2.2 Sviluppi storici della meccanica visco-elastica
2.2.4 Prime utilizzazioni dell’equazione integrale di Volterra
All’inizio degli anni ’40 comincia ad affermarsi la convinzione che l’equa- zione costitutiva ereditaria di tipo integrale, formulata trent’anni prima da Volterra per materiali soggetti ad invecchiamento e con comportamento ere- ditario lineare (per i quali è dunque valido il principio di sovrapposizione degli effetti)4, debba rappresentare lo strumento fondamentale per lo studio
dell’equilibrio in campo viscoelastico delle strutture in calcestruzzo.
La prima applicazione al calcestruzzo dell’equazione ereditaria integrale nella forma (2.3) compare negli ambienti dell’ingegneria sovietica ad opera di Maslov, ma non è accompagnata da proposte concrete per la funzione viscosità J(t, τ) e per il corrispondente nucleo viscoso.
Negli anni immediatamente seguenti, Douglas McHenry negli Stati Uniti individua nella relazione costitutiva espressa nella forma (2.5) lo strumento utile per interpretare i risultati dell’estesa campagna di prove sperimentali sui calcestruzzi delle grandi dighe nordamericane.
2.2.5
Il dopoguerra in Italia
La maggiore attenzione prestata negli anni ’30 al problema dell’influenza dei fenomeni differiti sul comportamento delle strutture in cemento armato sboccia in un intenso fiorire di studi e ricerche nell’immediato dopoguerra, con l’apparire di tecniche costruttive più ardite e complesse e con il progressivo affermarsi della tecnica della precompressione.
4Diversi ricercatori hanno constatato che la linearità risulta applicabile ad un’ampia
gamma di situazioni; le deviazioni dalla linearità risultano più pronunciate al crescere delle tensioni applicate e/o in presenza di variazioni di temperatura e umidità e/o in cicli di carico e scarico.
In Italia la scuola torinese guidata da Gustavo Colonnetti offre un terre- no fertile per lo sviluppo di una trattazione organica degli effetti statici della viscosità. Colonnetti inizia ad occuparsi del fenomeno già durante la guerra, senza però avvertire pienamente l’importanza del ruolo che i fenomeni dif- feriti possono avere sulle prestazioni complessive delle strutture in cemento armato; fornisce comunque una chiara definizione delle deformazioni visco- se, distinguendole da quelle plastiche, e introduce per esse l’ipotesi di pro- porzionalità rispetto alle tensioni. Riconosce inoltre come nei corpi omoge- nei le deformazioni viscose risultino ovunque proporzionali alle deformazioni elastiche.
Al termine del periodo bellico, il mondo delle costruzioni cambia signi- ficativamente in Italia e in Europa: prefabbricazione, costruzione per fasi ed assemblaggi successivi, e impiego estensivo della precompressione, fanno emergere l’influenza evidente che la viscosità del conglomerato cementizio può avere sul comportamento delle costruzioni. Franco Levi, allievo di Co- lonnetti, si interessa principalmente riguardo alle modalità per la messa in conto dei fenomeni viscosi — necessaria per le costruzioni in cemento armato precompresso — e all’individuazione di alcuni problemi di influenza statica della viscosità, fino ad allora pressoché inesplorati.
Levi dimostra definitivamente il primo teorema della viscoelasticità li- neare per i solidi omogenei, partendo dall’affermazione di Colonnetti sulla invariabilità dello stato di tensione dovuto a forze applicate in presenza di deformazioni viscose proporzionali alle tensioni (e quindi alle deformazioni elastiche). In seconda istanza Levi prende in esame, per gli stessi solidi omo- genei caratterizzati da deformazioni viscose proporzionali a quelle elastiche, le conseguenze statiche dell’applicazione di deformazioni impresse, dimostran- do come il fenomeno viscoso non influisca in questo caso sulla deformazione dovuta alle distorsioni applicate, ma modifichi invece lo stato di tensione iniziale mediante uno stato di tensione ad esso affine, risultante da una di- storsione viscosa isomorfa (caratterizzata in ogni punto da una deformazione affine a quella elastica); ciò costituisce la dimostrazione rigorosa del secondo teorema della viscoelasticità lineare per i solidi omogenei.
In sintesi, i due teoremi affermano che in presenza di fenomeni differiti caratterizzati da un rapporto di similitudine con quelli elastici (ovvero in presenza di un comportamento viscoelastico lineare, ammettendo la costan- za del rapporto di Poisson) la sola analisi elastica è sufficiente per predire il comportamento dei solidi strutturali nel tempo. Sulla base di questi fon- damenti rigorosi, assumendo in via di prima approssimazione il modello di viscosità semplificato della teoria dell’invecchiamento, Levi ne saggia l’appli- cazione ai più svariati problemi: deformazione impressa costante e variabile, effetto statico del ritiro, solidi eterogenei, instabilità dell’equilibrio, effetti di
variazioni cicliche di temperatura.
