I principi del diritto romano, Firenze, 1946, p. 16 ss., parafrasando il quale si può sostenere che la mescolanza fra diritto, morale e costume, che è connaturata all’età giovanile dei popoli, tende a progressiva- mente differenziare le norme giuridiche da quelle non giuridiche. Vero ciò, si potrebbe formulare la questione nel senso per cui ‘il conflitto genera il diritto’: una maggior complessità sociale (ossia un ordinamento che vada a disciplinare realtà più estese della pólis, in ragione anche di mezzi di produzione e tecnologici) porta a necessità giuridi- che (ossia fornire soluzioni a problematiche politiche, economiche, commerciali, etc.) che richiedono un livello di astrazione e raffinatezza che non possono essere soddisfatte appieno dagli strumenti giuridico-morali. Per tal ragione, forse, conosciamo l’ordina- mento giuridico romano e non altrettanto bene, invece, quello di altre popolazioni che non ebbero la necessità (o la volontà, beninteso) di regolare in modo generale ed astrat- to i medesimi fatti giuridici.

latisi ad opera della cancelleria imperiale e della scienza giuridica9. Il 7

novembre10 del 426 d.C. l’imperatore della pars Occidentis11 inviò una

oratio12 al senato di Roma, la quale diventò norma col nome, attribuito-

le in seguito, di ‘legge delle citazioni’13. Seppur priva degli elementi

ideologici e politici che avrebbero ispirato il suo collega appena tre anni più tardi, pareva rispondere,

anche se con finalità molto più limitate ed estremamente più pratiche, ad una medesima esigenza di certezza del diritto, sia a tutela di una ef- fettiva applicazione delle norme emanate dal governo centrale, sia a protezione del privato cittadino nei confronti di abusi commessi dai funzionari periferici14.

Adottata successivamente anche nella pars Orientis, tale disposizio- ne prevedeva che, per risolvere le controversie fra privati, le parti po-

9 A. V. SIRAGO, Galla Placidia e la trasformazione politica dell’Occidente, Lou-

vain, 1961, p. 319, afferma che «(…) fu proprio Galla Placidia che, rivalutando la con- cezione giuridica romana (…) vide nelle leggi quella stabilità di valore universale che invano i singoli imperatori ricercavano nella potenza delle armi. (…) Di qui il valore di simbolo e di forza suprema dato anche e soprattutto alle leggi». Pensiero poi ripreso da A. C. FERNÁNDEZ CANO, La llamada ‘ley de citas’ en su contexto histórico, Madrid, 2000, p. 33, per cui l’imperatrice madre (nonché figlia di Teodosio I) «(…) confía en la ley, le ve como el único instrumento capaz de dar respuestas a los problemas del Imperio y de su administración».

10 Anche se il giorno preciso dell’emanazione varia nei diversi manoscritti tramite i

quali ci è pervenuta l’opera. Si veda E. VOLTERRA, Sulla legge delle citazioni, in Atti Acc. Naz. Lincei. Memorie. Classe sc. mor. stor. fil., VIII 27, 1983, p. 203, n. 21.

11 O, visto che l’imperatore aveva circa sette anni all’epoca, più probabilmente a

suggerire tale costituzione fu sua madre, Galla Placidia. Si veda A.C. FERNÁNDEZ CA- NO, op. cit., p. 48.

12 Sul contenuto di tale oratio, si veda Ibidem, p. 72 ss.

13 Si vedano fra tutti, anche per le bibliografie cui mi permetto di rimandare per ra-

gioni di spazio, le voci di S. SOLAZZI, Citazioni (Legge delle), in Nuovo Digesto italia- no, III, Torino, 1937, p. 182 ss. ed in Novissimo digesto italiano, III, Torino, 1974, p. 305 ss.

14 Così G. BASSANELLI SOMMARIVA, La legge di Valentiniano III del 7 novembre

tessero allegare15 solo i pareri di cinque giuristi: Papiniano, Paolo, Ul-

piano, Gaio e Modestino. Potevano essere altresì prodotti i responsa di tutti i giuristi che i cinque a loro volta avessero citato nelle proprie ope- re, a condizione che fosse allegato il testo. Qualora i cinque giuristi avessero espresso opinioni differenti, il giudice avrebbe dovuto seguire la tesi esposta dalla maggioranza di essi. Qualora vi fosse parità di opi- nioni fra i cinque giuristi, sarebbe prevalsa quella che avesse allegato il parere di Papiniano16. Se a parità mancasse l’opinione di Papiniano, il

giudice avrebbe potuto decidere secondo il proprio prudente apprezza- mento (moderatio).

