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La ricostruzione del Ponte di Mezzo a Pisa: concezione progettuale, modalità esecutive e verifica con le norme attuali

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Academic year: 2021

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(1)

DIPARTIMENTO DI INGEGNERIA CIVILE E INDUSTRIALE

Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria delle Costruzioni Civili

Tesi di Laurea Magistrale

La ricostruzione del Ponte di Mezzo a Pisa

Concezione progettuale, modalità esecutive

e verifica con le norme attuali

Relatori:

Prof. Ing. Anna De Falco

Prof. Ing. Raffaello Bartelletti

Candidata:

Fabiana Guiggiani

(2)
(3)

Elenco delle figure 7

Introduzione 11

1 Il sistema Melan 13

1.1 Invenzione . . . 13

1.2 Diffusione e sviluppo . . . 14

1.2.1 Stati Uniti d’America . . . 14

1.2.2 Austria e paesi confinanti . . . 17

1.2.3 Spagna . . . 23

1.2.4 Germania . . . 25

1.2.5 Italia . . . 27

1.3 I ponti ad arco prima della centina autoportante Melan . . . . 30

1.4 Riscoperta recente . . . 35

1.4.1 Giappone . . . 36

1.4.2 Cina . . . 36

1.4.3 Zona delle Alpi . . . 38

1.5 Considerazioni conclusive . . . 39

2 La scoperta della viscosità del calcestruzzo 41 2.1 Viscosità nel metodo Melan per i ponti . . . 41

2.1.1 Conseguenze della variazione del coefficiente di omogeneizzazione . . . 42

2.2 Sviluppi storici della meccanica visco-elastica . . . 44

2.2.1 I pionieri . . . 45

2.2.2 La meccanica ereditaria di Volterra . . . 46

2.2.3 Modelli viscosi semplificati . . . 48

2.2.4 Prime utilizzazioni dell’equazione integrale di Volterra . 52 2.2.5 Il dopoguerra in Italia . . . 52

(4)

3 Realizzazione del Ponte di Mezzo a Pisa 57

3.1 Descrizione dell’opera . . . 57

3.2 Dibattito sulle possibilità costruttive . . . 62

3.3 Geometria dell’arco . . . 72

3.4 Costruzione . . . 76

3.4.1 Sequenza costruttiva e fasi di getto . . . 80

3.5 Calcoli statici del progetto originale . . . 94

3.5.1 Armatura Melan in fase di costruzione . . . 94

3.5.2 Struttura finale . . . 111

3.6 Materiali e sottosuolo . . . 138

3.7 Verifica delle ipotesi sui materiali . . . 140

4 Evoluzione della normativa sui carichi 151 4.1 1933 . . . 151 4.2 1945 . . . 151 4.3 1962 . . . 154 4.4 1980 . . . 156 4.5 1990 . . . 160 4.6 2005 . . . 163 4.7 2008 . . . 167 4.8 2015 . . . 170 4.9 Riepilogo . . . 170

5 Verifica secondo la normativa attuale 173 5.1 Analisi dei carichi . . . 173

5.1.1 Carichi permanenti . . . 173

5.1.2 Azioni variabili da traffico . . . 175

5.1.3 Azione longitudinale di frenamento o accelerazione . . 177

5.1.4 Carico neve . . . 177

5.1.5 Azioni del vento . . . 177

5.1.6 Variazioni termiche . . . 178

5.1.7 Deformazioni da ritiro . . . 180

5.1.8 Azioni sismiche . . . 181

5.2 Combinazioni di carico . . . 182

5.2.1 Gruppi di azioni . . . 183

5.2.2 Stato Limite Ultimo . . . 184

5.2.3 Stato Limite di salvaguardia della Vita . . . 185

5.3 Modellazione della struttura . . . 185

5.3.1 Validazione del modello . . . 191

5.4 Risultati dell’analisi . . . 192

(5)

5.4.2 Reazioni vincolari . . . 192

5.4.3 Modi propri di vibrare . . . 193

5.5 Verifiche strutturali agli SLU statici e sismici . . . 196

5.5.1 Verifica a pressoflessione dell’arco-telaio . . . 196

5.5.2 Verifica a punzonamento della soletta . . . 202

5.5.3 Verifica dei diaframmi dell’arco . . . 202 5.5.4 Verifica della capacità portante del terreno di fondazione203

Conclusioni 210

(6)
(7)

1.1 Disegno dal brevetto di Melan . . . 14

1.2 Solaio di tipo Melan dopo la rottura . . . 15

1.3 Melan Bridge nella contea di Lyon, nell’Iowa (USA) . . . 15

1.4 Larimer Avenue Bridge a Pittsburgh (USA) . . . 16

1.5 F.W. Cappelen Memorial Bridge sul Mississippi (USA) . . . . 17

1.6 Disegno dal brevetto di Emperger (variante del sistema Melan) 18 1.7 Schwimmschul-Brücke a Steyr (Austria) . . . 19

1.8 Disegni dal progetto del ponte sul fiume Schwarza a Payerbach (Austria) . . . 20

1.9 Ponte sul fiume Schwarza a Payerbach (Austria) . . . 21

1.10 Dragon Bridge a Lubiana (Slovenia) . . . 22

1.11 Ponte di San Telmo a Siviglia (Spagna) durante la costruzione 23 1.12 Viadotto sul fiume Esla (Spagna) durante la costruzione . . . 24

1.13 Sezione trasversale dell’arco del Viadotto sul fiume Esla, con indicazione dell’ordine di getto . . . 24

1.14 Echelsbacher Brücke sul fiume Ammer (Germania) durante la costruzione . . . 26

1.15 Ponte di Mezzo a Pisa (Italia) durante la costruzione . . . 27

1.16 Disegno di Krall dal progetto dell’Arco di Safartak (Etiopia) . 28 1.17 Ponte di Sacco (Italia) durante la costruzione . . . 29

1.18 Vecchio Ponte sul Tagliamento a Pinzano (Italia) . . . 30

1.19 F.W. Cappelen Memorial Bridge sul Mississippi (USA) duran-te la costruzione . . . 32

1.20 Ponte del Risorgimento sul Tevere a Roma (Italia) durante la costruzione . . . 34

1.21 Pont de la Libération a Villeneuve-sur-Lot (Francia), in calce-struzzo non armato . . . 35

1.22 Kashirajima Bridge a Okayama (Giappone) durante la costru-zione . . . 36 1.23 Ponte Xialaoxi sul fiume Azzurro (Cina) durante la costruzione 37

(8)

1.24 Wanxian Bridge sul fiume Azzurro (Cina) . . . 38

1.25 Stampfgrabenbrücke (Austria) durante la costruzione . . . 39

2.1 Funzione viscosità nella teoria dell’invecchiamento . . . 49

2.2 Teoria dell’ereditarietà: modelli reologici e funzione viscosità . 52 3.1 Il Ponte di Mezzo . . . 57

3.2 Sezione longitudinale del Ponte di Mezzo . . . 58

3.3 Sezioni trasversali in chiave e alle imposte del Ponte di Mezzo 59 3.4 Linea di influenza della spinta orizzontale dovuta a un carico verticale unitario per un ponte ad arco-telaio . . . 61

3.5 Curva delle pressioni dovuta al peso proprio per un ponte ad arco-telaio . . . 61

3.6 Ponte di Mezzo precedente a quello attuale (1660–1944) . . . . 62

3.7 Uno tra i vari progetti ad una luce non vincitori al concorso nazionale . . . 63

3.8 Ruderi del Ponte di Mezzo dopo il passaggio del fronte nel 1944 64 3.9 La passerella lignea sul Ponte di Mezzo nell’immediato dopo-guerra . . . 64

3.10 Pali di fondazione in legno del vecchio Ponte di Mezzo . . . . 67

3.11 Centina non autoportante, come inizialmente prevista . . . 68

3.12 Diagrammi di Gantt per centina normale e per centina auto-portante a confronto . . . 69

3.13 Posizioni del vecchio e del nuovo Ponte di Mezzo . . . 71

3.14 Disposizione dell’armatura in una costola dell’arco . . . 73

3.15 Il Ponte di Mezzo in costruzione senza centina . . . 76

3.16 Spinotto costituente la cerniera . . . 77

3.17 Spinotto costituente la cerniera (particolare) . . . 78

3.18 Geometria del cassone di fondazione . . . 79

3.19 Sequenze costruttive principali (sezione in corrispondenza del-le costodel-le) . . . 85

3.20 Sequenze costruttive principali (sezione non in corrispondenza delle costole) . . . 86

3.21 Sequenze costruttive a, b, c nel dettaglio . . . 87

3.22 Sequenze costruttive e, f, g, h nel dettaglio . . . 87

3.23 Sequenze costruttive d, m, n nel dettaglio . . . 88

3.24 Particolare dell’ancoraggio provvisorio dell’armatura Melan . . 89

3.25 Schema dell’armatura Melan . . . 90

3.26 Fasi di getto della soletta inferiore e delle costole . . . 93

(9)

