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Di cosa parliamo quando parliamo di nostalgia?

Un percorso semiotico a curve

1.1. Di cosa parliamo quando parliamo di nostalgia?

Una definizione molto generale del concetto di nostalgia, formulata basandosi semplicemente sul significato stereotipico di questa passione, si riferirebbe al ricordo malinconico di un’esperienza positiva, avvenuta nel passato, destinata a non ripetersi più nel tempo presente e futuro. I ricordi e le immagini che vengono in mente possono essere molti: una vacanza di qualche anno fa, un piatto della cucina della nonna che non c’è più, a una canzone alla radio che rimanda a un vecchio amore spensierato.

Ognuna di queste attività, con diverso grado di coinvolgimento, si presentano come evocazioni di ricordi che tornano in auge grazie alla stimolazione generata dalla relazione con l’oggetto (cioè un segno esterno) al quale la memoria nostalgica si lega: una fotografia della vacanza, il piatto della nonna, la canzone d’amore…

A suggerire questa stereotipia è la stessa definizione che dà il dizionario Treccani della lingua italiana, secondo il quale la nostalgia è uno “stato d’animo melanconico, causato dal desiderio di persona lontana (o non più in vita) o di cosa non più posseduta, dal rimpianto di condizioni ormai passate, dall’aspirazione a uno stato diverso dall’attuale che si configura comunque lontano”.

Come si intuisce da questa definizione dizionariale, la nostalgia si lega a un non ritorno. Essendo una emozione negativa, un colore della tristezza che pone il soggetto davanti al fatto che qualcosa – o qualcuno – che un tempo ci ha fatto stare bene, non tornerà più, la nostalgia si è imposta nell’immaginario collettivo come la presa di coscienza di una perdita irrimediabile con la quale non si riesce a venire a patti.

Differentemente da questo senso comune, però, quando si prova a complessificare il significato di questo concetto ci si trova davanti a una biblioteca borgesiana molto più difficile da perlustrare. Questo perché nei secoli, la nostalgia ha significato tante cose, in tanti contesti. Alla nostalgia, infatti, sono stati legati a doppio nodo diversi aggettivi22, da un lato con l’obiettivo di dominare il carattere poliedrico di

questo sentimento che connette la sfera individuale a quella collettiva, dall’altro per stratificarne il significato, tenendo sempre più in basso, sepolto sotto metri e metri di definizioni, quello che la lega solo al rimpianto antiprogressista. Scrive a tal proposito Svetlana Boym (2007: 8): “First, nostalgia is not ‘antimodern’; it is not necessarily opposed to modernity but coeval with it. Nostalgia and progress are like Jekyll and Hyde: doubles and mirror images of one another. Nostalgia is not merely an expression of local longing, but a result of a new understanding of time and space that makes the division into ‘local’ and ‘universal’ possible”23.

22 Come fanno notare Olivia Angé and David Berliner (2015), nel corso del tempo la nostalgia è stata accompagnata da diversi aggettivi: “structural” (Herzfeld 2004), “synthetic” (Strathern 1995), “armchair” (Appadurai 1996), “colonial” (Bissel 2005), “imperialist” (Rosaldo 1989), “practical” (Battaglia 1995), “resistant” (Stewart 1988) e “for the future” (Piot 2010). Tutti queste specificazioni, oltre a definire aspetti micro della cultura e del contesto disciplinare in cui sono stati pensati, hanno permesso alla nostalgia di essere concepita come termine- ombrello, pur essendo continuamente messa in discussione, evitando semplificazioni e banalizzazioni. In relazione a questa moltitudine nostalgica, troviamo illuminati le parole di Eugenio Borgna che nel suo libro L’arcipelago delle emozioni del 2002 usa queste parole per riferirsi a questa rapsodica fenomenologia della nostalgia (2002: 62): “Ci sono nostalgie dolorose e scarnificanti: ci sono nostalgie sognanti e dolcissime; ci sono nostalgie che fanno vivere, e nostalgie che fanno morire; ci sono nostalgie che nascono da esperienze di perdita (perdita di una persona, certo, o trasalimenti smarriti di una persona che si è allontanata, o è scomparsa); ci sono nostalgie di stati d’animo che davano un senso alla vita e che non ri–nascono più: travolti dal fluire ininterrotto del tempo; ci sono nostalgie di un paesaggio (il paesaggio, l’anima di un luogo, non è la geografia: la semplice e arida ricostruzione di un luogo); ci sono nostalgie che una fotografia, le immagini e i fantasmi che risorgono vertiginosamente da alcune fotografie, nasconde e poi ri–vela; ci sono nostalgie che fiammeggiano luminose e poi si inceneriscono: divengono ceneri […]; ci sono nostalgie divoranti e inestinguibili nella loro intensità e nei loro significati; ci sono nostalgie labili ed effimere; e ci sono nostalgie che continuano a incrinare e a sigillare la vita. […] Le molte, le infinite, figure della nostalgia nella loro evanescenza e nelle loro increspature: fuggitive e accorate”.