IMPP. THEOD(OSIUS) ET VALENTIN(IANUS) AA. AD SENATUM URBIS ROM(AE). POST ALIA. Papiniani, Pauli, Gai, Ulpiani atque Modestini scripta universa firmamus ita, ut Gaium quae Paulum, Ulpianum et ceteros comitetur auctoritas lectionesque ex omni eius corpore recitentur. Eorum quoque scientiam, quorum tractatus atque sententias praedicti omnes suis operibus miscuerunt, ratam esse censemus, ut Scaevolae, Sabini, Iuliani atque Marcelli omniumque, quos illi celebrarunt, si tamen eorum libri propter antiquitatis incertum codicum collatione firmentur. Ubi autem diversae sententias proferuntur, potior numerus vincat auctorum, vel, si numerus aequalis sit, eius partis praecedat auctoritas, in qua excellentis ingenii vir Papinianus emineat, qui ut singulos vincit, ita cedit duobus. Notas etiam Pauli atque Ulpiani in Papiniani corpus factas, sicut dudum statutum est, praecipimus infirmari. Ubi autem eorum pares sententiae recitantur, quorum par censetur auctoritas, quos sequi debeat, eligat moderatio iudicantis. Pauli quoque sententias semper valere

15 Tale era la prassi nel mondo greco-romano: il giudice doveva porre a fondamento

della propria decisione solo quanto prodotto dalle parti. Così M. BRETONE, Storia del diritto romano, Roma-Bari, 2015, p. 367.

16 La particolare venerazione di cui godeva Papiniano nel Tardo-antico è forse do-

vuta, oltre alla riconosciuta raffinatezza giuridica, all’alone di ‘martire’ laico che lo circondava, date le particolari circostanze della sua morte. Pare infatti che il giurista si fosse rifiutato di giustificare un omicidio perpetrato da Caracalla, per cui questi l’avreb- be condannato a morte. Si veda s. v. ‘Papiniano’, in Biografia universale antica e mo- derna, XLII, Venezia, 1828, p. 387.

praecipimus. ET CETERA. DAT. VII ID. NOVEMB. RAVENNA DD.NN. THEOD(OSIO) XII ET VALENT(INIANO) II AA. CONSS.17

Una norma così congegnata offre uno spunto sullo stato in cui dove- va versare la scienza giuridica nel V secolo d.C. Tramontata l’epoca aurea della giurisprudenza, scisso l’impero, verosimilmente non vi era una modalità sistematica per l’aggiornamento delle collezioni giuridi- che presso la cancelleria imperiale, né una sistematizzazione ufficiale del sapere giuridico, che sempre più pareva un intrico di norme in cui probabilmente nessuno sapeva più orientarsi18 con sicurezza. Inoltre, gli

iura sollevavano costantemente problemi di ordine sistematico (ed in-

terpretativo), in quanto ius controversum19. Parrebbe inoltre verosimile

che il livello culturale dei giuristi di tale periodo si fosse affievolito20,

tanto da rendere necessario al legislatore indicare quali fossero i testi effettivamente utilizzabili in giudizio. Al contempo, si restringeva l’am- bito di testi consultabili, facilitando il reperimento delle norme e garan- tendo un maggior grado di certezza.

17 Edizione a cura di T. MOMMSEN e P.M. MEYER, Berlino 1905. Traduzione in

R. LAMBERTINI, La codificazione di Alarico II, Torino, 1991, p. 72 s.

18 P. STEIN, Roman Law in European History, Cambridge, 2010, p. 28, attribuisce

l’emanazione della legge delle citazioni al fatto che «The lawyers of the time were not really capable of making their own judgment about whose works to consult and what to do when the writings that they consulted disagreed. They wanted imperial direc- tion». Vero che il livello intellettuale si ritiene si fosse abbassato (come poco oltre in questo testo) potrebbe considerarsi poco verosimile che ciò fosse avvenuto in una tale misura da rendere i giuristi dell’epoca, come invece afferma l’insigne Studioso, prati- camente incapaci di prendere una decisione in merito alla norma da citare. Che «voles- sero un indirizzo imperiale» (ID., Il diritto romano nella storia europea, Milano, 2001, p. 35, trad. it. di E. CANTARELLA) potrebbe essere ritenuta affermazione che poco col- lima col fatto che già Costantino era intervenuto (marginalmente e con scarsi risultati) a riguardo (cfr. C.Th. 1.4.1 e 2). Parrebbe inoltre implicare che la legge delle citazioni fu emanata ‘solo’ per rendere la vita più semplice ad avvocati e giudici, senza prendere in considerazione il contesto dell’opera ed il fatto che (come più oltre) quella che chia- miamo ‘legge delle citazioni’ fosse solo una parte di una disposizione più ampia.

