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L'irresponsabilita' sociale d'impresa: un'analisi empirica sui Paesi BRIC e la delicata situazione delle comunita' indigene

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UNIVERSITÀ DI PISA

DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E MANAGEMENT

Corso di Laurea Magistrale in

“Strategia management e controllo”

TESI DI LAUREA

L’irresponsabilità sociale d’impresa:

un’analisi sui Paesi BRIC e la delicata situazione delle

comunità indigene

Relatore: Candidata: Prof. Davide Fiaschi Elisa Meini

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Ai miei genitori

A mia sorella

A Francesco

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Indice

INTRODUZIONE……… 6

CAPITOLO 1: L’IRRESPONSABILITÀ SOCIALE D’IMPRESA NELLA LETTERATURA 1.1 Il primo approccio all'irresponsabilità sociale d'impresa………... 7

1.2 RSI e ISI come continuum………... 12

1.3 I fattori alla base dell'irresponsabilità………... 16

1.4 RSI come rimedio alla ISI………... 21

1.5 Irresponsabilità sociale intenzionale e non……… 23

1.6 Gli effetti delle politiche irresponsabili………... 25

1.7 Una nuova concettualizzazione di ISI………. 27

CAPITOLO 2: ANALISI EMPIRICA SULL’IRRESPONSABILITÀ SOCIALE D’IMPRESA NEI PAESI BRIC 2.1 Metodologia utilizzata per il lavoro empirico……… 31

2.2 I risultati………. 32

2.3 Esempi di casi studiati per ciascuna tipologia di ISI………. 35

2.3.1 Abusi diretti e indiretti di diritti umani derogabili………... 35

2.3.2 Abusi diretti e indiretti di diritti umani non derogabili……… 36

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CAPITOLO 3: LE COMUNITÀ INDIGENE E I LORO DIRITTI

3.1 Chi sono gli Indigeni………... 39

3.2 La Convenzione ILO 169……… 42

3.3 La Dichiarazione delle Nazioni Unite sui Diritti dei Popoli Indigeni………… 44

CAPITOLO 4: GLI ABUSI DELLE MULTINAZIONALI 4.1 Il progetto Belo Monte………... 50

4.2 Il progetto Rio Madeira ………. 54

4.3 Il progetto Teles Pires………. 57

4.4 Il progetto Mundra………... 59 CONCLUSIONI……….. 61 Bibliografia……….. 64 Sitografia……….. 68 Allegato 1………. 69 Allegato 2………. 70 Allegato 3………. 76 Allegato 4………. 90

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INTRODUZIONE

La tematica dell’irresponsabilità sociale d’impresa (ISI) non deve essere vista semplicemente come l’antitesi della responsabilità sociale d’impresa (RSI) in quanto sempre più numerosi sono i comportamenti irresponsabili delle aziende che vengono allo scoperto grazie alle numerose denunce di organizzazioni non governative, testate giornalistiche e altri attori della società.

Ecco perché può e deve essere trattata con maggiore attenzione.

A questo proposito presenterò il lavoro empirico da me svolto nell’ambito della collaborazione ad un progetto di ricerca della professoressa Elisa Giuliani, del professor Davide Fiaschi e della dottoressa Chiara Macchi riguardante l’irresponsabilità sociale delle aziende di Paesi appartenenti alle economie emergenti, i cosiddetti BRIC (Brasile, Russia, India, Cina).

Lavoro che consiste in un’analisi e classificazione di tutti i comportamenti irresponsabili perpetrati nei confronti di dipendenti, comunità locali o consumatori finali da parte di un campione di grandi aziende appartenenti ai Paesi sopracitati, sulla base della concettualizzazione elaborata dalla Prof.ssa Giuliani et al. (2013) Per prima cosa però tratterò il tema dell'irresponsabilità sociale da un punto di vista teorico, ripercorrendo le tappe fondamentali della letteratura dal 1977 fino ai giorni nostri.

Tra i vari abusi che ho potuto esaminare sono rimasta colpita dalla difficile situazione che vivono le comunità indigene, che si trovano a lottare costantemente per i loro diritti, molto spesso non considerati dalle grandi corporation.

Per questo motivo mi soffermerò sull’argomento esponendo i diritti principali di tali comunità che è possibile trovare nella “Convenzione ILO 169” del 1989 e nella “Dichiarazione delle Nazioni Unite sui Diritti dei Popoli Indigeni” del 2007 riportando, inoltre, casi concreti tra quelli esaminati nella mia ricerca che riguardano appunto la violazione di tali norme.

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CAPITOLO 1

L’IRRESPONSABILITÀ SOCIALE D’IMPRESA NELLA LETTERATURA

1.1 Il primo approccio all'irresponsabilità sociale d'impresa

Lo studio della ISI è stato introdotto per la prima volta da J. Scott Armstrong in un articolo pubblicato sul Journal of Business Research nel 1977.

La definizione che dà è questa: “Un atto socialmente irresponsabile è la decisione di accettare un’alternativa che è considerata dal decisore inferiore rispetto ad un’altra, quando gli effetti su tutte le parti sono considerati. Generalmente questo comporta un guadagno da una parte a discapito del sistema totale”. (pag.185) Per determinare se questa definizione fosse in accordo o meno con l’idea comune di irresponsabilità sociale, l'autore ha chiesto ad un campione di 71 persone (docenti, studenti e manager) di definire in meno di 25 parole un atto socialmente irresponsabile. Dai risultati è emerso che il 12% non è stato in grado di farlo e il 33% ha fornito risposte simili a quanto detto da Armstrong.

Nonostante questa definizione sia accettata da molti, è usata anche una seconda definizione: “Un atto è irresponsabile se la maggioranza imparziale è d'accordo che lo sia”. (pag.185)

Molti manager agiscono solo nel loro interesse e questo porta spesso a comportamenti irresponsabili. L’autore si chiede quale sia il ruolo del management e come questo è percepito dai manager.

Diversi studi evidenziano che i manager commettono atti irresponsabili quando si comportano secondo le aspettative del loro ruolo.

Ci sono due visioni a confronto: il ruolo che viene definito “Stokholder role”, ovvero ruolo dell’azionista e lo “Stakeholder role” cioè il ruolo delle parti interessate.

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8 Lo stockholder role (figura1) prevede che il manager sia responsabile solo nei confronti dell’azionista e che venga sollevato dalla responsabilità di valutare l’impatto delle sue decisioni su altri gruppi d’interesse a meno che questi gruppi non influenzino il benessere dei soci.

Figura 1. Stockholder role Fonte: Armstrong (1977) pag.187

Questo incoraggia quindi atti irresponsabili e coloro che credono in questo ruolo sono portati a danneggiare maggiormente gli altri e più seguiranno il loro ruolo fedelmente, secondo quella che Milgram (1974) definisce "obbedienza cieca", più aumenterà il livello di irresponsabilità.

Secondo lo stakeholder role (figura 2), invece, i manager devono rispettare gli interessi di tutti quei soggetti (fornitori, clienti, dipendenti, azionisti, comunità…) che possono essere influenzati dal conseguimento degli obiettivi aziendali.

Management competitors clienti dipendenti Comunità locale fornitori rivenditori creditori Stockholders

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9 Il termine stakeholder sembra essere stato inventato nei primi anni ‘60, con un intenzionale gioco di parole sul termine “stockholder”, per indicare che, oltre a coloro che detenevano il capitale, esistevano anche parti che avevano una “posta in gioco” (stake) nel processo decisionale delle moderne imprese a capitale diffuso. Il professore Edward Freeman, nel suo libro “Strategic management. A stakeholder approach” (1984) si rifà alla definizione della SRI International (Standford Research Institute) del 1963, affermando appunto che: “lo stakeholder di una organizzazione è (per definizione) un gruppo o un individuo che può influire o essere influenzato dal raggiungimento degli obiettivi dell’impresa”

Freeman fa inoltre una specificazione tra stakeholder primari e secondari. Quelli primari sono tutti quei gruppi senza la cui partecipazione continua l’impresa non potrebbe sopravvivere; solitamente fanno parte di questa categoria gli azionisti e gli investitori, i dipendenti, i clienti e i fornitori, insieme a quello che viene definito lo stakeholder pubblico: i governi e le comunità che forniscono infrastrutture e mercati, le cui leggi e regolamenti devono essere rispettate, a cui si può dover pagare le tasse e verso cui si hanno una serie di obblighi.

