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La Dichiarazione delle Nazioni Unite sui Diritti dei Popoli Indigeni

CAPITOLO 2: ANALISI EMPIRICA SULL’IRRESPONSABILITÀ SOCIALE

3.3 La Dichiarazione delle Nazioni Unite sui Diritti dei Popoli Indigeni

Dopo oltre un ventennio di studi e lavori, la Dichiarazione sui diritti dei popoli indigeni viene adottata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 13 settem- bre 2007. (vedi Allegato 4)

Il processo di adozione è avanzato lentamente:

 Nel 1982, il Comitato economico e sociale delle Nazioni Unite (ECOSOC) ha creato il Gruppo di lavoro sui Popoli indigeni (WGIP), finalizzato allo sviluppo degli standard dei diritti umani per la tutela dei popoli indigeni. ll Gruppo di lavoro è stato il risultato di uno studio del Relatore speciale José R. Martinez Cobo sul problema della discriminazione esercitata sui popoli indigeni.

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 Nel 1985, il Gruppo di Lavoro ha iniziato a redigere un progetto di Dichia- razione sui Diritti dei Popoli Indigeni.

 Nel 1993, il Gruppo di lavoro ha raggiunto all’unanimità l’accordo su un testo finale per il progetto di Dichiarazione, presentato alla Sottocommis- sione per la prevenzione della discriminazione e la tutela delle minoranze e approvato dalla stessa nel 1994. Il progetto è stato poi inviato alla Commis- sione sui Diritti Umani delle Nazioni Unite, che ha istituito il Gruppo di lavoro per la Dichiarazione sui Diritti dei Popoli Indigeni.

 Il Vertice mondiale 2005 e la Quinta sessione 2006 del Forum permanente delle Nazioni Unite sui popoli indigeni (UNPFII) hanno richiesto che la Dichiarazione fosse adottata quanto prima.

 Il Consiglio per i Diritti Umani, che ha sostituito la Commissione sui Diritti Umani, ha adottato la Dichiarazione nel giugno 2006 (unric.org).

Interessante è l’analisi, di cui riporto i punti fondamentali, di questa dichiarazione, elaborata dalla Professoressa Valentina Zambrano, dell’Università degli Studi di Roma e pubblicata su la rivista “La comunità internazionale” nel 2009.

Al momento dell’elaborazione del progetto, il Gruppo si è concentrato sulle que- stioni ritenute più importanti dai rappresentanti delle comunità considerate:

1) la particolare natura dei diritti collettivi dei popoli indigeni;

2) la centralità dei diritti relativi alla terra;

3) il riconoscimento del loro diritto all’autodeterminazione; 4) la protezione giuridica internazionale dei loro diritti.

Il diritto collettivo ad esistere come popoli culturalmente distinti è stata sicura- mente una delle rivendicazioni espresse con maggiore insistenza dai rappresentanti

46 indigeni. L’obiettivo era di garantire a tali popoli la possibilità di mantenere e svi- luppare le caratteristiche etniche, culturali e sociali proprie delle loro tradizioni, lingue, religioni e sistemi educativi.

Altra questione particolarmente dibattuta all’interno del Gruppo è stata quella del diritto a controllare e possedere le terre che tradizionalmente hanno abitato o pos- seduto.

D’altronde, il riconoscimento dei diritti collettivi degli indigeni non ha valore senza l’affermazione dei corrispondenti diritti (collettivi) ad occupare (o riacqui- sire) i territori che tradizionalmente hanno abitato o posseduto. Ne è derivato, quindi, il riconoscimento del diritto di tali popoli a possedere e sfruttare libera- mente le terre degli avi e le risorse naturali presenti quale elemento indispensabile alla loro sopravvivenza come popoli. Inoltre, questo diritto è stato considerato come strettamente connesso a quello dell’autodeterminazione, che ha rappresen- tato il tema più discusso nell’ambito del Gruppo.

Il primo progetto non faceva riferimento alla garanzia dell’autodeterminazione, a causa della forte contrapposizione tra i rappresentanti dei popoli indigeni e quelli governativi, che temevano i possibili rischi per la sovranità statale e l’integrità ter- ritoriale derivanti da un tale riconoscimento (c.d. dimensione esterna del principio di autodeterminazione Questa interpretazione viene rafforzata da due elementi. Il primo è che il documento approvato contiene, all’art.46, la specificazione che nes- suna disposizione della Dichiarazione potrà essere interpretata come un’autorizza- zione o un incoraggiamento a realizzare atti che possano distruggere o limitare, totalmente o parzialmente, l’integrità territoriale o l’unità politica di uno Stato so- vrano ed indipendente.

Il secondo è che proprio per superare l’opposizione di molti Stati si è insistito sull’aspetto “interno” dell’autodeterminazione, come si evince dagli articoli 3 e 4, che affermano il diritto all’autodeterminazione, in base al quale essi possono de- terminare liberamente il loro status politico e liberamente perseguire il loro svi- luppo economico, sociale e culturale nonché governarsi in autonomia nelle mate- rie attinenti ai loro affari interni e locali.