19 Sul punto, su tutti, si veda A. GUARINO, L’ordinamento giuridico romano, Napo-

li, 1990, passim.

20 Cfr. W. KUNKEL, Linee di storia giuridica romana, Napoli, 1973, p. 209. Ma già

Cicerone (in Brut. 93, 322) lamentava un problema analogo. Si veda anche G.G. ARCHI, op. cit., p. 160. Su tutti, si veda A.C. FERNÁNDEZ CANO, op. cit., p. 59.

Tuttavia, non vi è concordanza fra gli autori né per quanto riguarda il contenuto della costituzione precodicistica da cui poi fu tratto il Zi-

tiergesetz21, né circa la sua portata, né in merito alla sua paternità.

Passando ad una brevissima analisi del testo, è ormai fuori discus- sione la provenienza ‘occidentale’ della legge in questione. Biscardi22

fu tra i primi a sostenere che essa fosse stata originariamente concepita nella pars Occidentis da Valentiniano III e, solo successivamente, adot- tata anche da Teodosio II, rendendola vigente in tutto l’impero23. A so-

stegno della propria tesi, egli argomentava nel senso che, vera la

subscriptio, se fosse stata originariamente concepita da Teodosio II,

non si spiegherebbe la ragione per la quale sarebbe stata emanata a Ra- venna ed indirizzata al senatus urbis Romae, né perché l’indicazione del luogo di pubblicazione sarebbe stato conservato nel Codice Teodo- siano24. Lo sviluppo di questo pensiero porta tuttavia l’Autore a negare

la presenza della legge delle citazioni nel testo originario del Teodosia- no, ritenendola un’inserzione successiva ad opera della prassi occiden- tale. Ipotesi, questa, rifiutata da molti Studiosi25 sulla base di osserva-

21 Il termine ‘legge delle citazioni’ fu infatti coniato in G. HUGO, Lehrbuch der Ge-

schichte des römischen Rechts, bis auf Justinian, Berlino, 1818.

22 A. BISCARDI, Studi sulla legislazione del Basso Impero. I. La legge delle citazio-

ni, in Studi Senesi, 53, 1939, p. 405 ss.

23 Contro, si veda P. BONFANTE, Storia del diritto romano, Milano, 1959, II, p. 28

s., il quale non menziona Valentiniano, ma ritiene la legge delle citazioni un tassello di un’opera più ampia di Teodosio. Inoltre, V. ARANGIO-RUIZ, Storia del diritto romano, Napoli, 1977, p. 361 s., considera la legge delle citazioni frutto dei maestri orienta- li. A. BISCARDI, op. cit., p. 409, oltre ad addurre il dato testuale, a sostegno della propria tesi porta un argomento logico-sistematico, per cui sarebbe inverosimile che Teodosio avesse adottato uno strumento rozzo e meccanico come quello riportato da C.Th. 1. 4. 3 (pur per ovviare ad una situazione temporanea) quando appena tre anni dopo avrebbe incaricato la prima commissione di raccogliere ad unità leges e iura onde creare un corpus «qui nullum errorem, nullas patietur ambages, qui … sequenda omnibus vitandaque monstrabi».

24 Così E. VOLTERRA, op. cit., p. 187 s. Tuttavia, una tesi non esclude l’altra: che

una costituzione fosse emanata a Ravenna non significa che copia di essa non potesse trovarsi (anche) a Costantinopoli.

25 Fra questi, si veda G. SCHERILLO, La critica del Codice Teodosiano e la legge

delle citazioni di Valentiniano III, in SDHI, 8, 1942, p. 5 ss. (= Scritti giuridici, I, Mila- no, 1992, p. 155 ss. Nello specifico, la critica a Biscardi si ha a partire da p. 8= p. 158).

zioni testuali26: in tutti i frammenti in nostro possesso che riportano la

costituzione del novembre 42627 sono conservate le formule inziale

(«Post alia») e finale («Et cetera»). Questo dato porta a sostenere con relativa certezza28 che la costituzione in esame facesse parte di una di-

sposizione più ampia, presumibilmente volta a regolare un settore più vasto concernente il funzionamento dei tribunali imperiali mediante la regolamentazione della prassi delle citazioni29. Ora togliendo, ora attri-

buendo autorità ad uno o più giuristi o a determinate loro opere si spe- rava di rendere più veloce (o, perlomeno, meno farraginosa) l’am- ministrazione della giustizia, con l’effetto di garantire una maggiore certezza del diritto mediante la più rapida risoluzione delle controver- sie. L’imperatore, individuando alcuni giuristi e loro opere mediante una sua costituzione, avrebbe prestato ad essi la sua autorità, garanten- do così l’uniforme applicazione di tali principi nei territori sottoposti al suo dominio.

