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DI PREVENZIONE DELLA (ILLEGITTIMA) INCERTEZZA DEL DIRITTO

Caterina Tomba

SOMMARIO: 1. Brevi appunti sulla normativa in tema di responsabilità civile

dei magistrati. 2. L’interpretazione espressa dalla Corte di giustizia dell’Unione europea. 3. Il contrasto dell’atto o del provvedimento con l’interpretazione della Corte di giustizia. La sentenza n. 142 del 2018 della Corte costituziona- le. 4. Il contrasto dell’atto o del provvedimento con la costante giurisprudenza della Corte di Cassazione. L’ordinanza interlocutoria del 18.05.2018, n. 12215 della III sez. civ.

1. Brevi appunti sulla normativa in tema di responsabilità civile dei magistrati

La disciplina della responsabilità civile dei magistrati ha subìto, nel- l’ordinamento repubblicano, una evoluzione particolarmente faticosa, spesso determinata, tanto nel quando quanto nell’an, da condiziona- menti esterni alle aule parlamentari.

Il primo intervento organico ed interamente dedicato alla materia è stato, infatti, il frutto dell’esito positivo del referendum abrogativo del 1987, avente ad oggetto le uniche disposizioni fino ad allora dedicate alla responsabilità civile dei magistrati: gli artt. 55, 56 e 74 c.p.c. del 19401 – come immediatamente riscontrabile, precedenti all’entrata in

vigore della Costituzione –.

1 Sulle quali si rinvia, tra i molti, ad A. GIULIANI, N. PICARDI, La responsabilità del

giudice: problemi storici e metodologici, in ID. (a cura di), L’educazione giuridica, III, Perugia, 1978; L. MORTARA, Commentario del codice e delle leggi di procedura civile, II, Milano, 1899; G. CHIOVENDA, Principi di diritto processuale civile, IV, Napoli, 1928, p. 482 ss.

Così, la legge n. 117 del 1988, rispondendo alla ormai da troppo tempo sentita esigenza2 di adattare la disciplina della materia ai soprav-

venuti principii costituzionali, in particolare all’estensione della respon- sabilità dei pubblici dipendenti allo Stato prevista dall’art. 28 Cost., ha radicalmente modificato la disciplina codicistica, introducendo un si- stema di responsabilità fondato sul c.d. “doppio binario”, costituito da una responsabilità diretta dello Stato e da una, non eventuale, responsa- bilità indiretta del magistrato, rilevabile nell’apposita sede dell’azione di rivalsa esercitabile dallo Stato una volta formatosi il giudicato positi- vo sulla domanda risarcitoria3. Sul piano sostanziale, la più discussa ed

evidente innovazione apportata dalla legge in parola consiste nell’am- pliamento dell’elemento soggettivo, sì costituito anche dalla colpa gra- ve4. Contestualmente, però, la medesima legge tipizzava i fatti costi-

tuenti colpa grave, richiedendo che questi fossero connotati dall’ulterio- re profilo psicologico della negligenza inescusabile, espressione che la giurisprudenza di legittimità ha sempre interpretato in modo partico- larmente restrittivo, impedendo, di fatto, che il danno prodotto dal ma- gistrato potesse trovare effettivo ristoro. Accanto alle innovazioni fun- zionali, almeno apparentemente, ad ampliare le ipotesi di responsabilità giudiziaria, il legislatore dell’88 si è preoccupato di introdurre strumen- ti volti a fungerne da contrappeso: la c.d. clausola di salvaguardia del- l’indipendenza funzionale e il filtro di ammissibilità della domanda ri- sarcitoria. Tra i motivi di inammissibilità della domanda, la legge n. 117 prevedeva anche la manifesta infondatezza della pretesa risarci- toria, concetto, come noto, suscettibile di inglobare numerosissime ipo- tesi tanto che, di fatto, proprio l’attivazione del filtro ha oggettivamente reso il magistrato “immune” da responsabilità. Quanto alla clausola di salvaguardia, questa prevedeva che «nell’esercizio delle funzioni giudi- ziarie non [potesse] dar luogo a responsabilità l’attività di interpretazio-

2 Manifestata anche dalla Corte costituzionale nella sent. n. 2 del 1968.

3 Per una completa disamina della disciplina e per l’evidenza delle relative criticità

si veda, da ultimo, F. BIONDI, La responsabilità del magistrato. Saggio di diritto costi- tuzionale, Milano, 2006, cui si rinvia per i relativi riferimenti bibliografici.

