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L'istituto del Fedecommesso nella Raccolta Decisiones Rotae Florentinae dell'Auditore Giuseppe Vernaccini

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÁ DI PISA

Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

Tesi di Laurea Magistrale

L’

ISTITUTO DEL FEDECOMMESSO NELLA

RACCOLTA

D

ECISIONES

R

OTAE

F

LORENTINAE

DELL

AUDITORE

G

IUSEPPE

V

ERNACCINI

Relatrice

Prof.ssa Chiara Galligani

Candidata

Maria Antonietta Di Stefano

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I

NDICE

Introduzione………...4

Capitolo Primo IL FEDECOMMESSO NEL DIRITTO ROMANO E NELL’ALTO MEDIOEVO 1. Origini del fedecommesso………....6

2. Prime riforme dell’istituto fedecommissario………...14

3. Il fedecommesso nel diritto giustinianeo……….17

4. Il fedecommesso negli scritti dei giuristi contemporanei alla riforma giustinianea……….21

5. Il fedecommesso nel periodo alto medievale………...26

Capitolo Secondo LA DISCIPLINA DEL FEDECOMMESSO NEL BASSO MEDIOEVO E NELL’ETÀ MODERNA 1. Scuola di Bologna e la disciplina del fedecommesso…….…….34

2. Modifiche e adeguamenti dell’istituto a partire dal XIII secolo………...39

3. La conservazione e l’indivisibilità del patrimonio………..45

4. Eccessi di libertà nel disporre………..48

5. Le categorie delle sostituzioni fedecommissarie……….51

6. Diffusione dell’istituto nei primi due secoli dell’età moderna…54 7. Critiche e decadenza dell’istituto……….58

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Capitolo Terzo

ALCUNI ASPETTI DEL FEDECOMMESSO NELLE DECISIONI DELLA

ROTA FIORENTINA RACCOLTE DA GIUSEPPE VERNACCINI

1. Il fedecommesso nel Granducato di Toscana fra ‘700 e

‘800………..60

2. Vita ed opere di Giuseppe Vernaccini………...66

3. Decisioni della Rotae Florentinae………...68

3.1. Il fedecommesso individuo………...68

3.2. Esclusione del discendente maschio da femmina ….…………..69

3.3. I chiamati in condizione………..72

3.4. Fedecommesso di famiglia………...……...75

3.5. Il fedecommesso condizionale………....77

Conclusioni………..81

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4 Introduzione

Il presente elaborato si prefigge l’obiettivo di analizzare il fedecommesso, un antico istituto che rappresentava la base per la conservazione del patrimonio familiare.

Per fedecommesso, come si può intuire dal termine stesso, si indicava una disposizione fedecommissaria, con la quale il testatore nominava la persona dell’erede da lui istituita, ma nel contempo, le imponeva l’obbligo di conservare quanto ricevuto e di restituirlo alla sua morte ad altra persona designata nel proprio testamento.

Le origini del fedecommesso vanno certamente ricercate nel diritto romano, dove l’istituto incontrò fortuna per lungo tempo, in quanto permetteva il mantenimento dell’integrità del patrimonio familiare la cui devoluzione veniva direttamente disposta dal de cuius.

Largo sviluppo dell’istituto peraltro, venne raggiunto nel diritto intermedio, durante il quale, alla qualità originaria, si aggiunse quella ulteriore, di consentire il trapasso del patrimonio familiare ad un solo membro della famiglia stessa: se il testatore voleva che i beni non uscissero dalla famiglia, niente impediva che essi fossero trasmessi ad uno solo dei figli o degli eredi, rendendo in tal modo il patrimonio indivisibile.

Dal XVI secolo in poi il fedecommesso acquistò sempre maggior favore, avendo assunto una struttura corrispondente alla propria funzione economica-sociale: l’organismo familiare tendeva ad essere sempre più l’elemento portante della società in decadenza ed il fedecommesso individuo rappresentò il massimo grado di sviluppo dell’istituto.

Nel XVIII secolo, con il movimento delle nuove idee, il fedecommesso divenne sempre più oggetto di critiche: l’istituto rappresentava motivo di ostacolo alla libera circolazione dei beni, alla loro commerciabilità, con conseguente danno all’agricoltura e alla pubblica ricchezza.