Non sfugge alla sua osservazione l’inadeguatezza del modello invecchiante rispetto alla più complessa risposta del materiale, la cui deformabilità dif- ferita appare in realtà essere la combinazione di una plasticità differita e di una elasticità differita. Levi propone dunque l’adozione di un più complesso modello reologico a fibre parallele, basato sull’idea che ogni fibra del materia- le sia formata dall’unione di elementi viscoelastici invecchianti con elementi elastici. Si perviene così a soluzioni analitiche relativamente semplici dei principali problemi strutturali in viscoelasticità, ancora basate su equazioni differenziali.
Nel 1951 Levi dimostra inoltre il terzo teorema della viscoelasticità, se- condo il quale in una struttura viscoelastica soggetta a una variazione dello schema statico ad un istante successivo a quello di applicazione dei carichi lo stato di tensione evolve nel tempo, avvicinandosi a quello della struttura immaginata dotata sin dall’inizio di tutti i vincoli finali.
Fra i contributi italiani dello stesso periodo vi sono anche i lavori di Giu- lio Krall, il quale imposta i problemi dei mezzi elastico-viscosi sulla base dell’equazione ereditaria di Volterra. L’adozione anche da parte di Krall — negli esempi applicativi riferiti al calcestruzzo — del nucleo viscoso funzione solo dell’età di sollecitazione, ossia riferendosi allo stesso modello di viscosità semplificato di tipo totalmente invecchiante di Glanville-Whitney, lo condu- ce a ritrovare la medesima equazione differenziale e i medesimi risultati di Whitney. Vengono così confermate, nel caso di archi in cemento armato, da un lato la scarsa efficacia dei procedimenti di compensazione degli sforzi mediante l’applicazione di distorsioni — il cui effetto risulta smorzarsi nel tempo secondo la legge esponenziale di rilassamento (2.9) — e dall’altro la benefica attenuazione (rispetto alla valutazione in campo elastico) degli sta- ti di coazione indotti da cedimenti vincolari progressivi e dal ritiro. Krall afferma che [5]:
• la viscosità non influisce sul regime iperstatico se i vincoli sono indi- pendenti dal tempo (ovvero non cedono con il tempo)
Esempio: arco a 2 cerniere in cui si applica il metodo delle forze rimuovendo un vincolo orizzontale, quindi l’incognita iperstatica è la spinta H. I carichi agenti provocano uno spostamento δ0, la spinta H provoca uno spostamento δH;
se il materiale è viscoso, per t > t0 si avranno al loro posto
gli spostamenti:
δ01 + α e−t0 − e−t
δH 1 + α e−t0 − e−t
il cui rapporto non varia, dunque la viscosità non modifica l’iperstatica H.
• la viscosità agisce in modo benefico contro gli insidiosi effetti — nei sistemi iperstatici — dei cedimenti vincolari variabili nel tempo
Esempio: arco a 2 cerniere nel quale una delle due cerniere si sposta orizzontalmente con legge nota ∆ = ∆(t) a partire dall’istante t = t0. Dunque si ha una spinta additiva ∆H(t)
variabile nel tempo tale che: ∆H(t) δH + δHα β Z t t0 ∆H(τ ) e−β τ dτ = −∆(t) e derivando si ottiene δH d∆H dt + δHα β e −β t ∆H = −d∆ dt
da cui si può ricavare il ∆H per un ∆ assegnato; se ∆(t) = ∆0 (1 − e−µ t) dove µ ' 1, β ' 1 e t è in anni, e poiché
∆H(t0) = 0: ∆H = −∆0 δH 1 α h 1 − e−α(e−t0−e−t)i
per cui, se si provoca una distorsione nell’arco, questa si di- sperde rapidamente se l’operazione viene fatta quando il cal- cestruzzo è giovane (t0 ' 0). Infatti, se con M0 indichiamo
una caratteristica della sollecitazione nell’arco dovuta alla distorsione applicata all’istante t0, si ha al tempo t > t0:
M (t) = M0e−α(e
−t0−e−t)
Nel caso dei cedimenti delle fondazioni al disarmo, alcuni progettisti nel periodo del dopoguerra fanno anticipare il disarmo quanto possibile (appena terminata la presa), contravvenendo alle norme che prescrivono di effettuarlo troppo tardi. In ogni caso, è sempre preferibile fare il possibile per evitare tali cedimenti, anche se i loro effetti possono essere mitigati con il disarmo anticipato. Inoltre l’anticipazione del disarmo deve essere accompagnata da un ben calcolato ritardo nell’applicazione dei carichi della sovrastruttura e dei carichi accidentali, almeno di quelli di servizio.
Nel caso delle distorsioni correttive, conviene dunque che queste siano protratte quanto più è possibile, ed eventualmente provvedere a una nuo- va messa in forza in un momento successivo, quando l’attività viscosa del
calcestruzzo invecchiato sarà ridotta. Negli archi, una distorsione in chiave serve anche a compensare gli effetti dell’accorciamento assiale, ma in tal ca- so è meglio ritardare il disarmo (sempre che non ci sia il rischio di possibili cedimenti).
Con l’avanzare di nuove tecniche costruttive, il pericolo del cedimento immediato al disarmo viene drasticamente ridotto. Resta però insidioso il pericolo del cedimento di consolidazione, tipico dei terreni argillosi: l’effetto negativo di questi cedimenti può essere compensato solo in minima parte dalla viscosità della struttura.
di Mezzo a Pisa
Figura 3.1: Il Ponte di Mezzo