3.28 Diagramma di Cremona per la distribuzione di carico I, 1◦

struttura semplificata . . . 97 3.29 Diagramma di Cremona per la distribuzione di carico I, 2◦

struttura semplificata . . . 97 3.30 Linea delle pressioni data dalla distribuzione di carico I . . . . 98 3.31 Linea delle pressioni data dalla distribuzione di carico II . . . 99 3.32 Geometria del marciapiede del Ponte di Mezzo . . . 113 3.33 Momenti generati sul diaframma dal rullo compressore . . . . 114 3.34 Linee delle pressioni per il carico permanente, in condizioni di

minima magra e di massima piena . . . 125 4.1 Schemi 1 e 2 di carico civile da traffico, secondo le normative

del 1945 e del 1962 . . . 152 4.2 Tabella dei massimi momenti flettenti per travi semplicemente

appoggiate soggette ai carichi mobili del 1945 . . . 154 4.3 Schemi di carico militari, secondo la normativa del 1962 . . . . 155 4.4 Schema di carico mobile q1C, secondo la normativa del 1980 . . 157

4.5 Schema di carico mobile q1D, secondo la normativa del 1980 . 158

4.6 Schema di carico mobile qa

1, secondo la normativa del 1990 . . 161

4.7 Numero e larghezza delle corsie secondo la normativa del 2005 163 4.8 Schemi di carico da 1 a 5, secondo la normativa del 2005 . . . 165 4.9 Schemi di carico da 1 a 5, secondo la normativa del 2008 . . . 169 4.10 Diagramma del massimo momento flettente per una trave

sem-plicemente appoggiata soggetta a carico concentrato . . . 172 5.1 Il Ponte di Mezzo durante la piena dell’Arno avvenuta tra

gennaio e febbraio 2014 . . . 175 5.2 Schema di carico 1 per ponti di 1a Categoria . . . 176

5.3 Rappresentazione grafica dei gradienti di temperatura . . . 180 5.4 Spettro di risposta di progetto allo SLV, coincidente con lo

spettro elastico . . . 183 5.5 Modello globale agli elementi finiti della struttura . . . 186 5.6 Caratteristiche meccaniche del calcestruzzo inserite nel modello186 5.7 Assegnazione delle spalle e dei relativi vincoli nel modello . . . 187 5.8 Linea d’asse nel piano verticale . . . 188 5.9 Suddivisione in conci della struttura per facilitarne la

model-lazione . . . 188 5.10 Sezione d’imposta dell’arco inserita nel modello . . . 189 5.11 Variazione parametrica dell’altezza della sezione dell’arco . . . 190 5.12 Carichi gravitazionali che generano forze d’inerzia . . . 190

(10)

5.13 Inviluppo del momento flettente longitudinale sull’intera

se-zione sotto combinase-zione di carico fondamentale (SLU) . . . . 192

5.14 Inviluppo del momento flettente longitudinale sull’intera se-zione sotto combinase-zione sismica allo SLV . . . 192

5.15 1◦ modo proprio di vibrare — T = 0,7236 s . . . 194

5.16 2◦ modo proprio di vibrare — T = 0,3480 s . . . 194

5.17 3◦ modo proprio di vibrare — T = 0,2311 s . . . 194

5.18 4◦ modo proprio di vibrare — T = 0,1710 s . . . 195

5.19 5◦ modo proprio di vibrare — T = 0,1589 s . . . 195

5.20 6◦ modo proprio di vibrare — T = 0,1561 s . . . 195

5.21 9◦ modo proprio di vibrare — T = 0,0928 s . . . 196

5.22 Inserimento delle caratteristiche della sezione d’imposta in VcaSlu . . . 198

5.23 Dominio M–N per la sezione d’imposta . . . 199

5.24 Dominio M–N per la sezione a L/7 dalla chiave . . . 199

5.25 Dominio M–N per la sezione a L/4 dalla chiave . . . 200

5.26 Dominio M–N per la sezione a L/3 dalla chiave . . . 200

5.27 Dominio M–N per la sezione a 6 m dalla chiave . . . 201

5.28 Dominio M–N per la sezione in chiave . . . 201

5.29 Schematizzazione per il calcolo dei diaframmi . . . 202

5.30 Disposizione dei pali di fondazione . . . 204

5.31 Deformata di un palo sottoposto a una forza orizzontale uni-taria in testa . . . 205

5.32 Meccanismo di rottura di un palo lungo impedito di ruotare in testa in terreno coesivo . . . 208

(11)

Gli interventi sull’esistente costituiscono un tema di sempre più sentita importanza di fronte all’invecchiare del patrimonio delle costruzioni e delle infrastrutture realizzate durante i decenni della forte crescita economica e demografica del secolo scorso. Tra questi compare anche il problema della sicurezza sismica delle costruzioni esistenti, realizzate secondo criteri antisi-smici obsoleti oppure senza considerare l’azione sismica perché al momento del progetto l’area nella quale sarebbero state realizzate non ricadeva tra quelle classificate sismiche, come nel caso della città di Pisa. A fronte della grande quantità di nuove costruzioni avvenuto dal dopoguerra fino agli anni ’60 — grazie anche alla rapidità di costruzione e il basso costo del cemen-to armacemen-to —, negli ultimi anni si ha un’inversione di tendenza che porta a preferire il controllo — e l’eventuale recupero, se necessario — delle costru-zioni esistenti, cercando di ridurre le spese senza sacrificare la durabilità della costruzione stessa.

Lo studio del Ponte di Mezzo sull’Arno pisano, realizzato in cemento ar-mato ad un’unica luce di 72 m su progetto di Giulio Krall e completato nel 1950 (in seguito alla distruzione del ponte precedente durante la Seconda guerra mondiale), è necessario ai fini di una migliore conoscenza del com-portamento dei ponti esistenti costruiti con modalità simili, oltre che per la valutazione dell’idoneità statica e sismica della struttura, dati l’incremento dei carichi transitanti previsti dal 1950 ad oggi e il nuovo obbligo di con-siderare anche l’azione sismica. Inoltre la conoscenza dello stato di fatto potrebbe servire come base per eventuali interventi in futuro, anche nel caso in cui si verificassero dei danneggiamenti.

Giulio Krall decise di realizzare il Ponte di Mezzo con sistema Melan — poco diffuso in Italia — per ridurre i tempi di costruzione e ridurre i rischi: infatti questo metodo consentì il getto del calcestruzzo senza l’utilizzo di una centina con pile provvisorie in alveo, ma servendosi di un’armatura metallica reticolare (alla quale vennero appese le casseforme) che rimase inglobata nel getto, contribuendo alla capacità resistente insieme alle barre d’armatura. Nel Capitolo 1 si descrive appunto il sistema Melan e le relative varianti,

(12)

dalle origini nel 1892 ad oggi, trattando come si è sviluppato da metodo di costruzione dei solai a volta a metodo di costruzione di ponti in cemento armato.

Nel Capitolo 2 si analizza l’intuizione innovativa di Krall che gli permise di costruire ponti con sistema Melan riducendo notevolmente le quantità di ac-ciaio necessarie, considerando la ridistribuzione favorevole delle sollecitazioni nel calcestruzzo dovuta alla viscosità dei calcestruzzi disarmati solo dopo po-chi giorni dal getto; utilizzò questo accorgimento proprio per la costruzione del Ponte di Mezzo. Nello stesso capitolo si descrivono anche gli sviluppi storici della meccanica visco-elastica e si tratta di come molti ingegneri igno-rassero l’esistenza della viscosità, anche al momento della costruzione del Ponte di Mezzo.

Nel Capitolo 3 si descrive il Ponte di Mezzo e si risale alla conoscenza dello stato di fatto dell’opera, per quanto possibile (data l’incompletezza dei docu-menti di progetto disponibili), basandosi sia sulle parti di relazione tecnica e disegni originali a disposizione, sia su altre analisi effettuate appositamente per risalire allo schema statico, ai materiali utilizzati, alla geometria e alla sequenza di costruzione. Inoltre si descrivono le ragioni che determinarono la scelta della luce unica rispetto alle tre luci, e quelle che portarono all’utilizzo della centina autoportante di tipo Melan. Infine si mostrano le modalità di progettazione e di calcolo utilizzate da Krall.

Nel Capitolo 4 si descrive l’evoluzione nel tempo della normativa italia-na sui carichi da traffico per i ponti stradali e si ricerca la ratio legis dei cambiamenti principali.

Infine, nel Capitolo 5 si effettua la verifica strutturale — anche sismi-ca, con analisi effettuata su modello tridimensionale — del ponte con la normativa attuale (NTC 2008).

(13)

Il sistema Melan consiste nella utilizzazione anche di un’armatura metal-lica rigida, costituita da profilati in acciaio, nelle costruzioni di cemento ar-mato. Inizialmente vista come un’evoluzione del cemento armato, oggi viene considerata come una tecnica di costruzione composta acciaio-calcestruzzo.

Nei paragrafi seguenti si tratterà lo sviluppo e la diffusione in ambito internazionale del sistema Melan [1, 2].

1.1

Invenzione

L’inventore del sistema, Josef Melan (1853–1941), era uno dei più com-petenti ingegneri austriaci che si occupavano di costruzione di ponti. Il si-stema fu brevettato nel 1892, inizialmente come sisi-stema per costruire solai con struttura a volta (Fig. 1.1): il suo successo nell’ambito dei sistemi co-struttivi per solai fu dovuto principalmente all’elevata capacità portante, ben superiore rispetto a quella dei più diffusi solai Monier in quel periodo.

Ma la qualità che venne maggiormente apprezzata in seguito — e che permette al sistema Melan di essere ancora oggi vantaggioso almeno in alcuni casi — era legata all’aspetto tecnologico-costruttivo, come sottolineato dallo stesso Melan nella descrizione allegata alla richiesta di brevetto: «Le costole metalliche sono particolarmente importanti nel caso in cui un carico non distribuito uniformemente sul solaio generi sforzi di trazione [. . .]. Inoltre, le casseforme per il getto della volta possono essere agevolmente fissate alle costole dell’arco, per cui risulta non necessaria la disposizione di una centina per sorreggerle, anche per le luci maggiori». Anche i ponti costruiti con sistema Melan non necessitano di centine, poiché il telaio rigido funge da centina autoportante.