Con riguardo alla scelta dei cinque giuristi è opinione di Volterra30

che questa fosse una semplice sanzione legislativa ad una situazione di fatto anche precedente alla legge delle citazioni, dal momento che, al- l’epoca, (praticamente) in tutto l’impero si aveva una conoscenza della giurisprudenza classica limitata alle opere di Gaio e dei giuristi dell’età dei Severi. L’autore delle Institutiones, malgrado non fosse utilizzato

26 Si veda E. VOLTERRA, op. cit., p. 189 s.

27 Fra i manoscritti del Breviarium Alaricianum si ha nei codd. Par. Lat. 4402, 4403

e 4404, Wallersteinensis, Gothanus, Monacensis, mentre una versione che riporti la legge delle citazioni fuori dal Breviarium è il cod. Ambrosianus C. 29.

28 Cfr. R. LAMBERTINI, op. cit., p. 74.

29 G. BASSANELLI SOMMARIVA, L’imperatore unico creatore ed interprete delle leg-

gi e l’autonomia del giudice nel diritto giustinianeo, Milano, 1983, p. 47 offre una rico- struzione di quella che, per gli Studiosi, doveva essere il testo della costituzione al- l’interno della quale era inserita quella che fu poi conosciuta come ‘legge delle citazio- ni’: C. I. 1.14.3; C. I. 1.14.2 (l’ordine dei frammenti è invertito per ragioni filologiche); C. I. 1.19.7; C. I. 1.22.5. L’Autrice riprende le analoghe considerazioni svolte da P. BONFANTE, Un papiro di Ossirinco e le «quinquaginta decisiones», in BIDR, 32, 1922, p. 227 ss.; F. DE MARINI AVONZO, La politica legislativa di Valentiniano III e Teodosio II, Torino, 1975 (II ed.), p. 8 ss.; G.G. ARCHI, op. cit., p. 91 s. e poi riprese da A.C. FERNÁNDEZ CANO, op. cit., p. 48.

30 E. VOLTERRA, Recensión a Cavenaile (Corpus Papyrorum Latinarum), in IVRA

nella pratica31, offriva un utile sunto dei principi e delle norme del dirit-

to in un’epoca in cui, anche a causa del difficile reperimento delle fonti, la conoscenza del diritto rischiava di essere altrimenti ridotta.

Il criterio che il giudice avrebbe dovuto seguire era meramente ‘meccanico’ e formalistico: prevaleva l’opinione della maggioranza dei cinque giuristi (tre contro due o due contro uno), a prescindere da chi avesse formulato il responso e, dunque, senza riguardo all’analisi più o meno approfondita che un giurista avesse dato del caso rispetto ad un altro; qualora vi fosse parità (due contro due o uno contro uno), sarebbe prevalsa la parte che avesse riportato il parere di Papiniano, coi mede- simi limiti di cui appena sopra. Qualora nella medesima situazione di parità Papiniano non si fosse pronunciato in merito, come già osservato, sarebbe stato il giudice a dover scegliere a quale opinione attenersi32.

Un profilo estremamente controverso è quello riguardante la frase «eorum quoque scientia»33. Gradenwitz34 avanzò l’ipotesi di una inter-

polazione nel Codice Teodosiano rispetto al testo originario della legge, profilo poi ripreso da Pringsheim35 e Wieacker36. In estrema sintesi,

basti qui riferire che non pare ciò sia avvenuto: dai manoscritti pervenu- ti pare possibile evincere che il Teodosiano riportasse fedelmente il te- sto della oratio principis del 426, solamente fuori contesto (si vedano, come già indicato, le diciture «post alia» ed «et cetera» ai margi- ni). Altro problema intimamente collegato al riferimento a giuristi esterni è quello della «codicum collatio(ne)»: la possibilità di portare le opinioni di altri giuristi oltre ai cinque, purché da essi citati e fornendo il passo originale ove tale rimando avesse luogo. Si operava in tal modo