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3. Decisioni della Rotae Florentinae

3.5. Il fedecommesso condizionale

Con la locuzione “si sine liberis decesserit” (se al tempo della sua morte non avrà avuto prole) si allude alla clausola apposta ad un atto di ultima volontà, in forza della quale il testatore dispone sostanzialmente una doppia istituzione. La prima sottoposta alla

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condizione risolutiva il cui evento consiste nel decesso dell'istituito senza aver avuto figli; la seconda, effettuata a favore di un altro soggetto, sottoposta a condizione sospensiva il cui evento coincide, ovvero consiste, nel fatto che il primo istituito non abbia avuto prole.

La decisione CCLXIX del 24 gennaio 1784, ha per oggetto la questione riguardante il fatto se i figli posti in condizione dovevano ritenersi chiamati nella successione al fedecommesso.

Don Silvestro, figlio del già defunto Michele Neri, nel suo ultimo testamento del 1653, dopo aver disposto legati151, istituiva “suoi eredi universali152 il fratello Lorenzo e suo nipote Michele. In caso di morte di quest’ultimi ed in assenza di figli maschi, disponeva che la sua eredità dovesse andare ad uno dei due che avesse avuto figli maschi; nel caso in cui entrambi fossero morti senza figli maschi, si sarebbero dovuti sostituire come suoi eredi universali Antonio e Giovan Maria, suoi nipoti. In caso di decesso di tutti i sopraddetti eredi instituiti e sostituiti senza figliuoli maschi, il testatore disponeva che fosse “eretto e fondato un Altare, ...., con obbligo al Rettore di quella [chiesa] di una Messa a settimana”153.

Morto il testatore ed i primi eredi istituiti Lorenzo e Michele Neri senza lasciare discendenti, la parte dei beni di proprietà del testatore ed oggetto di fedecommesso veniva assegnata ad Antonio e Giovan Maria che procedettero alla vendita degli stessi. Dopo una serie di alienazioni, i beni furono acquistati da Andrea Sensani.

A questo punto, nacque una diatriba tra Giovanni Batista Neri (figlio di Giovan Maria Neri), erede del testatore, il quale vantava diritto di successione all’eredità e al fedecommesso di Don Silvestro,

151 Supra, p. 9.

152 Gli eredi universali subentrano direttamente nel patrimonio per intero o una quota

di esso, il legatario invece acquista diritti patrimoniali specifici e non risponde dei debiti ereditari. V. ROPPO, Diritto privato: Linee essenziali. Estratto. Seconda edizione, Torino 2014, p. 3.

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ed il sig. Andrea Sensani, il quale eccepiva l’avvenuta purificazione nei figli di Antonio e Giovan Maria Neri del fedecommesso istituito da Don Silvestro154.

Dopo una lunga disputa l’ufficiale di Dovadola decideva la vertenza a favore di Giovanni Batista Neri.

La sentenza veniva appellata dal Sensani davanti al Commissario della Terra Sole155 che dispose la sospensione del provvedimento. Il procedimento fu proseguito a causa della morte dell’estinzione della famiglia Sensani e l’acquisizione, per testamento, del podere da parte della signora Caterina Orioli.

Successivamente, Francesco Neri, figlio di Giovan Batista Neri otteneva, con decreto, l’esecuzione della sentenza.

La signora Orioli, da parte sua, chiedeva ed otteneva la grazia di Sua Altezza Reale, di poter proseguire il giudizio di appello avanti il Magistrato dei Pupilli di Firenze. Detto Magistrato deferiva la causa, secondo il turno Rotale, a Giuseppe Vernaccini, il quale, investito “di conoscere della giustizia ed ingiustizia della predetta Sentenza proferita dal Tribunale di Dovadola li 7 Maggio 1705” revocava detta sentenza e reintegrava Caterina Orioli nei beni oggetto della contesa, in qualità di erede del Sensani.

In particolare, il Vernaccini faceva quattro precisazioni tutte a favore della Orioli:

1) Francesco Neri non poteva essere considerato legittimo contraddittore della Orioli, in quanto non aveva giustificato l’asserita qualità di discendente da Giovanni Maria Neri;

154 G.VERNACCINI, Collezione, cit., tomo 5, decisione 269, p.

155 Terra del Sole, secondo le intenzioni di Cosimo I sarebbe dovuta diventare la

nuova sede prestigiosa degli “uffizi” medicei nella Romagna Toscana, una struttura urbana che doveva assolvere a funzioni amministrative, giudiziarie, militari, religiose e commerciali. D. BERARDI, Rocche e castelli di Romagna: Forlì, Cesena e il Cervese, Torino 1970, p. 27.

