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Predappio, caso di studio difficile

Come si “pratica” nostalgia negli spaz

3.1. Predappio, caso di studio difficile

Predappio è un piccolo comune a circa 40 minuti di autobus da Forlì, famoso per aver dato i natali a Benito Mussolini. Il motivo per cui l’abbiamo eletto a caso di studio è legato alle pratiche nostalgiche che si svolgono tra la piazza centrale del paese e il cimitero comunale, soprattutto in occasione dell’anniversario della nascita e della morte dell’ex–dittatore d’Italia (29 luglio e 28 aprile) e della marcia su Roma (28 ottobre).

Conosciuta a livello internazionale con l’appellativo di “Betlemme nera”, Predappio oggi è al centro di un grande dibattito circa l’eredità del fascismo nel paesaggio della memoria italiano. In queste pagine ci occuperemo di come, attraverso le suddette pratiche, lo spazio urbano di Predappio, sia stato “colonizzato” dall’immaginario nostalgico appartenente a chi vede in Mussolini un idolo e un mito (in senso barthesiano) perduto.

Abbiamo titolato questo paragrafo “Predappio, caso di studio difficile”, giocando su un doppio binario teorico. Il primo, di natura semiotica, insiste sul fatto –

più volte ricordato nei capitoli precedenti (si veda in particolare § 2.2.1. e § 2.2.6.1.) – che studiare uno spazio urbano significa complessificare le scelte di analisi, allargare lo sguardo ai satelliti e non solo al pianeta, considerando anche le soggettività che lo animano e i discorsi che a cascata si susseguono su e intorno ad esso.

Per questo Predappio è “difficile”.

Non lo diciamo certo per captatio benevolentiae, ma perché il sistema della nostalgia di questo piccolo comune è il frutto maturo nato dalle stratificazioni di più spazi e di più azioni. Predappio è una pasta sfoglia103 testuale: per arrivare alla sua essenza

bisogna procedere per livelli di comprensione semiotica che si rifanno uno all’altro, perché compenetrati uno all’altro. Questa sommatoria, che corrisponde agli spazi a cui presenteremo attenzione nelle prossime pagine, è rappresentata da

(i) la Cripta della famiglia Mussolini, in cui è sepolto l’ex duce;

(ii) Villa Carpena, detta anche Villa Ricordi, vecchia residenza di Mussolini ora museo privato;

(iii) i negozi di souvenir che vendono cimeli “autentici” e fascisti104.

Non solo rimandi semiotici, però. L’aggettivo “difficile” va letto anche sotto un’altra luce bibliografica. In particolare, mi riferisco a un testo del 2008, Difficult Heritage di Sharon Macdonald. Studiando il patrimonio nazista nella città di Norimberga – fortemente legata ai crimini nazisti oltre che sede del processo che, a

103 Preferiamo il modello “a pasta sfoglia” proposto da Greimas (1970) a quello della “matrioska” di Fontanille (2008) perché nel secondo, pur essendo sottesa una certa dipendenza di un livello all’altro, comunque è prevista una gerarchia ben definita, che nel nostro caso non farebbe giustizia alle relazioni incoerenti presenti tra gli spazi di Predappio.

104 Da questo elenco abbiamo escluso sia (i) la casa natale di Benito Mussolini che la grande (ii) ex-Casa del Fascio e dell’Ospitalità di Predappio, al centro del dibattito per la realizzazione, nei suoi spazi, di centro di documentazione sui fascismi. Quello che i giornali internazionali hanno definito il primo “Museo del Fascismo” italiano.

Abbiamo deciso di “tagliare” così il nostro corpus perché nel primo caso (i) si tratta di uno spazio pubblico, usato come spazio per esibizioni e mostre temporenee, di proprietà del comune di Predappio, nel quale sono vietate manifestazioni nostalgiche. Nel secondo caso, invece, (ii) pur essendo di grande interesse, siamo convinti ci avrebbe allontanato dal nostro primario obiettivo di ricerca perché si tratta di un progetto ancora irrealizzato. In ogni caso, sulle perplessità circa la costruzione di questo museo nella città di Mussolini, di come riteniamo sia una “infelice sineddoche”, rimandiamo a un contributo che abbiamo scritto per la rivista

secondo conflitto mondiale ormai terminato, ha incriminato i gerarchi di Hitler – la studiosa definisce il patrimonio difficile, il difficult heritage appunto, come un insieme di palazzi, monumenti, tracce urbane che sono “degni” di essere ricordati, restaurati e preservati, ma che allo stesso tempo generano nella cultura in cui sono inseriti una serie di frizioni, paure, spaccature memoriali e conflitti diplomatici. Più precisamente, usando le sue parole:

