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Il progetto di una semiotica della memoria culturale

Come è noto, una delle lezioni più importanti della semiotica della cultura precisa che investigare la memoria significa parlare della cultura stessa17. In particolare,

i lavori di Juri M. Lotman (1984, 1990, 1993, 1994, 1998), di Umberto Eco (1975, 1984a, 1997, 2006, 2007) e della scuola bolognese di semiotica della memoria (cfr. in particolare Paolucci, Violi, Lorusso, Seghini, Odoardi, Granelli, Meneghelli, Razzoli, Mazzucchelli, Salerno, Codeluppi 2008; Demaria 2006; Lorusso 2010, 2013; Mazzucchelli 2010; Salerno 2018; Violi 2014b) e della semiotica della cultura italiana in generale (cfr. in particolare Leone 2015; Pisanty 1998, 2012; Pozzato 2006, 2010a; Pozzato, a cura di, 2010; Sedda 2003, 2006b) hanno dimostrato come le “onde della cultura” (Lotman 1985: 144) siano gonfiate e portare a riva dai moti esplosivi e incoerenti del ricordo. A tal proposito va ricordato come negli ultimi anni la Semiotica della cultura abbia iniziato a reclamare l’importanza del suo contributo nello studio della memoria anche in ambienti in cui la semiotica è certamente una disciplina marginale18, mettendo alla prova il suo stesso metodo.

17 Nello specifico, Lotman e Uspenskij (1975: 43) definiscono la cultura come la “memoria non ereditaria della collettività”. Questo significa che la cultura è il risultato mai omogeneo di tutti i testi che una cultura produce per autorappresentarsi e per differenziarsi dalle altre forme culturali. È importante precisare che la cultura non è un deposito immobile e statico nella quale tutte le informazioni vengono immagazzinate e abbandonate a far polvere. Si tratta, al contrario di un fenomeno magmatico, in cui la costante codifica e decodifica di testi e pratiche produce dei continui sommovimenti traduttivi.

18 Durante la seconda conferenza della Memory Studies Association, tenutasi a Copenhagen nel 2017, il gruppo di ricerca su traumi e culture del post-conflitto “Trame” diretto da Patrizia Violi, di cui chi scrive ha fatto parte durante gli anni del dottorato, ha per la prima volta presentato in maniera organica una ricerca titolata “Why a Semiotic Approach: Some Basic

Visto il quadro generale proposto nel paragrafo precedente, più focalizzato sulle forme di mutuo interesse tra Semiotica e Memory Studies, vorremmo ora “ri-cercare la strada”, proponendo quali sono i punti teorici fondamentali che fattivamente o potenzialmente tengono insieme questi due ambiti del sapere scientifico.

Il primo aspetto che bisogna tenere a mente, che avremo modo di approfondire nel § 2.1.2., è che la Semiotica e i Memory Studies considerano la “memoria culturale” non una facoltà della mente, ma come un risultato di interazioni sociali e di ritagli ideologici. Entrambi, quindi, non si occupano “del come si ricorda, ma di come questo ricordo si inscrive nei testi, si fa documento, si testualizza” (Violi 2015: 263).

Come ha scritto Demaria in Semiotica e Memoria. Analisi del post-conflitto, se esiste una pertinenza squisitamente semiotica della “questione della memoria” sta proprio nell’indagine che concerne la “testualizzazione delle identità, per identificare i processi di moralizzazione di una nazione, o per indagare i rituali attraverso cui si sincronizzano le temporalità degli attori sociali, discriminando tra ciò che è passato, e di conseguenza stabilendo ciò che è presente, e quindi ciò che sarà futuro” (Demaria 2006: 13).

Allo stesso modo, nei Memory Studies si è passati dallo studio dei “quadri sociali” così come proposti da Maurice Halbwachs, cioè le interazioni sociali che permettono la costruzione di comunità della memoria che condividono forme del ricordo, a un approccio più culturologico focalizzato sui testi che permettono il traghettamento mai quieto dei ricordi. Forti degli insegnamenti sociologici, le studiose e gli studiosi hanno iniziato a considerare come fondamentali i lavori di Jan Assmann che per primo introduce il concetto di cultural memory nel dibattito internazionale:

Il concetto di “memoria culturale” concerne una delle dimensioni esterne della memoria umana. Noi tendiamo a immaginarci la memoria come un fenomeno puramente interiore, localizzato nel cervello dell’individuo, dunque oggetto della fisiologia cerebrale, della neurologia e della psicologia, ma non delle scienze storiche della cultura. Eppure i contenuti di questa memoria, il modo in cui

considerati non solo come metafore della cultura e della memoria ma anche come veri e propri strumenti di analisi di casi concreti. Il risultato di questo panel è in pubblicazione per l’Amsterdam University Press nel 2020 con il titolo Seeing Memory Sites Through Signs. What

essa li organizza, e la durata di tempo in cui riesce a conservare qualcosa sono in larghissima misura una questione non di controllo o di capacità interiori, bensì di condizioni quadro esterne, ossia sociali e culturali (Assmann 1992: XV).