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5

Uno degli Stati italiani più sensibili ai nuovi ideali fu il Granducato di Toscana ove, nel Settecento, il fedecommesso subì molte limitazioni, fino ad arrivare alla sua abolizione.

Dopo aver ricostruito, nei primi due capitoli, la disciplina dell’istituto nel periodo romano e medievale, nel terzo capitolo, viene illustrata la vicenda del fedecommesso nello Stato toscano sotto il profilo legislativo e giurisprudenziale.

Per quanto riguarda il primo aspetto, viene fatto particolare riferimento ai provvedimenti emanati da Francesco Stefano (che con Legge 22 giugno 1747 restrinse l’efficacia dei fedecommessi già esistenti e sottoposte a numerose condizioni l’istituzione dei nuovi) e da Pietro Leopoldo che, dopo aver disposto l’estinzione del fedecommesso individuo dopo quattro passaggi (Motuproprio del 1782), con legge del 23 febbraio 1789 sciolse tutti i fedecommessi e vietò che se ne creassero dei nuovi.

Sotto l’aspetto giurisprudenziale, invece, vengono prese in esame alcune decisioni della Rota Fiorentina, riguardanti detto istituto, tratte dalla Collezione completa dell’Auditore Giuseppe Vernaccini ed emesse dal Tribunale toscano tra la fine del Settecento ed i primi anni dell’Ottocento. L’analisi di questo materiale ci permette di capire quanto l’istituto fedecommissario fosse radicato in Toscana e quale era la posizione dell’organo giudicante verso un istituto ormai in decadenza.

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6 Capitolo I

IL FEDECOMMESSO NEL DIRITTO ROMANO E NELL’ALTO MEDIOEVO

1. Origini del Fedecommesso

Un istituto che si è distinto nel corso della storia e che ha avuto una lunga tradizione risalente alle fonti del diritto romano è il fedecommesso. Esso consisteva in una disposizione mortis causa con la quale il testatore imponeva all’erede o al legatario l’obbligo di conservare i beni ricevuti per restituirli, alla sua morte, ad un’altra persona, chiamata sostituito, designata dal testatore medesimo1.

Presso i Romani, la prima forma di fedecommesso si ebbe quando, non volendosi o non potendosi più disporre dei propri beni con le consuete forme di testamento all’epoca in vigore, ovvero testamentum calatis comitis2 e testamentum in procintu3, si ricorse alla

1 B.BRUGI, Fedecommesso, in Digesto Italiano, vol. XI, Torino 1895, p. 588; F.

CICCAGLIONE, Successione (diritto intermedio), in Digesto Italiano, vol. XXII/3, Torino 1889-1897, pp. 371-382; R.TRIFONE, Il fedecommesso. Storia dell’istituto in Italia, Napoli 1914, p.103; R. TRIFONE, Fedecommesso (diritto intermedio e moderno), in Nuovo Digesto Italiano, vol. V, Torino 1938, pp. 1002-1016; R. TRIFONE, Fedecommesso (diritto intermedio), in Nuovissimo Digesto Italiano, vol. VII, Torino 1961, pp. 192-207.

2 Atto formale orale che veniva compiuto davanti ai comitia curiata con cui il

testatore dichiarava solennemente le proprie volontà. A.DOVERI, Istituzioni di diritto romano, vol. II, Firenze 1866, p. 457;più recentemente si veda per tutti A.PETRUCCI, Lezioni di diritto privato romano, Torino 2015, p. 74.