Nel 1893 fu effettuata un’ulteriore prova su un arco Melan: fu necessaria una condizione di carico asimmetrica per portarlo alla rottura, come si os-serva in Figura 1.2. Inoltre il carico sopportato era all’incirca tre o quattro volte superiore rispetto a quello di solai analoghi costruiti con altri sistemi:

(14)

Figura 1.1: Disegno dal brevetto di Melan

è da questo momento che inizia a diffondersi il sistema Melan, reso ulterior-mente noto a seguito dell’assegnazione della medaglia d’oro all’Esposizione universale di Parigi del 1900.

1.2

Diffusione e sviluppo

L’introduzione del sistema Melan nelle costruzioni comuni in Austria-Ungheria e in Germania avvenne anche grazie alla stretta collaborazione tra Josef Melan e l’imprenditore industriale Viktor Brausewetter; la diffusione del sistema come metodo per la costruzione dei ponti era invece vincolata all’approvazione di una normativa tecnica che lo prevedesse. Non avendo bisogno di opere provvisorie atte a sorreggere la struttura durante il getto, è grazie a questo aspetto tecnologico che il sistema Melan riesce a farsi spazio nel mercato, in Europa e soprattutto negli Stati Uniti.

1.2.1

Stati Uniti d’America

Il sistema Melan si diffuse rapidamente negli Stati Uniti, dove — al con-trario delle nazioni europee — non si era affermata la pratica di costruzione

(15)

Figura 1.2: Solaio di tipo Melan dopo la rottura

(16)

Figura 1.4: Larimer Avenue Bridge a Pittsburgh (USA)

dei ponti secondo il brevetto Monier. Nel periodo compreso tra il 1894 e il 1904 circa 300 ponti di tipo Melan furono costruiti solo dalla New York Concrete-Steel Engineering Company, grazie all’influenza dell’ingegnere civile austriaco Fritz von Emperger.

Il primo ponte costruito con questo sistema è stato il Melan Bridge (1893, Fig. 1.3) nella contea di Lyon, nell’Iowa; la scelta del calcestruzzo — in un periodo in cui non era ancora diffuso — fu dovuta alla necessità di costruire un ponte resistente al fuoco. La corda misura 9 m e il telaio metallico è costituito da 5 profilati a I.

Nel giro di pochi anni le luci dei ponti di questa tipologia aumentarono notevolmente: l’arco del Larimer Avenue Bridge (Fig. 1.4), a Pittsburgh (Pennsylvania), ha una corda di 91 m. Le due costole ad arco sono rastremate in altezza e sono state gettate in concomitanza.

Nel 1924 negli USA erano già stati costruiti più di 5000 ponti con ar-matura metallica rigida. Al momento della costruzione, alcuni di questi erano i ponti ad arco con luce più grande del mondo, come l’arco centra-le del F.W. Cappecentra-len Memorial Bridge sul Mississippi a Minneapolis (1923, Figg. 1.5 e 1.19) di 122 m di luce. La sovrastruttura è costituita da due archi in cemento armato disposti a una distanza libera di 7,50 m, in modo da poter mantenere in tale spazio il vecchio ponte in ferro, utile per il trasporto dei materiali da costruzione e per non interrompere il traffico pedonale durante

(17)

Figura 1.5: F.W. Cappelen Memorial Bridge sul Mississippi (USA)

l’esecuzione. A causa della scarsa manutenzione effettuata nei primi anni do-po la costruzione, nel 1970 il do-ponte venne chiuso per ristrutturazione: furono mantenuti soltanto gli archi originali e vennero ricostruiti soltanto la metà dei supporti verticali — nonostante si ampliasse anche la larghezza dell’impalcato — poiché si scoprì che erano stati ampiamente sovradimensionati.

1.2.2

Austria e paesi confinanti

A seguito del successo riscosso negli Stati Uniti, Emperger contribuì alla diffusione del sistema Melan in Austria scrivendo articoli sulla rivista scien-tifica dell’ÖIAV1. Nel 1897 brevettò inoltre una variante che prevedeva

l’uti-lizzo di elementi a traliccio (Fig. 1.6), con lo scopo di ridurre la quantità di acciaio necessaria.

Il primo ponte in Europa ad essere realizzato con il sistema Melan fu pro-gettato proprio da Melan, il quale utilizzò la variante proposta da Emperger [3]: sorse così lo Schwimmschul-Brücke a Steyr (Fig. 1.7), con ribassamento pari a 1/16, la cui luce di 42 m nel 1898 era la maggiore realizzata in Austria. La struttura finale è costituita da 6 archi reticolari metallici a tre cerniere — due cerniere alle imposte e una in chiave — imprigionati in un calcestruzzo miscelato in proporzione 1:2:4 relativamente a cemento Portland, sabbia e pietrisco: il calcestruzzo può essere considerato perfettamente solidale allo scheletro metallico. Le cerniere sono di tipo Köpcke, nelle quali lo snodo consiste nel contatto di due superfici di cemento cilindriche (una concava,

(18)

Figura 1.6: Disegno dal brevetto di Emperger (variante del sistema Melan)

l’altra convessa). Gli archi reticolari sono posti a distanza reciproca di 1 m e collegati tra loro nel piano orizzontale con controventi metallici a croce; le aste costituenti gli archi sono composte da profili 2L 120×120×15, affiancati da piatti chiodati nel caso degli elementi vicini alle tre cerniere dell’arco. L’intradosso ha la forma di un arco di circonferenza di raggio 85 m. Gli ar-chi metallici sono stati posizionati uno alla volta, dopo averli interamente montati a parte, sostenendoli mediante cinghie di ancoraggio. Le cerniere di appoggio sulle spalle sono in ghisa e acciaio. La prima prova di carico causò un abbassamento eccessivo in chiave — 26 cm sotto un carico di 460 kg/m2

— dovuto all’eccessiva deformabilità del terreno di fondazione, a fronte di elevate spinte orizzontali esercitate dall’arco fortemente ribassato. Tuttavia, dopo aver consolidato il terreno con iniezioni di miscela cementizia in pres-sione, l’abbassamento risultò di soli 3 cm, inferiore alla previsione teorica di 7 cm. I carichi mobili considerati nel calcolo erano i seguenti, considerati uno alla volta:

• carico distribuito pari a 460 kg/m2 su tutta la superficie;

(19)

Figura 1.7: Schwimmschul-Brücke a Steyr (Austria)

• autoveicolo da 12 t costituito da due assi distanti 3,6 m.

La resistenza a compressione sui provini di calcestruzzo risultò di 130 kg/cm2.

Le tensioni ammissibili erano:

• 30 kg/cm2 per il calcestruzzo (dunque si aveva un coefficiente di

sicu-rezza superiore a 4); • 1100 kg/cm2 per l’acciaio

le quali secondo il calcolo di verifica venivano leggermente superate solo in ra-re condizioni di carico; non erano pra-reviste sollecitazioni di trazione nell’arco. Le massime sollecitazioni di compressione generate nelle superfici cilindriche sono date dalla formula:

 1 r1 − 1 r2  = 16 9 π σ2 P E = 5,58 σ2 P E

(20)

Figura 1.8: Disegni dal progetto del p on te sul fium e Sc h w arza a P a y erbac h (Austria)

(21)

Figura 1.9: Ponte sul fiume Schwarza a Payerbach (Austria)

da cui si ottenne σ = 265 kg/cm2 per la cerniera in chiave e σ = 227 kg/cm2

per le cerniere alle imposte.

Nel 1901 Melan progettò il ponte sul fiume Schwarza a Payerbach (Figg. 1.8 e 1.9), un ponte stradale di luce pari a 26 m [3]. Il telaio rigido è esteso sulle spalle e le sue estremità sono ancorate saldamente attraverso barre immerse in un getto di calcestruzzo, con lo scopo di diminuire la spinta orizzontale, — essendo l’arco fortemente ribassato ed essendo il terreno di fondazione scarsamente resistente — oltre che per ancorare la travatura reticolare du-rante il getto e per effettuare la sua regolazione in fase di chiusura della cerniera di chiave. L’arco metallico è costituito da cinque travature reticolari affiancate, con cerniera in chiave di tipo Köpcke (stessa tipologia di quel-le dello Schwimmschul-Brücke a Steyr); i correnti sono composti da profili 2L 120×120×13. Ciascuna costola longitudinale è estesa a forma di becco per 3,20m nel getto di entrambe le spalle. La barra di ancoraggio è costituita per ciascuna costola da una coppia di barre ∅35; è fissata al telaio stesso tramite due profili a C ed è ancorata nel getto di calcestruzzo mediante travi orizzontali a doppio T incorporate nella fondazione della spalla. I correnti inferiori in corrispondenza delle imposte sono appoggiati su dei blocchi di cemento. L’estradosso della sovrastruttura finale è rettilineo, mentre l’intra-dosso ha la forma di un arco di ellisse; l’altezza della sezione varia da 1,55 m alle imposte fino a misurare 0,45 m in chiave. Il ponte è obliquo (presenta un angolo di 83◦): le costole longitudinali sono perciò leggermente sfalsate tra

loro e sono collegate reciprocamente attraverso controventi trasversali. Gli archi metallici furono montati mediante l’ausilio di una centina lignea con pile provvisorie in alveo, e prima di procedere con l’inizio del getto furono fissate le cerniere in chiave con dei cunei. Durante il getto, ovvero conside-rando il calcestruzzo come carico incoerente, sugli archi metallici agivano le seguenti forze:

(22)

Figura 1.10: Dragon Bridge a Lubiana (Slovenia)

• la forza orizzontale H nella cerniera in chiave, coincidente con la spinta dell’arco;

• la reazione D alle imposte, inclinata di 10◦ rispetto alla superficie di

appoggio a causa dell’attrito (l’assunzione di un angolo di attrito pa-ri a 10◦ era a favore di sicurezza, poiché in realtà l’attrito tra trave

di acciaio, rivestimento di piombo e blocco di cemento è decisamente superiore);

• la trazione Z nelle barre di ancoraggio. Da considerazioni di equilibrio furono ricavate:

Z = 0,985 G H = 1,45 G D = 2,08 G

I maggiori abbassamenti in chiave si ebbero istantaneamente dopo il mon-taggio degli archi metallici poggianti sulla centina (98 mm); i 3,8 mm di ab-bassamento a seguito della prova di carico (con 590 kg/m2) furono recuperati

(23)

Figura 1.11: Ponte di San Telmo a Siviglia (Spagna) durante la costruzione

Tra gli altri ponti progettati da Melan con lo stesso metodo vi sono — fuori dall’Austria — il Pont Chauderon-Montbenon a Losanna e il Dragon Bridge a Lubiana (Zmajski most in sloveno). Lo scheletro metallico del Dragon Bridge (Fig. 1.10), completato nel 1901, è costituito da archi reticolari a tre cerniere a distanza di 1,0 m l’uno dall’altro; le operazioni di getto del calcestruzzo furono completate in soli 10 giorni.

Il sistema Melan in Svizzera fu criticato da Robert Maillart nel 1936. Le ragioni erano da un lato tecniche: egli sosteneva infatti che la scarsa aderen-za tra calcestruzzo e acciaio non avrebbe resistito a vibrazioni e variazioni termiche, causando la corrosione dell’acciaio. Tale motivazione era compren-sibile a quel tempo, data la allora scarsa conoscenza del comportamento delle strutture composte. Dall’altro lato sussistevano ragioni economiche: era pre-feribile utilizzare le barre da cemento armato prodotte nella madrepatria e salvaguardare la produzione locale di legno da costruzione, utilizzato in gran quantità per la costruzione delle centine necessarie per i normali ponti ad arco in cemento armato.

1.2.3

Spagna

L’ingegnere spagnolo José Eugenio Ribera giocò un ruolo importante nel-lo sviluppo del sistema Melan: fu lui per primo ad individuare la possibilità — data dal telaio rigido — di rimuovere completamente le centine altrimenti necessarie durante il getto e la maturazione del calcestruzzo. Nel 1902 ot-tenne il brevetto in Spagna per questa variazione del sistema Melan, talvolta denominata come “sistema Ribera”.

(24)

Figura 1.12: Viadotto sul fiume Esla (Spagna) durante la costruzione

Figura 1.13: Sezione trasversale dell’arco del Viadotto sul fiume Esla, con indicazione dell’ordine di getto

(25)

Tra il 1902 e il 1935 Ribera progettò e fece costruire in Spagna circa 300 ponti ad arco con questo metodo: uno di questi è il Ponte di San Telmo a Siviglia (Fig. 1.11), nel quale la parte centrale dell’arco venne posta in opera con una gru galleggiante. Secondo il progetto, iniziato nel 1920, la natura in cemento armato del ponte avrebbe dovuto essere tenuta nascosta, ma nel 1931, al momento dell’inaugurazione, lo stesso Ribera la rese evidente, in nome della sincerità costruttiva vigente in quel periodo, lontana dai pregiudizi che potevano essere presenti 11 anni prima.

Il Viadotto della ferrovia Zamora-Ourense sul fiume Esla (nella Spagna nord-occidentale), con una luce di 210 metri, era in costruzione come ponte ad arco in cemento armato secondo il progetto di Martìn Gil. Interrotti i lavori a causa della guerra civile spagnola, dopo qualche anno le centine in legno non erano più idonee a permettere il compimento dei lavori; Eduardo Torroja, ex studente di Ribera, propose di erigere un arco di acciaio autoportante intorno al quale gettare il calcestruzzo, permettendo così la conclusione del ponte nel 1942: in quel momento era il ponte ad arco in calcestruzzo con luce maggiore del mondo (Figg. 1.12 e 1.13). L’arco fu gettato per conci, partendo da un’imposta e procedendo verso l’altra; nel calcolo fu considerata la collaborazione del calcestruzzo nei conci già maturati, in modo da ridurre la quantità di acciaio necessaria a sostenere i carichi dei getti successivi.

1.2.4

Germania

Heinrich Spangenberg illustrò il sistema Melan nel 1924 all’incontro an-nuale della German Concrete Society, mostrandone i vantaggi ma criticando — per quanto riguarda ponti di luci maggiori, nei quali è inevitabile gettare per conci — la presollecitazione involontaria delle sezioni gettate per prime, costrette a sopportare il peso del calcestruzzo ancora fluido delle porzioni suc-cessive. Per evitare questo effetto indesiderato, egli propose di presollecitare l’arco metallico con delle zavorre di ghiaia, dello stesso peso del calcestruzzo dei vari conci, rimuovendole man mano che la costruzione procede: in questo modo viene presollecitato solo il telaio di acciaio, non il calcestruzzo2.

2Circa 25 anni dopo Krall prese in considerazione questo metodo, per poi scartarlo,

durante il progetto del Ponte di Mezzo a Pisa (v. § 2.1). Nella relazione tecnica scriveva, a proposito del metodo di Spangenberg: «questo accorgimento indiscutibile porta a trovarsi con un carico, incoerente (ghiaia) eccezionale sulla centina, il che a meno di non ricorrere a sperperi di materiale inammissibili non sembra essere tranquillante. Mélan non seguiva questa via, iniziata appena prima della guerra per qualche arco importante, e non ebbe a dolersene mai in tutte le sue arditissime costruzioni, oggi dimenticate ma che superano, per gli archi, quelle dell’Hennebique stesso. La cagione di tutto sta come si è dimostrato recentemente nella viscosità del calcestruzzo giovane (viscosità e non plasticità) il quale scorre lungo il ferro ma lo imprigiona come in una guaina indeformabile, e consente le eque

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Figura 1.14: Echelsbacher Brücke sul fiume Ammer (Germania) durante la costruzione

Seguendo questo metodo, nel 1929 fu costruito l’Echelsbacher Brücke sul fiume Ammer in Baviera (Fig. 1.14), con arco a due cerniere, di corda 130 metri. Questo è costituito da due costole ad arco a sezione scatolare, a distanza reciproca di 6 m. L’impalcato, a 76 m di altezza sulla vallata, è composta da due travi larghe 1,1 m e collegate da una piastra di 20 cm di spessore. La sovrastruttura è a travata di tipo Gerber, con 4 cerniere interne. La variante proposta da Spangenberg venne però criticata poiché dopo la costruzione di scoprì che un ponte analogo all’Echelsbacher Brücke, se fosse stato costruito interamente in acciaio, avrebbe richiesto circa 60 tonnellate di acciaio in meno (su un totale di quasi 700 t) [14]: di questo si parlerà nel § 2.1.

L’ultimo ponte di tipo Melan costruito in Germania prima della Seconda guerra mondiale è stato il Ponte Ludovico sul fiume Isar a Monaco di Baviera, completato nel 1935. Da quel momento in poi, complice il fallimento del metodo Spangenberg, il sistema Melan non venne più utilizzato in Germania a causa della scarsità dell’acciaio, per la necessità di utilizzare tutte le risorse nel conflitto bellico. Dopo la Seconda guerra mondiale si affermarono invece le costruzioni composte e i ponti a travata continua, senza più spazio per il sistema Melan.

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Figura 1.15: Ponte di Mezzo a Pisa (Italia) durante la costruzione

1.2.5

Italia

In Italia il sistema Melan fu molto criticato per il suo costo, ma l’inge-gnere e matematico italiano Giulio Krall riuscì ad utilizzarlo contenendo i costi, sfruttando le doti di riadattabilità dei calcestruzzi giovani dovute agli scorrimenti viscosi [4]; il ragionamento di Krall è spiegato nel dettaglio al § 2.1. Nacquero così sull’Arno a Pisa il Ponte di Mezzo (1950, Fig. 1.15) ed il Ponte della Cittadella (chiamato da Krall “della Circonvallazione”), e — fuori dall’Italia — l’Arco di Safartak sul Nilo Azzurro in Etiopia (1948, Fig. 1.16). La centina Melan dell’Arco di Safartak fu realizzata in due tronchi verticali, da congiungere per ribaltamento.

Krall vedeva nel sistema Melan una possibilità di costruire ponti estrema-mente eleganti e ribassati, sebbene più costoso di altri metodi e che «richiede particolari cure nei getti per diminuire gli effetti della eterogeneità che deriva dalla carpenteria metallica immersa nel calcestruzzo» [5]. Si rivela un metodo necessario «là dove la costruzione della centina era impossibile o difficile; ad esempio perché il letto del fiume era cosparso (alludo ai ponti del tempo del-la ns. Resurrezione) d’ogni sorta di ordigni esplosivi, particodel-larmente quello dell’Arno a Pisa, al Ponte di Mezzo ed a quello della Circonvallazione (dove, quasi non bastasse, si trovarono, maltolte dai Cantieri della vicina Spezia, testate di siluri innescate)» [6].

