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Dialogo tra Alcmena e Anfitrione (vv 633-860)

2.6 Plauto, Amphitruo

2.6.3 Dialogo tra Alcmena e Anfitrione (vv 633-860)

Il dialogo si configura come un susseguirsi di attese deluse che producono frustra- zione in entrambi i coniugi. Alcmena apre questa parte dando sfogo al suo dolore (vv. 633-653) e sostenendo che, nella vita, le pene superano sempre i piaceri; il marito se ne è già andato dopo aver passato con lei una sola notte e la sua unica consolazione è che il consorte torni in patria carico di gloria; Anfitrione, invece, immagina la calorosa accoglienza della donna: Edepol, me uxori exoptatum credo adventurumn domum (v. 654) . Ma le sue aspettative sono disattese poiché Alc100 - mena domanda perché, se poco fa aveva detto di aver fretta di andare, torni così presto.

Il comandante si aspetterebbe un altro tipo di accoglienza, ma la donna sostiene di aver ricevuto la visita del marito poco prima (non sa di avere accolto nel suo letto Giove nelle sembianze di Anfitrione), mentre il “vero” Anfitrione ritorna a casa la prima volta dopo una lunga assenza.

La discussione arriva un punto cruciale: a differenza del secondo dialogo i perso- naggi si trovano in una posizione speculare, in quanto ognuno di loro reputa im- possibile la verità dell’altro e pensa di avere in mano gli elementi sufficienti a smentirla.

La donna sostiene di già aver visto il marito, di aver cenato insieme ed essersi co- ricata con lui, mentre Anfitrione afferma di non aver mai lasciato la nave. Inizia

‘Non è mia abitudine eseguire gli ordini del padrone sonnecchiando. Ho visto da sveglio, come

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ora da sveglio vedo, da sveglio parlo, ed ero sveglio quando poco fa lui, da sveglio mi ha colpito con i pugni.’

‘Per Polluce, mia moglie, ne sono certo, si strugge dal desiderio ch’io torni a casa.’

quindi una prima parte del dialogo (vv. 676-793) in cui Sosia e Anfitrione fanno varie ipotesi sulle affermazioni di Alcmena. In realtà i due mettono in atto una vera e propria operazione di discredito, l’uomo infatti sostiene che lui non l’ha vista che in quel momento e la accusa di pazzia: Haec quidem deliramenta loqui- tur (v. 696) . Sosia aggiunge che forse si tratta solo di un sogno (Paulisper 101 mane./Dum edormiscat unum somnum, vv. 696-697) o forse un delirio bacchico 102 (Bacchae bacchanti si velis advorsarier,/ Ex insana insaniorem facis, feriet sae- pius./Si opsequare, una resolvas plaga, vv.703-705) . Poco più oltre esclama che 103 Alcmena, in realtà, non sta aspettando un bambino ma insania, (v. 719) o che 104 Somnium narrat tibi (v. 738) . Sosia utilizza nei confronti della padrona gli stes105 - si motivi di perdita della razionalità già usati da Anfitrione nei sui confronti. La donna, come anche lui aveva fatto, si ribella alle accuse raccontando fatti reali. Quando Alcmena riferisce di aver udito dal marito i fatti della guerra contro i Te- leboi e, in seguito, si fa portare la coppa che Giove-Anfitrione le ha donato la not- te precedente, i due invocano la possessione demoniaca:

[SO.] ‘Quaeso, quin tu istanc iubes pro cerrita circumferri?’

[AM.] 'Edepol qui facto est opus:

nam haec quidem edepol larvarum plenast.’ (vv. 775-777) 106

‘Questa donna sta delirando.’

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‘Aspetta un po’, finché smaltisca il sonno.’

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‘A voler contrariare una Baccante durante i Baccanali, da pazza che è la si renderà più pazza,

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colpirà di più. Assecondala, si potrà risolvere in una volta sola.’ ‘Pazzia.’

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‘ Ti sta raccontando un sogno.’

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SOSIA: ‘Di grazia, perché non la fai purificare come invasata?’