4 Fino ad allora esclusa dalle ipotesi di imputabilità. Il c.p.c., infatti, contemplava

esclusivamente l’elemento soggettivo volontaristico, affiancandovi le ipotesi di frode, concussione e denegata giustizia.

ne di norme (sic!) di diritto né quella di valutazione del fatto e delle prove». L’illimitata estensione della clausola di salvaguardia a tutti gli illeciti previsti dalla legge – salvo il caso di dolo, in cui non si riteneva fosse operante – ha sostanzialmente impedito l’imputabilità di respon- sabilità nei confronti del giudice, potendosi, naturalmente, ricondurre qualsiasi percorso argomentativo delle decisioni giudiziarie ad attività interpretativa o valutativa5.

A pochi mesi dalla sua approvazione, la legge n. 117/88 è stata sot- toposta al vaglio dapprima della Corte costituzionale6, che si è espressa

escludendone complessivamente l’illegittimità costituzionale, e, in se- guito, della Corte di giustizia. Confermando quanto già affermato nella nota sentenza Köbler7, in linea con la progressiva giurisprudenza af-

fermatasi in ordine agli strumenti posti a garanzia della primazia del diritto euro-unitario, la Corte ha indicato, con specifico riferimento al diritto italiano, quali debbano essere i principii fondamentali che do- vrebbero ispirare il legislatore nazionale nella disciplina della respon- sabilità civile dello Stato-giudice. Le questioni pregiudiziali sottoposte alla Corte riguardavano, in particolare, la clausola di salvaguardia e la tipizzazione delle ipotesi di colpa grave. Il quesito, come noto, è stato risolto con la sentenza, grande sezione, 13 giugno 2006, C-173/03 Tra- ghetti del Mediterraneo S.p.A. c. Repubblica italiana8. Sotto entrambi i

profili, la Corte di giustizia ha rilevato l’incompatibilità del regime di responsabilità disciplinato dalla legge n. 117 del 1988 e l’ordinamento comunitario. Con specifico riguardo alla clausola di salvaguardia, la

5 Sull’inefficacia sostanziale del sistema di responsabilità delineato dalla l. n. 117

del 1988 si veda, ampiamente, G. CAMPANELLI, Lo “scudo” giurisprudenziale quale principale fattore della “inapplicabilità” della legge sulla responsabilità civile dei magistrati o quale perdurante sistema di tutela dell’autonomia e dell’indipendenza dei giudici?, in ID. (a cura di), Indipendenza, imparzialità e responsabilità dei giudici spe- ciali, Pisa, 2013.

6 Corte cost., sent. n. 18 del 1989. L’unico contrasto rilevato dalla Corte ha riguar-

dato la formazione dei verbali di organi giudicanti collegiali, questione che, però, risul- ta marginale rispetto all’impianto legislativo complessivo.

7 Corte giust., 13 giugno 2006, C-173/03.

8 Sulla decisione in esame cfr., fra i molti, F. BIONDI, Un “brutto” colpo per la re-

sponsabilità civile dei magistrati (nota a Corte di Giustizia, sentenza 13 giugno 2006, TDM contro Italia), in www.forumcostituzionale.it, 19 giugno 2006.

Corte, come prevedibile, ha affermato che l’attività di interpretazione non possa, di per sé, escludere l’insorgere dell’illecito determinante responsabilità. Anche con riferimento all’elemento soggettivo, la limi- tazione della risarcibilità dei soli danni provocati con dolo o colpa gra- ve, per come le ipotesi di colpa grave venivano tipizzate dal legislatore nazionale, veniva ritenuta in contrasto con il diritto UE. Il prosieguo della vicenda è più che noto, essendosi definitivamente concluso, a se- guito della procedura di infrazione aperta dalla Commissione, con la condanna nei confronti dell’Italia.