Ad un orecchio semiotico, queste parole suonano molto familiari. Infatti, la ricerca di Assmann, incrementata da quella di sua moglie Aleida, è dichiaratamente ispirata al lavoro di Juri Lotman e degli altri studiosi della scuola di semiotica di Tartu- Mosca. Ne La memoria culturale Jan Assmann scrive di questa affiliazione intellettuale: “A partire dal concetto di situazione dilatata si sviluppò ciò che più tardi Aleida Assmann e io, ricollegandoci a Juri Lotman e ad altri teorici della cultura, abbiamo definito la “memoria culturale” (ivi: XVII)19. Sfortunatamente però, pur essendoci una

citazione esplicita, la ricezione di Lotman20 è andata lentamente perdendosi nei Memory Studies. Alcuni lavori di interessante connessione tra le due discipline sono stati condotti da Marek Tamm, professore di Cultural History all’Università di Tallin, che in

19 Oltre a questo, Aleida Assmann, in un’intervista-video pubblicata sul sito dell’Università di Utrecht nel 2017, in cui le viene chiesto di spiegare il concetto di “cultural memory”, spiega fin da subito che “it is easiest to go back to another concept that was really influential in my thinking about this whole topic and this is a formula pointed by Juri Lotman and Boris Uspenskij who wrote about culture and defined culture as the memory of a society that is not transmitted by genes. So, it it cannot be inherited biologically it has to be transmitted via symbols. This is really the key idea and the starting point of the development of any idea of cultural memory”.

L’intera intervista è reperibile a questo link: https://www.youtube.com/watch?v=Hjwo7_A-- sg

20 Bisognerà attendere gli anni Sessanta perché i libri di Lotman arrivino sulle scrivanie d’Europa – in Italia e Francia in particolare – superando i confini dell’Unione Sovietica e facendo interrogare gli studiosi sul potenziale di questo nuovo modo di studiare la cultura. Largamente studiato (anche se non totalmente tradotto) in ambito semiotico, Lotman e i suoi concetti più fortunati, quali “semiosfera”, “confine”, “sistema”, “autocomunicazione” e “memoria”, dagli anni Novanta in poi affascinano una nuova generazione di ricercatori che declinano le pagine del semiologo russo in ottica interdisciplinare, condizionati dal “cultural turn” del pensiero scientifico. Anno zero di questa contaminazione è il 1999, quando all’Università del Michigan si è organizzato il convegno “The Works of Iurii Lotman in an Interdisciplinary Context: Impact and Applicability” che per la prima volta, almeno a livello ufficiale, ha visto antropologi, sociologi e scienziati politici confrontarsi direttamente con la bibliografia del semiologo russo. Sulla ricezione internazionale di Lotman e sul rapporto tra le teorie dello studioso russo e i Cultural Studies si veda Lotman and Cultural Studies: Encounters and

Extensions a cura di Schönle (2006) e Conversations with Lotman: Cultural Semiotics in Language, Literature, and Cognition di Andrews (2003), oltre che la voce “Juri Lotman” dell’Oxford Bibliographies scritta da Lorusso (2019a).

due occasioni – “Semiotic Theory of Cultural Memory: In the Company of Juri Lotman” (2015), un contributo pubblicato in The Ashgate Research. Companion to Memory Studies, e nel testo Culture, Memory and History: Essays in Cultural Semiotics (cfr. Lotman 2019) di prossima pubblicazione – propone in maniera organica i contributi (anche inediti) dello studioso russo relativi al contesto della memoria culturale.

Complementariamente all’approccio lotmaniano, il progetto di una semiotica della memoria culturale viene ripreso organicamente nel numero 116 della rivista Versus, “Politiche della memoria. Uno sguardo semiotico”, a cura del centro di ricerca “Trame” dell’Università di Bologna. In particolare, nell’introduzione di Anna Maria Lorusso (2013: 3) sono proposti alcuni passaggi metodologici da tenere a mente per comprendere “l’utilità di un approccio semiotico alla memoria”.

Il primo suggerimento che viene dato è quello di pensare al significato degli eventi considerando la loro natura interpretativa, soggetta cioè a logiche negoziali che rimaneggiano e traducono costantemente ciò che viene ricordato. Da qui la precisazione che per lavorare sul ricordo testualizzato è necessario adottare una “concezione enciclopedica del senso” (ivi: 4), basata cioè sull’idea che ogni unità culturale è inserita in una rete rizomatica di significati che creano una versione sempre nuova del passato, ora illuminando ora offuscando alcuni elementi. “Questa concezione enciclopedica del senso è particolarmente utile alle riflessioni sulla memoria perché consente di evidenziare, attraverso una analisi semantica e pragmatica, le diverse declinazioni che un certo evento può avere, a seconda del quadro in cui si inserisce” (ibidem). Alla teoria echiana vengono affiancati anche strumenti di analisi proposti dalla semiotica di tradizione francese. In particolare, per l’analisi dei testi della memoria risultano centrali i concetti di “destinazione”, “modalità di enunciazione” e “aspettualità”. Questi strumenti analitici permettono di considerare lucidamente le trame del senso che si danno nella narrazione, dimostrando in che modo un ricordo riesce a essere normalizzato e solidificato come credenza.

L’insegnamento che da queste riflessioni deriva è che la memoria debba essere sempre intesa come come “effetto” generato da delle lotte (Sedda 2002: 28) in cui è in gioco l’affermazione identitaria della cultura stessa.