Per stakeholder secondari si intendono coloro che influenzano o sono influenzati dall’impresa, ma non sono impegnati in transazioni con essa e non sono essenziali per la sua sopravvivenza. In base a questa definizione, i media ed una vasta gamma di particolari gruppi di interesse sono considerati stakeholder secondari. Essi hanno la capacità di mobilitare l’opinione pubblica a favore o contro le performance di un’impresa e possono tuttavia provocare gravi danni ad essa. Tali gruppi possono essere contrari alle politiche ed ai programmi adottati da un’impresa per adempiere le proprie responsabilità o soddisfare i bisogni e le aspettative dei suoi gruppi di stakeholder primari.

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10 Figura 2. Stakeholder role

Fonte: Armstrong (1977) pag.192

Da questa definizione sembra che i manager che seguono questo ruolo non agiscono in modo irresponsabile. Il problema è come fare per far adottare loro questa visione.

La potenza e l’importanza del ruolo vengono dimostrati da Armstrong con un esperimento sotto forma di gioco di ruolo, chiamato “The Panalba Role-Playing Experiment”.

Panalba è il nome di un farmaco della società farmaceutica Upjohn. Farmaco molto profittevole per l’azienda ma che ha riportato effetti collaterali molto gravi, tra cui la morte. In commercio ci sono farmaci sostituiti offerti dalla concorrenza, con gli stessi benefici di Panalba ma che non hanno presentato gli stessi effetti indesiderati.

Queste informazioni sono state date a un campione di 319 soggetti prevenienti da Paesi diversi tra il 1972 e il 1977 e solo il 2% di loro era d’accordo con la decisione presa dall’azienda, cioè quella di mantenere il farmaco in commercio intraprendendo anche un’azione legale contro il divieto.

Management competitors clienti dipendenti Comunità locale fornitori rivenditori creditori Stockholder

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11 Senza il gioco di ruolo, quindi, le persone hanno ritenuto molto pericoloso mantenere questo farmaco sul mercato.

Successivamente è stato chiesto ai soggetti di agire come se facessero parte del consiglio di amministrazione della Upjohn, fornendoli anche di informazioni contabili che mostravano come le varie decisioni si sarebbero ripercosse sugli azionisti (cercando quindi di enfatizzare lo stockholder role).

Le risposte possibili andavano da rimuovere immediatamente il farmaco dal mercato a prendere misure per mantenerlo in commercio. In questo caso il 79% delle risposte hanno appoggiato la lotta per il mantenimento in commercio del farmaco.

Sono poi state date informazioni aggiuntive riguardanti l’impatto delle decisioni anche su altri soggetti come dipendenti e consumatori finali (prepensione verso lo stakeholder role). La situazione è cambiata in quanto la decisione più irresponsabile è stata accolta solo del 22%.

Si nota quindi quanto sia potente l’effetto del ruolo e il fatto che lo stakeholder role conduca a una riduzione di irresponsabilità.

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1.2 RSI e ISI come continuum

In tempi più recenti (2009) troviamo un articolo di Brian Jones, Ryan Bowd e Ralph Tench “Corporate irresponsibility and corporate social responsibility: competing realities”.

Gli autori sostengono che la responsabilità sociale d’impresa e l’irresponsabilità sociale d’impresa siano i due estremi di un continuum.

A questo proposito presentano un modello chiamato “dicotomico” che è possibile riassumere nella figura di seguito riportata:

Figura 3. modello dicotomico RSI-ISI Fonte: Jones, Bowd & Tench (2009) pag.301

La comunicazione sui temi della responsabilità sociale (Demetrious, 2008) varia a seconda se l'azione irresponsabile o responsabile delle imprese è stata segnalata. Una gamma di variabili interne ed esterne (vedi Figura 3), per esempio le nuove tecnologie, l'impatto sulle imprese, cosa fanno e come sono le loro performance influisce sull’operato dell’azienda. Tali questioni o variabili possono contenere diversi gradi delle azioni e delle attività responsabili e irresponsabili. Un'azienda può avere un comportamento esemplare su una materia ma su un altro può aver bisogno di azioni correttive; per esempio, un'impresa può avere buone politiche per quanto riguarda il tema della diversità e delle pari opportunità, ma può essere

Diversity & equal

opportunities governance Corporate

Ethical standards Human resources Costumers & suppliers Profit Community involvement Pollution & enviroment New technologies CSI CSR

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13 debole in termini di impegno per la lotta all'inquinamento. I modi in cui le questioni di ISI e RSI sono comunicate differiscono. Molto semplicemente azioni responsabili sono, o dovrebbero essere, sbandierate e le azioni irresponsabili devono essere riconosciute. Questo non è sempre così.

In questo articolo è contestato il fatto che tradizionalmente la RSI è stata confusa e identificata con l’ ISI. Per molti la RSI è definita in relazione alla ISI; per esempio la discussione di temi di responsabilità sociale si verifica spesso quando le cose vengono percepite come ''andate male''. L’ ISI può essere invece definita in relazione alle questioni che comprende. Per le differenze principali tra ISI e RSI vedere tabella I. ISI è avere un approccio reattivo rispetto ad uno proattivo nell'affrontare questioni aziendali e i modi e i mezzi con cui essi si riferiscono alla società. Al suo estremo la ISI può comportare infrangere la legge. Sbagliare in materia di RSI, in altre parole operare in maniera irresponsabile, può avere disastrose conseguenze sociali, economiche e commerciali.

ISI RSI

Il degrado ambientale e l'inquinamento sono inevitabili e poco o nulla può o deve essere eseguito

Il degrado ambientale e l'inquinamento non sono inevitabili, non dovrebbero essere tollerati ed è importante sensibilizzare e impegnarsi ad agire I dipendenti sono una risorsa da sfruttare I dipendenti sono una risorsa da

valorizzare Minima consultazione e coinvolgimento

della comunità

Massimizzare le opportunità di consultazione e coinvolgimento della comunità

La mancata osservanza, o riluttanza e solo la conformità di base con

legislazione relativa alla RSI

Il rispetto, così come azioni politiche e pratiche che vanno oltre i requisiti di legge minimi per la RSI

Le questioni etiche sono eventualmente considerate nella periferia organizzativa

Le questioni etiche sono al centro e nel cuore dell’organizzazione

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14 L'esclusione sociale è un inevitabile

sottoprodotto del funzionamento del mercato

L'inclusione sociale aiuta a correggere le inefficienze del mercato

Le nuove tecnologie dovrebbero essere sviluppate e introdotte nel mercato

Le nuove tecnologie dovrebbero essere sviluppate, testate, valutate e se innocue introdotte sul mercato

La governance delle società va lasciata agli azionisti e al management

La governance delle società coinvolge azionisti, manager e un un'ampia gamma di parti interessate, tra cui i sindacati, comitati aziendali, ecc

Lavorare con fornitori e clienti su base sleale

Lavorare equamente con fornitori e clienti

Approccio pragmatico alle questioni di RSI

Approccio di principio e pragmatico ai temi della RSI

La sostenibilità è definita in termini di sopravvivenza delle imprese

La sostenibilità è definita in termini di sopravvivenza del business,

dell’ambiente e della comunità con crescita reciproca

Il profitto è l'unico scopo del business e dovrebbe essere raggiunto a ogni costo

Il profitto è uno dei tanti scopi di

business e dovrebbe essere raggiunto, ma non ad ogni costo

Tabella 1. ISI-RSI a confronto

Fonte: Jones, Bowd & Tench (2009) pag.304

Il modello bi- polare sviluppato non è un processo lineare unidimensionale in cui investitori, produttori e consumatori si muovono da essere irresponsabili a essere socialmente responsabili.

Individui, gruppi e organizzazioni non sono statici, ma si spostano tra i due estremi. Il movimento tra le posizioni è guidato da fattori ambientali esterni, quali la legislazione, politica, tecnologia, finanza, economia, cultura e simili. Questo modello contiene in sé una tensione intrinseca dato che il concetto di RSI è in continua evoluzione; per esempio, il passaggio verso bio-carburanti destinati ad

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15 affrontare il problema del cambiamento climatico e il riscaldamento globale viene ora messa in discussione a causa dell'impatto inflazionistica che sta avendo sui prezzi alimentari.

Si tratta di un processo variabile bidirezionale e il movimento è multi -direzionale a seconda dei fattori che determinano i problemi.

