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La Dialettica della ragion pura pratica: il sommo bene

Capitolo 4. La prospettiva trascendentale: il problema della mediazione tra

4.2 La Kritik der praktischen Vernunft: la realtà oggettiva della libertà

4.2.3 La Dialettica della ragion pura pratica: il sommo bene

Il momento fondativo della morale kantiana, come s’è appena visto, astrae rigorosamente da qualsiasi considerazione circa il contenuto dell’azione. La ragione pratica, nel determinare da sé il volere, dimostra la propria indipendenza dal pensiero teoretico–intellettuale – che diviene tuttavia imprescindibile, qualora al centro della ragionamento si pongano le conseguenze o le prospettive di successo dell’agire razionale. Sarà in questo delicato ganglio problematico che prenderà forma lo scottante quesito – già annunciato nell’Introduzione al presente capitolo – relativo alla realizzabilità del dettato morale nel mondo fenomenico.

Tale problematica – che si situa al cuore della riflessione condotta nella terza Critica – risulta invece ancora estranea all’orizzonte maturato nella Kritik der praktischen Vernunft. La teoria del sommo bene, sviluppata nell’ambito della sua Dialettica, non detiene alcuna stretta rilevanza in relazione a quello che Krämling ha definito, efficacemente, il “problema della applicazione o della realizzazione della libertà” (Anwendungs– oder Realisierungsproblem von Freiheit).48

L’interprete individua, nell’itinerario di pensiero kantiano, tre differenti elaborazioni della teoria del sommo bene. La prima è ospitata nella Methodenlehre della Kritik der reinen Vernunft, dove Kant traccia una possibile unificazione tra la ragione pratica e la speculativa.49 Ad essere espressa è infatti la necessità di

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Cf. G. Krämling, Die systembildende Rolle von Ästhetik und Kulturphilosophie bei Kant, Alber, Freiburg/München: 1985, pp. 54 e seguenti. Lo studio di Krämling – uno dei lavori monografici sulla terza Critica più attenti alle questioni sistematiche ivi trattate – non tralascia un ampio riferimento alle due Critiche precedenti, filtrato proprio da quelle domande che irrompono nella

Kritik der Urteilskraft. La breve riflessione intorno alla dottrina del sommo bene, che sarà condotta

in questo paragrafo, è largamente debitrice della sua analisi.

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rappresentare il mondo come scaturente da un’idea: esso deve “essere in accordo con quell’uso della ragione, in mancanza del quale noi stessi ci reputeremmo indegni della ragione; in accordo cioè con l’uso morale, che poggia interamente sull’idea del sommo bene”. Conformemente a questo, l’intera ricerca naturale viene “indirizzata verso la forma d’un sistema dei fini”: dall’ideale del sommo bene, cioè, sorge una posizione teoretica, che si concretizza in una considerazione teleologica della natura. Nella Kritik der praktischen Vernunft, invece, la sfruttabilità teoretica dell’idea pratica è oggetto di una rigida esclusione: la Faktumlehre sancisce la definitiva indipendenza della ragione nel suo uso pratico. E’ nella dimostrazione della fondatezza della legge morale – indipendentemente da qualsiasi considerazione relativa all’efficienza pratica – che consiste l’autentico obiettivo perseguito dalla seconda Critica. Tale sforzo determina, altresì, la specifica impostazione assegnata alla Dialettica, nel cui ambito viene discussa la dottrina del sommo bene: il suo compito non è quello di addentrarsi in questioni di interesse teleologico–naturale; ben di più, il suo obiettivo prioritario consiste nel difendere la ragion pura pratica da una presunta obiezione – tesa a confutare, tramite il rinvio all’ineludibile aspirazione umana alla felicità, l’incondizionatezza della legge morale. Tramite la dottrina del sommo bene, Kant è in grado di dimostrare come una ragione pratica, che riconosce l’ineludibilità dei bisogni umani nel mondo, è tuttavia capace di illustrare e fondare il concetto del bene in sé – indipendentemente da qualsiasi rinvio alla molteplicità dei fini soggettivi.50 La mediazione tra

modo proporzionato”. In seguito all’introduzione di quest’idea, Kant sviluppa sulla via della fede dottrinale l’ideale del sommo bene. Quest’ultimo viene definito come l’idea di una “intelligenza” in cui “il volere moralmente più perfetto, congiunto con la somma beatitudine, è la causa di ogni felicità nel mondo, in quanto questa è in diretta connessione con la moralità”. Krämling fa notare come l’orizzonte problematico, entro il quale, prioritariamente, si inserisce la discussione dell’idea del sommo bene, sia qui la ricerca di un “canone della ragione” – e non il problema di un collegamento tra virtù ed aspirazione alla felicità.