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Quando la coppa viene effettivamente portata in scena, la crisi conoscitiva dei due personaggi raggiunge il vertice; Sosia pensa che Alcmena sia un’illusionista (praestigiatrix, v. 782) e più oltre anche Anfitrione darà la colpa a un praestigia- tor (v. 830) ed esprime un senso di duplicazione che coinvolge persone ed oggetti:

‘Tu peperisti Amphitruonem <alium>, alium ego peperi Sosiam.

Nunc si patera pateram peperit, omnes congeminavimus.’ (vv. 785-786) 107

L’arrivo della coppa costituisce quindi il momento culminante della prima parte del dialogo, che ha alimentato la crisi di Anfitrione con prove sempre più concrete delle asserzioni di Alcmena.

Nella seconda parte del dialogo (vv. 793-860) il comandante avanza dapprima dei sospetti su Sosia, poi ripete alle moglie le stesse domande già poste: è sicura di averlo già incontrato, di aver cenato ed essersi coricata con lui? Di fronte alle ri- sposte affermative della donna, comincia a sospettarne il tradimento. Alcmena ri- sponde sempre con equilibrio e composta fermezza alle accuse del marito e, come afferma Della Corte: “Ella può anche essere stata colpita nella sua dignità di mo- glie, può essere stata offesa nella sua onorabilità ma non si smarrisce mai nel labi- rinto degli scambi. È l’unico punto fermo nella vicenda degli equivoci” . Costa 108 sottolinea come quello di Alcmena sia l’ideale della giovane matrona . All’in109 - terno del catalogo plautino costituito da matrone più anziane, schiave e prostitute,

‘Tu hai generato un altro Anfitrione, io ho generato un altro Sosia. Ora, se la coppa ha generato

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un’altra coppa, ci siamo sdoppiati tutti.’

F. BERTINI, Anfitrione e il suo doppio: Da Plauto a Guilherme Figueiredo, in La semiotica e 108

il doppio teatrale a cura di Giulio Ferroni, Liguori editore, 1981, p. 311-312.

C.D.N. COSTA, The Amphitryo theme, in Roman Drama, ROUTLEDGE & KEGAN PAUL, 109

c’è un piccolo gruppo di giovani matronae a cui Alcmena appartiene e delle quali è forse la creazione più nobile.

La donna contrasta, grazie alla sua dignità, con la frivolezza della commedia e risponde con orgoglio e semplici parole alle accuse di tradimento:

Per supremi regis regnum iuro et matrem familias Iunonem, quam me vereri et metuere est par maxume, ut mihi extra unum te mortalis nemo corpus corpore contigit, quo me impudicam faceret.’

(vv. 831-834) 110

Così come le bastano poche frasi per ribattere ad Anfitrione, il quale ha appena messo in dubbio la sua pudicitia:

‘Non ego iliam mihi dotem duco esse, quae dos dicitur,

sed pudicitiam et pudorem et sedatum cupidinem,

deum metum, parentum amorem et cognatum concordiam, tibi morigera atque ut munifica sim bonis, prosini probis.’ (vv. 839-842) 111

C’è uno squilibrio di aggressività tra marito e moglie dovuto probabilmente alla concezione romana della famiglia e del pater familias, cui la moglie è soggetta senza condizione.

Alcmena rimane comunque una donna forte ed orgogliosa, sicura della sua onestà, che non ammette di essere messa in discussione, tanto da affermare che lascerà la

‘Per il regno del Re Supremo, per Giunone madre di famiglia, che io devo onorare e temere

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sopra tutto, giuro che, all’infuori di te solo, nessun mortale s’è accostato col suo corpo al mio, per togliermi l’onore.’

Io non considero mia dote quella cui comunemente si dà il nome di dote, ma la castità, il pudo

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re, il controllo dei desideri, il timore degli dei, l’amore dei genitori, l’accordo coi congiunti, l’esse- re condiscendente con te, generosa coi buoni, larga d’aiuti con gli onesti.’

casa di Anfitrione se si rivelerà colpevole di quanto viene accusata. Così accetta che il marito chiami Naucrate, parente di Alcmena, per confermare la sua tesi, se- condo la quale ha cenato sulla nave e solo in quel momento si è recato a casa. An- fitrione parte alla volta del porto e lascia Sosia a casa.

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