Con qualche anno di ritardo, in ogni caso, il legislatore è intervenuto nuovamente sulla disciplina, modificando la l. n. 117 del 1988 ad opera della l. n. 18 del 2015, il cui fine veniva espressamente sancito al- l’art. 1: «rendere effettiva la disciplina che regola la responsabilità civi- le dello Stato e dei magistrati, anche alla luce dell’appartenenza del- l’Italia all’Unione europea».

Numerose e particolarmente incisive, per alcuni aspetti non perfet- tamente coincidenti con quanto affermato dalla Corte di giustizia, le novità introdotte9, tra le quali in questa sede rilevano in particolar modo

quelle che hanno inciso sulla conformazione degli illeciti relativi più strettamente all’applicazione giudiziaria. Sistematizzando l’intervento normativo sul punto, si possono oggi ricostruire due illeciti. La viola- zione manifesta della legge, per la cui determinazione si deve tener conto, non solo ma in particolare, del grado di chiarezza delle norme violate nonché della inescusabilità e gravità dell’inosservanza. La vio- lazione manifesta del diritto UE, per la cui determinazione si deve tener conto: a) del grado di chiarezza delle norme violate nonché della ine- scusabilità e gravità dell’inosservanza; b) della mancata osservanza del- l’obbligo di rinvio pregiudiziale; c) del contrasto dell’atto o del provve- dimento con l’interpretazione espressa dalla Corte di giustizia del- l’Unione europea.

Entrambe le ipotesi vengono, ora, escluse dalla copertura della clau- sola di salvaguardia, derivandone che l’interpretazione degli enunciati normativi dia luogo ad entrambi gli illeciti, il che altro non sembra pos-

9 Per le quali si rinvia, anche per i riferimenti bibliografici, al recente J. DE VIVO,

La responsabilità civile dei magistrati: alla ricerca di un “giusto” equilibrio, in www.federalismi.it, 7, 2016.

sa significare se non che un “inescusabile e grave” errore interpretativo del diritto interno e del diritto UE determini l’insorgere della responsa- bilità dello Stato-giudice. La novella normativa che, a nostro avviso, desta maggiori preoccupazioni è l’indice rivelatore consistente nel «contrasto dell’atto o del provvedimento con l’interpretazione espressa dalla Corte di giustizia dell’Unione europea». Si tratta di una sanzione di particolare rilievo nel caso in cui il giudice comune non si adegui ai precedenti giurisprudenziali, in ragione di una, seppur parziale, regola dello stare decisis che sembrerebbe assumere, definitivamente, caratte- re cogente.

2. L’interpretazione espressa dalla Corte di giustizia dell’Unione euro- pea

La garanzia della primauté del diritto euro-unitario è obiettivo che si è tentato di raggiungere, come abbiamo visto, anche attraverso la giuri- sprudenza comunitaria in tema di responsabilità civile dello Stato- giudice.

Il “precedente comunitario”, certamente «segnal[e] del modo – in parte contraddittorio, per la verità – in cui negli ordinamenti di civil law viene inteso il “precedente”»10, ha la caratteristica di garantire il rag-

giungimento dell’obiettivo del primato del diritto dell’Unione in una sua specifica connotazione, vale a dire quella ermeneutico/applicativa: l’attività della Corte, infatti, è volta a garantire che il primato valga, concretamente, con riguardo non alle disposizioni in quanto tali, ma al- le norme euro-unitarie. È stato osservato che la Corte di giustizia sareb- be titolare, in ciò, una sorta di funzione nomofilattica «anticipata […]: la Corte di giustizia stabilisce l’interpretazione-prodotto corretta del di- ritto UE affinché il giudice nazionale non ne assuma, a base della sua pronuncia, una diversa (e, in ipotesi, scorretta)»11.

10 L. PASSANANTE, Il precedente impossibile. Contributo allo studio del diritto giu-

risprudenziale nel processo civile, Torino, 2018, p. 218.

