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Diffusione dell’istituto nei primi due secoli dell’età moderna

A partire dal XIV secolo, l’istituto del fedecommesso ebbe una legittimazione definitiva tra gli istituti giuridici che meglio garantivano la conservazione del patrimonio familiare. I giureconsulti riprendendo le tematiche della precedente dottrina e, considerando il fedecommesso sia da un punto di vista formale che sostanziale, lo distinsero in tacito ed espresso, universale e particolare, puro e condizionale90.

In particolare, Bartolo da Sassoferrato considerò il fedecommesso tacito come una privata promissio restitutionis, mentre quello espresso come una promissio fatta vel in testamento, vel in codicillis, vel in instrumentis91.

Diversamente Baldo degli Ubaldi, secondo il quale, invece, il fedecommesso tacito si aveva quando ex verbis testatoris non potest percepi intellectus quid testator sentiant, avvicinandolo così al fedecommesso istituito oralmente e segretamente92.

Conseguentemente, mentre sulla base della teoria di Bartolo il volere del testatore difficilmente poteva essere sostituito dal volere

90 A.AZARA -E.EULA, Fedecommesso (diritto intermedio), cit., p. 191. 91 G.ESCOBEDO, La giustizia penale, vol. LXVII, Perugia 1962, p. 12.

92 A. MASSIRONI, Nell'officina dell'interprete: la qualificazione del contratto nel

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altrui, con la teoria di Baldo ciò poteva accadere abbastanza di frequente, per la necessità di dover interpretare o completare il pensiero del de cuius con presunzioni e congetture.

Questa duplice maniera di intendere il fedecommesso tacito fu per Bartolo una detactum per confessionem ed intellectu non verbis sed etiam mente93. Baldo, invece, ammetteva che esso poteva essere valido anche se in minus solemni voluntate relictum e che in complendis actibus humanis la volontà doveva essere intrinseca et sensibilis, non interior et spiritualis tantum.94

Da queste interpretazioni si ebbero due tendenze: una che mirava all’osservanza dell’altrui volontà, quale appariva attraverso i mezzi della sua manifestazione; un’altra, invece, che mirava alla ricerca della volontà e ad una sua applicazione precisa e rispondente all’intimo desiderio del testatore.

Anche per quanto riguarda la parte sostanziale dell’istituto le idee furono molte e diverse. La Glossa aveva fissato la distinzione tra il fedecommesso universale e quello particolare, stabilendo che nel primo, a differenza del secondo, l’erede poteva essere costretto ad adire l’eredità, e che era trasmissibile soltanto dopo l’adempimento dell’obbligo della restituzione, mentre il secondo passava recta via in legatarium95.

Bartolo si oppose a questa constatazione affermando che tale distinzione non aveva alcun fondamento, in quanto in entrambe le ipotesi le cose non erano relictae principaliter, sed per personam, e che il dominium, le azioni e tutto il resto dipendevano sempre dalla restituzione da parte di colui al quale le cose erano state eseguite. Egli distingueva il fedecommesso particolare da quello universale,

93 F.CALASSO, Fedecommesso, in Enciclopedia del diritto, cit., p. 111.

94 F. CALASSO, I glossatori e la teoria della sovranità: studio di diritto comune

pubblico, Milano 1957, p. 111.

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affermando che nel primo la conditio cedit a tempore mortis, mentre nel secondo ab adita haereditate. Baldo, al contrario, sostenne che il fedecommesso universale non era trasmissibile nisi adita haereditate96.

Per quanto concerneva, invece, il fedecommesso condizionale, la trasmissione non poteva aver luogo antequam existit conditio; la stessa cosa (avverarsi della condizione) valeva per il fedecommesso relictum post mortem haeredis, ma in questa ipotesi era però ammessa un’eccezione: se la morte era apposita soli exactioni, in questo caso non si trattava di conditio ma di dies (un evento futuro e certo) 97.