23 A conferma di ciò, chiamiamo in causa gli studi sulla nostalgia condotti in ambito psicologico (Batcho 2013; Routledge, Arndt, Sedikides e Wildschut, 2008; Routledge, Wildschut, Sedikides, & Juhl, 2013). In particolare, il laboratorio di psicologia dello studioso Clay Routledge ha dimostrato come la nostalgia impatti notevolmente sul sistema immunitario di un essere

Ihab Saloul, professore di Memory Studies all’Università di Amsterdam, criticando l’approccio pigro alla nostalgia, tipico di chi intende questa passione solo come negativa, ha scritto che “according to this view, nostalgia is seen as the opposite to the idea of progress. It supposedly emerges because of an identity crisis or a lack of self-confidence in the present, paralysing political agency in the present, and by and large remaining a sentiment to be shunned” (Saloul 2007: 120, corsivo nostro).

Un buon punto di partenza, quindi, evitando qualsiasi tipo di semplificazione concettuale, è considerare la nostalgia come un fenomeno collettivo strettamente legato alle forme di traduzione. Si tratta, cioè, di considerare la nostalgia come un processo emotivo che permette a una collettività di lavorare, a volte giocare, sulla temporalità, restaurando e inventando memorie che non sono sempre necessariamente legate al passato “reale”.

Da questo punto di vista, la nostalgia è intesa come una “passione–filtro”24 che

garantisce la riscrittura (e il tradimento) dei ricordi in forme della testualità che, per essere comprese, devono essere sempre prodotte “con gli occhi” del presente (cfr. Hartog 2007, trad. it.). Questo filtraggio comporta però un duplice pericolo: “da un lato quello di fare da velo a ciò che nella memoria è più spiacevole e difficile, bloccandone l’elaborazione, dall’altro che il suo uso pubblico abbia proprio la costruzione di questo velo come scopo principale” (Affuso 2012: 120). A tal proposito, Halbwachs (1925: 91) ha scritto:

Gli uomini che non chiedessero alla memoria che di illuminare le loro azioni immediate e per i quali il piacere puro e semplice di rievocare il passato non esistesse […] non avrebbero alcun senso

Back to Move Forward: Nostalgia as a Psychological Resource for Promoting Relationship Goals and Overcoming Relationship Challenges” pubblicato nel 2015 insieme a Andrew A. Abeyta e J. Juhl, Routledge dimostra che il sentimento nostalgico che affligge un soggetto può diventare un “implication for motivation” (Abeyta et al. 2015: 1031). Per approfondimenti e per una genealogia della prospettiva psicologica sulla nostalgia si veda Routledge (2016). 24 Usando il concetto di filtro ci rifacciamo a una specifica tradizione della semiotica della cultura. In particolare, quella che fa riferimento a Juri M. Lotman e Umberto Eco che hanno considerato il passaggio della memoria non come un mero atto di registrazione, di riproduzione copia–originale, ma come un processo ideologico in cui qualcosa inevitabilmente viene lasciato indietro, inascoltato, mentre altro viene magnificato ed enfatizzato.

della continuità sociale. Ed è per questo che la società ogni tanto obbliga gli uomini, non solo a riprodurre nel pensiero gli eventi passati della loro vita, ma anche a ritoccarli, a toglierne qualcosa, a

completarli in modo che, convinti che i nostri ricordi siano esatti, gli attribuiamo un prestigio che la realtà non possedeva (corsivo nostro).