11 M. NISTICÒ, L’interpretazione giudiziale nella tensione tra i poteri dello Sta-

L’attribuzione alla Corte di giustizia del compito di garantire l’inter- pretazione e l’applicazione uniforme del diritto dell’Unione europea, attraverso la formulazione dell’art. 267 TFUE, porta con sé l’inevitabile formale sottrazione del relativo potere interpretativo ai giudici comuni nazionali e, a contrario, esclude che la Corte di giustizia possa interpre- tare autoritativamente il diritto interno agli Stati membri12. La decisione

conclusiva del «giudizio interpretativo incidentale»13 instaurato attra-

verso il rinvio pregiudiziale presenta, però, caratteri peculiari anche in ragione del vincolo che ne deriva.

Innanzitutto, si deve distinguere il caso in cui la Corte decida con sentenza o con ordinanza, ipotesi, quest’ultima, che si verifica allorché la Corte ritenga che la questione pregiudiziale sia identica ad altra già decisa, possa essere agevolmente risolta desumendone la soluzione dal- la giurisprudenza esistente ovvero quando il dubbio interpretativo non sia ragionevole14. L’evidente legame con i propri precedenti, anche

quando non analoghi alla questione de qua ma utili per la ratio che sot- tendono, ha indotto la dottrina a ritenere che proprio l’art. 99 dimostri quanto la costruzione del procedimento pregiudiziale evochi la regola dello stare decisis tipica degli ordinamenti anglosassoni15, conferendo

alle decisioni in parola un valore vincolante anche nella forma dell’au- to-precedente16.

In tutti gli altri casi, invece, la Corte di Lussemburgo decide con sentenza, strumento che, in considerazione del suo oggetto, viene gene- ralmente definito sentenza interpretativa. Nonostante il carattere erme-

12 D.U. GALETTA, Rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE ed obbligo di in-

terpretazione conforme del diritto nazionale: una rilettura nell’ottica del rapporto di cooperazione (leale) fra giudici, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2, 2012, p. 438 ss.

13 E. D’ALESSANDRO, Il procedimento pregiudiziale interpretativo dinanzi alla Cor-

te di giustizia. Oggetto ed efficacia della pronuncia, Torino, 2012.

14 Art. 99 Regolamento di procedura della Corte di giustizia, del 25 settembre 2012

come modificato da ultimo il 19 luglio 2016.

15 In particolare, già P. MENGOZZI, Il diritto comunitario e dell’Unione europea, in

F. GALGANO (a cura di), Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’eco- nomia, Padova, 1997, p. 250 ss.

16 Sul punto si veda, in particolare, G.M. UMBERTAZZI, La Corte di giustizia e il suo

dovere di conformarsi alle sue precedenti decisioni ex art. 177, in Riv. trim. dir. pubbl., 2, 1977, p. 490 ss.

neutico della decisione, la Corte di giustizia ha escluso che il quesito che le venga sottoposto possa avere carattere esclusivamente ipotetico, qualificando il suo giudizio di tipo concreto ed escludendone una fun- zione consultiva17. Tale concretezza si sposa certamente con l’efficacia

endoprocessuale del vincolo della decisione ma, per altro verso, risulta difficilmente conciliabile con quella extraprocessuale18.

Sul primo versante, le sentenze interpretative della Corte di giustizia hanno efficacia vincolante nei confronti del giudice del rinvio nonché degli altri giudici competenti del medesimo fatto concreto, quali, even- tualmente, i giudici dell’impugnazione della decisione adottata dal giu- dice del rinvio. Nel caso in cui, infatti, lo stesso giudice del rinvio dubi- ti della decisione della Corte, sia per quanto riguarda la sua portata sia per quanto riguarda “l’interpretazione dell’interpretazione”, questi può sollevare un nuovo rinvio pregiudiziale avente ad oggetto, in questo caso, la decisione stessa19.

