La ricostruzione del Ponte di Mezzo rappresentò per l’opinione pubblica pisana il simbolo della ricostruzione cittadina e fu al centro di numerose discussioni che portarono alla necessità di indire un referendum popolare per la scelta del progetto nel 1946: la scelta riguardava la ricostruzione del ponte a tre luci, come il precedente, oppure ad una sola luce. Il progetto denominato “Conte Ugolino” — eseguito da Giulio Krall — arrivò 1◦ tra i
ponti ad una luce e 2◦ nella classifica generale del concorso nazionale, dopo
il progetto a tre luci “Post Fata Resurgo” di Ettore Fagiuoli. Le verifiche del Genio Civile e i risultati del referendum popolare indicarono il progetto ad una luce come vincitore.
Fino al XII secolo Pisa era dotata solo di un ponte, inizialmente di legno, che collegava le due sponde dell’Arno all’incirca nella posizione dove attual- mente è presente la chiesa di Santa Cristina; l’origine di tale ponte può essere ricondotta ai Romani. Solo nel 1035 il ponte di legno fu ricostruito in pietra e spostato più a est, dove attualmente è il Ponte di Mezzo.
Nel 1635 il ponte, noto all’epoca come Ponte Vecchio, crollò a causa di una piena dell’Arno e la successiva opera di ricostruzione non si limitò all’essenziale, ma interessò tutte le zone limitrofe: l’opera, nel suo complesso, richiese circa trenta anni di lavoro. Alla direzione dei lavori si avvicendarono Bernardo Cantini, Alessandro Bortolotti e Francesco Nave con tre distinti progetti: il primo fu dimissionario volontario, il secondo fu arrestato dopo il crollo del ponte ad una sola luce da lui arditamente — per l’epoca —
Figura 3.7: Uno tra i vari progetti ad una luce non vincitori al concorso nazionale
costruito (l’opera durò infatti appena otto giorni)1. Il terzo invece realizzò
un ponte a tre luci, anche “a spese” delle ultime otto botteghe sulla spalla destra, che furono demolite. Il ponte fu concluso nel 1660 (Fig. 3.6).
Il 22 luglio 1944, durante la Seconda guerra mondiale, le mine dei tedeschi in ritirata distrussero il Ponte di Mezzo (Fig. 3.8) oltre ad altri quattro ponti sull’Arno a Pisa. Passato il fronte, uno dei primi problemi affrontati fu quello della comunicazione fra le due rive della città, rimasta senza ponti: nel 1945 si costruì una passerella appoggiata sulle pile rimaste del Ponte di Mezzo (Fig. 3.9), che all’inizio del 1947 esisteva ancora.
Per la ricostruzione di un ponte vero e proprio, molto richiesta dalla po- polazione, fu indetto un referendum popolare per scegliere il progetto. La scelta cadde sulla soluzione ad un’unica luce, in contrasto con quella auspi- cata dalla commissione esaminatrice: un ponte a tre luci. Infatti nella lettera del 26/02/1947 indirizzata al Genio Civile inviata dall’Associazione dei Pro- fessori Universitari di Pisa si legge: «considerato che a seguito di Concorso bandito dall’Amministrazione comunale di Pisa, era stato assegnato dalla apposita Commissione, il I◦ premio ad una soluzione a tre archi [. . .] con-
siderato che in prosieguo di tempo, il Genio Civile ha viceversa bandito un appalto-concorso per un ponte ad una sola arcata [. . .] ritenuto che, anche a parere di tecnici competenti, facenti parte di questa Associazione, non sia 1Alessandro Bortolotti «propose di fare il ponte, non con due, né tampoco con una
sola pila, ma con un arco solo, che, senza aiuto di pile, posasse sopra l’una e l’altra spalla del fiume; assicurando che in riguardo del gran vano, che dovea cavalcar l’arco, avrebbe la città di Pisa avuta la gloria di contenere in se stessa l’ottava meraviglia del mondo». Affascinato dal progetto avveniristico, il Granduca Ferdinando II autorizzò l’opera.