Le condizioni si potevano applicare al fedecommesso restituibile ad suos nel caso in cui il testatore avesse avuto due figli, di cui uno soltanto con prole, e avesse sostituito quello con la prole all’altro che ne era privo; nel caso in cui il primo fosse premorto al secondo, i nipoti di costui non avrebbero potuto agire ex fideicommisso98. Dunque, il fedecommissario universale non poteva godere dei privilegi dell’erede, ma doveva considerarsi erede cum effectu; perciò non aveva lo jus adeundi e non diventava erede per l’aditio haereditatis, ma per effetto della restitutio haereditatis. In concreto, il diritto della restituzione doveva costituire il centro e la base dei diritti e degli obblighi del fedecommissario.

In questo periodo, fra i giuristi si iniziò a prendere in considerazione anche l’idea di istituire un fedecommesso nel caso di divisione patrimoniale fra fratelli: quando la divisione riguardava beni già soggetti a restituzione o appartenenti a persone gravate

96 S. PULIATTI, De cuius hereditate agitur. Il regime romano delle successioni,

Milano 2016, p.29.

97 N.LA MARCA, La nobiltà romana e i suoi strumenti di perpetuazione del potere,

volume I, Roma 2000, p. 85.

98 A.ASCONA, Delle sostituzioni e dei Fedecommessi secondo i principi generali del

codice civile universale austriaco e del diritto romano, Milano 1823, p. 173; U. VINCENTI, Diritto senza identità. La crisi delle categorie giuridiche tradizionali, Bari 2014, p. 10.

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fideicommissi futuri, si presumeva che non vi fosse stata rinunzia al fedecommesso per il principio fideicommissum futurum etiam reciprocum per divisionem non remittur.99 Venne così confermata l’idea che il fedecommesso servisse a che, ex testatoris voluntate, i beni potessero restare intatti in una data famiglia. Inteso in questa maniera, il fedecommesso si presentava con un aspetto ben diverso da quello disciplinato dal diritto romano.

Se i requisiti della doppia istituzione, dell’obbligo della conservazione e dell’onere della restituzione, al chiudersi di questo breve percorso d’indagine, si presentano elaborati perfettamente, l’ultimo requisito, quello dell’ordine di successorio da osservarsi nella restitutio, viene posto al centro di tutto un movimento trasformatore del vecchio istituto romanistico che lascia intravedere gli adattamenti che esso stesso dovrà ancora subire per meglio garantire la conservazione e la compattezza del patrimonio.

Infatti, con le sostituzioni ad invicem, nel periodo medievale, si era ottenuto che i beni passassero al superstite dei figli o dei fratelli e, data la condizione solita si sine filiis decesserit, a colui che avesse avuto prole100. Pian piano la disposizione fu estesa a nipoti, ai

discendenti e ai liberi in genere, restando fermo che la restituzione dovesse aver luogo quandocumque e di regola alla morte di colui che, prima degli altri, fosse stato chiamato ad adire l’eredità. Opinione comune era che l’avvenire della casa era posto nella linea maschile, e che le femmine invece di alimentare il patrimonio lo assottigliavano, specie quando si sposavano.

L’ordine successorio nella restitutio fideicommissi abbracciava dunque i soli discendenti maschi, di regola fino alla quarta generazione, ma secondo alcuni, sotto dichiarazione esplicita del

99A.TARTAGNI,Consilia, vol. 7, cons. 4, Venezia 1588, f. 5 e seg.

100A. ASCONA, Delle sostituzioni e dei Fedecommessi, cit., p. 173; U.VINCENTI,

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disponente, anche all’infinito e fino all’esaurimento della stirpe. Ormai, si andava affermando l’idea che la successione nel fedecommesso, nell’interesse dello Stato e della famiglia, potesse svolgersi secondo l’ordine della primogenitura.

7. Critiche e decadenza dell’istituto

Il continuo declino della costituzione politica ed economica del mondo romano aveva prodotto nella società medievale un profondo sconvolgimento dovuto alla mancanza di efficienti organizzazioni pubbliche che comportò di conseguenza un progressivo aumento dell’iniziativa privata. Abbandonata dalla pubblica tutela, la sicurezza dell’individuo era ormai determinata dall’ unione e organizzazione familiare101.

