Capitolo 4. La prospettiva trascendentale: il problema della mediazione tra
4.1 La Kritik der reinen Vernunft: la pensabilità logica della libertà
E’ nella Kritik der reinen Vernunft – più precisamente, all’interno della terza antinomia della ragion pura – che Kant introduce il concetto di libertà in senso trascendentale.4 E’ proprio da questo concetto che occorrerà prendere le mosse, per poter intraprendere l’itinerario filosofico schizzato cursoriamente in sede introduttiva.5
Com’è noto, è nel seno della cosmologia razionale (la scienza avente per oggetto “il complesso di tutti i fenomeni”, sottoposta ad una serrata critica nella Dialettica trascendentale) che la ragione finisce per imbattersi nelle cosiddette “antinomie”. Esse confluiscono nell’antitetica, ovvero il “contrapporsi di conoscenze apparentemente dogmatiche (thesin cum antithesi), allorché non si conferisce né all’una né all’altra un diritto privilegiato all’assenso”.6
Kant individua, articolandole secondo i “titoli” delle categorie, quattro antinomie cosmologiche – ognuna delle quali si compone di una tesi e di una antitesi. Una trattazione esauriente di ciascuna antinomia porterebbe a superare di gran lunga i limiti imposti alla presente ricerca: sarà dunque opportuno concentrarsi
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La Dialettica trascendentale non è l’unico sito, all’interno della prima Critica, ove Kant si confronta con il problema della libertà. Anche nella Dottrina del metodo, e precisamente nel Canone della ragion pura, Kant si riferisce a quest’ultima: in tale contesto, tuttavia, ad essere messa a tema non è la libertà in senso genuinamente trascendentale, bensì quella, da essa rigorosamente separata, di libertà meramente pratica. F. Chiereghin in Il problema della libertà in Kant, Verifiche, Trento: 1991 vi riconosce la libertà del libero arbitrio (Willkür) umano – il liberum arbitrium sensitivum – che è nettamente distinta dalla volontà di una creatura razionale in generale (v. ivi, pp. 66–67). Chi volesse condurre un approfondimento intorno alle tematiche trattate all’interno del Canone – così come sugli spinosi problemi interpretativi ad esse sottese – può servirsi del contributo di Chiereghin appena citato o dell’altrettanto valido testo di D. Schönecker, Kants Begriff transzendentaler und
praktischer Freiheit – eine Entwicklungsgeschichtiliche Studie, cit. 5
Come Kant, in ambito morale, appaia argomentare nella cornice già messa a punto dalla prima Critica, viene puntualizzato da G. Sala, Kritik der praktischen Vernunft – ein Kommentar,
esclusivamente su quella avente diretta rilevanza con la problematica qui affrontata, ovvero la terza. E’ infatti in essa – avente per oggetto “la totalità assoluta del sorgere di un fenomeno in generale”– ad irrompere la scottante questione del rapporto causalità–libertà.7 Nella terza antinomia si fronteggiano due differenti ordini di causalità: quella secondo le leggi naturali (Kausalität nach Naturgesetzen) e quella mediante libertà (Kausalität durch Freiheit). Se fosse solo la prima ad essere esclusivamente valida, come l’antitesi sostiene, allora tutto ciò che accade dovrebbe presupporre uno stato precedente, “a cui fa seguito infallibilmente secondo una regola”.8 Se invece si ammettesse la causalità mediante libertà – come enunciato nella tesi – allora un evento può accadere “senza che la causa producente sia ulteriormente determinata, secondo leggi necessarie, da un’altra causa più remota”.9 La libertà trascendentale viene definita, corrispondentemente, come la facoltà di “dare inizio da sé a una serie di fenomeni, svolgentesi in base a leggi di natura”.10 Kant segnala senza ulteriori esitazioni la rilevanza morale di una ricerca intorno alla libertà trascendentale – la quale, sia ben chiaro, si distingue rigorosamente dalla sua accezione meramente psicologica. Non è superfluo riportare qui di seguito l’intero passaggio:
l’idea trascendentale della libertà è tutt’altro che tale da risolvere in sé il contenuto del concetto psicologico di questo nome, che è in gran misura empirico; esso non fa che designare il contenuto della spontaneità assoluta dell’azione, preso come il fondamento autentico dell’imputabilità dell’azione, e viene così a costituire la vera e propria pietra dello scandalo della filosofia per le insormontabili difficoltà in cui questa viene a trovarsi nell’ammettere una tal sorta di causalità incondizionata. Ciò che, a proposito della libertà del volere, ha da tempo immemorabile creato tanto imbarazzo alla ragione speculativa, non è dunque che alcunché di trascendentale e concerne semplicemente
7
Cf. KrV, B 443 (358); trad. leggermente modificata.