Figura 3.8: Ruderi del Ponte di Mezzo dopo il passaggio del fronte nel 1944
indispensabile una tale soluzione, dato che il rigurgito provocato da un ponte a tre luci, studiato in modo opportuno, può risultare assai poco superiore, nelle massime piene, a quello provocato da un ponte ad unica luce, nel mentre in quest’ultimo caso non sono da trascurare le notevoli difficoltà costruttive per le spalle [. . .] ritenuto inoltre che non è la forma del ponte che potrà defi- nitivamente risolvere il grave problema delle piene dell’Arno, la cui soluzione risiede nella sistemazione idraulica del suo bacino [. . .] ritenuto d’altronde che, anche a parere di gran parte della popolazione, la soluzione ad una sola arcata verrebbe fortemente a contrastare con la mirabile armonia dei lungar- ni pisani, fa voto che venga conservata alla Città di Pisa la tradizionale forma del suo storico Ponte di Mezzo». In un articolo di cronaca cittadina2 invece
si legge: «Ma il problema non può più essere impostato in termini “di forma”. Deve essere impostato in termini di tempo e di requisiti idraulici. Il Sindaco di Pisa, che fu fervido sostenitore della soluzione “a tre luci”, ha ben capito la ormai maturata situazione e si è fatto diligente di sollecitare una decisione, quale che sia, purché sollecita ed efficace. Oggi bisognerebbe domandare ai pisani: volete il ponte ad una luce quest’anno o lo volete a tre luci forse fra tre anni? Volete maggior sicurezza di restare all’asciutto durante le piene o volete correre il maggior rischio di andare un paio di volte l’anno sotto l’acqua? [. . .] Perché nessuno deve dimenticare che la vita di Pisa è legata al Ponte di Mezzo. Senza Ponte di Mezzo Pisa è praticamente tagliata in due tronchi, ogni manifestazione di vita è impossibile. La questione “a una luce o a tre luci” ci ha fatto perdere due anni; riaprirla oggi vorrebbe dire per- derne altri due in discussioni e diatribe e qualora la decisione del Consiglio Superiore dei Lavori pubblici fosse revocata [. . .] significherebbe che i buoni pisani dovrebbero “passarellarsi” l’Arno per altri quattro anni almeno. Meno i periodi di piena durante i quali dovrebbero farsi delle belle “lungarnate”, peccato, quasi sempre col tempaccio. [. . .] Apprezziamo lo zelo della Sezione di Pisa dell’Associazioni Professori Universitari, che riteniamo volto esclusi- vamente al bene della nostra città; rammarichiamo però che essa si faccia viva solo oggi e non abbia fatto valere i suoi argomenti sei e passa mesi or sono [. . .]. Più presto facciamo il Ponte di Mezzo — effettivamente quello di maggior sentito bisogno — più presto potremo avere gradualmente anche gli altri».
I lavori furono cominciati nel maggio del 1947; dopo circa 20 giorni, in una riunione dei funzionari del Ministero dei Lavori Pubblici volta a «illustrare ai rappresentanti dell’Ordine degli Ingegneri e Architetti le ragioni per le quali [. . .] è stata prescelta la soluzione di un ponte ad una sola luce» si dichiarava
2
la nazione italiana: Ponte di Mezzo che passione! — A proposito di un voto dell’Associazione Professori Universitari.
che «alla seconda adunanza fu constatato, prima di tutto, che non vi era alcun parere discordante. Tutti erano concordi per il ponte ad una luce. [. . .] Gli uffici nostri locali, essenzialmente per esigenze d’ordine idraulico, propo- sero di indire l’appalto concorso per un ponte ad unica luce dando ampia ragione e giustificazione di tali esigenze per la difesa della Città di Pisa. [. . .] Sfortunatamente si tratta di un ponte che deve, salvo piccolo spostamento di asse, essere forzosamente situato dove era l’opera distrutta e cioè, a dif- ferenza del Ponte Solferino, nel punto più stretto della traversa idrica (circa m. 79), e subito dopo una curva. [. . .] Il ponte distrutto era a tre luci, con due enormi pile, che davano all’opera un carattere indubbiamente monumentale, ma, restringendo fortemente la sezione di deflusso, determinavano un forte rigurgito a monte dell’opera stessa, e, conseguentemente, un profondo scavo al di sotto delle luci e verso l’uscita da queste nel senso della corrente, per cui era necessario provvedere a saziare continuamente i gorghi che si formavano, mediante scapoli e grossi sassi di greto. Conseguenza di tale espediente usato è che, malgrado il sistematico trascinamento e