Per conservare la propria individualità la famiglia doveva restringere gli effetti del vincolo di sangue ai discendenti per linea maschile, con generale limitazione dei diritti della donna, anche se agnata e, talvolta, in ossequio al principio dell’unità di governo, s’imponeva di dover sacrificare anche i discendenti maschi a vantaggio di uno solo di essi. La base economica veniva quindi severamente protetta dalla limitata libertà di disporre con una serie di cautele che in alcuni tipi di famiglie, divennero pienamente tradizionali102.

Nel XVIII secolo, con la diffusione delle idee illuministiche, il fedecommesso fu investito di aspre critiche. In esso si vedeva un ostacolo alla libera circolazione dei beni e alla loro commerciabilità, difficoltà che recava danno all’agricoltura e alla ricchezza pubblica.

101 G. TAMASSIA, La famiglia italiana nei secoli decimoquinto e decimosesto,

Palermo 1912, p. 107.

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Anche se alcune voci si levarono a favore del fedecommesso, come quella dell’economista veneziano Gianmmaria Ortes103 e di

Francesco Orioli104, i maggiori esponenti del pensiero settecentesco come il Muratori105, il Filangeri106,il Genovesi107, il Beccaria108 e il Poggi109 si espressero decisamente in senso contrario.

Essi, concentrandosi su problematiche prevalentemente di carattere morale ed economico, sottolinearono l’incapacità delle sostituzioni fedecommissarie a raggiungere gli scopi voluti mettendo in evidenza gli ostacoli che esse arrecavano al libero commercio, all’agricoltura, alla crescita della popolazione ed i conseguenti vantaggi che si sarebbero avuti nell’economia pubblica con l’abolizione del vincolo.

Alle critiche non restarono insensibili i principi illuminati che emanarono provvedimenti legislativi volti a regimare l’istituto. Un esempio significativo è dato dal Granducato di Toscana dove, come vedremo meglio nel prossimo capitolo, i sovrani intervennero in materia con provvedimenti fortemente limitativi.

103 G.ORTES, Dei fedecommessi a famiglie e a chiese e luoghi pii, in Scrittori classici

italiani di economia politica, vol. XXVII, Milano 1704.

104 F.ORIOLI, Dei fedecommessi e dell’aristocrazia, Milano 1851. 105 L. MURATORI, Dei difetti della giurisprudenza, Napoli, 1743. 106 G. FILANGERI, La scienza della legislazione, Firenze, 1864.

107 A. GENOVESI, Lezioni di economia civile, in Biblioteca dell’economista, vol. III,

Torino 1852, p. 253.

108 C. BECCARIA, Elementi di economia pubblica, in Le opere di C. Beccaria, Firenze

1854, p. 127.

109 E. POGGI, Saggio di un trattato teorico pratico sul sistema livellare toscano,

60 Capitolo III

ALCUNI ASPETTI DEL FEDECOMMESSO NELLE DECISIONES

ROTAE FLORENTINAE DI GIUSEPPE VERNACCINI

1. Il fedecommesso nel Granducato di Toscana fra ‘700 e ‘800

Come si è già sommariamente descritto precedentemente, in questo capitolo si analizzerà in maniera più approfondita le varie regolarizzazioni e modificazioni riguardanti l’istituto del fedecommesso in Toscana, soprattutto nel periodo compreso fra il ‘700 e ‘800.

Per circa tre secoli la Toscana fu uno Stato indipendente governato dapprima dalla famiglia dei Medici e successivamente dagli Asburgo-Lorena. Durante tale periodo il Granducato di Toscana riuscì a conservare la propria indipendenza e a svilupparsi fino a diventare uno degli stati più prosperi e moderni d’Europa.

Il 9 luglio 1737 moriva Gian Gastone de’ Medici, ultimo Granduca di quella illustre famiglia che, per molti secoli, aveva dominato la storia di Firenze e della Toscana.