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In apertura alla Dialettica [KpV, pp. 192 (253) e segg.], Kant ne rende esplicita la posta in gioco: nel sommo bene, la ragione pura pratica “cerca per il praticamente condizionato (che riposa sulle inclinazioni e sul bisogno naturale) anche l’incondizionato”: non come “principio determinante della volontà” (che è già dato nella legge morale), ma come “totalità incondizionata dell’oggetto della ragion pura pratica”. A costituire il sommo bene sono virtù e felicità: tra le due componenti, tuttavia, dev’essere individuato un rapporto di subordinazione. La virtù, infatti, coincide con il “bene supremo”, mentre la felicità “non è buona per se stessa […], ma suppone sempre, come sua condizione, la condotta morale conforme alla legge”. Il “promuovimento del sommo bene” viene

l’inevitabile aspirazione dell’uomo alla felicità, da una parte, e la purezza della legge morale, dall’altra, viene tuttavia solo pensata nell’idea – senza che, ad essere messa in conto, sia la possibilità di un passaggio tra l’idea e la realtà. L’introduzione dei postulati della ragione (l’immortalità dell’anima, la libertà considerata positivamente e l’esistenza di Dio), accanto alla definitiva interpretazione del sommo bene come una condizione ultraterrena, verso la quale dirigere le proprie speranze (o la propria fede), sottrae qualsiasi significato teleologico–immanente a tale idea.51 Espresso in altri termini: nella Kritik der praktischen Vernunft, la cui dottrina si presenta come sistematicamente indipendente dalla filosofia della natura, il sommo bene non è affatto concepito come quello “scopo finale” della ragione (Endzweck der Vernunft), aspirante a tradursi in realtà nel mondo fenomenico: il suo status è, piuttosto, quello di un’idea pratica, a cui è dato trovare la propria compiuta realizzazione solo nel regno dei fini.52

ritenuto da Kant un “oggetto necessario a priori della nostra volontà” ed, in quanto tale, “inseparabilmente congiunto con la legge morale”.

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Il problema della “completezza necessaria” della componente principale del sommo bene, ovvero la moralità, non potendo essere “risolto del tutto se non nell’eternità”, conduce al postulato dell’immortalità: è doveroso ammettere, cioè, “una durata proporzionata alla esecuzione integrale della legge morale”. L’esistenza di Dio viene postulata, invece, in relazione alla “possibilità del secondo elemento del sommo bene, che consiste nella felicità proporzionata a questa moralità”. Occorre infatti ammettere “una causa dell’intera natura, diversa dalla natura stessa, tale da contenere il principio di questa connessione”. “Tale causa suprema deve contenere il principio dell’accordo della natura non soltanto con una legge della volontà degli esseri razionali, ma con la rappresentazione di questa legge in quanto tali esseri ne fanno il motivo determinante supremo della volontà”. Essa andrà dunque identificata con un “essere tale che, mediante l’intelletto e la volontà, è causa (perciò autore) della natura; cioè Dio”. Al termine della sua ampia riflessione, Kant conclude: “stando al corso semplicemente naturale del mondo, non bisogna né aspettare né ritenere impossibile una felicità rigorosamente proporzionata al valore morale”: “la possibilità del sommo bene può essere ammessa solo in base al presupposto di un autore morale del mondo”. Cf. KpV, pp. 219 (269) e seguenti.

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Eloquenti le parole di Kant in chiusura al paragrafo dedicato all’immortalità dell’anima: “per quanto concerne la speranza di questa partecipazione al sommo bene, alla creatura si addice soltanto la coscienza precisa della propria intenzione, in modo da sperare, dal progresso finora realizzato da ciò che è moralmente peggio a ciò che è moralmente meglio e dal proposito fermo che essa ha così conosciuto, una continuazione ininterrotta di questo progresso fin che la sua esistenza può durare e anche al di là di questa vita e, di conseguenza, una completa conformità alla volontà di Dio (senza indulgenza o remissione che non si accordino con la giustizia) mai raggiunta quaggiù né in alcun momento immaginabile della sua esistenza futura, ma soltanto nell’infinità della propria durata

Sarà nella terza Critica – e, oltre ad essa, nella Religion innerhalb der Grenzen der bloβen Vernunft, nello Über den Gemeinspruch: das mag in der Theorie richtig sein, taugt aber nicht für die Praxis e nel postumo Preisschrift über die Fortschritte der Metaphysik – che l’idea del sommo bene andrà a coincidere proprio con quella dello Endzweck (scaturito dalla ragion pura pratica), teso a realizzarsi nel processo storico dell’agire razionale.53 In ciò si compendia, secondo l’analisi di Krämling, la terza elaborazione kantiana della dottrina del sommo bene. La legge morale lascia senza risposta la domanda circa la realizzabilità dei fini razionali nel mondo fenomenico: proprio in questo consiste una delle magistrali questioni che la terza Critica dovrà affrontare.

4.3 La Kritik der Urteilskraft: la realizzabilità della libertà nella