3 Particolare forma testamentaria che veniva compiuta dai soldati durante le

campagne belliche, in cui il testatore - il soldato - dichiarava solennemente le proprie ultime volontà dinanzi all’esercito schierato in battaglia, il quale fungeva da testimone. Attraverso tale testamento, il soldato poteva disporre delle proprie armi e degli oggetti che aveva più cari; per i restanti beni permaneva il diritto a succedere dell’heres suus o, comunque, del soggetto designato erede secondo le norme della

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mancipatio familiae in favore di un amico, al quale si affidava la propria volontà. Essa veniva realizzata attraverso la vendita in blocco dei beni effettuata dal disponente in favore di una persona di fiducia c.d. emptor familiae che, figurando come compratore, poteva tenere per sé, anche fino alla morte, il patrimonio mancipato senza che nessuno, neanche colui il quale si voleva beneficiare, vi si potesse opporre; l’esecuzione della volontà del disponente era rimessa alla lealtà, all’onore, alla c.d. fides4 dell’emptor. Tutto ciò trovava

conformità nel culto che le antiche popolazioni greco-italiche avevano per i defunti e nel valore morale dell’obbligo nascente dalla fides, e cioè dall’impegno di eseguire quanto fu promesso.

Questo modo di disporre si diffuse soprattutto quando, per favorire soggetti sprovvisti della capacità di essere istituiti eredi di un testamento (c.d. testamenti factio passiva), fu necessario eludere i rigori del diritto testamentario e, successivamente, quando la mancipatio familiae si trasformò in testamentum per aes et libram e i legati si posero accanto all’istituzione d’erede. Quelli che per primi si giovarono del fedecommesso furono gli incapaci, in particolare i peregrini, ovvero i soggetti sottoposti al dominio romano che non avevano la cittadinanza e dunque erano privi di molti diritti riservati ai cives. Di tale istituto se ne approfittarono poi anche le donne, escluse dalla successione della legge Voconia5, i proscritti, i servi, i coelibes e

successio ab intestato. Per tutti A.DOVERI, Istituzioni, cit., p. 458; A.PETRUCCI, Lezioni, cit., p. 75.

4 La fides è alla base dei rapporti reciproci ed ha un valore cardine nel diritto romano

in quanto rappresenta la parola data che, qualora venga meno, provoca la mancanza di lealtà e di mutuo scambio nei rapporti interpersonali. M.D’ORTA, Sterilis beneficii conscientia, Torino 2005, p. 190.

5 La Lex Voconia del 169 a.C. stabiliva che le donne non potevano essere istituite

eredi da coloro che appartenevano alla prima classe del censo o da coloro che avevano un patrimonio superiore a 100.000 assi, né essere destinatarie di lasciti di una certa consistenza. Inoltre, per evitare che la disposizione fosse aggirata mediante un legato, si stabilì che questi non potevano superare il valore di quanto riceveva

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gli orbi6, i postumi alieni7, cioè coloro che non erano fra gli heredes sui del testatore.

Una causa che favorì l’utilizzo dei fedecommessi fu quella di togliere ogni requisito di forma nella dichiarazione di volontà del disponente: in questo modo il negozio fedecommissario era preferito, per la sua semplicità, alla disposizione testamentaria.

Il fedecommesso poteva essere disposto sia in un testamento sia tramite codicillo8. I codicilli potevano essere citati e riconosciuti come validi nel testamento, dunque confirmati, oppure non menzionati nel testamento. Per mezzo del codicillo era possibile disporre solo a titolo particolare del proprio patrimonio, con la possibilità di costituire legati

l’erede. In tal caso era però facile aggirare lo scopo della legge disponendo di un certo numero di legati che non superassero singolarmente la quota attribuita all’erede. Ma questo implicava una dispersione del patrimonio. L’escamotage fu allora quello di istituire erede nel testamento un uomo, pregandolo a voce o per iscritto nei codicilli (statuizioni disposte al di fuori del testamento), di trasferire l’eredità alla donna. G. HUGO, Storia del diritto romano, Napoli 1856, p.137; S. PULLIATI, De cuius hereditate agitur. Il regime romano delle successioni, Torino 2016, cit., p. 19.

6 La Lex Julia et Papia, emanata tra il 18 a.C. e il 9 d.C., aveva dichiarato incapaci a

ricevere le persone coniugate ma prive di figli, di conseguenza l’uso del fedecommesso fiduciario si era moltiplicato. C.FAYER, La familia Romana, Roma 2005, p. 575; A.PETRUCCI,Lezioni, cit., p. 19.