A seconda di quale lato del modello in cui le aziende scelgono di operare, la RSI può essere una caratteristica fondamentale oppure un elemento che si aggiunge al loro business.

Per aziende a sinistra dello spettro, la RSI è una caratteristica '' aggiunta '' al loro funzionamento economico - un ripensamento, piuttosto che previdenza. Per aziende a destra, la RSI è una caratteristica fondamentale che ispira la loro strategia di business, il funzionamento e la pratica. Il modello può essere utilizzato sia in modo reattivo che proattivo. Ad esempio, la gestione potrebbe intraprendere una mappatura e monitoraggio dell’esercizio in modo tale da identificare le aree in cui l’organizzazione sta ottenendo buoni risultati per quanto riguarda la RSI e identificare aree di miglioramento. Il modello è utile in quanto consente l'applicazione della teoria alla pratica della comunicazione. Alcune delle questioni che incidono sulle dinamiche del continuum ISI -RSI sono mostrati in Figura 3 e dato maggior dettaglio nella Tabella 1.

ISI e RSI sono tipi ideali e come tali hanno potenziali, ma anche dei limiti alla loro utilità.

Come tipi ideali i due approcci illustrati nella tabella I servono a rappresentare le posizioni estreme.

La realtà è spesso una miscela complessa di ISI e RSI.

Introducendo il concetto di ISI viene contrastata la tendenza a trattare la RSI come una singola entità unidimensionale. E’ importante per le imprese riconoscere quando le cose vanno male per quanto riguarda i temi della responsabilità sociale, sapere come affrontare e gestire la comunicazione di tali problemi. Un termine non può essere quindi concepito senza l'altro.

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16 Di per sé il modello non fornisce risposte, ma come uno strumento gestionale di analisi, consente l'esplorazione di questioni che potrebbero altrimenti essere ignorate o dimenticate. Infatti è utile per studiosi e professionisti in quanto facilita lo sviluppo di un processo pro-attivo, nonché di comunicazione interna ed esterna e ri-attiva strategie.

Il modello dualistico ISI-RSI agisce come un strumento di supporto per la gestione per identificare i problemi che possono fare del male al business e quindi non solo mette l'azienda in una posizione migliore per sopravvivere ma ha anche la aiuta a soddisfare meglio i bisogni dei clienti in un ambiente altamente competitivo e mutevole.

L’ ISI può avere un impatto notevole sull’azienda ed è per questo motivo che il silenzio pervade quelle organizzazioni dove esistono pratiche irresponsabili. Riuscendo ad individuare le aree di forza e quelle di miglioramento, questo modello può essere utile anche per migliorare la comunicazione aziendale limitando così danni futuri e/o creando nuove opportunità di business.

Punta a minimizzare le opportunità per azioni aziendali irresponsabili e massimizzare quelle di comportamento socialmente responsabile.

1.3 I fattori alla base dell'irresponsabilità

Lange e Washburn (2012) sviluppano una prospettiva teorica che si concentra sull’irresponsabilità e sui fattori che qualificano un comportamento come irresponsabile da parte di coloro che osservano le aziende.

Come ben sappiamo, agire in modo irresponsabile può avere conseguenze pesanti sul successo di un’impresa nonché sulla sua sopravvivenza dato che questa dipende molto dal soddisfacimento delle aspettative del suo ambiente di riferimento. (Pfeffer & Salancik, 1978; Scott, 2008). Un'organizzazione che è vista come un cattivo attore nella società può avere un momento difficile ad attrarre clienti, investitori e dipendenti (Fombrun,1996).

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17 Ricerche sulla percezione umana rivelano che vi sia una significativa asimmetria tra l'elaborazione cognitiva che gli osservatori fanno in risposta a eventi negativi e il processo cognitivo che fanno in risposta ad eventi positivi (Baumeister, Bratslavsky, Finkenauer, e Vohs , 2001; Fiske & Taylor ,2008; Kanouse & Hanson, 1972) . Quando si confrontano con un comportamento negativo, le persone dedicano più tempo a pensarci, cercano in modo più profondo la causa e i loro conseguenti giudizi saranno più estremi (Fiske & Taylor, 2008; Shaver,1985; Taylor, 1991).

Come osserva Shaver, "Le persone non sono mai accusate di fare il bene "(1985). Di conseguenza, percezioni di irresponsabilità sociale sono in grado di generare reazioni tra gli osservatori più forti e hanno un peso maggiore per le società rispetto alla percezione della responsabilità sociale (Frooman, 1997; McGuire, Dow, e Argheyd, 2003; Muller & Kräussl , 2011; Pfarrer , Pollock , e Rindova , 2010; Rao & Hamilton , 1996) .

Alla base delle affermazioni di Lange e Washburn c’è la teoria dell’attribuzione. Il primo studioso che si è occupato dell’attribuzione causale è stato Heider (1958). Egli considerava la persona profana come uno scienziato ingenuo, che, nel tentativo di spiegare il comportamento (proprio e altrui) collega il comportamento osservabile a cause non osservabili. Secondo Heider, il criterio per interpretare il comportamento consiste nel decidere il locus della casualità, ossia nello stabilire se la causa del comportamento risiede nella persona che lo ha prodotto o nell’ambiente circostante.

L'idea centrale di Lange e Washburn è che le attribuzioni dell'osservatore comportino sia inferenze causali che giudizi morali. Inferenze causali implicano che l'osservatore arrivi alle attribuzioni di irresponsabilità sociali cercando di spiegare un danno sociale in termini di distinzione tra cause provenienti dall'interno dell’azienda e quelle provenienti dall'esterno.

Particolarmente rilevante rispetto a questo proposito sono le percezioni della complicità della parte interessata nell'effetto negativo. Giudizi morali implicano

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18 che l'osservatore arrivi all’attribuzione di irresponsabilità cercando di conferire la responsabilità morale per un danno sociale.

Alla luce di queste osservazioni, i tre fattori alla base delle attribuzioni di irresponsabilità sociale che vengono determinati sono:

1- Valutazioni dell’effetto indesiderabilità (Effect Undesirability)

2- Valutazioni della colpevolezza aziendale (Corporate Culpability)

3- Valutazioni che la parte interessata abbia un basso livello di complicità (Affected Party Noncomplicity)

1- Effect Undesirability

Alla base della classificazione dell’azienda come socialmente irresponsabile sono le percezioni dell’osservatore che vi sia stato un effetto sociale negativo.

Per questo fattore è utilizzata quella che viene definita “self-preservation”, ossia l’idea che gli individui elaborino giudizi negativi sulla base di quello che personalmente considerano minaccioso.

Le azioni dell’organizzazione potrebbero essere percepite come negative in senso morale se cadono in categorie di stimoli che evocano reazioni morali negative profonde.

Tali categorie di stimoli potrebbero includere percezioni di sofferenza, ingiustizia o mancanza di rispetto.

Un ulteriore elemento da considerare per le sentenze dell’effetto indesiderabilità sono le norme globali del comportamento umano presenti in tutte le culture, definite “ipernorme” da Donaldson e Dunfee (1999). Insieme agli standard legali e alle norme di settore, sono norme importanti che gli osservatori possono utilizzare per valutare la desiderabilità del comportamento dell'impresa.

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19 Ovvio che norme e impulsi morali possono essere espressi in modo diverso data la diversità degli individui. Ognuno ha i propri valori, la propria idea di minaccia e per questo l’effetto indesiderabilità non sarà mai lo stesso per tutti.

2- Corporate Culpability

In questo caso il percettore considera la colpevolezza dell’impresa in relazione all’effetto negativo. La colpevolezza aziendale si basa su inferenze di causalità e sul giudizio di responsabilità morale.

Per quanto riguarda la causalità, l’individuo si troverà a elaborare teorie su come e perché si sono verificati tali effetti negativi e in che misura l’effetto possa essere stato determinato dall’azienda o da agenti esterni ad essa. L’osservatore si concentrerà sul capire se ci sono altre spiegazioni plausibili che possono diciamo “scagionare” l’azienda.

Oltre a questo valuterà anche ulteriori elementi di prova che forniscono spunti di causalità.