La Corona granducale, secondo quanto stabilito con il Trattato di Vienna, passò così a Francesco Stefano, Duca di Lorena. Nel periodo della sua reggenza il Granduca, richiamandosi ai provvedimenti piemontesi di Vittorio Amedeo II di Savoia110, con

110 Vittorio Amedeo II con le Regie Costituzioni del 1729, accogliendo quanto già

disposto da Carlo Emanuele I (che richiamandosi alla Novella 158 di Giustiniano aveva precluso la possibilità che i fedecommessi potessero esigersi oltre i quattro gradi) limitò la possibilità di costituire vincoli patrimoniali esclusivamente ai “beni immobili, censi o altri simili” e vietò “ai borghesi cittadini” che avevano “altro titolo di nobiltà che la laurea”, ai banchieri o mercanti “di istituire alcuna primogenitura o alcun fedecommesso”; le Regie Costituzioni del 1770 ebbero, poi, cura di assicurare un certo appannaggio ai cadetti e introdussero l’obbligo di registrazione dei beni vincolati a tutela dei creditori. Cfr. Leggi e Costituzioni di S. M. il Re di Sardegna,

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legge del 22 giugno 1747 restrinse l’efficacia dei fedecommessi già esistenti e sottopose a numerose condizioni l’istituzione di nuovi111.

Tale legge si prefiggeva l’obiettivo di disciplinare l’istituzione dei fedecommessi, mettendo in evidenza alcune regole, tra cui: a) se non fosse stata espressa la condizione si sine liberis decesserit questa doveva riferirsi a tutti i fedecommessi, quando vi era la chiara l’intenzione di escludere dalla successione gli estranei; b) se la condizione si sine liberis fosse stata espressa nell’atto, doveva essere sempre interpretata nel senso da escludere il fedecommesso; c) le sole congetture su cui nel dubbio si voleva sostenere l’origine e la durata del fedecommesso non dovevano più essere accolte, ma potevano essere invocate soltanto quando, essendo espressa l’istituzione e continuazione del fedecommesso, si trattava di spiegare la volontà del disponente112.

Non meno importanti furono le disposizioni relative all’alienazione dei beni fedecommissari che la legge ammetteva per causa dotale, per causa di alimenti necessari, per spese e risarcimenti o miglioramenti dei beni, oppure per la difesa e l’aumento del fedecommesso, per qualche permuta o surroga di fondi.

La prima legge del Granduca lorenese in materia di fedecommesso, nonostante si manifestasse come diretta a fissare un regolamento costante ed uniforme dell’istituto, era volta ad allentare i

libro V, titolo 2, § 14 ss., Torino 1770, p. 311 ss. Per un approfondimento sul fedecommesso nelle Regie Costituzioni piemontesi si veda per tutti C.BONZO, Dalla volontà privata alla volontà del principe. Aspetti del fedecommesso nel Piemonte sabaudo settecentesco, Torino 2007, pp. 33 – 228.

111 Legge 22 giugno1747 in L.CANTINI, Legislazione toscana raccolta e illustrata da

Lorenzo Cantini, ristampa digitale su DVD, Mario Montorzi (cur.), XXV, Pisa 2006, pp. 362-366. Il provvedimento di Francesco Stefano è riportato anche in L.A. MURATORI, Della pubblica felicità oggetto de’ buoni principi, Lucca 1749, pp. 105- 113.

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vincoli della proprietà ed a regolare meglio la fattispecie fedecommissaria.

Nello specifico, tranne l’art. 15 della legge 22 giugno del 1747 riguardante il modo di succedere nelle primogeniture in mancanza di una regola fissata dall’istituente113, tutte le altre disposizioni erano

indirizzate a limitare i fedecommessi e a restringere e modificare la regola sull’inalienabilità dei beni ad essi sottoposti.

Le limitazioni introdotte furono molte e riguardarono le persone, l’oggetto e la durata: con il provvedimento lorenese, infatti, il diritto di istituire fedecommessi e primogeniture fu riconosciuto solamente ai nobili, con un’estensione non oltre i quattro gradi, ed esclusivamente su beni immobili e, solo previo permesso del sovrano, su un insieme di cose rare e preziose114.