Verso la fine degli anni ’70 Krall progettò e fece costruire il ponte di Sac-co (Fig. 1.17) sul Sammaro, in provincia di Salerno. Con la sua arcata di

(28)

Figura 1.16: Disegno di Krall dal progetto dell’Arco di Safartak (Etiopia) [5]

110 metri e un’altezza sulla vallata di 170 metri, è uno dei ponti più alti d’Europa. L’arco è costituito da tre costole di tipo Melan, che sorreggono l’impalcato in cemento armato mediante esili colonne ad interasse costante di circa 9 metri. Per facilitare i lavori, si costruì una passerella in legno sospesa a circa 150 metri di altezza e si montò un blondin per il trasporto dei mate-riali e per l’esecuzione dei getti. Durante gli scavi, emersero profonde faglie nello sperone di Roscigno e notevoli degradazioni e fratture nel calcare del versante Sacco. Per alcuni mesi, i lavori vennero sospesi in attesa di studiare la soluzione e per reperire il denaro necessario: a causa di questi problemi di natura geologica, il costo finale del ponte risultò essere più che doppio rispetto a quello stimato inizialmente. Pali di 150 metri e altri paletti di an-coraggio, fortemente armati, consolidarono entrambi i versanti — operazione necessaria per poter realizzare le fondazioni. Una volta costruita la centina, questa fu chiusa e bloccata in chiave, poi avvolta dai casseri per il getto di

(29)

Figura 1.17: Ponte di Sacco (Italia) durante la costruzione

calcestruzzo.

Il primo ponte stabile sul fiume Tagliamento, il quale restringe il proprio alveo a 200 metri di larghezza in corrispondenza di Pinzano (Friuli-Venezia Giulia) — mentre altrove raggiunge anche i 3 chilometri di larghezza — fu proprio di tipo Melan [7]. Tra i numerosi progetti, a partire dalla fine del Settecento, nessuno di questi fu considerato economicamente accettabile né presentava un rischio sufficientemente ridotto di crollo per le piene del fiume. Dopo circa un secolo di tentativi, nel 1903 il progetto venne affidato all’inge-gnere Giuseppe Vacchelli, tra i pionieri del cemento armato. Dopo tre anni, il risultato fu un ponte a tre campate paraboliche a cinque centri (Fig. 1.18), in cui ogni arco era realizzato assemblando quattro centine metalliche reticolari a tre cerniere. Gli elementi della struttura reticolare furono ottenuti compo-nendo due angolari con una piattabanda; i profili erano fittamente collegati con chiodi ribattuti. Le centine, inclinate verso l’asse del ponte rispetto al piano verticale per garantire una configurazione più stabile alla struttura — più larga alle imposte che in chiave — erano state collegate trasversalmente in più punti da tralicci metallici. Alle centine erano state poi appese le cas-seforme lignee atte a contenere il successivo getto del calcestruzzo, armato a sua volta da un graticcio di tondini di 10 millimetri di diametro. Le cen-tine risultarono così inglobate in due arconi gemelli, distinti, ricongiunti in

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Figura 1.18: Vecchio Ponte sul Tagliamento a Pinzano (Italia)

corrispondenza delle imposte e uniti da collegamenti intermedi. Le centine erano state montate in opera con il centro di chiave sopraelevato di circa 30 centimetri rispetto alla quota di disegno, per tenere conto della deformazione elastica e dell’abbassamento in chiave dovuto al carico del calcestruzzo getta-to. Durante le due guerre mondiali si rivelarono poco efficaci tutti i tentativi di demolizione da parte di vari eserciti, che — pur danneggiando seriamente la struttura — sottovalutavano la quantità di esplosivo da collocare, inganna-ti dall’aspetto apparentemente esile del ponte. Solamente un’onda di piena del Tagliamento nel 1966 danneggiò irreparabilmente la struttura: la pila di destra, quella minata più spesso in passato, venne spostata a valle di un paio di metri, trascinando le due arcate contigue che, comunque, non crollarono ma si deformarono plasticamente; questa volta però non c’era altra soluzione che la demolizione, avvenuta meno di un anno dopo.

1.3

I ponti ad arco prima della centina

autoportante Melan

Spangenberg nel 1924 [8] attribuiva alla rimozione della centina — resa possibile solo grazie al sistema Melan — il principale incremento di luce dei ponti ad arco in cemento armato rispetto a quelli in muratura o in calce-struzzo senza armature, purché il sistema Melan venisse attuato secondo la variante da lui stesso proposta (descritta al § 1.2.4 della presente tesi). Infatti sosteneva che il cemento armato in sé non avesse portato notevoli progressi riguardo alla dimensione della luce, per due motivi:

(31)

• la costruzione della centina lignea con pile provvisorie presenta un ri-schio che cresce con l’incrementare della luce dell’arco, anche perché dalla dimensione della luce dipendono i tempi di costruzione del ponte; • le armature non vengono sfruttate a pieno perché gli archi sono

preva-lentemente compressi.

Nonostante questo, il cemento armato fornì comunque un contributo impor-tante al progresso delle costruzioni dei ponti ad arco, permettendo di costruire ponti più leggeri e meno costosi a parità di luce.

Rischi correlati alla costruzione della centina normale

Si sono verificati diversi casi di crollo della centina in legno, solitamente dovuti a piene del fiume, ghiaccio, pioggia, incendi, cedimenti differenzia-li delle fondazioni o errori di progettazione della centina stessa: infatti il progetto della centina rappresentava spesso un problema più complesso del progetto del ponte in sé.

Per esempio il ponte sulla Senna a Saint-Pierre-du-Vauvray in Normandia era il ponte ad arco in cemento armato più lungo del mondo (corda di 132 m), ma — quando era stata gettata solo 1/4 della struttura — la centina crollò nel fiume a causa di una tempesta facendo crollare anche la parte di ponte appena costruita e causando diverse vittime.

Un altro caso simile fu quello del ponte ferroviario sul fiume Kymi in Finlandia, il cui arco principale in cemento armato misura 70 m di luce: subito dopo il completamento del getto dell’arco la centina crollò a causa della rottura degli appoggi della centina stessa sulle sponde rocciose del letto del fiume, danneggiando notevolmente l’arco di cemento armato.

In effetti, costruire una fondazione sicura per la centina era molto costoso: per il ponte sull’Isonzo a Salcano (Slovenia) la fondazione pneumatica e la rimozione delle pile provvisorie che sorreggevano la centina costarono più della centina stessa. Inoltre per evitare il rischio di incendio della centina vennero predisposti su di essa, in vari punti, dei serbatoi collegati a diversi tubi che potessero bagnare ovunque la centina in caso di pericolo.

La paura degli incendi era dovuta soprattutto all’episodio del F.W. Cap-pelen Memorial Bridge sul Mississippi a Minneapolis (Figg. 1.5 e 1.19), poi-ché durante la costruzione si verificò un incendio della centina lignea dell’arco principale che causò un’interruzione dei lavori. Un altro problema della cen-tina di questo ponte era l’ostruzione pressoché totale dell’alveo dovuta alla ridotta spaziatura tra le aste.

(32)

Figura 1.19: F.W. Cappelen Memorial Bridge sul Mississippi (USA) durante la costruzione

Utilità delle armature negli archi

Nei ponti ad arco in cemento armato la sezione di calcestruzzo deve co-munque essere sufficientemente grande per resistere alla sollecitazione di com-pressione: questo fa sì che la sollecitazione predominante sia quella dovuta al peso proprio. Specialmente per gli archi a 3 cerniere, nei quali i momenti flettenti sollecitanti hanno valori ridotti, la sezione di solo calcestruzzo po-teva resistere da sola e l’armatura veniva inserita solo per incrementare il margine di sicurezza e per cautelarsi da eventuali tensioni parassite non cal-colate, dovute a una costruzione della centina con quote di appoggio delle casseforme non perfettamente coincidenti con quelle di progetto.

Per esempio, l’arco del F.W. Cappelen Memorial Bridge (Figg. 1.5 e 1.19) venne calcolato senza considerare le armature, le quali furono inserite per incrementare la sicurezza del ponte: tale armatura, di area pari allo 0,8% della sezione trasversale, era un’armatura rigida di tipo Melan che non venne sfruttata come centina autoportante.

Dunque secondo Spangenberg le armature forniscono un vantaggio solo nei casi in cui l’arco è costituito da due costole — collegate trasversalmente — di sezione di calcestruzzo ridotta, tali da non riuscire a sopportare le sollecita-zioni di compressione senza armatura: in questi casi è necessario aggiungere una notevole quantità di armatura sia per la resistenza alla compressione sia

(33)

per la resistenza alla flessione, poiché il ridotto peso proprio della struttura fa sì che la sollecitazione predominante sia quella dovuta ai carichi mobili. Questa soluzione permetteva di risparmiare sulla sottostruttura a fronte di un incremento di costo della sovrastruttura dovuto alle grandi quantità di acciaio utilizzato.