7 Si definiscono postumi solamente quelli che nascono dopo la morte del loro

genitore. Postumi sui quelli che, se fossero nati durante la vita del testatore, avrebbero ottenuto il posto più vicino nella famiglia di lui. Tutti gli altri vengono chiamati postumi alieni. R.G.POTHIER, Le Pandette di Giustiniano, Venezia 1835, p.1154; A.M.GIOMARO -C.BRANCATI, Percorsi guidati e metodologia di analisi giuridica, Fano 2005, p. 82.

8 Documento autonomo redatto posteriormente o indipendentemente dal testamento,

mediante il quale si poteva mandare un documento precedente, aggiungendo o togliendo delle disposizioni. G.RONGA, Elementi di diritto romano, vol. III, Torino-Napoli 1871, p. 198; L.FASCIONE, Storia del diritto privato romano, Torino 2012, p. 375; A.PETRUCCI, Lezioni, cit., p. 96.

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o fideicommissa9 ma non di istituire eredi o prevedere sostituzioni. Infatti, su consiglio del giurista Trebazio Testa10 e di altri giuristi

romani, l’imperatore Augusto, da una parte, ritenne validi i fedecommessi disposti con codicilli confirmati, dall’altra accordò ad essi una tutela amministrativa. Approvò inoltre che, quando l’onerato fosse venuto meno alla fiducia del disponente, il fedecommissario avrebbe potuto rivolgersi extra ordinem al magistrato per ottenere la coazione all’esecuzione: in questo modo veniva garantita la volontà del disponente.

In seguito, sia per lo sviluppo dello ius honorarium11 imperiale, sia per l’affermazione dell’ius gentium, il fedecommesso venne a collocarsi accanto agli altri istituti giuridici. Da tale momento non fu più necessaria la supplicatio al principe per determinare una extraordinaria cognitio, ma bastò una petito al magistrato per ottenere che la volontà del disponente venisse rispettata.

Con il susseguente sviluppo legislativo, la giurisprudenza cercò di delineare con maggiore sicurezza i rapporti intercedenti fra l’onerato e il fedecommissario, creando delle norme apposite per regolare l’istituto del fedecommesso. Essa acconsentì che si potesse ordinare un fedecommesso anche prima dell’istituzione dell’erede12; che se ne

9 I primi fedecommessi ordinati in codicilli che ebbero un riconoscimento giuridico

furono quelli per il testamento di Lucio Lentulo, fatti valere dal primo imperatore romano Augusto. L.FASCIONE, Storia, cit., p. 376.

10 Trebazio Testa fu un giurista e politico romano; A. DE VIVO E.LO CASCIO,

Seneca uomo politico e l’età di Claudio e di Nerone, Atti del Convegno internazionale: Capri 25-27 marzo 1999, Bari 2009, p.33.

11 Complesso di norme create di volta in volta dal pretore per regolare casi concreti

non direttamente disciplinati dallo ius civile, attraverso una procedura celere e priva di formalismi. A.LOVATO –S.PULIATTI -L.SOLIDORO MARUOTTI,Diritto privato romano, Torino 2015, p. 65.

12 Il testatore istituisce erede (nel qual caso si parla di fedecommesso universale o

eredità fedecommissaria) o legatario un soggetto determinato (detto istituito) con l'obbligo di conservare i beni ricevuti, che alla sua morte andranno automaticamente

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potesse gravare il legatario, l’erede dell’erede o del legatario ed anche il fiduciario di questi ultimi. Dispose anche che ogni cosa potesse formare oggetto di fedecommesso, tanto se del disponente, quanto se dell’erede, del legatario o di estranei; che potessero ricevere per fedecommesso anche coloro che erano stati esclusi dall’eredità e dai legati per disposizioni recenti (come ad esempio i coelibes e gli orbi, le personae incertae e i postumi alieni); che potessero ordinarsi fedecommessi non soltanto con codicilli confirmati in praeteritum vel in futurum, come aveva stabilito l’imperatore Augusto, ma anche con codicilli non confirmati, ab intestato, extra testamentum; ed infine che potessero essere disposti fedecommessi persino con segni e con gesti, purché compiuti in presenza di molti testimoni quanti ne erano richiesti per i testamenti.