8
Cf. KrV, B 474/A 446 (382).
9
Ibidem.
10
Kant si esprime in termini simili in ivi, B 473/A 445 (383): la “libertà in senso trascendentale” è “una facoltà di dare un inizio assoluto a uno stato, e quindi a una serie di conseguenze da esso derivanti”.
l’ammissione o meno di una facoltà che dia a se stessa inizio ad una serie di cose o stati successivi.11
Alla questione, preliminarmente descritta in termini teoretici, va dunque attribuita, in seconda istanza, una rilevanza squisitamente pratica: solo qualora sia lecito ammettere la libertà in senso trascendentale, allora l’uomo potrà ritenersi responsabile delle proprie azioni – e conferire loro un valore morale. Lo spinoso problema della libertà del volere, nella concezione kantiana, non può affatto trovare la propria risoluzione su un piano ingenuamente psicologico (cioè meramente empirico), bensì solo ad un livello compiutamente trascendentale.12 Lo sforzo filosofico di Kant, in questa sede, dev’essere dunque identificato con la riflessione trascendentale intorno all’ammissibilità di una particolare facoltà: quella di iniziare da sé una catena causale. Sia ben chiaro: il problema non consiste nel portare alla luce in che modo una tale facoltà sia possibile, bensì, ben di più, nello stabilire se una tale facoltà possa sussistere o meno.13
Una precisa definizione della „libertà pratica“ viene fornita da Kant solo ad un livello ormai avanzato dell’argomentazione:14
essa viene caratterizzata come „l’indipendenza dell’arbitrio dalla costrizione da parte degli stimoli della sensibilità“.15 Si può facilmente riconoscere come essa, in questi termini, rimanga ancorata ad un livello definitorio negativo: sarà solo grazie allo sviluppo del concetto di autonomia – e dunque nell’ambito della riflessione pratica, ospitata anzitutto dalla Grundlegung zur Metaphysik der Sitten – che il concetto di libertà
11
Ivi, B 476/A 448 (384).
12
Che la questione non sia fisiologica, bensì trascendentale, viene sottolineato da Kant anche in B 563/A535 (442): “qui accade […] che il problema non sia propriamente fisiologico, ma trascendentale. E’ vero che il problema della possibilità della libertà travaglia la psicologia, ma poiché riposa su argomenti dialettici della ragione semplicemente pura, il problema stesso e la sua soluzione concernono esclusivamente la filosofia trascendentale.”
13
La specifica impostazione della questione è rimasta invariata nella successiva Kritik der
praktischen Vernunft: in che modo sia possibile una volontà libera, resta nella concezione kantiana
un problema irrisolvibile. Cf. KpV, pag. 128 (214); 241 (282).
potrà evincere il proprio significato genuinamente positivo. Nel contesto della prima Critica, la libertà pratica si caratterizza prevalentemente come una “libertà da” (Freiheit von) – detto in altri termini, come una liberazione da quella catena di azioni e reazioni che determina infallibilmente, invece, le azioni dell’arbitrio animale (arbitrium brutum). L’arbitrio umano può essere definito, in contrapposizione a quest’ultimo, sensitivum ed allo stesso tempo liberum. Infatti:
la sensibilità non rende necessaria la sua azione, perché c’è nell’uomo una facoltà di autodeterminazione (Selbstbestimmung), indipendente dalla costrizione degli impulsi sensibili.16
Sarebbe inopportuno, tuttavia, accordare un peso eccessivo alla distinzione tra le due accezioni – negativa e positiva – del concetto di libertà: l’esplicito riferimento alla Selbstbestimmung, contenuto nella dichiarazione appena riportata, funge in questo senso da significativo indicatore. Come messo in luce da Schönecker, infatti, sono entrambi i momenti a costituire insieme il concetto di libertà pratica.17
E’ la libertà trascendentale a costituire la condizione di possibilità della libertà pratica: ripudiare la prima significherebbe, infatti, “distruggere ogni realtà pratica”.18 Detto in altri termini: ammessa la possibilità logica (ovvero la pensabilità) della libertà trascendentale, è allo stesso tempo garantita quella della libertà pratica. E’ questo l’obiettivo che Kant persegue con la risoluzione della terza antinomia.