Esempi di ponti ad arco di grande luce

Spangenberg raccolse a confronto i ponti ad arco di tutto il mondo, co-struiti fino al 1924, di luce superiore a 80 m (limite minimo per poter definire un ponte “di grande luce”). Definì inoltre un parametro di audacia dato dal rapporto tra il quadrato della luce e la freccia dell’arco:

k = L

2

f

Sosteneva che un ponte ad arco potesse essere definito “audace” solo se k > 650m, pur riconoscendo che nei ponti costruiti con centina normale (con pile provvisorie) la difficoltà aumentasse all’aumentare della freccia f, la quale faceva invece diminuire il valore dell’audacia k.

Con questo voleva dimostrare che, nonostante il cemento armato non avesse apportato notevoli progressi in relazione alla luce dei ponti ad arco, aumentò invece i valori dell’audacia mediante la riduzione della freccia a parità di luce. Di seguito si elencano i ponti ad arco oltre gli 80 m di luce in cemento armato costruiti con centina normale fino al 1924:

• Halenbrücke a Berna (Svizzera) del 1912

L = 87,2m f = 33,5m k = 227m

• Viadotto di Langwies della ferrovia Coira-Arosa (Svizzera) del 1914

L = 100,0m f = 42,0m k = 238m

• Gründjetobelbrücke della ferrovia Coira-Arosa (Svizzera) del 1914

L = 86,0m f = 17,9m k = 413m

• Ponte sull’Aar a Olten (Svizzera) del 1914

L = 82,0m f = 9,2m k = 730m

• Ponte ferroviario sul fiume Öre (Svezia) del 1919

L = 90,7m f = 29,3m k = 281m

• Ponte del Risorgimento sul Tevere a Roma (Italia) del 1911 — Fig. 1.20

(34)

Figura 1.20: Ponte del Risorgimento sul Tevere a Roma (Italia) durante la costruzione

• Ponte sulla Senna a Saint-Pierre-du-Vauvray (Francia) del 1923

L = 131,8m f = 25,0m k = 695m

• Ponte sul Rodano a La Balme, Yenne (Francia) del 1916

L = 95,0m f = 9,0m k = 1007m

• Larimer Avenue Bridge a Pittsburgh (USA) del 1912 — Fig. 1.4

L = 91,6m f = 20,4m k = 412m

• Beechwood Boulevard Bridge a Pittsburgh (USA) del 1921

L = 85,0m f = 17,3m k = 417m

• F.W. Cappelen Memorial Bridge sul Mississippi a Minneapolis (USA) del 1923 — Figg. 1.5 e 1.19

L = 121,9m f = 27,4m k = 542m

• Ponte Grafton a Auckland (Nuova Zelanda) del 1910

L = 97,5m f = 27,1m k = 351m

da cui si osserva che nel 1924 in Germania ancora non ve ne erano. C’era invece un ponte di luce superiore a 80 m in muratura, che deteneva il record di luce tra i ponti in muratura di tutto il mondo:

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Figura 1.21: Pont de la Libération a Villeneuve-sur-Lot (Francia), in calcestruzzo non armato

• Friedensbrücke a Plauen nel Vogtland (Germania)

L = 90,0m f = 18,0m k = 450m

Il ponte di luce maggiore del mondo costruito in calcestruzzo non armato era:

• Pont de la Libération a Villeneuve-sur-Lot (Francia)

L = 96,0m f = 15,4m k = 598m

i cui archi furono precompressi esternamente da Freyssinet mediante la tecni-ca di applitecni-cazione dei martinetti in chiave; le colonne che sostengono l’impal-cato sono in calcestruzzo debolmente armato rivestite di mattoni. Il ponte ad arco di luce maggiore in assoluto era un ponte in acciaio, l’Hell Gate Bridge a New York, di luce pari a 300 m.

Dunque dai dati riportati si può osservare come, fino al 1924, il cemento armato con centina normale avesse incrementato — rispetto ai ponti in mu-ratura e in calcestruzzo non armato — la luce massima di meno del 40%, ma l’audacia di quasi il 70%.

1.4

Riscoperta recente

A partire dal 1980, l’affermazione delle strutture composte acciaio-calce-struzzo, viste come una nuova tipologia strutturale (e non più come sotto-categoria delle strutture in cemento armato) permise un nuovo sviluppo del sistema Melan, che venne adattato al campo delle strutture composte.

(36)

Figura 1.22: Kashirajima Bridge a Okayama (Giappone) durante la costruzione

1.4.1

Giappone

In Giappone la diffusione del sistema Melan fu dovuto solamente ai van-taggi durante la costruzione (assenza di centine).

Nel 2002 fu costruito il Kashirajima Bridge (Fig. 1.22), di luce 220 metri, utilizzando una variante del sistema Melan molto diffusa in Giappone: prima vennero costruite e completate le estremità dell’arco sporgenti dalle spalle con metodi tradizionali, poi venne posizionato il telaio metallico della parte centrale — di lunghezza pari al 60% della corda totale — da completare con sistema Melan. Le sezioni terminali dell’arco furono costruite a sbalzo servendosi di stralli provvisori; la parte centrale, costituita da due travi di acciaio e di peso pari a 383 tonnellate, fu posizionata mediante una gru galleggiante.

1.4.2

Cina

In Cina è stata utilizzata — ed è tuttora molto diffusa — quasi esclu-sivamente una particolare variante del sistema Melan, denominata metodo CFST3 [9] (diffusa anche in Giappone): la fase di getto viene ulteriormente

facilitata mediante l’utilizzo di sezioni cave come elementi dell’arco metallico, che vengono successivamente riempite di calcestruzzo, dunque senza l’utilizzo

(37)

Figura 1.23: Ponte Xialaoxi sul fiume Azzurro (Cina) durante la costruzione

di casseforme. Questo metodo rappresenta un giusto compromesso tra la re-sistenza dei tubolari in acciaio e la rigidezza del cemento armato, rispettando inoltre i requisiti di basso costo, riduzione del materiale utilizzato, facilità di esecuzione e elevata capacità portante.

L’arco metallico può essere posizionato servendosi di diverse tecniche: • costruzione a sbalzo — tiranti regolati da martinetti mantengono la

sta-bilità e l’equilibrio durante la costruzione e permettono l’allineamento dell’arco con precisione (vantaggioso per luci elevate);

• rotazione verticale — le due metà di arco vengono costruite separata-mente in posizione orizzontale, poi innalzate fino alla quota di progetto facendole ruotare su perni provvisori (un’altra possibilità, poco usata però in Cina, consiste nel costruire le due parti in posizione verticale sulle imposte per poi ruotarle verso il basso);

• rotazione orizzontale con contrappesi — le due metà di arco vengono costruite separatamente in posizione ortogonale all’asse finale del ponte, poi fatte ruotare orizzontalmente tramite martinetti, fino alla posizione di progetto;

• combinazione di rotazione verticale e orizzontale — almeno una delle due parti dell’arco viene costruita in posizione ortogonale all’asse del ponte e appoggiata sul suolo.

Un esempio di posizionamento dell’arco per rotazione orizzontale con con-trappesi è il Ponte Xialaoxi sul fiume Azzurro, vicino alla Diga delle Tre Gole (1996, Fig. 1.23), la cui corda misura 160 m: le due metà di arco — formate

(38)

Figura 1.24: Wanxian Bridge sul fiume Azzurro (Cina)

da 4 paia di tubolari metallici da 100 cm di diametro ciascuno — sono state fatte ruotare da martinetti idraulici usando come perni due cerniere sferiche da 220 cm di diametro, in modo da collegarle in chiave. Soltanto dopo aver annegato nel calcestruzzo il complesso formato da fondazione e cerniere sfe-riche, i tubolari vennero riempiti di calcestruzzo e successivamente si iniziò la costruzione dell’impalcato.

Nel 1997 è stato costruito mediante tecnica a sbalzo il Wanxian Bridge (Fig. 1.24), anch’esso sul Fiume Azzurro, che, con la sua corda di 425 metri, è ad oggi uno dei ponti ad arco di luce maggiore del mondo: prima venne posizionato un arco di acciaio formato da sezioni cave, poi riempite di cal-cestruzzo, e infine — variando la procedura standard del metodo CFST — intorno a tale arco, utilizzato come centina autoportante, venne costruita in cemento armato una sezione a cassone tricellulare.

1.4.3

Zona delle Alpi

Nelle regioni montane il sistema Melan ha riscosso un notevole successo in relazione ai costi e all’eliminazione dei rischi connessi alla costruzione delle pile provvisorie altrimenti necessarie, specialmente in caso di attraversamenti di profonde vallate.

Diversi ponti sono stati costruiti a partire dal 1990 in Italia, Austria e Svizzera. Per esempio, in Austria lo Stampfgrabenbrücke (Fig. 1.25) ha

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Figura 1.25: Stampfgrabenbrücke (Austria) durante la costruzione

vinto nel 2004 l’Austrian Engineering Prize per l’eccellente combinazione di basso costo e eleganza. L’arco metallico — piuttosto sottile e con una corda di 120 m e freccia di 25 m — ha sostenuto anche durante il getto l’arco in cemento armato posizionato all’estradosso dell’arco metallico; per questo motivo è classificabile come una struttura composta acciaio-calcestruzzo.

1.5

Considerazioni conclusive

Il sistema Melan, inizialmente apprezzato per l’elevata capacità portante, successivamente si rivelò vantaggioso soprattutto per gli aspetti tecnologici riguardanti le operazioni in situ. Il sistema Melan porta infatti a notevoli miglioramenti nell’economia e nell’organizzazione dei siti di costruzione:

• incremento del grado di prefabbricazione, e di conseguenza maggiore controllo in fase di produzione;

• riduzione dei costi di manodopera, data l’assenza del montaggio di centine;

• minore durata dei lavori in situ.