La nostalgia come filtro (che a volte somiglia più a un paraocchi per cavalli) è “responsabile” della forma che assume la dimenticanza, contribuendo al taglio ideologico (à la Eco 1975). Il risultato è una magnificazione euforizzata, anestetizzata contro ogni conflitto narrativo. In questo caso il filtro appassionato si pone come uno strumento di “promozione”: un’elevazione passionale a potenza25.

Per comprendere il condizionamento che questo tipo di filtri può generare anche all’interno della cultura, desideriamo partire dalla teoria echiana “non allarmista” sui filtri della memoria. Per Eco, non tutte le dimenticanze sono negative. Alcune servono a preservare la cultura e razionalizzare la forma della conoscenza e indirizzare una particolare Enciclopedia Media.

Essa ci garantisce il ricordo dei grandi fatti storici o dei principi della fisica, ma lascia cadere un’infinità di informazioni che la collettività ha rimosso, in quando non le giudicava utili o pertinenti. Per esempio l’enciclopedia media ci dice tutto quanto occorre sulla morte di Giulio Cesare ma nulla su quello che ha fatto la sua vedova Calpurnia negli anni successivi, ci fornisce dettagli preziosi sull’andamento della battaglia di Waterloo ma non ci dice il nome di tutti coloro che

25 Fuor di metafora, l’idea dei filtri della nostalgia possono essere comprensi anche guardando a dei fenomeni sociali trova diverse applicazioni pratiche sociali “meno memoriose”. Esistono, per esempio, dei social network in cui è possibile condividere con altri utenti immagini fotografiche scattate con il proprio cellulare. Prima di modificarle, però, all’utente è data la possibilità di modificare la fotografia inserendo dei filtri che replicano l’estetica della fotografia analogica. Cambiando il piano dell’espressione attraverso l’introduzione di effetti seppia vari, si ha un proporzionale cambiamento anche a livello del contenuto dell’immagine fotografica, che assume dei significati più malinconici, evocativi e poetici (perché quel tipo di estetica è culturalmente connesso a quei significati). Questo tipo di filtro non solo cambia esteticamente i colori e le saturazioni della fotografia ma permette anche di fare un discorso sulla

pastitizzazione, cioè sulla esplicita volontà di antichizzare un oggetto semiotico. Sembra, in

questo caso, che le qualità estetiche di un oggetto siano direttamente proporzionali alla percentuale retrò che possiede. Il testo fotografico “filtrato” si atteggia a testo antichizzato, diventando non tanto testo manifesto di una esperienza del soggetto, quando un racconto sulle forme privilegiate della rappresentazione, in cui il passato viene caricato di valori euforici ed estetici, innescando quella che Davis (1979) ha definito una esperienza estetica della nostalgia. Per un approfondimento sul rapporto tra fotografia digitale e post-produzione retrò si veda Niemeyer (2014) e Panosetti (2015a).

vi hanno partecipato – e così via. Si tratta di “dimenticanze” utilissime (Eco 2007: 89).

Le parole del professore sono in parte vere, ma dal nostro punto di vista, non senza problemi. Che fare se l’enciclopedia media di cui ci occupiamo è fascista e nostalgica?

Una enciclopedia media in cui si sa poco o nulla di Calpurnia è certo meno problematica di una in cui si sa fin troppo (nel senso che alcune informazioni sono in surplus perché inventate) della figura di Benito Mussolini. Come scrive Valentina Pisanty (2013: 18), in questa teoria manca “the reference to power; that is, to the unevenly distributed ability to shape the form and the substance of commemorative processes”. Rispetto a questo punto, precisa ancora la semiologa:

the cultural filters that select the episodes considered memorable depend on the concerns and dominant ideologies of the societies that they refer to. Consequently, the Encyclopaedic model of a “blind” memory, devoid of intention, agency and direction, should be reviewed in light of the obvious fact that, within the mass of interconnected nodes that constitute shared knowledge, certain connections (those more involved in the self–definition of groups) are carefully guarded, incessantly reiterated, and at the same time exposed to the attacks of alternative subjects seeking to establish control over them (ivi: 18).