Ciò sembrerebbe configurare un rapporto tra Corte di giustizia e giu- dici nazionali di sovra/sottoposizione. In effetti, non sembra possa ne- garsi che «il rinvio pregiudiziale, pur essendo uno strumento di dialogo, contenga in sé anche una sorta di inevitabile gerarchizzazione»20. L’ef-

ficacia vincolante endoprocessuale, difatti, si fonda sull’assunto per cui la decisione adottata dall’organo competente assoggetti, per il solo fatto di essere assunta dall’organo qualificato, i destinatari di quel provvedi- mento. Vi sono istituti che, però, “indeboliscono” la portata di tale ge- rarchizzazione rafforzando, invece, la funzione collaborativa21 del rin-

vio pregiudiziale. Primo fra tutti l’attribuzione del potere/dovere di im-

17 Per una completa rassegna delle decisioni della Corte in tal senso si rinvia a

E. D’ALESSANDRO, op. cit., p. 38, nota 62.

18 D.P. DOMENICUCCI, Il meccanismo del rinvio pregiudiziale: istruzioni per l’uso,

in Contratto e impresa/Europa, 1, 2014, p. 58 ss.

19 Art. 158, comma 1, Reg. Corte Giust.: «in caso di difficoltà sul senso e la portata

di una sentenza o di un’ordinanza, spetta alla Corte interpretarla».

20 R. ROMBOLI, Corte di giustizia e giudici nazionali: il rinvio pregiudiziale come

strumento di dialogo, in Rivista AIC, 3, 2014, p. 2.

21 Sulla struttura di tale collaborazione si rinvia a P. GAETA, Giudici europei: dialogo

ascendente e discendente. La prospettiva della Corte costituzionale, Relazione tenuta al- l’incontro di studio organizzato dal CSM sul tema “I giudici e la globalizzazione: il dia- logo tra le Corti nazionali e sopranazionali”, Roma, 22-24 giugno 2009, in www.csm.it.

pulso ai giudici nazionali. Quanto al dovere posto in capo ai giudici di ultima istanza, in primo luogo è da evidenziarne la ratio: evitare il con- solidarsi di una giurisprudenza interna contrastante con il diritto UE, intervenendo nell’ultima sede in cui il meccanismo di cooperazione possa, materialmente, essere attivato22. Nonostante il tenore testuale

della disposizione del Trattato, in più occasioni la Corte di giustizia ha limitato la portata di tale obbligo, indicando le ipotesi nelle quali, a fronte della richiesta di parte, i giudici non siano tenuti a ricorrere al rinvio pregiudiziale23. Il giudice, quindi, può evitare di rivolgersi alla

Corte se: non ritenga la questione rilevante24; vi sia una precedente pro-

nuncia interpretativa, sia che derivi da analoga o simile fattispecie sia che se ne possa condividere soltanto la ratio decidendi; il dubbio inter- pretativo non sia ragionevole, tanto da rendere la soluzione interpretati- va evidente25. Tali ultime due condizioni si ricostruiscono secondo le

teorie dell’atto chiarito e dell’atto chiaro. La teoria dell’atto chiaro26

consiste nell’esonero dall’obbligo derivante da una evidenza dell’in- terpretazione corretta tale da rendere del tutto irragionevole il dub- bio. L’evanescenza di tale ipotesi ha, inevitabilmente, condotto la Corte a specificare le condizioni di evidenza e irragionevolezza, richiedendo al giudice di ultima istanza di verificare che l’interpretazione della di- sposizione sarebbe facilmente rintracciabile anche da parte dei giudici degli altri Stati membri e da parte della stessa Corte. A tal fine è richie- sti di tenere in considerazione i caratteri linguistici tipici dell’ordina-

22 A. BARONE, Rinvio pregiudiziale e giudici di ultima istanza, in For. it., n. 9/2002,

382; R. PALLADINO, Portata dell’obbligo di rinvio pregiudiziale, rapporti tra giurisdi- zioni ed effettività del diritto dell’Unione europea tra vecchie e nuove questioni, in www.federalismi.it, 14, 2017, p. 4.