Il fatto che il sistema Melan, inventato in Europa, abbia avuto successo prima di tutto negli Stati Uniti, è dovuto alla carenza di norme costruttive al riguardo in Europa. Il paese europeo in cui il sistema Melan ha avuto più successo è la Spagna, e ciò è dovuto sia all’elevato costo del legno da

(40)

costruzione in Spagna in quel periodo (che nei ponti ad arco non di tipo Melan è necessario per la costruzione della centina) — a differenza degli altri paesi europei — sia alle capacità imprenditoriali e amministrative di Ribera.

(41)

del calcestruzzo

2.1

Viscosità nel metodo Melan per i ponti

Nel progetto del Ponte di Mezzo a Pisa, Krall riuscì ad utilizzare il me-todo Melan contenendo i costi (altrimenti proibitivi), sfruttando le doti di riadattabilità dei calcestruzzi giovani dovute agli scorrimenti viscosi. Ridusse così di 2/3 — rispetto al metodo Spangenberg — la quantità di acciaio da carpenteria per l’armatura Melan, comunque aumentando l’area delle barre di armatura per raggiungere la voluta capacità resistente in opera. Infat-ti, evitando di far trascorrere più di 5–6 giorni tra una fase di getto e la successiva, considerò le ripartizioni dei carichi in fase esecutiva tra le varie membrature, dovute alla viscosità del calcestruzzo giovane.

Il metodo Melan si era ormai diffuso nella variante proposta da Span-genberg, di cui si è parlato al § 1.2.4: la prassi di zavorrare l’arco metallico con un carico equivalente a quello del calcestruzzo, rimuovendo le zavorre man mano che si procede con il getto, constringe a sovradimensionare gli elementi metallici compressi generando un eccessivo aumento di costo. Le centine Melan, in fase di declino, incominciarono nuovamente ad essere uti-lizzate proprio grazie a Krall e alla costruzione del Ponte di Mezzo [14]: lo sfruttamento dell’aspetto viscoso del calcestruzzo gli consentì di evitare la za-vorratura, senza considerare l’incremento di tensioni nel calcestruzzo dovuto alla presollecitazione involontaria delle sezioni gettate per prime, confidando nella capacità del calcestruzzo di ripartire uniformemente le sollecitazioni tra le parti gettate in fasi distinte.

Krall scriveva infatti [5]: «con il tempo le cose vanno come se n fosse ben superiore a 10 o 15, e ciò perché il calcestruzzo, per viscosità, scorre sul ferro d’armatura e si scarica su questo come fosse n = 40 o pressapoco» dove n è ovviamente il rapporto tra i moduli elastici dell’acciaio e del calcestruzzo:

n = Es Ec

(42)

Calcolò dunque un valore virtuale n∗ del coefficiente di omogeneizzazione —

da potersi assumere in riferimento ai carichi permanenti — in funzione del tempo t a partire dal 28◦ giorno di getto. Dette A

s e Ac rispettivamente le

aree delle sezioni di acciaio e di calcestruzzo: n∗(t) = n 1 + α 1 − e

−β t 1 + AsAcn [1 + α (1 − e−β t)]

nella quale α ' 3, β ' 1 e t è espresso in anni. Dopo qualche anno dal disarmo si può porre con sufficiente approssimazione t = ∞, dunque si ha:

n∗ = n 1 + α 1 + AsAc n (1 + α)

per cui, supponendo che l’area di acciaio sia circa pari all’1% dell’area di calcestruzzo (As = 0,01 Ac) e posto n = 15:

n∗ = 37,5

Nonostante tale valore così elevato potesse destare qualche preoccupazione — dato il carico eccessivo gravante sull’acciaio —, Krall sosteneva che «non è il caso; il ferro imprigionato nel calcestruzzo è capace di lavorare assai bene, (gli sforzi di aderenza si debbono riferire non all’n∗ ma sempre all’n = 15) e

se sforzato troppo, sempre nelle condizioni che si considerano, può, attraverso la valvola della plasticità (annullamento praticamente improvviso del modulo di elasticità, quando σ supera un certo limite σp) ridare al calcestruzzo quei

carichi che non può sopportare».

2.1.1

Conseguenze della variazione del coefficiente di

omogeneizzazione

Allo scopo di chiarire il ragionamento effettuato da Krall ed esposto al paragrafo precedente, si consideri una trave in cemento armato ordinario soggetta a sforzo normale baricentrico N applicato all’istante t0 [14]. In tale

istante il comportamento della trave è elastico; detti N∗

c la quota di N che

impegna il calcestruzzo e N∗

s quella che impegna l’acciaio, si possono scrivere

l’equazione di equilibrio e i legami costitutivi: N = Nc∗ + Ns∗ ∗c = N ∗ c EcAc ∗s = N ∗ s EsAs

(43)

La condizione di congruenza ∗ c = ∗s impone che Nc∗ EcAc = N ∗ s EsAs = N EcAc+ EsAs da cui si ottiene: Nc∗ = N 1 + EsEcAsAc = N 1 + n µ Ns∗ = N − Nc∗ = n µ 1 + n µN avendo posto n = Es/Ec e µ = As/Ac. Dunque si ha:

Ns∗ N∗ c

= n µ = nAs Ac

Al tempo t > tc si ha, secondo il modello invecchiante di Whitney

utilizzato da Krall: c(t) = Nc(t) EcAc + α EcAc Z t t0 Nc(τ ) e−β τ dτ

mentre per l’acciaio si trascura la deformazione viscosa (data l’entità molto minore e la velocità molto maggiore rispetto al calcestruzzo):

s(t) =

N − Nc(t)

EsAs

Imponendo la congruenza si ottiene: Nc(t)  1 EcAc + 1 EsAs  + α EcAc Z t t0 Nc(τ ) e−β τdτ = N EsAs e derivando rispetto a t: dNc dt + γ α Nc(t) e −β t = 0 dove γ = n µ/(1 + n µ). Da questa si ricava:

Nc= C e γ α

β e −β t

nella quale C si ottiene dalla condizione al contorno N = N∗

c per t = t0:

Nc = Nc∗e

(44)

Quando t = ∞: Nc ∞ = Nc∗e −γ αβ e−β t0 Ns ∞ = N − Nc ∞ = N − N 1 + n µ e −γ α β e−β t0 per cui: Ns ∞ Nc ∞ = n µ 1 + n µ1 1 − e−γ αβ e−β t0  e−γ αβ e−β t0 = n∞µ

dove n∞ è il coefficiente di omogeneizzazione finale in regime viscoso. Se il

carico viene applicato subito a un calcestruzzo molto giovane, ovvero t0 = 0,

si ottiene il massimo valore di n∞:

n∞ 0 = n

1 + n µ1 1 − e−γ αβ



e−γ αβ

= n∞µ

Da quest’ultima si osserva che n∞ 0 = n per α = 0 e aumenta con α fino a

diventare n∞ 0 = ∞ per α = ∞; inoltre n∞ 0 aumenta all’aumentare sia di n

che di µ, anche se per quest’ultimo molto meno sensibilmente.

L’aumento del valore di n ha come conseguenza una riduzione delle solle-citazioni nel calcestruzzo e un aumento delle stesse nell’acciaio: questo non è un problema, dato che nel calcolo elastico a compressione semplice la crisi della sezione è condizionata dalla tensione ammissibile del calcestruzzo, non sfruttando a pieno la tensione ammissibile dell’acciaio. Per questo motivo adottando un valore di n basso alcuni preferivano utilizzare acciai di scarsa qualità in modo da riuscire, spendendo meno, a soddisfare le verifiche con la stessa facilità ma diminuendo la sicurezza della costruzione. Ciò spiega la tendenza dei produttori di acciai di qualità a far elevare il coefficiente n stabilito dalle norme (che infatti salì da 8 a 10 e poi da 10 a 15), dato che la viscosità giocava a loro favore [14].

2.2

Sviluppi storici della meccanica

visco-elastica

L’idea dell’esistenza della viscosità del calcestruzzo fece fatica a imporsi nel pensiero comune degli ingegneri che si occupavano di costruzioni in ce-mento armato. L’americano Faber, avendo studiato il fenomeno sul piano teorico, ne espose i lineamenti nel 1914 all’École des Ponts et Chausées, ma

(45)

non esisteva concordanza di pareri in merito: in quella stessa seduta, Pi-geaud negava addirittura il problema, gridando “le fluage, il n’existe pas”, e Mesnager lo rimbeccava aspramente [4].

A tal proposito, nelle pagine seguenti saranno ripercorsi gli studi effettuati sulla viscosità, dalle origini fino al dopoguerra, ovvero fino al periodo di costruzione del Ponte di Mezzo [13, 14].

2.2.1

I pionieri

Sebbene il comportamento viscoso avesse destato l’attenzione di alcuni ricercatori fin dai primi impieghi della tecnica del cemento armato (Woolson nel 1905, Hatt nel 1907, McMillan nel 1915, Fuller e Smith nel 1916), la nuova tecnica costruttiva fu impiegata dai pionieri del cemento armato senza una chiara comprensione di questi fenomeni, spesso accorgendosi della loro presenza e dei conseguenti effetti statici solo ad opera costruita.