Si tratta di covariazione (vale a dire, il grado in cui l’azione dell’impresa e l'effetto negativo sono percepiti come verificatisi insieme; Einhorn & Hogarth, 1986; Kelley, 1967; Kelley & Michela, 1980), ordine temporale (vale a dire, se l'azione della società è percepita come precedente all'effetto negativo; Einhorn & Hogarth, 1986; Kelley E Michela, 1980), e la dimensione congruenza tra causa ed effetto (ad esempio, gli osservatori potranno vedere come più plausibile che una grande impresa causi un grande effetto piuttosto che sia una piccola impresa a causarlo; Einhorn & Hogarth, 1986; Kelley & Michela, 1980; Shultz & Ravinsky, 1977). Ulteriori prove accennando al nesso di causalità aziendale includono la percezione che altre società generalmente non fanno ciò che la società oggetto di osservazione ha fatto (vale a dire, un basso grado di "consenso" tra il comportamento di questa azienda e comportamento delle altre imprese in situazioni simili) e che la società focale sembra avere una tendenza ad agire in questo modo nel tempo (cioè, un alto grado di "consistenza" di questo comportamento in situazioni analoghe).

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20 Anche se gli indizi di causalità sono forti, la colpevolezza aziendale non è attribuita al 100% in quanto, come già accennato, deve essere considerata anche la responsabilità morale.

Le sentenze di responsabilità morale sono associate alla convinzione che l'impresa abbia avuto ragionevole previsione degli esiti negativi e non è stata guidata da forti giustificazioni morali (Fincham & Jaspars, 1980; Fiske & Taylor, 2008; Heider,1958; Lagnado & Channon, 2008; Shaver, 1985; Shaver & Drown, 1986).

Viene valutata la conoscenza morale dell’impresa, cioè se fosse al corrente del danno che stava causando e la sua volontà nel continuare l’azione dannosa.

3- Affected Party Noncomplicity

Quest’attribuzione riguarda la complicità o meno della parte che subisce l’effetto dannoso.

Se la parte danneggiata è percepita come a basso contenuto di complicità significa che non avrebbe potuto far niente per evitare o mitigare il danno e quindi è vista come mera vittima innocente.

Al contrario i danneggiati considerati complici sono quelli che, nonostante un notevole controllo sull’effetto negativo, non hanno fatto niente per evitare il danno. Le caratteristiche che determinano la complicità sono quindi il potere di agire per impedire l'effetto e la conoscenza o previsione del effetto stesso (Shaver, 1985) Più aumenta il grado di complicità delle parti più diminuisce il grado di colpevolezza aziendale.

Classico esempio sono i fumatori, considerati ormai sempre più informati circa i danni provocati dal fumo, che non sono percepiti come vittime innocenti.

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21 C’è da dire che le percezioni dell’osservatore possono essere influenzate da tanti elementi come ad esempio dall’idea che ha sempre avuto dell’azienda oppure se si identifica maggiormente con l’azienda o con la parte lesa.

Un ruolo importante è rivestito anche dalla comunicazione, in quanto il modo in cui l’informazione viene presentata può incidere sul giudizio.

In ogni modo questi tre fattori devono essere tutti presenti e maggiore sarà il loro grado di intensità, maggiore sarà considerata l’irresponsabilità sociale dell’azienda.

1.4 RSI come rimedio alla ISI

Gli autori dell’articolo “Corporate Social Responsibility for Irresponsibility” Kotchen e Moon definiscono l’irresponsabilità sociale come “un insieme di azioni che aumenta i costi esternalizzati e/o promuove conflitti di distribuzione”.

L’irresponsabilità sociale viene vista in questo caso come una passività aziendale che deve essere coperta.

Un modo per gestire il rischio di ISI è senza dubbio quello di compiere il minor numero possibile di atti irresponsabili ma gli autori hanno avuto maggior interesse nell’approfondire l’idea che l’ISI possa essere compensata con atti di RSI.

Da una ricerca effettuata nell’arco di 15 anni su un campione di circa 3000 aziende quotate in borsa, Kotchen e Moon sono arrivati ad affermare che la relazione tra ISI e RSI è di tipo crescente nel senso che più RSI è associata a più ISI.

Ci sono molti fattori che devono essere considerati per poter testare l’ipotesi che la RSI è anche conseguenza dell’ISI. Ad esempio è emerso che l’effetto ISI sulla RSI è positivo nelle industrie soggette ad un maggior controllo pubblico, come potrebbe essere il caso dell’industria pesante, delle auto o delle banche.

È venuto alla luce il fatto ISI all'interno delle categorie comunità, ambiente e diritti umani si traduce in più RSI nella stessa categoria e questo si nota soprattutto nella

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22 dimensione ambientale. Questo si ricollega al fatto che molto probabilmente ciò si verifica in quanto questi temi sono quelli di maggior interesse pubblico.

Un’altra interessante relazione che emerge da questa ricerca è quella tra ISI e corporate governance.

Un aumento di ISI all’interno della corporate governance non aumenta la RSI nella stessa categoria bensì la fa aumentare nelle altre.

Vengono fatte azioni per migliorare la RSI in aree quali l’ambiente, i dipendenti, la comunità, il prodotto ma non vengono fatte riforme nella governance stessa. Una possibile spiegazione a questo risultato è forse che il processo decisionale in merito alla RSI è una questione che riguarda proprio la governance.

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23

1.5 Irresponsabilità sociale intenzionale e non

Nel 2013 abbiamo un importante contributo da parte di Nick Lin-Hi e Karsten Müller.

Gli autori definiscono l’ISI come “le azioni aziendali che si traducono in (potenziali) svantaggi e / o danni ad altri attori. Da un lato, un atto di ISI comporta la violazione della legge. D'altra parte, la violazione della legge deve essere concepita come una condizione sufficiente ma non necessaria per la definizione di ISI”.

Si fa una distinzione tra ISI intenzionale e non intenzionale.

Quella intenzionale implica che la società abbia deliberatamente compiuto azioni che hanno danneggiato gli altri. Esempi possono essere la corruzione, l'illegale smaltimento di rifiuti industriali o l'evasione fiscale.

L’ ISI intenzionale è di solito guidata dallo scopo di raggiungere un livello più alto di profitti e, quindi, rappresenta un mezzo per realizzare obiettivi specifici. La caratteristica principale di quella involontaria è invece che il danno non venga inflitto intenzionalmente dalla società. In questo caso l’ISI si configura come un imprevisto sottoprodotto di certe attività. Un esempio è il caso in cui il fornitore di un’azienda impieghi bambini come manodopera senza che l’azienda ne sia a conoscenza o un terremoto fa esplodere una centrale provocando morti.

Attenzione però, anche il carattere non intenzionale non implica che le società siano del tutto innocenti. La società può, per esempio, non aver controllato bene i suoi fornitori o non aver protetto sufficientemente la centrale contro i terremoti. Al di là dell’idea che le aziende dovrebbero “fare del bene”, esse hanno perciò la responsabilità di evitare di commettere comportamenti irresponsabili.

È possibile catturare il rapporto tra ISI, RSI e RSI percepita (pRSI) nella figura che segue.

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Fig. 4. “RSI-ISI framework”

Fonte: Lin-Hi & Müller (2013) pag. 1934

È immediato dire che “fare bene” (doing good) aumenta la RSI percepita in quanto consente alle aziende di mostrare bene quella che è la loro responsabilità sociale. La manifestazione di ISI hanno effetti fortemente negativi sulla pRSI perché non ci si aspetta un comportamento irresponsabile. “Evitare il cattivo" (avoiding bad) ha solo effetti diretti positivi sulla pRSI ma sono effetti deboli in quanto è ovvio che un’azienda voglia evitare di sbagliare e in generale tutti si aspettano che ci provi.

Tuttavia, poiché "evitare il cattivo" riduce la probabilità di ISI, ha anche effetti indiretti positivi sulla pRSI.

La prevenzione dell’irresponsabilità sociale costituisce quindi la linea di fondo della responsabilità sociale d’impresa.

Viene gravemente trascurato il fatto che la prevenzione della ISI sia appunto un presupposto centrale per le aziende per essere percepite come socialmente

pRSI “Avoiding bad” ISI “Doing good” + + * + + + * + - + * + + * +

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25 responsabili nel lungo periodo. D'altro canto, il coinvolgimento ricorrente delle società in ISI suggerisce che non hanno spesso le competenze di RSI che sono necessarie per prevenire l’ISI (Lin-Hi & Blumberg, 2012). Alla luce dei gravi effetti economici della ISI, ci sono buone ragioni per dedicare maggiore attenzione alla gestione dell’“Evitare il cattivo”, individuando approcci di gestione che possano efficacemente aumentare la prevenzione della ISI.