47 Viene così a delinearsi un concetto di autodeterminazione diverso dalla classica concezione di diritto a rendersi indipendenti da uno Stato oppressore e a costituire un proprio Stato o unirsi ad uno di già esistente, e che si traduce piuttosto nella libertà di determinare, attraverso procedure liberamente prescelte, l’organizza- zione politica, economica e sociale che meglio corrisponda alla specifica identità del popolo indigeno considerato.

L’altra questione che ha suscitato l’opposizione di alcuni Paesi è stato il riconosci- mento del diritto a possedere, utilizzare e controllare le terre e le risorse naturali ivi presenti. Riguardo a tale aspetto, vengono in rilievo gli articoli da 25 a 32. Il primo riconosce il diritto delle comunità considerate a mantenere e a rafforzare la speciale relazione spirituale con le terre, le acque, le risorse tradizionalmente pos- sedute, occupate ed utilizzate.

L’art. 26 afferma esplicitamente che detti popoli hanno diritto di possedere, uti- lizzare, sviluppare e controllare le terre, i territori e le risorse che tradizionalmente hanno posseduto o utilizzato.

Negli articoli seguenti la Dichiarazione specifica che gli Stati, in collaborazione con i popoli, dovranno dare vita ad un processo indipendente, equo e imparziale tendente a riconoscere le leggi, le tradizioni ed il sistema di proprietà delle collet- tività considerate. D’altra parte, si specifica che spetta a detti gruppi determinare ed elaborare le priorità e le strategie di sviluppo e di utilizzo delle terre e risorse naturali, tanto che lo Stato ha l’obbligo di ottenere il loro consenso, libero ed in- formato, prima di approvare ogni progetto che possa avere incidenza su tali terre, territori o risorse.

In connessione viene in rilievo l’art. 10 che afferma il diritto di queste collettività a non essere forzosamente allontanate dalle loro terre o territori e a non essere trasferite in altri luoghi se non con il loro consenso (sempre fornito preventiva- mente, liberamente e consapevolmente) e a seguito di un accordo con le autorità governative che garantisca un indennizzo equo ed il riconoscimento del diritto a farvi ritorno, qualora ciò sia possibile.

48 Il diritto ad un indennizzo giusto ed equo è riconosciuto anche nel caso in cui i popoli autoctoni siano privati dei loro mezzi di sussistenza e di sviluppo.

A questo scopo, la Dichiarazione afferma l’obbligo degli Stati di realizzare pro- grammi d’assistenza che siano espressione della volontà delle comunità conside- rate e di adottare tutte le misure necessarie per garantire che nessuna sostanza dan- nosa sia stoccata o scaricata sui territori autoctoni senza il consenso, preventivo, libero ed informato della popolazione (art. 29)

Fin dall’art. 5 la Dichiarazione afferma il diritto dei popoli indigeni di mantenere e rafforzare le loro tradizionali istituzioni politiche, economiche, sociali e culturali, di non essere vittime di assimilazioni forzate e di non subire la distruzione della loro cultura (art. 8).

L’art. 5 precisa che i popoli mantengono il diritto di partecipare pienamente alla vita politica, economica, sociale e culturale del Paese, se così desiderano. Ciò, ga- rantisce che la volontà di conservare delle tradizioni e una cultura separate dal resto della popolazione non venga strumentalizzata per impedire loro di svilupparsi e di partecipare dei benefici del progresso o alla vita politico-economica della nazione.

Centrali per la tutela culturale delle comunità sono gli articoli 13, 14 e 15, che riguardano il diritto delle comunità considerate a trasmettere alle generazioni fu- ture le loro tradizioni, culture, religioni, lingue e a istituire e controllare il proprio sistema scolastico ed i metodi di insegnamento, riconoscendo agli individui appar- tenenti a tali gruppi, e in particolare ai minori, il diritto ad accedere a tutti i livelli di istruzione senza alcuna discriminazione e a ricevere, laddove possibile, tale in- segnamento nella loro lingua e secondo la loro cultura.

Un aspetto particolare della tutela delle culture indigene è quello delle garanzie che dette collettività richiedono a tutela dell’eredità culturale.

Infatti, la loro sopravvivenza e l’esercizio dei loro fondamentali diritti umani come popoli distinti dipendono dalla possibilità di conservare, sviluppare e d’insegnare la scienza che hanno ereditato dai loro avi.

49 Il fatto che l’articolo 31 della Dichiarazione riconosca il diritto di tali popoli a mantenere, controllare, proteggere e sviluppare la loro eredità culturale e le loro conoscenze tradizionali, così come le capacità scientifiche e tecnologi-che concer- nenti le risorse genetiche, le sementi, le conoscenze farmaceutiche, la flora e la fauna, è molto importante per questo aspetto.

Spesso, infatti, le conoscenze medico-farmaceutiche degli indigeni relative alle qualità curative di animali, piante o minerali sono state sfruttate dalle multinazio- nali che ne hanno isolato l’ingrediente attivo per trasformarlo in un nuovo farmaco. Dette aziende sono poi divenute proprietarie del brevetto in questione senza avere neppure l’obbligo di condividere i profitti con le popolazioni da cui avevano tratto le informazioni che erano alla base della scoperta.

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