La legge introdusse, altresì, nuove disposizioni sulla pubblicità, sulla tutela dei terzi, sul modo di interpretare e di supplire la tacita volontà del disponente, di argomentare sulla sua volontà espressa,di calcolarne e valutarne i diversi mezzi di prova.In questo modo venne sancita l’interpretazione restrittiva dei fedecommessi con l’esatto intento di delimitare la moltitudine di interpretazioni fornite dalla giurisprudenza, nel tentativo di ricostruire ed interpretare la volontà del defunto (che nel diritto comune imperava) e di collocare un confine all’infinità di controversie cui le sostituzioni fedecommissarie davano adito.

Fu così che, sotto la nuova dinastia, il Granducato ebbe la capacità di giovarsi delle riforme “illuminate” degli Asburgo che, con un governo ponderato e riformista, portarono un impulso d'innovazione in Toscana.

113 Legge 22 giugno 1747, cit., § 15, p. 364. “Qualora non sarà fissata una regola

particolare per succedere in una Primogenitura, si considera in primo luogo la Linea, in secondo luogo il grado, in terzo luogo il sesso, in quarto luogo l’età”.

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Alla morte di Francesco Stefano, avvenuta nel 1765, il Granducato passò al figlio Pietro Leopoldo I, il quale - sopraggiunto in Toscana accompagnato dalla giovane moglie Maria Luisa di Borbone figlia del Re Carlo III di Spagna – attuò con energia un radicale programma di riforme, fra cui l’abolizione della tortura e della pena di morte.

Per quanto riguarda le sostituzioni fedecommissarie, due furono i provvedimenti promulgati dal sovrano.

Il primo è il motuproprio del 14 marzo 1782 con il quale, al fine di favorire la libertà dei beni, fu ordinato lo scioglimento, nella loro totalità, di tutti i fedecommessi individui costituiti e costituendi le cui porzioni di beni erano state svincolate per gli avvenuti passaggi nei quattro gradi prescritti dalla legge del 1747, fatto salvo il diritto delle quote dei fedecommessi dei chiamati viventi al momento della promulgazione della legge.

Il secondo provvedimento è la legge del 23 febbraio 1789, con la quale Pietro Leopoldo stabilì lo scioglimento di tutti i fedecommessi già istituiti ed il divieto per qualsiasi persona, su qualunque oggetto, per qualsiasi titolo o spazio di tempo, anche se breve, di istituirne dei nuovi115.

Quest’ultima non si limitò a sancire il divieto, ma previde anche tutta una serie di regole, come ad esempio la possibilità di disporre dei propri beni solo a favore di persone già nate o concepite al momento della stipulazione nel caso di atti tra vivi, oppure al momento della morte del disponente negli atti mortis causa, fatto salvo il rispetto

115 Motuproprio 23 febbraio 1789 § 1 in Bandi e Ordini da osservarsi nel

Granducato di Toscana pubblicati in Firenze dal dì 8 gennaio 1789 al dì 2 aprile 1791, Firenze 1791, provvedimento n. 12. Per un’analisi sulla riforma leopoldina dell’istituto fedecommissario C. GALLIGANI, Il tramonto del fedecommesso, in “Historia et ius” [www.historiaetius.eu], 6 (2014), paper 4, pp. 10-11.

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dei nascituri da matrimonio certo116. Parimenti furono proibite le disposizioni fra vivi o di ultima volontà aventi per oggetto l’usufrutto, l’uso, l’abitazione totale o parziale dell’eredità o di alcuni beni, o una prestazione annua o mensile o anche l’ultimo dominio dei beni con titolo lucrativo, a favore di più generazioni o persone che non fossero tutte nate o almeno concepite. Infine, venne sancita la nullità dei fedecommessi istituiti nei testamenti rogati prima della pubblicazione della legge ma non ancora aperti, essendo ancora in vita il testatore117.