1.6 Gli effetti delle politiche irresponsabili

Dall’articolo di Armstrong e Green del 2013 emerge che una fonte di irresponsabilità sociale sono i comportamenti non etici attuati delle persone che lavorano in azienda per incrementare la loro ricchezza personale a discapito dell’azienda.

Persone che seguono i dettami, le istruzioni, dei loro ruoli violando persino le proprie convinzioni etiche consapevoli che così facendo provocheranno danni. Alcuni sostengono che i manager dovrebbero avere una guida, un orientamento che li conduca verso decisioni responsabili. Guida che però può essere insufficiente se li porterà a ledere i profitti aziendali. Ecco che incentivi statali e sanzioni possono garantire che le imprese seguano la guida.

Una visione contrastante è che le imprese dovrebbero essere libere di perseguire gli obiettivi di lucro. Devono sviluppare accordi di reciproca intesa con le varie parti che hanno interessi economici nelle attività della società.

La ricerca di profitti a lungo termine incoraggia le imprese a trattare bene le altre parti. Ad esempio, le imprese informano i clienti circa i limiti dei loro prodotti per mantenere buone relazioni e per evitare eventuali reclami, con i relativi costi. Allo stesso modo se i manager trattano male i proprietari, i proprietari possono trovare nuovi dirigenti. Se le imprese non si comportano bene nei confronti di alcuni stakeholder, questi possono rivolgersi ad altre aziende.

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26 Gli studi suggeriscono che un modo per contribuire a ridurre le possibilità che i manager prenderanno decisioni irresponsabili è quello di dare loro ruoli che siano coerenti con un comportamento responsabile.

Lo sviluppo di obiettivi espliciti e misurabili dovrebbe aiutare le imprese a raggiungere questo obiettivo.

I codici etici sono stati suggeriti a lungo come modo per ridurre l’irresponsabilità ma spesso questi codici non sono chiari o addirittura operativi.

Un metodo che potrebbe aiutare a prevenire irresponsabilità è quello di cambiare i ruoli dei manager delle imprese in modo tale che si sforzino di massimizzare la redditività a lungo termine promuovendo allo stesso tempo un trattamento equo dei propri stakeholder.

Le descrizioni dei ruoli socialmente responsabili potrebbero essere utilizzati come base di codice etico di un'impresa.

(27)

27

1.7 Una nuova concettualizzazione di ISI

Il lavoro empirico che ho svolto, che sarà trattato nel prossimo capitolo, si basa sulla nuova concettualizzazione di ISI elaborata dalla Prof.ssa Elisa Giuliani et al. (2013), che distinguono tra “abuso di diritti umani” e “comportamenti non etici”.

La categoria “abuso di diritti umani” è a sua volta distinta in “diritti umani dero-gabili” e “diritti umani non derodero-gabili”.

Le attività irresponsabili vengono inoltre classificate in base al tipo di coinvolgi-mento aziendale che può essere diretto o indiretto. (Tabella 2)

Tipo di irresponsabilità Tipo di

coinvolgi-mento aziendale

Abuso di diritti umani Comportamenti

non etici Derogabili Non derogabili

Diretto Diretto deroga-bile

Diretto non de-rogabile

Comportamento non etico diretto

Indiretto Indiretto dero-gabile

Indiretto non derogabile

Comportamento non etico indiretto

Tabella 2 Nuova concettualizzazione ISI Fonte: Giuliani et al. (2013), pag.148

Abuso di diritti umani

I diritti umani si basano sul principio del rispetto nei confronti dell’individuo. La loro premessa fondamentale è che ogni persona è un essere morale e razionale che merita di essere trattato con dignità. I diritti umani sono universali in quanto ap-partengono ad ogni essere umano per il solo fatto di essere tale, senza distinzione di razza, di colore di pelle, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica, di

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28 origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione. (huma-rights.com).

Sono diritti sovra-statali; sono innati nell’uomo e irrinunciabili. La loro accetta-zione nell’ordinamento costituzionale positivo dello Stato non ha perciò effetto costitutivo, ma solo carattere dichiarativo.

Studiosi del diritto internazionale hanno generalmente rifiutato l'idea che sia pos-sibile stabilire una gerarchia di diritti umani e, quindi, ritengono che non sia giusto classificare alcuni dei diritti umani come più rilevanti di altri. Questo si basa sull'i-dea che la realizzazione di ogni diritto umano richiede altri diritti umani e in questo senso tutti i diritti umani sono indivisibili (Teraya, 2001).

Nonostante questo, una distinzione comunemente fatta tra i diritti umani è tra quelli considerati “non derogabili” e il resto dei diritti che vengono invece definiti “derogabili”

Le norme “Non derogabili” sono definite nella Convenzione di Vienna sul Diritto dei Trattati (1993) come "norme imperative del diritto internazionale". Esse sono considerate giuridicamente vincolanti per tutti, a prescindere dai trattati ratificati dai singoli paesi e accettate e riconosciute dalla comunità internazionale degli Stati nel suo complesso come norme "da cui nessuna deroga è consentita e che può es-sere modificata soltanto da un'altra norma del diritto internazionale generale avente lo stesso carattere ".

Tra gli abusi che sono considerati come violazioni di diritti non derogabili tro-viamo:

- Uccisioni

- Torture, trattamenti disumani e degradanti

- Lavoro forzato

(29)

29 - Impiego di bambini in lavori dannosi per la loro salute e/o la loro morale

Viene quindi usata la classificazione di “abuso di diritti umani non derogabili” quando un’azienda ha violato o è accusata di aver violato una norma alla quale la comunità internazionale offre una particolare protezione.

Comportamenti non etici

In questa categoria vengono incluse quelle attività che non comportano un impatto diretto sui diritti umani di per sé, pur essendo immorali e, in alcuni casi, illegali secondo le leggi nazionali o internazionali. Un tipo esempio può essere la corru-zione o un danno ambientale che non ha alcuna implicacorru-zione diretta per gli esseri umani.

CSI diretta e indiretta

Una condotta irresponsabile è definita diretta quando è stata commessa dai mana-ger della società o da quelli di una sua sussidiaria, mentre è indiretta se è commessa da terze parti con la complicità dell’azienda (fornitori, clienti, governi).

Poiché la produzione è sempre più organizzata lungo la catena globale del valore, cioè che abbraccia diversi paesi, il monitoraggio e l’analisi della CSI indiretta è molto importante in quanto rappresenta l’abuso o comportamenti non etici di attori della catena del valore dell'impresa focale.(Gereffi, Humphrey, & Sturgeon, 2005; Giuliani, Pietrobelli, & Rabellotti,2005; Sturgeon, Van Biesebroeck, & Gereffi, 2008).

Il monitoraggio non è di certo facile dato che si vengono ad intrecciare una grande varietà di sistemi economici, giuridici e sociali.

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30 Le imprese transnazionali sono di solito ritenute responsabili dall'opinione pub-blica internazionale per gli abusi di diritti umani commessi dai loro fornitori (Lun-dan & Muchlinski, 2012), essendo accusati entrambi di non aver preso misure per garantire che la fornitura di beni o servizi non comportasse violazioni dei diritti umani, o di essere direttamente implicati negli abusi a causa delle condizioni di fornitura che sono imposte.(International Commission of Jurists, 2008).

Nel 2006 il professor John Ruggie, esaminando 65 casi delle peggiori violazioni di diritti umani ha trovato che si sono verificate tutte nei Paesi a basso reddito, Paesi in conflitto o appena emersi da esso, Paesi caratterizzati da elevati livelli di corruzione e debolezza dello Stato di diritto.

Secondo Lundan e Muchlinski (2012), gli abusi indiretti hanno più probabilità di verificarsi nel caso delle catene del valore che si basano esclusivamente sulla con-trattazione di mercato, dove ci sono due condizioni: in primo luogo, la specifica-zione di obiettivi di prezzo e quantità non sono impostati per un attento monito-raggio di come avvien il processo di valore aggiunto e, secondo, l'azienda leader della catena non è sotto i riflettori (Spar, 1998) e non ha quindi una forte reputa-zione del marchio da salvaguardare.