Per la loro attuazione i fedecommessi, così come anche i legati, richiedevano oltre che un oggetto lecito la compartecipazione di tre soggetti: il disponente, il fiduciario ed il fedecommissario. Senonché, mentre per i legati si richiedeva la capacità del disponente e del fiduciario, nei fedecommessi venne meno tale requisito, tanto che essi potevano essere disposti anche a favore di persone prive della capacità testamentaria passiva e quindi ordinati anche da un incapace a favore di un altro incapace. Questo comportò che ogni fedecommesso, compreso quello universale, desse luogo a una successione a titolo singolare, per cui, anche dopo la restituzione dell’eredità al fedecommissario, il fiduciario, per il principio “semel heres, semper heres”13, continuava a considerarsi come erede e a rappresentare

ad un soggetto diverso (detto sostituito) indicato dal testatore stesso. P.A.RIDOLA, Istituzioni Romane, vol. I, Napoli 1833, p. 69. Tra gli altri cfr. A.PETRUCCI, Profili giuridici delle attività e dell'organizzazione delle banche romane, Torino 2002, p. 57.

13 La locuzione latina semel heres, semper heres (una volta erede, erede per sempre)

esprime un principio fondamentale del diritto successorio in virtù del quale, una volta divenuti eredi, non è più possibile perdere questa qualità per rinuncia. A.DOVERI, Istituzioni, cit., p. 680.

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l’unica persona capace di esercitare azioni ereditarie e di rispondere ai creditori dell’eredità.

Non solo la giurisprudenza, ma anche i senato-consulti cercarono di provvedere a molti inconvenienti che si erano presentati nella pratica per l’attuazione delle sostituzioni fedecommissarie. Il primo di questi fu il senatoconsulto Trebelliano14 il quale cercò di delineare con maggiore efficacia le prerogative del fedecommissario. Poiché quest’ultimo era considerato come emptor hereditatis il suo diritto veniva meno se l’onerato si rifiutava di accettare il mandato, e non poteva acquistare le cose ereditarie se quest’ultimo non gliene trasferiva la proprietà. Infine, essendo titolare delle obbligazioni ereditarie, doveva procedere anch’egli a stipulazioni reciproche con l’erede, ed essendo considerato loco emptoris, andava incontro a tre gravose difficoltà:

- doveva ricorrere a cessioni complesse per le cose corporali e per le obbligazioni;

- doveva subire l’insolvenza propria e quella dell’onerato;

- doveva essere privato di un beneficio per la rinuncia da parte dell’onerato.

Per sopperire a queste circostanze ed eliminare i primi due ostacoli, il senatoconsulto Trebelliano finì col considerare il fedecommissario loco heredis invece che loco emptoris sulla base di due presupposti:

14 Il s.c. Trebelliano (56 d. C.) stabilì che l’adempimento del fiduciario (restituzione

dei beni) non doveva più avvenire attraverso una finta compravendita ma con un atto unilaterale chiamato restitutio che costituiva un obbligo giuridicamente tutelato. In tal modo il fedecommissario, vale a dire il beneficiario, diventava titolare di tutta o di parte dell’eredità fin dal momento dell’apertura del testamento e a lui venivano concesse le azioni spettanti all’erede (in caso di successione universale) o al legatario (in caso di successione particolare). R.G. POTHIER, Le Pandette, cit., p. 495; C. FERRINI, Manuale di pandette, Milano 1904, p. 810.

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1) ritenendo che la restitutio intervenuta tra il fiduciario e il fedecommesso facesse trasferire a quest’ultimo iure praetorio tanto le cose corporali, quanto i crediti e i debiti;

2) stabilendo che l’exceptio restitutae hereditatis bloccasse, rispetto al fiduciario, le azioni ereditarie nel tempo stesso che si trasferivano al fedecommissario, investito con formula fittizia attivamente e passivamente di azioni utili (equivalenti ad azioni ereditarie speciali) e di un’azione generale (equivalente all’hereditatis petitio fideicommissaria)15. Altro inconveniente che poteva presentarsi era il rifiuto da parte del fiduciario di accettare l’incarico: in questo caso si sarebbe avuto l’annullamento della disposizione fedecommissaria.

