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Il carattere della specie: la Bestimmung dell’uomo

Capitolo 3. L’Antropologia: l’uomo tra libertà e natura

3.3 Il carattere della specie: la Bestimmung dell’uomo

Per non arrestarsi a formulazioni generiche, sia lecito compiere un balzo in avanti sino a quella sezione dell’Anthropologie che, dedicata proprio al carattere della specie (ovvero del genere umano in quanto tale), ospita al proprio interno le

costumato. Sarà poi Herder, nel 1774, a determinare definitivamente il concetto di filosofia della storia: essa assumerà il profilo di una riflessione sul piano e sul corso di quest’ultima. Dieci anni dopo, nel suo noto Ideen zur Philosophie der Geschichte der Menschheit, Herder postula, a partire dall’esistenza di Dio nella natura, uno scopo e un filo conduttore ravvisabili nel labirinto della storia: questa mossa gli permette di esplicitare le leggi fondamentali della storia universale. Per quanto il termine “filosofia della storia” non compaia esplicitamente nelle opere kantiane, molte delle riflessioni ivi contenute possono esservi ricondotte. Su questo tema, tuttavia, ci si soffermerà

conclusioni proprie di una filosofia della storia.37 Essa si presenta, in seguito all’analisi del carattere del sesso, del popolo e della razza, come il capitolo conclusivo e più impegnativo dell’intera trattazione.38 E’ in questo luogo, infatti, che Kant rende esplicito ciò che costituisce la sintesi della sua opera – e che, legittimamente, rappresenta l’autentico punto di fuga delle riflessioni ivi sviluppate. Come apparirà chiaramente nel prosieguo dell’analisi, infatti, sarà proprio la dichiarazione della Bestimmung del genere umano a costituire l’effettivo polo magnetico, in grado di ricomporre in un assetto unitario gli “elementi” confluiti nell’antropologia. L’illustrazione delle predisposizioni naturali dell’uomo, come si avrà ancora modo di approfondire, si risolverà primariamente nella loro analisi teleologica: ad emergere è anzitutto la loro positiva rispondenza rispetto al fine cui è destinato il genere umano.

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Forse quest’ultima potrebbe essere definita, non impropriamente, “storia pragmatica”. Si legga la

Reflexion 1467: “la storia pragmatica della specie umana a partire dalla predisposizione della sua

natura. La naturale destinazione dell’uomo verso il proprio scopo completo (non dell’umanità nel suo individuo, ma della specie. Questa storia insegna, allo stesso tempo, come dobbiamo lavorare su noi stessi, concordemente allo scopo completo della natura. Dunque ampliare il nostro orizzonte, oltre la nostra destinazione privata, verso l’intenzione della specie.” Cf. RA, XV.2, pp. 645–66. Alla dicotomia scuola/mondo rimanda, invece, la Reflexion 3376 in seno alle lezioni di logica: “la modalità d’insegnamento storica (della storia) è pragmatica quando essa ha un’altra intenzione oltre a quella scolastica, quando essa non è solo per la scuola, ma anche per il mondo e la moralità (Sittlichkeit)”. Cf. I. Kant, Handschriftlicher Nachlass – Logik, hrsg. von E. Adickes, in KGS, XVI, pag. 804.

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La trattazione kantiana relativa al carattere del sesso, del popolo e della razza riveste un’importanza secondaria in relazione al demonstrandum della presente ricerca: per questa ragione, dunque, si è preferito non appesantire il corpo del testo con un riferimento dettagliato. In questi ambiti, in effetti, il ruolo della naturalità sembra concedere uno spazio più ridotto all’azione del soggetto su di sé. Nella considerazione del sesso maschile e femminile, Kant si concentra nell’individuazione del fine della natura nella costituzione degli stessi. Dietro alla peculiare conformazione dei due sessi, Kant intravede il perseguimento naturale di due fini: la conservazione della specie da una parte e la cultura della società (nonchè il raffinamento di essa) dall’altra. La conoscenza dell’intenzione originaria della natura dovrebbe consentire al lettore dell’Antropologia un’assunzione più consapevole del proprio carattere sessuale – traducentesi nella scelta di azioni e comportamenti aderenti a quell’intenzione. La trattazione del carattere del popolo, articolantesi in una classificazione piuttosto ampia di alcuni fra essi, si muove esplicitamente nell’orizzonte dell’eredità naturale: le considerazioni kantiane si svolgono infatti nell’ambito del “carattere naturale innato”, riposante nella “composizione del sangue degli uomini”. L’esposizione relativa al carattere delle razze, infine, si esaurisce nel rinvio all’opera di C. G. Girtanner (Über das kantische

Prinzip für die Naturgeschichte), esponente di quella scuola di Göttingen che, nel diciottesimo

secolo, si era distinta per gli avanzati studi naturalistici. In modo del tutto incidentale occorre ammettere che, proprio nelle sezioni appena ricordate, l’Antropologia kantiana risente di una certa ristrettezza di vedute, che la ancorano a certi diffusi pregiudizi dell’epoca. Anche al lettore più distratto non sfuggiranno, purtroppo, la misoginia e il razzismo sottesi ad alcune delle affermazioni sviluppate in queste sedi.