Della stessa idea è anche Patrizia Violi che in un contributo del 2017 spiega come il filtraggio non sia né causale, né il risultato di una decisione apolitica o ingenua.

Anche se “la Storia” viene trasmessa come “naturale”, come insiste Eco, si tratta sempre di un punto di vista che irradia valori sociali e lascia intendere quali sono le gerarchie.

Per esempio, una storia fatta dagli uomini e non dalle donne, dai generali e non dai soldati, dai grandi eventi e non dalla vita quotidiana. Tanto che questi presupposti sono stati discussi e altre storie sono nate, dalla metà del secolo scorso, che hanno posto al centro della loro attenzione proprio la vita quotidiana di chi non ha nome, le donne, le abitudini materiali e così via, costruendo un sistema di filtraggio completamente diverso (Violi 2017: 205).

Per questo motivo, nel considerare la nostalgia come passione filtro, bisogna tenere conto delle forme di potere che in un dato momento storico condizionano la trasmissione della memoria e di una presunta “verità storica”, facendo attenzione a ciò che può essere considerato ricordabile e ciò che invece vale la pena dimenticare o rimpiangere o edulcorare. Come abbiamo detto nell’introduzione, usando Kundera, avere fiducia del filtro proposto dalla nostalgia, potrebbe essere un atto di “memorabile” ingenuità.

La nostalgia, sorella bistrattata della memoria26, deve essere indagata, quindi,

non come un semplice “sentimento di rimpianto malinconico verso ambiti di esperienza del passato, che sorge da un’insoddisfazione nei riguardi del presente” (Pethes e Rüchatz 2001: 389) ma come una vera e propria forma di risemantizzazione del passato ma anche del presente. Questo, a una prima lettura, non la renderebbe poi così diversa dalla “classica” memoria, se non per il fatto che chi la indaga riesce a comprendere meglio non solo i meccanismi di traduzione, ma anche quelli di “produzione” appassionata della temporalità dalla quale il passato emerge come “oasi di pace […] da cui la personalità frammentata riceve un senso di equilibrio” (ivi: 340).

Questo primo capitolo è diviso in cinque parti. La prima sezione è votata allo studio della particolare storia semantica di questo sentimento, in modo da poter comprendere il contesto all’interno del quale la nostalgia è stata coniata e come si sia evoluta arrivando a invadere i campi semantici più diversi. Partendo dalla definizione di cosa era la nostalgia (§ 1.2.), si arriverà successivamente a considerare cosa è oggi (§ 1.3.) all’interno del campo interdisciplinare delle scienze umane e sociali. In particolare, si considereranno contributi legati alla sociologia e all’antropologia, che più di altre discipline hanno indagato questo fenomeno da un punto di vista collettivo. Infine, nella ultima parte si concederà ampio spazio a una “semiotica della nostalgia”, (§ 1.5.),

26 Il rapporto tra memoria e nostalgia è molto articolato e pretende delle puntualizzazioni. Se la memoria è teoricamente deputata alla ricostruzione della “durata” tra il passato, il presente e il futuro, la nostalgia si configura come una “presa di coscienza” (cfr. Greimas 1986) della distanza che si configura tra il presente e il passato. “Se l’una è quell’atteggiamento dell’altra attraverso cui prende forma una rappresentazione emotivamente connotata del passato, inevitabilmente esse costituiscono elementi coessenziali di uno stesso processo. Ed è proprio nell’intreccio tra nostalgia e memoria che si gioca il problema del senso del tempo e della Storia,

dopo aver dato brevemente conto di dell’approccio semiotico al tema della passionalità (§ 1.4.).