In seguito cominciò a farsi strada un’altra idea: si stabilì che quando il fiduciario invocava la quarta Falcidia16, accettando l’incarico non avrebbe più potuto applicarsi il s.c. Trebelliano ed i diritti e le azioni del defunto sarebbero rimasti all’onerato, il quale

15 L’hereditatis petitio fideicommissaria, o azione di rivendicazione dell’eredità, era

un’azione spettante all’heres, cioè colui che subentrava nell’intero complesso patrimoniale del de cuius o in una quota dello stesso, contro chiunque pregiudicasse i diritti da lui acquisiti in seguito alla “successio”. R. SIRACUSA, La nozione di Universitas in diritto romano, Milano 2016, p. 86.

16 La Lex Falcidia fu approvata nel 40 a. c. su iniziativa del tribuno della plebe

Publio Falcidio. Detta legge regolava le quote della successione legittima nel diritto ereditario romano e nel VI secolo fu fatta incorporare da Giustiniano nelle Institutiones da lui volute. La legge decretava che nessuno potesse disporre liberamente di più di tre quarti del suo patrimonio per l’istituzione di legati, cosicché all'erede rimanesse disponibile almeno un quarto del patrimonio.

Nel caso in cui il testatore violasse la disposizione, l'erede aveva il diritto di pretendere da ogni legatario una quota in modo tale che il suo quarto venisse assicurato. Questa quota fu chiamata Quarta Falcidia. R.G.POTHIER, Le Pandette, cit., p. 96; A.LOVATO -L.SOLIDORO MARUOTTI -S.PULIATTI, Diritto Privato, cit., p. 766.

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doveva procedere col fedecommissario alle stipulazioni partis et pro parte.

In proseguo di tempo venne regolamentata un’altra situazione delicata: la possibilità di poter stabilire un limite del patrimonio oggetto di fedecommesso a tutela delle aspettative ereditarie e dell’effettiva operatività della successione. Infatti, constatando che l’erede poteva non avere interesse ad accettare l’eredità, con la possibilità dunque di disinteressarsi di essa o di rifiutare l’incarico, annullando in tal modo la disposizione fedecommissaria, un nuovo senatoconsulto, il Pegasiano17, decretò – riprendendo i criteri già fissati qualche anno prima per i legati dalla legge Falcidia – che l’erede potesse sempre trattenere a sé un quarto dei beni dell’asse ereditario oggetto del fedecommesso. In sostanza veniva così a delinearsi una quota di legittima, dando nel contempo al fedecommissario il diritto di chiedere al magistrato l’esecuzione del fedecommesso.

Questo secondo senatoconsulto aggravò il regime dei debiti e dei crediti. Nei fatti, se l’erede era propenso ad accettare il quarto dei beni non avrebbe avuto più luogo il senatoconsulto Trebelliano, i diritti e le azioni del defunto sarebbero rimaste all’onerato che doveva procedere col fedecommissario alle stipulazioni partis et pro parte. Il Trebelliano trovò, dunque, applicazione soltanto per i fedecommessi di quota compresa entro i tre quarti; se il fedecommesso avesse superato

17 Verso il 60 d.C., il s.c. Pegasiano estese la disposizione della Lex Falcidia per i

legati anche ai fedecommessi e stabilì che il fedecommesso non potesse superare i 3/4 dell’eredità, dovendo 1/4 di residuo essere riservato all’erede gravato. Inoltre, estese anche ai fedecommessi le limitazioni alla capacità di ricevere eredità o legati stabilite per il testamento. L’attribuzione del beneficio patrimoniale doveva servire ad evitare che l’erede gravato rifiutasse di accettare l’eredità con la conseguente perdita di efficacia del fedecommesso. Se però il gravato avesse comunque rifiutato di accettare l’eredità, il beneficiario poteva chiedere al pretore di costringere l’onerato all’adizione e alla successiva restituzione perdendo, però, il diritto alla quarta parte di eredità. V.G.SABBATELLI,La Tutela giuridica dei fedecommessi fra Augusto e Vespasiano, Bari 1991, p. 181 ss.