In questo modo, con il provvedimento Leopoldino, nel Granducato di Toscana, l’istituto fedecommissario venne abolito prima dell’occupazione francese. L’abolizione, immediata e generale, fu però addolcita da tutta una serie di eccezioni più o meno incisive118.

In generale possiamo dire che la legge di Pietro Leopoldo rappresentò la prima normativa che ci conduce nel diritto contemporaneo.

Tuttavia, detta riforma rimase immutata solamente per pochi anni. Infatti Ferdinando III, secondo genito e successore di Pietro Leopoldo, richiamando espressamente la legge del 22 giugno 1747, ammise nuovamente la possibilità di sottoporre a vincolo fedecommissario e primogeniale i luoghi di Monte (legge 2 dicembre 1791)119 ed estese il riservo stabilito dall’art. 9 della legge del 1789 a

favore dei chiamati e sostituti viventi anche agli spedali, ai luoghi pii

116 Motuproprio 23 febbraio 1789, cit., § 5 e Legge del 7 aprile 1790 (in Bandi e

Ordini da osservarsi nel Granducato di Toscana pubblicati in Firenze dal dì 8 gennaio 1789 al dì 2 aprile 1791, Firenze 1791).

117 Motuproprio 23 febbraio 1789, cit., § 14.

118 C.GALLIGANI, Il tramonto del fedecommesso, cit., pp. 11-12.

119 Bandi e Ordini da osservarsi nel Granducato di Toscana pubblicati dal dì 7

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ed agli altri corpi morali esenti da mani morte (motuproprio del 9 giugno 1797)120.

Il periodo lorenese ebbe come unica interruzione la parentesi napoleonica. Alla fine del XVIII secolo, infatti, il Granducato di Toscana finì fra gli obiettivi espansionistici di Napoleone Bonaparte. Nel 1799 lo Stato toscano fu occupato dai francesi, nel 1801 venne affidato alla dinastia dei Borboni con il nome di Regno di Etruria e nel 1807 venne conferito, dallo stesso Napoleone, alla sorella Elisa Bonaparte Baciocchi che vi governò dal 1809 fino al 1814.

Con la conquista del Granducato di Toscana da parte della Francia, si ebbero notevoli cambiamenti, a cominciare dalla tradizione del diritto comune che venne formalmente interrotta dall’introduzione del Codice civile napoleonico, che entrò in vigore nel maggio 1808.

Numerose furono le novità introdotte dal Codice in materia di diritto successorio, nell’ambito del quale vennero attuati i principi di eguaglianza e di libertà affermati dalla rivoluzione francese. L’art 896 del Code Napolèon dispose l’abolizione delle sostituzioni fedecommissarie, sanzionando con la nullità le disposizioni inter vivos e mortis causa che l’avessero contenute. Tale divieto codicistico venne applicato in Toscana in maniera alquanto rigida. Difatti, nella delibera dell’11 luglio 1808, la Giunta straordinaria di Toscana, facendo riferimento agli articoli 3 e 896 del Codice, decretò la pubblicazione delle leggi francesi del 25 ottobre e del 14 novembre 1792 che sancivano il divieto assoluto di costituzione dei fedecommessi.

In questo modo, nello Stato toscano, sulla base del principio leges posteriores ad priores pertineant nisi contrariae sint, furono revocati sia l’art. 897 del Codice, che ammetteva la possibilità di istituire fedecommessi di primo grado, sia il decreto imperiale del 1° marzo 1808, che rese ereditari i titoli nobiliari in ragione della

120 Bandi e Ordini da osservarsi nel Granducato di Toscana pubblicati dal dì 21

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costituzione di maggiorascati, distinguendoli in majorats de propre mouvement e majorats sur demande121.

In Toscana vennero così eliminati tutti i privilegi ed i diritti in materia di fedecommesso sopravvissuti alla legislazione leopoldina e ai governi successivi. Venne in questo modo portata avanti la politica fedecommissaria adottata da Pietro Leopoldo, che aveva sancito il divieto di istituire fedecommessi, primogeniture e maggiorascati per tutte le classi sociali, al fine di favorire la prosperità del commercio e

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