ingoiamento degli elementi, esiste oggi tutto intorno alle pile un ingente deposito di pietre [. . .] Inoltre sia per il rigurgito medesimo che per la forza tangenziale dei filetti liquidi in curva, le acque di piena sormontavano i parapetti di destra, prima ancora che il livello di piena vero e proprio avesse, fuori del tratto, raggiunto la sommità dei parapetti medesimi. È quindi ovviamente opportuno che ora vengano adottati tutti quegli accorgimenti tecnici [. . .] che, sostanzialmente, si rias- sumono nell’aumentare al massimo la sezione di deflusso attraverso la nuova opera a farsi, il che varrà, anche in caso di inevitabilità dell’allagamento, a mitigare il volume dell’esondazione e la durata dell’invasione. [. . .] Il Genio Civile di Pisa ha ritenuto che il problema idraulico dovesse avere sugli altri l’assoluta preminenza [. . .]. Intanto i calcoli del rigurgito esposti [. . .] con la formula del Forchheimer danno una differenza di rigurgito tra i due tipi di ponte di cm. 27 − 8 = 19. [. . .] A parte peraltro i risultati teorici, torna interessante esporre che il chiaro Prof. Ruggiero dell’Istituto Idraulico dell’U- niversità di Pisa, ha cercato di avere elementi sperimentali del fenomeno di rigurgito attraverso i due tipi di ponte qui menzionati, costruendo un model- lo [. . .] la differenza tra i due rigurgiti risulterebbe di 23 centimetri. [. . .] Dal punto di vista urbanistico [. . .] la proposta di spostarlo in asse col centro delle due piazze “Garibaldi” e “Fibonacci”, è stata ed è molto opportuna, perché il nuovo ponte verrà in tal modo ad avere per fondali due importanti edifici, e, rappresentando esso il collegamento di due quartieri popolosi della città, più che di due arterie d’importante traffico, lo sbocco sull’asse delle due piazze meglio risponde allo scopo. [. . .] Dal punto di vista dell’architettura [. . .] il vecchio ponte era caratterizzato dalle potenti pile e dagli archi a raggio rela- tivamente piccolo [. . .] donde la necessità che ne sorgerebbe di diminuire di
Figura 3.11: Centina non autoportante, come inizialmente prevista
molto la sezione delle pile ed aumentare il raggio degli archi. Ma l’esperienza dimostra che un ponte a più luci, con pile strette e archi a grande raggio non può esser bello; abbiamo invece bellissimi esempi di ponti ad una sola luce, come il ponte Risorgimento ed il recentissimo Duca d’Aosta in Roma, per non parlare di quelli di S. Lucia e dell’Accademia a Venezia. [. . .] Dal punto di vista costruttivo [. . .] dover trivellare pali di tale lunghezza [. . .] per le pile le difficoltà consistono nel passare attraverso gli strati, senza trovare il grosso impedimento delle sassaie [. . .] mentre nelle spalle tale difficoltà è assai probabilmente assente. [. . .] In merito al “referendum” cittadino [. . .] osserva che di fatto è stata data la preferenza al ponte ad una sola luce e non a tre luci come è stato affermato».
La proposta dell’Impresa costruttrice Ferrobeton per l’impiego di centine autoportanti di tipo Melan giunse solo nel giugno del 1948, e la decisione non fu senza polemiche: «dato l’ormai inevitabile ritardo nel compimento delle fondazioni non appare consigliabile affrontare la costruzione delle previste centine [Fig. 3.11] prima che sia trascorso il periodo invernale 1948/’49 in considerazione anche al pregiudizio che potrebbero apportare alla sicurezza della città in caso di piene del fiume. Ritiene tuttavia che esista un solo modo per garantire la continuità del lavoro, in modo da ultimare il ponte senza incorrere in un ritardo rilevante, che l’Impresa giudica senz’altro di anni, e precisamente sostituire le centine in legno su stilate di pali previste in progetto con una centina tipo “Melan” autoportante in ferro profilato da annegarsi nelle strutture in cemento armato del manufatto. Avverte però che la spesa per questo genere di costruzione, che evita al massimo l’ingombro dell’alveo, è talmente elevata che senza un valido contributo della Ammi-
Figura 3.12: Diagrammi di Gantt per centina normale e per centina autoportante a confronto