23 Si veda, in particolare, Corte giust., 6 ottobre 1982, C-283/81.

24 Ipotesi che, tra l’altro, non costituirebbe un vero e proprio esonero dall’obbligo

poiché, invero, la sua sussistenza non farebbe nemmeno sorgere un potenziale obbligo in tal senso, mancando il carattere fondamentale della pregiudizialità. In tal senso, A. BRIGUGLIO, Pregiudizialità comunitaria e processo civile, Padova, 1996, 189 cui aderisce M. NISTICÒ, op. cit., p. 152.

25 Si veda, da ultimo, Corte giust., 15 marzo 2017, C-3/16.

26 Su cui, per le sue implicazioni sulla potestà interpretativa del giudice, cfr. G. DA-

MELE, F. PALLANTE, Il rinvio pregiudiziale interpretativo: un (paradossale) ritorno al cognitivismo giuridico?, in Dir. pubbl., 1, 2013, p. 239 ss.

mento euro-unitario, la univoca traducibilità del testo nelle lingue dei vari paesi membri e, non da ultimo, la necessaria interpretazione siste- matica che debba sorreggere la soluzione ermeneutica. L’onere di veri- fica spettante al giudice risulta, però, oggettivamente quasi impraticabi- le, anche solo in considerazione delle competenze linguistiche che que- sto richiede. Si è, infatti, osservato, che in realtà, pur accogliendo aper- tamente la teoria dell’atto chiaro, la Corte abbia finito, specificandola, per rifiutarla concretamente27.

La teoria dell’atto chiarito, invece, risulta di più facile concretizza- zione. Pur presentando anch’essa vari aspetti problematici, non v’è dubbio che l’individuazione di precedenti utili a rendere chiara l’inter- pretazione di una disposizione del diritto UE sia compito concretamente assolvibile.

Quest’ultima teoria si pone in netta connessione con la concezione di precedente propria dell’ordinamento europeo e con la portata del vincolo da esso derivante. Alla luce della teoria dell’atto chiarito, infat- ti, il procedimento di “interpretazione autentica” delle sentenze della Corte di giustizia assume un carattere diverso. Se, in generale, qualora il giudice abbia un dubbio interpretativo su quanto già statuito dalla Corte rimane certamente libero di riproporre la questione sul punto in- dubbiato, l’esonero dall’obbligo di rinvio in caso di precedenti “chiari- ficatori” rafforza la vincolatività del precedente, almeno nei limiti di tale capacità chiarificatrice, anche nei confronti di giudici diversi dal giudice del rinvio.

Sul piano extraprocessuale non sembra possa più28 dubitarsi che le

sentenze interpretative producano effetti erga omnes. Gli elementi a

27 N. CATALANO, La pericolosa teoria dell’«atto chiaro», in Giust. civ., I, 1983,

p. 12 ss.

28 Opinione, tuttavia, originariamente minoritaria, espressa, sul versante nazionale,

da M. ZUCCALÀ, Di una forma di interpretazione giurisprudenziale autentica delle leggi, in Giur. it., IV, 1959, p. 139 ss.; G. FLORIDIA, Forma giurisdizionale e risultato normativo del procedimento pregiudiziale davanti alla Corte di giustizia, in Diritto comunitario e degli scambi internazionali, 1978, p. 1 ss. La tesi maggioritaria, invece, negava che le sentenze interpretative potessero essere ritenute giuridicamente vincolanti nei confronti dei giudici diversi da quelli del rinvio, facendo, in particolare, leva sulla distinzione tra autorità della sentenza, che si esplica nei confronti di tutti, ed effetti giuridici, che si possono produrre soltanto nel processo a quo. Il presupposto di parten-

favore di tale impostazione sono numerosi e di varia natura. Sul versan- te normativo, in primo luogo, è stato osservato che «la natura sostan- zialmente vincolante del precedente nei confronti di tutti i giudici na- zionali, di prima o di ultima istanza, è indirettamente confermata dal- l’art. 99 reg. proc.»29, che consente alla Corte di concludere il proprio

giudizio anche con ordinanza motivata. Sul versante giurisprudenziale interno, inoltre, tanto la Corte costituzionale quanto la Corte di cassa- zione30 hanno, dal canto loro, progressivamente riconosciuto un’effica-

cia sostanzialmente vincolante delle pronunce interpretative, dalla quale