(31)

31

CAPITOLO 2

ANALISI EMPIRICA SULL’IRRESPONSABILITÀ SOCIALE D’IM-PRESA NEI PAESI BRIC

2.1 Metodologia utilizzata per il lavoro empirico

Il lavoro che ho svolto ha come campione un insieme di 50 multinazionali (vedi Allegato 1) dei Paesi BRIC (Brasile, Russia, India, Cina) appartenenti a differenti settori.

Ho esaminato 103 report di Sustainalytics, leader globale nella ricerca e nell’ana-lisi della sostenibilità1, (vedi esempio report Allegato 2) che contengono le

contro-versie in cui sono coinvolte queste aziende dal 2006 ad oggi, con lo scopo di ana-lizzare e classificare le azioni irresponsabili secondo il modello presentato nel pa-ragrafo 1.7.

Le informazioni contenute in questi documenti provengono da terze parti, soprat-tutto da testate giornalistiche. Non sono inoltre complete al 100% in quanto risulta davvero difficile conoscere le violazioni compiute dalle aziende, soprattutto di quelle appartenenti a questi Paesi.

Per questo motivo ho anche cercato di capire meglio i casi riportati con l’ulteriore aiuto di ricerche fatte su Internet.

Ho compilato un database in cui per ciascuno dei casi ho riportato:

- Una breve descrizione dell’evento

- Se la violazione è stata compiuta nei confronti dei dipendenti, della comu-nità o del consumatore finale

1 Sustainalytics offre la ricerca di investitori che integrano informazioni e valutazioni ambientali, sociali e

di governance nelle loro decisioni di gestione degli investimenti. Con sede ad Amsterdam, l'azienda ha uffici regionali a Boston, Francoforte, Parigi, Singapore, Timisoara e Toronto e rappresentanti in Bogotà, Bruxelles, Copenhagen, New York e Londra.

Nel 2012 e nel 2013, Sustainalytics è stato votato “Best Responsible Investment Analysis Firm” da Thomson Reuters Extel. Nel 2010, Sustainalytics è stato votato “Best ESG Research House” da IPE / TBLI. (http://www.sustainalytics.com/)

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32 - Se la responsabilità aziendale è diretta o indiretta

- Se si tratta di una violazione di tipo derogabile o non derogabile (nel caso dei diritti umani)

- L’anno di inizio violazione e l’anno in cui si considera terminata; in questo caso c’è da precisare che per alcuni avvenimenti non è stato possibile indi-viduare l’esatto inizio della violazione.

- L’anno in cui l’evento è stato riportato o denunciato - Il luogo dove è avvenuto il fatto

- Se l’evento è stato semplicemente denunciato/comunicato o se è stato giu-dicato colpevole da sentenza giuridica

- Chi ha denunciato il caso (solo se facilmente individuabile)

2.2 I risultati

L’86% delle aziende esaminate presenta almeno un abuso o un comportamento non etico. Le controversie che ho potuto analizzare registrano il 54% di casi ri-guardanti abuso di diritti umani, di cui il 43% implica violazioni di diritti non de-rogabili, e il 46% si riferisce a comportamenti non etici. (fig.5)

Fig.5 Abuso di diritti umani e comportamenti non etici Fonte: Elaborazione propria basata su dati Sustainalytics

0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70% 80% 90% 100%

abuso di diritti umani comportamenti non etici

% d i cas i r e g is tr a ti

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33 I Paesi dove si sono registrati i maggiori casi di violazione di diritti umani sono il Brasile, l’India, la Cina mentre il primato per quanto riguarda le condotte non eti-che spetta a imprese Russe e Indiane. Osservando invece la distinzione tra coin-volgimento diretto e indiretto dell’azienda posso dire che la percentuale dei casi in cui risulta l’azione diretta della multinazionale è di gran lunga superiore a quella dei casi di irresponsabilità indiretta in quanto raggiunge l’86%, contro un debole 14%. (fig. 6)

Questo dato può forse essere spiegato dicendo che, nonostante il crescente inte-resse nell’osservare le varie parti che hanno a che fare con le multinazionali, risulta ancora difficile analizzare a fondo la catena del valore delle aziende appartenenti alle economie emergenti e di conseguenza anche le eventuali responsabilità di de-terminati attori non vengono a galla.

Fig. 6 Coinvolgimento diretto e indiretto

Fonte: Elaborazione propria basata su dati Sustainalytics

L’86% degli abusi diretti si divide in abuso di diritti umani non derogabili per un 20%, l’abuso dei diritti derogabili riguarda il 34% e i comportamenti non etici il 46%. 0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70% 80% 90% 100%

Responsabilità diretta Responsabilità indiretta

% d i c a si r e g is tr a ti

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34 I casi in cui l’azienda è indirettamente coinvolta riguardano l’abuso di diritti umani non derogabili per il 43% mentre il 14% si riferisce ai diritti derogabili e i com-portamenti non etici interessano invece il 43% dei casi di indiretta responsabilità. (fig.7)

Fig.7 Abuso di diritti umani e comportamenti non etici: coinvolgimento diretto e indiretto Fonte: Elaborazione propria basata su dati Sustainalytics

Per quanto riguarda le categorie verso le quali l’abuso è perpetrato ho registrato nella categoria “abuso di diritti umani” un 62% nei confronti dei dipendenti di cui il 46% riguarda i diritti non derogabili e un 38% verso la comunità, di cui il 38% è del tipo non derogabile.

Tra i comportamenti non etici risulta invece che il 55% sono rivolti nei confronti della comunità mentre il 45% verso i consumatori finali (fig.8).

20% 43% 34% 14% 46% 43% 0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70% 80% 90% 100%

responsabilità diretta responsabilità indiretta

% s u l to ta le d i a b u si d e ll o s te ss o t ip o

(35)

35

Fig.8 Categorie colpite dall’azione dannosa

2.3 Esempi di casi studiati per ciascuna tipologia di ISI

2.3.1 Abusi diretti e indiretti di diritti umani derogabili

Tra i casi di coinvolgimento diretto posso inserire le numerose situazioni che ho incontrato in cui le aziende violano i diritti dei lavoratori, non riconoscendo ad esempio salari equi.

Cito il caso della Bharat Petroleum, una delle tre compagnie petrolifere statali in-diane.

Nel 2011 i dipendenti della società hanno scioperato a causa dei salari troppo bassi e nel 2013 per protestare contro i trattamenti iniqui ricevuti dalla società.

Nello stesso anno anche la Bradespar S.A., società d’investimento brasiliana, è stata al centro di numerose proteste da parte di lavoratori della Vale’s (una sua partecipata) che chiedevano condizioni di lavoro migliori e il riconoscimento dei diritti fondamentali dei lavoratori.

Un tipo di coinvolgimento indiretto è invece quello della Banco Bradesco, la se-conda banca più grande del Brasile.

0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70% 80% 90% 100%

Abuso di diritti umani Comportamenti non etici

% d i c a si r e g is tr a ti

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36 La società è tra i finanziatori della diga sul Rio Madeira, l’affluente più grande del Rio delle Amazzoni in Brasile. Un progetto molto discusso in quanto gli studi di impatto ambientale elaborati dalle comunità residenti e dalle Ong che si oppon-gono al progetto elencano e documentano i danni ambientali e sociali che si pro-durrebbero nella zona a seguito della costruzione, tra cui l’innalzamento del livello dell’acqua con conseguenti possibilità di allagamento e pericolo per le popolazioni residenti, danni alle coltivazioni, cambiamento climatico.

2.3.2 Abusi diretti e indiretti di diritti umani non derogabili

Per illustrare questo tipo di responsabilità posso presentare il caso della Central Coalfields Limited, sussidiaria della Coal India Ltd, la più grande azienda produt-trice di carbone nel mondo.

Nel 2012 due minatori sono rimasti intrappolati a causa di un’esplosione e non sono mai stati ritrovati. L’azienda è colpevole di non aver rispettato le giuste mi-sure di sicurezza.

Altro caso di responsabilità diretta è quello della Sinopec, gruppo petrolifero ci-nese, anche in questo caso per mancate misure di sicurezza.

Nel 2013 nel grande complesso produttivo a Qingdao (Cina) c’è stata una rottura dell’oleodotto e la successiva fuga nel sistema di tubazioni dell'acqua piovana della città, che sfocia nel Jiaozhou Bay nel Mar Giallo. La conduttura rotta ha perso per circa 15 minuti sulla strada e in mare prima che fosse sistemata. Ore dopo, mentre i lavoratori ripulivano, l’olio ha trovato un punto di accensione e ha preso fuoco facendo saltare di nuovo l’oleodotto in due punti diversi causando vittime tra i lavoratori e le persone che erano nella zona. Almeno 55 morti, numerosi dispersi e 126 feriti.