E’ grazie all’intuizione fondamentale dell’idealismo trascendentale – per cui è possibile pensare l’incondizionato, ma non conoscerlo – che Kant riesce a
16
Ibidem.
17
D. Schönecker und A. Wood, I. Kant “Grundlegung zur Metaphysik der Sitten”. Ein einführender
Kommentar, Schöningh, Paderborn: 2002, pag. 180. 18
condurre a termine l’obiettivo appena definito. La ragione teoretica non possiede affatto gli strumenti per conoscere (erkennen) in senso proprio la libertà, garantendone così la realtà; allo stesso tempo, tuttavia, non è possibile nemmeno fornire un argomento in direzione contraria, teso a stabilirne in modo inconfutabile l’intrinseca contraddittorietà.19
Il conflitto fra tesi ed antitesi si dimostra, in ultima analisi, apparente, cioè eliminabile tenendo presente la diversità degli oggetti cui esse si riferiscono: la tesi al mondo delle cose in se stesse, l’antitesi al mondo dei fenomeni.20 Il meccanicismo delle cause naturali, infatti, costitutivo dell’esperienza possibile, è rigorosamente limitato a quest’ultima: al di fuori di essa, nel mondo del puro intelligibile, il concetto filosofico di libertà può trovare la propria legittimità.21 La strategia kantiana, nel seno della prima Critica, non può che essere difensiva, non disponendo ancora di quell’accesso diretto alla libertà, che unicamente la legge morale incondizionata sarà in grado di garantire: in sede teoretica è possibile solo accertarne la pensabilità – delegittimando, allo stesso tempo, qualsiasi argomento teso a confutarla.22 In questo modo, la sfera della moralità risulta essere invulnerabile agli attacchi – teoreticamente infondati – del più agguerrito determinismo.
19
Si veda a tal proposito la Prefazione alla seconda edizione della prima Critica: KrV, B XXVII (50) e seguenti.
20
Cf. A. Guerra, Introduzione a Kant, Laterza, Roma–Bari: 200214, pag. 76.
21
Cf. O. Höffe, Immanuel Kant, C. H. Beck, München: 20005, trad. it. a cura di S. Carboncini e P. Rubini, Mulino, Bologna: 20022, pag. 128.
22
Nella critica delle facoltà conoscitive, M. Thom vi scorge una finalità squisitamente pratica: la fondazione della possibilità della libertà nell’uso pratico della ragione – e, con essa, della facoltà di compiere decisioni di valore morale. La vera conquista della prima Critica, cioè, non sarebbe altro che l’idea trascendentale della libertà. Cf. M. Thom, Zum Freiheitsproblem bei Kant, in M. Buhr (hrsg. von), Revolution der Denkart oder Denkart der Revolution: Beiträge zur Philosophie
Immanuel Kants, Akademie Verlag, Berlin: 1976, pp. 109–121. Sono peraltro eloquenti, in questo
senso, alcune Reflexionen zur Metaphysik; si legga, a titolo esemplificativo, la numero 4970 (che richiama da vicino un tema emerso nell’ambito dell’Architettonica della ragion pura): “il filosofo non è un misologo, bensì un legislatore della ragione umana. E le leggi più nobili sono quelle che limitano le pretese della ragione al fine dell’umanità” (cf. I. Kant, Handschriftlicher Nachlass –
Metaphysik, hrsg. von E. Adickes, in KGS, XVIII, pag. 44). Si riporta l’originale tedesco: “der
Philosoph ist kein Misologe, aber ein Gesetzkundiger der menschlichen Vernunft. Und die vornehmsten Gesetze sind die, welche die Anmaßungen der Vernunft auf den Zweck der Menschheit einschränken.”
Grazie all’introduzione dell’idealismo trascendentale, dunque, Kant è in grado di garantire pari legittimità tanto alle leggi universali della necessità naturale, quanto alla causalità secondo libertà. Se quest’ultima non può affatto costituire il principio esplicativo degli accadimenti empirici – e dunque l’agire dell’uomo, così come si rivela all’esperienza, si presenta anzitutto come potenzialmente eteronomo – essa può nondimeno fare ingresso nel mondo intelligibile. Se, in ambito fenomenico, ad essere privilegiato è il filo conduttore della catena naturale delle cause, al di fuori dell’esperienza possibile è invece il concetto filosofico della