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2) che alla “dispositiva vocazione” dei figli, posti in condizione, di Giovan Maria Neri resisteva l’art. 16156 della

legge del 22 giugno 1747, secondo il quale non si dovevano reputare chiamati i posti in condizione e quindi si doveva ritenere purificato il fedecommesso, fatto salvo il caso in cui vi fossero delle congetture157.

3) che nel caso di specie non si poteva ricorrere a congetture in virtù dell’art. 20 della stessa legge con il quale veniva proibito di “sostenere per mezzo di congetture l’induzione o durazione dei fidecommissi”158; divieto che, ricorda il Vernaccini, venne esteso anche alle controversie pendenti al tempo della promulgazione del provvedimento normativo159.

4) che, in ogni caso, mancavano le congetture necessarie per poter disapplicare l’art. 16 della legge del 1747 e che erano comunemente ricevute dai tribunali, in particolare quelli toscani, prima della promulgazione del provvedimento sopra citato160.

Sulla base di queste osservazioni, la Rota si pronunciava contro la vocazione dei figli posti in condizione. Il Tribunale decideva così la controversia applicando la prima legge lorenese limitativa dei fedecommessi.

156 “I figlioli, o figlioli dè figlioli in condizione in avvenire non si reputeranno

chiamati, talché qualunque fidecommisso instiutito in caso di morte senza figlioli, sarà risoluto per la loro esistenza”.

157 G.VERNACCINI, Collezione, cit., tomo 5, decisione 269, p. 362. 158 G.VERNACCINI, Collezione, cit., tomo 5, decisione 269, p. 362. 159 G.VERNACCINI, Collezione, cit., tomo 5, decisione 269, p. 362. 160 G.VERNACCINI, Collezione, cit., tomo 5, decisione 269, p. 362.

81 Conclusioni

Dallo sviluppo sistematico del presente elaborato si evince che una delle preoccupazioni più ricorrenti ed assillanti che tormentavano il padre di famiglia era rappresentata dalla sorte del patrimonio familiare dopo la sua morte.

La consapevolezza diffusa dell’importanza primaria dell’elemento patrimoniale all’interno del nucleo familiare emerge da una variegata tipologia di fonti letterarie e trova coerente manifestazione nel mondo del diritto, sia nei testi normativi consuetudinari e statutari, che nelle opere dottrinali dei giuristi, occupati ad interpretare quelle norme al fine di renderle pratiche ed efficienti in un sistema funzionante e tendenzialmente compiuto.

All’inizio dell’epoca moderna e poi costantemente nei secoli successivi, l’obiettivo preminente di scongiurare il depauperamento del patrimonio familiare ed insieme la sua frammentazione, diventa un vero e proprio assillo, onnipresente nelle manifestazioni di ultima volontà del de cuius. L’adozione delle misure ritenute efficaci dal punto di vista economico per il conseguimento di tale fine assume dunque il valore di un imperativo etico e diviene sul piano dei concreti atti giuridici prassi comune, dalla quale ci si discosta assai raramente: la sua inosservanza graverebbe come un grosso pensiero sulla coscienza di quel padre di famiglia che si dimostrasse tanto sprovveduto da trascurare i suoi obblighi, mettendo in tal modo in pericolo il necessario presupposto materiale della conservazione della discendenza e del suo svilupparsi.

Principalmente è durante l’età moderna, tra Cinquecento e Settecento, che in tutta Europa il fedecommesso viene individuato come il mezzo più efficace per far sì che la base patrimoniale delle famiglie si mantenga intatta, mediante il divieto di alienazione dei beni e l’obbligo di trasmetterli al successivo istituito, previsti già nel

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testamento di colui che delinea in tal modo la strategia successoria di lungo periodo del casato.

Nel periodo di passaggio tra l’età moderna e l’età contemporanea, l’attenzione privilegiata alla sostanza economica dei legami familiari ed ai collegati sistemi di trasmissione del patrimonio non si attenua, bensì, al contrario, si acuisce, assumendo un risalto del tutto particolare nella riflessione offerta da giuristi che incarnano in modo esemplare la nuova cultura illuministica.

L’immagine della attenta amministrazione della famiglia, retta secondo i migliori principi di sensata accortezza del buon padre di famiglia, si evidenzia anche nella raccolta delle decisioni del giurista toscano Giuseppe Vernaccini.

In quelle sentenze ritroviamo espresso con lucida consapevolezza, il sentimento della necessaria perpetuazione del casato attraverso la tutela dell’unità del patrimonio anche se si percepisce la crisi che ormai l’istituto sta vivendo. Il mantenimento dei beni all’interno del consorzio familiare viene infatti tutelato dal tribunale toscano purché siano rispettate le leggi vigenti nel Granducato.

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