Ci limiteremo qui a due esempi celebri, entrambi riferiti all’opera di un grande costruttore quale fu Eugéne Freyssinet. Il primo esempio riguarda il ponte sul Veurdre del 1910, costituito da archi a tre cerniere di 73 m di luce fortemente ribassati (f/L = 1/15). Freyssinet attribuisce le grandi frecce di 12–13 cm che si sviluppano nei primi due anni dalla messa in servizio al solo ritiro del calcestruzzo, ignorando il fenomeno viscoso. Se l’errore concettuale è evidente, geniale e audace è invece la contromisura adottata: senza chiudere il viadotto al traffico, Freyssinet riapplica in chiave gli stessi martinetti1 che, con un’operazione di avanguardia, aveva già adottato per il

disarmo, e risolleva le arcate. Poi, senza farlo sapere, blocca con un getto la cerniera di chiave, impostagli dal pedissequo rispetto di un regolamento troppo preoccupato di eliminare le coazioni termiche, trasformando lo schema statico del ponte in quello meno deformabile di archi a due cerniere.

Nel 1915 per il ponte di Villeneuve-sur-Lot (arco incastrato di 96 m di lu-ce, Fig. 1.21) Freyssinet mette definitivamente a punto la tecnica di disarmo con martinetti in chiave che porta ancora oggi il suo nome, ampliandone lo scopo al recupero della caduta di spinta — indotta dall’accorciamento elasti-co, dal ritiro e dai cedimenti delle spalle — e più in generale alla correzione del regime statico dell’arco attraverso la sua forzatura. Nel pubblicare i ri-sultati del suo intervento nel celebre articolo su Le Génie Civil del 1921, non è minimamente sfiorato dal dubbio che lo stato di tensione correttivo da lui introdotto attraverso la coazione operata con i martinetti possa venire dra-sticamente ridotto nel tempo dall’intervento della viscosità del conglomerato; 1La tecnica di Freyssinet consisteva nell’utilizzo dei martinetti per allontanare tra loro

i due lembi del punto in chiave, in modo da ottenere una sorta di precompressione esterna sull’arco.

(46)

con un entusiasmo che appare oggi ingiustificato, si spinge a immaginare ar-chi in cemento armato di 600 m di luce. Ma d’altronde si sono verificati altri casi, anche recenti, di grandi archi in cemento armato per i quali progettisti affermati, riprendendo con mezzi più sofisticati la tecnica di Freyssinet di correzione del regime statico iniziale mediante l’applicazione di distorsioni, non si preoccupano della durata nel tempo della correzione operata.

Oggi sappiamo che i due problemi ignorati da Freyssinet rappresentano due casi classici:

• incremento delle deformazioni indotte dai carichi (creep problem), per il ponte sul Veurdre;

• diminuzione delle tensioni indotte dalle deformazioni impresse (relaxation problem), per il ponte di Villeneuve.

Sappiamo inoltre che le soluzioni di questi problemi si deducono, rispettiva-mente, dal primo e dal secondo teorema della viscoelasticità lineare, e che le funzioni risolventi sono legate fra di loro da una equazione integrale di Volterra.

Alla disattenzione dei pionieri nella prima parte del Novecento fa riscontro anche uno scarso interesse da parte degli sperimentatori, fatta eccezione per i primi precoci studi sopra accennati. Ricerche sperimentali sistematiche sul comportamento differito del calcestruzzo si svilupperanno infatti solo a partire dalla fine degli anni ’20, in concomitanza con l’affermazione della tecnica del cemento armato. Assai più precoce è invece l’interesse per gli effetti differiti da parte dei teorici.

2.2.2

La meccanica ereditaria di Volterra

Gli studi sugli effetti della durata delle sollecitazioni — e più in generale della loro storia — sulla risposta deformativa dei materiali avevano già desta-to l’interesse degli studiosi nel corso dell’Otdesta-tocendesta-to. Ma è a Videsta-to Volterra che si deve la fondazione di una vera e propria fisica e meccanica ereditarie riferite ai sistemi che conservano memoria delle azioni che li hanno precedentemente sollecitati2.

2Durante la lezione conclusiva del corso tenuto alla Sorbona nel 1912 sulle Funzioni di

linee, Volterra diceva: «Tutti gli ingegneri sanno che un ponte costruito da molto tempo non si deforma oggi, sotto l’azione di un carico, come si deformava subito dopo la sua costruzione. [. . .] la deformazione attuale non dipende solo dal carico attuale, ma da tutti i carichi precedenti: sembra perciò che si possa enunciare il principio che ogni azione che si è esercitata lasci un ricordo nel corpo, il quale conserva perciò la memoria di tutti i carichi che ha sopportato».

(47)

Se si definiscono, con una locuzione convenzionale, una causa u e un ef-fetto ν dipendenti dal tempo, l’equazione costitutiva di un sistema ereditario risulta espressa secondo Volterra dalla formula:

ν(t) = f (u(t)) + Φ [u(τ )]t−∞ (2.1)

dunque l’effetto in un dato istante t è funzione non solo della causa al me-desimo istante, ma anche dei valori della causa negli istanti precedenti τ. Questo secondo effetto, di tipo ereditario, è rappresentato dal funzionale Φ, funzione della linea u(τ), calcolato nell’intervallo (−∞; t).

Salvo qualche eccezione, Volterra si limita al caso in cui i due termini della (2.1) possano essere considerati lineari. Dal punto di vista fisico, ciò equivale ad ammettere che gli effetti delle azioni sollecitanti, nei tempi passati, si sommino (principio di sovrapposizione degli effetti nel tempo).

Se supponiamo per semplicità u(t) e ν(t) scalari e ammettiamo che l’a-zione sollecitante u(τ) sia nulla per τ minore di un certo istante t0, la (2.1)

diviene pertanto:

ν(t) = a u(t) + Z t

t0

u(τ ) φ(t, τ ) dτ (2.2)

dove a è una costante positiva e φ(t, τ) è, secondo la terminologia di Volterra, il nucleo coefficiente di eredità (o funzione di memoria, secondo la termino-logia attuale). All’elasticità lineare si sostituisce così l’elasticità ereditaria lineare, oggi usualmente denominata viscoelasticità lineare.

Si consideri adesso il caso in cui l’azione sollecitante u sia uno stato di tensione espresso dallo scalare σ(τ). Assumendo l’ipotesi lineare e tenendo conto anche della possibile variabilità del modulo elastico E in funzione del tempo, al fine di poter modellare il comportamento viscoelastico tipico di materiali quali il calcestruzzo, l’effetto ν rappresentato dalla risposta σ(t)

in termini di deformazione al tempo t può dunque essere espresso sulla base della (2.2) mediante l’equazione costitutiva:

σ(t) = σ(t) E(t) + Z t t0 σ(τ ) L(t, τ ) dτ (2.3)

nella quale il primo termine rappresenta la risposta elastica immediata e il termine integrale rappresenta l’effetto ereditario. In questo caso il nucleo viscoso L(t, τ) rappresenta la deformazione indotta all’istante t ≥ τ da una tensione unitaria agente nell’intervallo (τ; τ + dτ) ovvero da un impulso uni-tario di tensione; è legato all’attuale funzione viscosità J(t, τ) tramite la relazione:

L(t, τ ) = −∂J (t, τ )

(48)

L’inversione della relazione (2.2) porta a: σ(t) = σ(t) E(t) +

Z t

t0

σ(τ ) K(t, τ ) dτ (2.5)

dove K(t, τ) è il nucleo di rilassamento e rappresenta la tensione indotta all’istante t ≥ τ da un impulso unitario di deformazione; è legato all’attuale funzione rilassamento R(t, τ) tramite la relazione:

K(t, τ ) = −∂R(t, τ )

∂τ ≤ 0 (2.6)

Le equazioni fondamentali per lo studio dei corpi elastici dotati di ere-ditarietà lineare divengono dunque nel caso generale delle relazioni integro-differenziali. Volterra dimostra tuttavia che nel caso dei corpi omogenei e isotropi la forma integro-differenziale non è che apparente, potendo le equa-zioni essere ricondotte alle usuali equaequa-zioni differenziali relative all’equilibrio elastico, cui vengono associati gli operatori funzionali integrali che tengono conto del comportamento ereditario.

Il contributo di Volterra in campo viscoelastico ha essenzialmente carat-tere teorico: la teoria dell’elasticità ereditaria è costruita infatti espres-samente dall’illustre matematico senza preoccuparsi di definirne i coefficienti di eredità, con riferimento pertanto a materiali e nuclei viscosi generici. Per questo motivo da essa non vennero derivate immediatamente possibilità ap-plicative concrete per l’analisi strutturale, ma fu necessario attendere qual-che decennio prima qual-che i ricercatori del settore delle costruzioni in cemento armato si interessassero alla questione.

2.2.3

Modelli viscosi semplificati

A partire dalla fine degli anni ’20, con l’ingresso nella maturità della tecnica del cemento armato, si intensificano da parte degli sperimentatori le indagini sul comportamento del calcestruzzo sotto carichi di lunga dura-ta. Da questo ampio spettro di ricerche inizia ad emergere la complessità del comportamento ereditario: in particolare, appaiono evidenti l’influenza dell’età alla messa in carico — che riduce sia la deformazione iniziale che quella differita — e la capacità del materiale di dare luogo a deformazioni differite anche per età di messa in carico più elevate. Per contro, la defor-mazione viscosa complessiva (somma delle deformazioni iniziale e differita) sembra rispondere sufficientemente bene all’ipotesi di proporzionalità con gli sforzi applicati, ipotesi che appare ragionevole suggerire di assumere nelle analisi degli effetti strutturali. Si osserva anche l’influenza dell’ambiente di

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