nistrazione appaltante non ne potrebbe sopportare a proprio totale carico il maggiore onere [. . .] in lire 9 535 000». Riguardo al proseguimento con le centine normali «avanzava inoltre le più ampie riserve circa gli oneri che po- trebbero derivare da tale sospensione nel caso che questa venisse a verificarsi, ritenendola la Impresa conseguente alle variazioni dello stato di consistenza e di stratificazione del terreno di fondazione rispetto a quello segnalato nel bando di appalto-concorso e ciò per i riflessi che dette variazioni possono avere avuto nella esecuzione delle opere di fondazione. [. . .] A tali asserzioni l’Ufficio rispondeva [. . .] respingendo il punto di vista della Impresa. [. . .] L’impresa faceva pervenire a mano, soltanto in data 28 agosto, i calcoli ed i grafici delle centine “Melan” ai quali seguivano [. . .] un nuovo estimativo ed uno schema comparativo dei programmi di lavoro nelle ipotesi di adozioni di centine normali e di centine autoportanti [Fig. 3.12] [. . .] in base al nuovo estimativo il maggior onere passa a ben lire 14 146 570. [. . .] Sui prodotti calcoli l’Ufficio non ha da fare osservazioni o rilievi, [. . .] pertanto l’Ufficio, pur mancando di diretta esperienza sull’impiego ed il comportamento di si- mile tipo di centina, esprime il parere che nei riguardi tecnici la proposta della Impresa Ferrobeton possa essere favorevolmente accolta. [. . .] D’altra
parte nessun vantaggio deriva all’Amministrazione dallo impiego di tale ti- po di centine in luogo di quelle previste in progetto venendosi soltanto a variare la struttura portante dell’opera senza miglioramenti né dal lato sta- tico né estetico, con invece un maggiore impiego di ferro non completamente sfruttato sino ai limiti di lavoro consentiti dai regolamenti in materia. Pos- sono se mai sorgere dubbi sull’effettivo comportamento [. . .] tanto più che l’uso di tali centine è poco o punto esteso in Italia. [. . .] Dal punto di vista dell’Ufficio sembrerebbe quasi indubbio che il maggiore onere conseguente all’impiego delle centine autoportanti dovesse far carico esclusivamente alla Impresa. [. . .] D’altra parte soltanto in minima parte l’Impresa potrà trova- re giustificazione presso l’Amm.ne per la lentezza dimostrata nella condotta dei lavori [. . .] essendosi invece il ritardo quasi esclusivamente verificato in reazione ad errati od almeno a non completi studi preventivi [. . .] ed infine ai vari incidenti determinatisi nel cantiere: [. . .] ribaltamento del battipalo [. . .], sifonamento nel cassone sinistro durante il getto ad aria libera del cal- cestruzzo destinato al riempimento della camera di lavoro. [. . .] Sta di fatto che l’Impresa ha affacciato la sua proposta di impiego di centine autoportanti subito dopo l’esito infelice della prova di infissione in alveo di un palo di pino destinato a sondare il terreno su cui avrebbero dovuto essere impiantate le stilate di sostegno delle centine in legno. [. . .] Tuttavia, date le difficoltà di superare per la presenza di ruderi e sassaie in alveo (eventuale allontana- mento e rimozione di queste, necessità di far precedere l’infissione del palo da quella di un palo di ferro, impianto di battipalo di forte potenza ecc.) il prezzo a ml. di infissione dovrebbe intendersi almeno raddoppiato. Ne corri- sponderebbe un’ulteriore detrazione [. . .] per cui la maggiore spesa potrebbe essere suscettibile di ridursi a L. 5 500 000». Il costo totale dell’opera previ- sto inizialmente era di 90 milioni di lire, presto aumentato a ₤ 112 500 000 nel contratto; alla fine, il costo totale fu di ₤ 240 277 206 ma di questi solo ₤ 208 972 744 fu corrisposto dall’Amministrazione, mentre il resto fu a carico dell’Impresa Ferrobeton.
La costruzione del ponte venne conclusa solo nel maggio del 1950 (era stato aperto al traffico a gennaio dello stesso anno, pur mancando ancora delle opere decorative), con un ritardo sulla consegna — inizialmente prevista per novembre del 1948 — dovuto a problemi sia tecnici che burocratici, come si è appena visto: dopo tre secoli si realizzava così il sogno del Granduca Ferdinando II. Il ponte fu costruito un po’ più a valle del precedente in quanto era prevista l’apertura di una strada parallela a Corso Italia, strada che non fu, nella realtà, mai realizzata; Corso Italia e Borgo Stretto quindi perdevano così il collegamento diretto (Fig. 3.13). Alcune rifiniture furono poste a ricordo dell’opera precedente, come il rivestimento laterale di marmo e le quattro sfere all’ingresso del ponte.
Figura 3.13: P osi zioni del v ecc hio e del n uo v o P on te di Mezzo