Gli eventi di irresponsabilità indiretta che ho analizzato riguardano soprattutto la complicità delle aziende nella violazione di diritti umani effettuata dai governi lo-cali.

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37 È il caso della Bharat Heavy Electricals Ltd, società indiana che si occupa di ap-parecchiature elettriche.

La società è stata coinvolta nella costruzione della centrale termoelettrica Kosti nello stato del White Nile, Nord Sudan.

La partnership di BHEL con il governo di Khartoum ha sollevato forti critiche in quanto quest'ultimo è stato responsabile di violazioni sistematiche, diffuse e gravi dei diritti umani durante gli anni.

Il coinvolgimento di Bharat nelle controversie sui diritti umani è valutato come significativo perché il progetto è ampiamente percepito come ulteriore rafforza-mento del potere del governo sudanese e la capacità di ulteriore repressione.

Un altro caso di violazione indiretta di diritti umani non derogabili riguarda la OAO Tatneft, azienda petrolifera russa.

Tatneft ha attività in Siria attraverso la Al Bou Kamal Petroleum Company, una joint venture con la General Petroleum Corporation, dello Stato siriano.

Varie ONG, tra cui Human Rights Watch, hanno dichiarato che i ricavi da petrolio, che costituiscono circa il 25% delle entrate statali, vengono utilizzati per finanziare la violenta repressione contro il popolo siriano.

2.3.3 Comportamenti non etici diretti e indiretti

Tra i casi di coinvolgimento diretto aziendale mi sono imbattuta soprattutto in pra-tiche di corruzione, prapra-tiche anti-concorrenziali, violazioni di norme ambientali.

Porto l’esempio di due casi, quello della Gazprom Open Joint Stock e della Agri-cultural Bank of China.

Nel primo, la società petrolifera russa ha iniziato nel 2009 la costruzione del ga-sdottoSakhalin–Khabarovsk–Vladivostok, che comporta la distruzione dell’habi-tat del leopardo dell’Estremo Oriente. Il WWF ha affermato che Gazprom ha rotto

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38 un accordo e ha inviato la documentazione del progetto a Rostechnadzor (Servizio federale Russo per la supervisione ecologica, tecnica e atomica) per una perizia.

Nel secondo, una tra le banche più grandi della Cina ha visto diversi dirigenti con-dannati per frode e per gioco d’azzardo con i soldi della banca.

I casi di comportamenti non etici indiretti possono essere testimoniati dalla Hou-sing Development Finance e dalla Itau Unibanco Holding S.A.

La prima è un conglomerato finanziario che si occupa principalmente di finanzia-mento immobiliare a privati e imprese per l'acquisto / costruzione di case residen-ziali.

È però anche tra i principali finanziatori di produttori di armi controverse (mine, mine anti-uomo, bombe a grappolo, armi batteriologiche, chimiche, nucleari), at-tività che è considerata ad alto impatto ambientale e sociale.

La seconda è una delle maggiori banche brasiliane, anch’essa coinvolta in finan-ziamenti poco etici, in quanto investe nelle industrie del carbone.

L’estrazione del carbone è considerata un’attività ad alto impatto ambientale che comporta un elevato tasso d’inquinamento atmosferico e il deterioramento dell’ecosistema.

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39

CAPITOLO 3

LE COMUNITÀ INDIGENE E I LORO DIRITTI

3.1 Chi sono gli indigeni

I popoli indigeni esistono da tempo immemorabile (Marcelli, 2009). Si contano almeno 370 milioni di persone (survival.it) appartenenti a tali popoli.

La loro emersione come soggetti del diritto, sia nell’ambito degli ordinamenti na-zionali di cui fanno parte, che di quello internazionale, deriva dalla nascita e cre-scita di un movimento politico diffuso, che ha ad oggetto la tutela delle caratteri-stiche proprie di tali popoli e l’organizzazione per conseguire determinati risultati in termini di accesso alle risorse, lotta alla discriminazione e partecipazione poli-tica. (Marcelli, 2009).

Il movimento indigeno si caratterizza progressivamente come movimento interna-zionale e globale che trascende gli ambiti nazionali in cui esso opera più specifi-camente. Proprio per effetto di tale movimento, nessuno Stato appartenente alla comunità internazionale può dichiararsi esente o non interessato da tale problema-tica, sia per effetto del sempre più stretto intreccio degli ordinamenti e delle norme determinato dalla globalizzazione, sia per la portata generale delle questioni poste dai popoli indigeni, i quali, reclamando la propria autodeterminazione, propon-gono una serie di tematiche e di obiettivi di carattere generale, attinenti al rapporto degli esseri umani fra loro e con la natura. (Marcelli, 2009).

Gli indigeni possiedono una propria cultura, distinta da quella dominante nei vari Stati in cui risiedono, come pure una propria lingua, tradizioni, leggi ed usi propri (Brölmann & Zieck,1993).

Nella cultura indigena assume un valore fondamentale la terra.

La terra è importante perché è stata quella degli avi e ne ospita le spoglie mortali. Oltre ad un forte legame spirituale, la terra è importante perché è fonte di soprav-vivenza attraverso la sua coltivazione e l’uso delle risorse che vi si trovano.

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40 I diritti umani delle comunità indigene sono specificatamente riconosciuti nella “Convenzione ILO 169 sui diritti dei popoli indigeni e tribali” e nella “Dichiara-zione delle Nazioni Unite sui Diritti dei Popoli Indigeni” (Joseph, 2007).

Fin dall’adozione della Convenzione n. 169 dell’OIL, la comunità internazionale ha espressamente definito i popoli indigeni in quanto tali.

L’art. 1 di tale Convenzione prevede, al primo comma, due criteri alternativi per la loro identificazione. Il primo riguarda i popoli cosiddetti “tribali” e richiede che le condizioni sociali, culturali ed economiche di tali popoli siano distinte dagli altri settori delle rispettive comunità nazionali di appartenenza e che il loro status sia disciplinato in tutto o in parte da propri usi e tradizioni ovvero da leggi e regola-mentazioni speciali.

Il secondo definisce i popoli indigeni a partire dal fatto che i componenti di tali popoli discendano dalle popolazioni che abitavano il Paese o una sua parte al tempo della conquista o della colonizzazione o della definizione dei suoi attuali confini e che conservino in parte o del tutto le proprie istituzioni sociali, economi-che, culturali e politiche.

L’elemento della “separatezza” delle istituzioni di riferimento è comune sia ai po-poli “tribali” sia a quelli “indigeni”, mentre i secondi sono ulteriormente qualificati dalla presenza dell’elemento della discendenza dalle popolazioni che hanno subito la conquista o colonizzazione. Se ne potrebbe quindi dedurre, a contrario, che i popoli tribali non debbano necessariamente discendere da tali popolazioni e che si tratti di comunità che sono restate separate in quanto non sono mai rientrate nella sfera del dominio diretto delle potenze coloniali, con le quali hanno avuto contatti scarsi o inesistenti. (Marcelli, 2009)

Un altro elemento che accomuna poi popoli “tribali” e popoli “indigeni” è che entrambi devono risiedere in un Paese indipendente.

La Dichiarazione sui diritti dei popoli indigeni del Settembre 2007 non fornisce invece alcuna definizione di popoli indigeni e per questo si tende a considerare che abbia implicitamente accolto la definizione formulata dalla Convenzione n. 169,

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41 ma si limita a delegare a tali popoli la potestà di identificare i propri membri. Infatti l’art. 33 di tale Dichiarazione afferma che «[i] popoli indigeni hanno diritto a de-finire la propria identità o appartenenza in conformità con i propri costumi e tradi-zioni». La seconda parte di tale disposizione conferma quanto detto nell’art. 6 nel ribadire che gli indigeni vantano altresì il diritto a vedersi conferita la cittadinanza dello Stato di appartenenza.

Come identificare, quindi, i popoli indigeni? Risalendo al significato comune dell’attributo, esso esprime sostanzialmente un rapporto di appartenenza immemo-riale o ad ogni modo “precedente” con il territorio.

Si tratta quindi dei popoli che “già vivevano” in un determinato luogo. Essi appar-tenevano a un territorio prima che quest’ultimo venisse occupato dalle potenze occidentali e inserito così nel circuito della globalizzazione.