It looks at what I call “difficult heritage” – that is, a past that is recognized as meaningful in the present but that is also contested and awkward for public reconciliation with a positive, self-affirming contemporary identity. “Difficult heritage” may also be troublesome because it threatens to break through into the present in disruptive ways, opening up social divisions, perhaps by playing into imagined, even nightmarish, futures. (Macdonald 2008: 1)

Cosa fare delle sedi della polizia nazista nelle grandi città tedesche? Qual è il miglior modo di trasmettere la memoria traumatica evitando di glorificarne o di normalizzarne l’interpretazione? Cancellare o rifunzionalizzare? Quando si opta per la seconda, in che modo il passato che appartiene indessicalmente allo spazio105 può essere

risemantizzato, valutato criticamente, evitando di osannarlo?

Sono queste le domande principali a cui l’antropologa inglese ha provato a dare conto all’interno del suo libro. Le risposte, ovviamente, trovano una loro coerenza in ottica locale e contestuale. Il fatto che la Germania, sia a livello giuridico che a livello culturale, abbia avuto, a tratti subìto, la sua sanzione con il processo di Norimberga, non è un dato da sottovalutare in un discorso sulla rifunzionalizzazione degli spazi. Avere avuto un momento da cui ricominciare, un anno zero, simile più a un complicato processo di riconciliazione diplomatico che a una nuova limpida alba, ha permesso alla cultura tedesca di elaborare e interpretare il passato come “traumatico” anche attraverso lo spazio.

A questa prima discussione, Sharon Macdonald fa seguire un secondo punto, più legato alla conservazione delle identità collettive attraverso il patrimonio ereditato.

La questione innovativa, che discosta il lavoro della studiosa dagli altri condotti fino a quel momento (cfr. per esempio Hershkovitz 1993; Johnson 1995; Atkinson &

Cosgrove 1998; Benton-Short 2006), sta nel considerare le identità collettive strettamente connesse alle forme di elaborazione di una eredità spaziale complessa. La letteratura sociologica, antropologica e geografica sui monumenti e sui memoriali ci ha abituato a considerarli come “strumenti del potere”, che veicolano particolari messaggi e costruiscono identità, dettando l’agenda sulle gerarchie valoriali e su ciò che può essere rappresentato o no. Macdonald problematizza la questione adottando un punto di vista diverso, non tanto focalizzato sulla “costruzione” quanto sulla “conservazione”, cioè sul mantenimento di un equilibrio identitario in condizioni di post-conflitto. Così facendo, l’antropologa sposta l’asticella temporale e al ben noto problema della formazione delle identità contrappone quello altrettanti complesso della rielaborazione del proprio passato attraverso ciò che rimane.

Guardando al contesto italiano, Predappio, dal nostro punto di vista e partendo da questo framework teorico, gioca una partita da titolare. È uno “spazio difficile” perché “effetto” urbano della emblematica divisione all’interno della cultura italiana (cfr. Foot 2009), incapace di interpretare il passato fascista in maniera univoca e di evitare che revisionismi nostalgici mettano in discussione la traumaticità del Ventennio. Oltre a questo, quel che è ancora più interessante è la costruzione semiotica di Predappio come spazio della memoria, prima ancora che come spazio della nostalgia.

A ben guardare, considerando anche la definizione di “spazio della memoria” data nel paragrafo § 2.1.3. Predappio si configura come un’entità spaziale sui generis.

Non è qui che il partito fascista è stato fondato, non è qui il famoso balcone dal quale Mussolini ha dichiarato guerra agli alleati osannato da una folla “inconsapevole”, non è qui che i partigiani hanno vilipeso il suo corpo appendendolo a testa in giù alla pensilina di un distributore di benzina. Non un bombardamento, non un evento traumatico – per fortuna, ovviamente. Questa precisazione sulla non specificità memoriale o indessicale di Predappio è necessaria perché apre le porte al secondo livello di analisi: la sua simbolicità legata al rapporto stretto sia con la biografia (pre-) politica

di Benito Mussolini che con la feticizzazione del suo corpo morto, sepolto nella cripta di famiglia nel cimitero comunale di San Cassiano dal 1957106.