In che cosa consistono, dunque, le disposizioni che caratterizzano l’uomo come specie? In che cosa si traduce, esplicitamente, il raggiungimento della sua Bestimmung? Kant si esprime in termini molto chiari. Per ciò che concerne il primo interrogativo, egli ne individua tre (oltre a quella a conservare la propria specie, che lo accomuna alle altre specie animali): la disposizione tecnica, quella pragmatica e infine quella morale. La prima consiste nell’abilità a lavorare manualmente le cose (capacità a cui rinvia la “forma e organizzazione della mano” stessa); la seconda, posta ad un grado più alto, indirizza l’uomo “alla civiltà per mezzo della cultura”, servendosi delle “qualità sociali e della tendenza naturale, propria della specie”, a “diventare un essere accostumato (se non ancora morale) atto a vivere con gli altri”; la terza, infine, dischiude all’uomo la possibilità di “agire secondo un principio di libertà conforme a leggi”. 39

Alla triplicità delle disposizioni dell’uomo corrisponde la scansione in tre tempi della sua Bestimmung. Kant scrive:

la conclusione dell’antropologia pragmatica circa il destino (Bestimmung) dell’uomo e la caratteristica del suo sviluppo è la seguente. L’uomo è determinato (bestimmt) dalla sua ragione a vivere in società con uomini e in essa a coltivarsi con l’arte e con le scienze, a civilizzarsi, a moralizzarsi, e, per quanto grande sia la sua tendenza animalesca ad abbandonarsi passivamente agli stimoli del piacere e della voluttà, che egli chiama felicità, egli è spinto piuttosto a rendersi attivamente degno dell’umanità nella lotta con le difficoltà, che gli sono opposte dalla rozzezza della sua natura.40

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Cf. AP, pp. 322–324 (217–219). Il tema delle disposizioni umane originarie occorre anche nelle pagine della Religion innerhalb der Grenzen der bloßen Vernunft: in esse il rinvio è all’animalità, (Thierheit), l’umanità (Menschheit) ed infine la personalità (Persöhnlichkeit). Cf. I. Kant, Die

Religion innerhalb der Grenzen der bloßen Vernunft, in KGS, VI, 1–201, trad. it. La religione nei limiti della semplice ragione, a cura di P. Chiodi, in Scritti morali, cit., 317–544; qui pag. 26 (345).

La meta cui devono tendere gli sforzi compiuti dal genere umano, nel corso delle generazioni, trova dunque la propria graduale realizzazione nei tre successivi stadi della Kultivierung, della Civilisierung ed infine della Moralisierung.41 Sulla specifica connotazione politica che lo stadio civilizzato dell’umanità, nella prospettiva kantiana, è chiamato auspicabilmente ad assumere, si avrà modo di condurre una riflessione più approfondita in seguito. In termini generali, è per ora sufficiente individuare il concretizzarsi della Bestimmung dell’uomo nel progressivo affrancamento dal puro dato naturale: gesto emancipatorio, che, unico, è in grado di renderci degni del titolo dell’umanità – il quale, ben lungi dal risolversi in un’acquisizione ereditaria, si profila piuttosto come una meta da conquistare. Se l’uomo è chiamato a vincere la “rozzezza” della sua natura ed i stimoli animaleschi che ne derivano (in una parola, a liberarsi dalla dimensione patologica della natura che lo abita), ciò non significa che quest’ultima dispieghi un piano del tutto conflittuale ed antitetico rispetto a quello determinato dalla ragione. L’antropologia kantiana non cessa di misurarsi proprio con questa difficoltà, analizzando le predisposizioni naturali dell’uomo – costituiscano esse positive inclinazioni, o piuttosto apparenti vizi – in prospettiva della loro compatibilità con la sua destinazione morale.42 Sarà opportuno, ora, concentrarsi

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Nella Idee zu einer allgemeinen Geschichte in weltbürgerlicher Absicht è presente la stessa scansione ternaria. Kant colloca l’attuale stadio di sviluppo dell’umanità a livello della civilizzazione: “noi siamo, per mezzo di arte e scienza, acculturati in alto grado. Siamo civilizzati, sino all’eccesso, in ogni forma di cortesia e decoro sociale. Ma per ritenerci moralizzati ci manca ancora molto. Infatti l’idea della moralità appartiene anch’essa alla cultura, ma l’uso di questa idea che miri solo a ciò che è simile alla moralità nel senso dell’onore e del decoro esteriore produce solo la civilizzazione” Cf. IaG, pag. 26 (38). Sulla pregnanza semantica dei due termini Kultur e

Civilisation, coglibile solo attraverso un adeguato riferimento al tessuto socioculturale dell’epoca, si

è soffermato con grande ricchezza di documentazione N. Elias, nel suo ormai classico Über den

Prozess der Zivilisation, Suhrkamp, Frankfurt: 1969–1980, trad. it. Il processo di civilizzazione a

cura di G. Panzieri, Il Mulino, Bologna: 1996, specialmente pp. 118–120. Secondo la sua attenta ricostruzione, sarebbe stata la “polemica dello strato intellettuale tedesco del ceto medio contro la civiltà dello strato superiore di corte” ad aver patrocinato, in Germania, “la formazione dell’antitesi concettuale tra cultura e libertà”. Nella seconda metà del XVII secolo, infatti, si sarebbe fatta sempre più determinata “l’autolegittimazione dei ceti medi sulla base della virtù e della preparazione culturale”, mentre si sarebbe inasprita “la polemica contro gli atteggiamenti esteriori e superficiali” coltivati nelle corti.

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Pur non essendo ancora stato introdotto sistematicamente il tema della Bestimmung dell’uomo, già nella Didattica quella si rivela in grado di guidare – come sua coordinata ancora implicita – una rivalutazione degli aspetti meno edificanti che caratterizzano naturalmente la vita umana. Tali

proprio su questo plesso problematico, per illustrare l’effettiva declinazione teleologica della riflessione antropologica kantiana.

3.4 La provvidenza della natura: la considerazione teleologica