Riassumendo, i tre elementi differenziali fondamentali sono:

- identità propria in termini di cultura, linguaggio, sistema giuridico, usi, ecc.;

- continuità storica con i gruppi che hanno abitato un determinato territorio prima dell’arrivo di popolazioni straniere che sono poi divenute la parte domi-nante della società;

- consapevolezza e volontà, per ogni singolo popolo indigeno, di costituire un’en-tità a sé stante. Ciò significa che il suo obiettivo non è l’“assimilazione” al gruppo dominante all’interno dello Stato, bensì l’affermazione, la tutela e la sopravvivenza delle caratteristiche peculiari della sua cultura ed organizzazione sociale.

Stabilire criteri più precisi e specifici potrebbe portare a non includere tutti i gruppi indigeni, date le notevoli differenze esistenti tra essi. (Zambrano, 2009).

La storia dell’umanità negli ultimi cinquecento anni è stata contrassegnata da un attacco sistematico ai diritti e alla stessa esistenza dei popoli indigeni, che ha ac-compagnato tutto il processo della cosiddetta globalizzazione, volta all’accaparra-mento delle risorse naturali e strategiche appartenenti a tali popoli, nessuno dei

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42 quali, neppure negli angoli più remoti della foresta amazzonica o nelle più inospi-tali lande artiche, può dirsi oggi immune da questo attacco.

In certa misura in modo paradossale, l’avvento dei popoli indigeni sulla scena in-ternazionale e l’affermazione della loro soggettività costituisce una conseguenza proprio degli esiti ultimi di quel processo di globalizzazione che ne ha determinato, al suo sorgere, quasi l’annientamento e comunque una forte emarginazione. (Mar-celli, 2009).

3.2 La Convenzione ILO 169

La Convenzione ILO 169 sui diritti dei popoli indigeni e tribali è stata adottata nel 1989 (ed è entrata in vigore due anni dopo) dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO), un’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di promuovere la giu-stizia sociale e i diritti umani internazionalmente riconosciuti.

La prima parte si intitola “Politica generale”, seguita poi dalle varie parti, che si occupano di determinate aree di diritti. (vedi Allegato 3)

Come analizzato da Baluarte (2004), uno dei principi fondamentali di questa con-venzione è il diritto delle comunità indigene al consenso informato, basato sulla loro partecipazione alla formazione e all’implementazione di progetti di sviluppo che impattano sul loro territorio e su tutto ciò che li riguarda.

Tutto questo è affermato negli articoli 6 e 7, considerati da molti i punti cardine della convenzione.

L'articolo 6 impone infatti agli Stati di consultare le popolazioni indigene attra-verso procedure appropriate ogni qualvolta misure amministrative o legislative li possano interessare direttamente.

L'articolo 7 conferisce ai popoli indigeni il diritto di determinare e perseguire le proprie priorità nel loro processo di sviluppo e di esercitare il controllo sul proprio sviluppo sociale, economico e culturale.

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43 Come già precedentemente affermato, il rapporto con la terra per questi popoli è essenziale.

Mi soffermo ad analizzare la seconda parte della convenzione che è specificata-mente dedicata alla terra, proprio per tutelare questo prezioso legame. Le succes-sive parti riguardano l’occupazione e le condizioni di lavoro, la formazione pro-fessionale, l’istruzione.

L’articolo 15 prevede che i diritti riguardanti le risorse naturali siano “salvaguar-dati in modo speciale”. Ciò include il diritto di tali popoli a partecipare all'utilizzo, alla gestione e alla conservazione di queste risorse.

Il secondo comma ribadisceche, anche nel caso in cui le risorse del sottosuolo siano di proprietà dello Stato, i governidevono creare o mantenere procedure di consultazione dei popoli in oggetto per determinare, prima di intraprendere o di autorizzare ogni programma di ricerca o di sfruttamento delle risorse delle terre, se e fino a che punto gli interessi di questi popoli vengano pregiudicati.

Occasionalmente, a causa della scala di un progetto di sviluppo, le autorità statali potrebbero richiedere la rimozione temporanea o definitiva dei popoli indigeni dalle loro terre.

L’articolo 16 disciplina la necessità e la legittimità di tali procedure.

Le persone devono essere rimosse dalle loro terre solo come misura eccezionale.

Ci sono inoltre ulteriori requisiti:

- il governo deve ottenere il consenso quando la rimozione è necessaria o osservare procedure stabilite dalla legislazione nazionale qualora non sia possibile ottenere tale consenso.

- i popoli devono avere il diritto di ritornare nelle loro terre tradizionali e se questo non è possibile, devono ricevere terre funzionalmente equivalenti o un indennizzo monetario se lo preferiscono.

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44 - i popoli trasferiti devono essere pienamente compensati per qualsiasi perdita o lesioni subite.

Un altro aspetto importante include il trasferimento di tali diritti tra i membri delle popolazioni interessate.

L'articolo 17 richiede la consultazione dei popoli ogni qualvolta ci sia una proposta di modificare le capacità di alienare le proprie terre o di trasferire in altro modo i propri diritti sulle stesse al di fuori della loro comunità.

Gli ultimi due articoli di questa parte sono il 18 e il 19.

L’articolo 18 prevede che i Governi adottino misure per impedire ogni ingresso e ogni sfruttamento non autorizzato nelle terre dei popoli in oggetto.

Infine, l'articolo 19, chiede ai governi di istituire programmi agrari nazionali in cui vengono prese in considerazione le esigenze dei crescenti gruppi indigeni.

Ciò comprende la concessione di terre aggiuntive quando le terre di cui detti popoli dispongono sono insufficienti ad assicurare loro gli elementi di una normale esi-stenza e la fornitura di mezzi necessari per sviluppare le terre che già possiedono.

3.3 La Dichiarazione delle Nazioni Unite sui Diritti dei Popoli Indigeni

Dopo oltre un ventennio di studi e lavori, la Dichiarazione sui diritti dei popoli indigeni viene adottata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 13 settem-bre 2007. (vedi Allegato 4)

Il processo di adozione è avanzato lentamente:

 Nel 1982, il Comitato economico e sociale delle Nazioni Unite (ECOSOC) ha creato il Gruppo di lavoro sui Popoli indigeni (WGIP), finalizzato allo sviluppo degli standard dei diritti umani per la tutela dei popoli indigeni. ll Gruppo di lavoro è stato il risultato di uno studio del Relatore speciale José R. Martinez Cobo sul problema della discriminazione esercitata sui popoli indigeni.

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45

 Nel 1985, il Gruppo di Lavoro ha iniziato a redigere un progetto di Dichia-razione sui Diritti dei Popoli Indigeni.

 Nel 1993, il Gruppo di lavoro ha raggiunto all’unanimità l’accordo su un testo finale per il progetto di Dichiarazione, presentato alla Sottocommis-sione per la prevenzione della discriminazione e la tutela delle minoranze e approvato dalla stessa nel 1994. Il progetto è stato poi inviato alla Commis-sione sui Diritti Umani delle Nazioni Unite, che ha istituito il Gruppo di lavoro per la Dichiarazione sui Diritti dei Popoli Indigeni.

 Il Vertice mondiale 2005 e la Quinta sessione 2006 del Forum permanente delle Nazioni Unite sui popoli indigeni (UNPFII) hanno richiesto che la Dichiarazione fosse adottata quanto prima.

 Il Consiglio per i Diritti Umani, che ha sostituito la Commissione sui Diritti Umani, ha adottato la Dichiarazione nel giugno 2006 (unric.org).

Interessante è l’analisi, di cui riporto i punti fondamentali, di questa dichiarazione, elaborata dalla Professoressa Valentina Zambrano, dell’Università degli Studi di Roma e pubblicata su la rivista “La comunità internazionale” nel 2009.

Al momento dell’elaborazione del progetto, il Gruppo si è concentrato sulle que-stioni ritenute più importanti dai rappresentanti delle comunità considerate:

1) la particolare natura dei diritti collettivi dei popoli indigeni;

2) la centralità dei diritti relativi alla terra;

3) il riconoscimento del loro diritto all’autodeterminazione; 4) la protezione giuridica internazionale dei loro diritti.

Il diritto collettivo ad esistere come popoli culturalmente distinti è stata sicura-mente una delle rivendicazioni espresse con maggiore insistenza dai rappresentanti

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