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questa misura, o perché l’erede rinunciava alla quarta o perché la perdeva per la sua contumacia, i rapporti tra lui e il fedecommissario si sarebbero regolati ancora con il vecchio sistema delle stipulazioni reciproche.

A completare la sequenza dei senatoconsulti relativi al fedecommesso vennero poi emanati quelli favor libertatis18, i quali consentirono l’emancipazione dei servi, anche se non appartenenti al testatore, ed il conseguimento della libertà degli stessi qualora il fiduciario fosse stato infante, assente o contumace.

2. Prime riforme dell’istituto fedecommissario

Le varie riforme apportate all’istituto del fedecommesso lo assimilarono, per certi aspetti, all’istituzione di erede ed ai legati. Così ad esempio, sotto il profilo processuale, dal momento in cui la cognitio extra ordinem19 divenne una procedura normale per dirimere controversie sia di natura pubblica che privata cessò ogni difformità procedurale ed ogni residuo di magistratura speciale20.

Qualche differenza rimase, invece, dal punto di vista sostanziale in riferimento alle persone onerate (perché solo col fedecommesso si potevano gravare i legatari e gli eredi intestati), alla

18 U.ALBANESE, Massime enunciazioni e formule giuridiche latine, Milano 1993,

cit., p. 130.

19 Con la scomparsa del procedimento per formulas, avvenuta in età postclassica, la

cognitio extra ordinem rimase l'unica forma di processo civile. Le sue caratteristiche fondamentali erano l'abbandono del residuo formalismo proprio della procedura formulare e l'incremento dell'iniziativa statale nel campo del processo, che si svolgeva dall'inizio alla fine dinanzi ad organi statali, dietro prevalente impulso degli stessi, ai quali era riservata anche l'emanazione della sentenza. C.FAYER, La familia, cit., p. 342.

20 F. MILONE, Fedecommesso, in Novissimo Digesto Italiano, vol. VII, Torino 1961,

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forma (perché il legato non poteva ordinarsi né in un testamento prima della istituzione di erede, né in un codicillo non confermato), al contenuto (poiché i frutti o gli interessi si avevano nel fedecommesso e non nel legato, almeno in quello per damnationem).

Con l’ascesa al trono dell’imperatore Giustiniano, il processo di riforma delle sostituzioni fedecommissarie si delineò in maniera ancora più marcata. Egli emanò, infatti, quattro costituzioni che riformarono, implementarono ed innovarono l’assetto costitutivo dei fedecommessi. Con la prima costituzione del 529 d.C., Giustiniano soppresse la quadruplice forma di legati e diede ad essi e ai fedecommessi la stessa efficacia21; con la seconda costituzione del 531 parificò i fedecommessi ai legati22; con la terza, dello stesso anno, diede efficacia a qualunque dichiarazione implicante legato e fedecommesso fatta dal defunto all’erede, anche se alla presenza di meno di cinque testimoni o senza testimoni, purché confermata da giuramento deferito al fiduciario23; infine, con la quarta costituzione, riportata in compendio nelle Istituzioni, dispose che avessero vigore, tenute ferme le norme del senatoconsulto Pegasiano, le direttive del Trebelliano, cioè che il fedecommissario si considerasse erede anche se non avesse avuto una quota di eredità24: venivano così rese inutili le

stipulazioni tra il testatore e il fiduciario25.

Se già con la prima costituzione, secondo alcuni storici, si era stabilita la parificazione tra i legati e i fedecommessi, lo stesso non poteva dirsi nei riguardi dell’istituzione d’erede e del fedecommesso d’eredità. Tra i due istituti rimasero, infatti, notevoli differenze, e ciò soprattutto perché i fedecommessi rappresentavano un grado più

21 In C. 6. 43. 1 22 In C. 6. 43. 2 23 In C. 6. 43. 3

24 C. FERRINI, Teoria generale dei legati e dei fedecommessi secondo il diritto

romano con riguardo all’attuale giurisprudenza, Milano 1889, p. 46.

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avanzato nelle disposizioni di ultima volontà: per la sua natura originaria, infatti, il fedecommesso si prestava agli adattamenti, tollerava alcune modalità incompatibili con l’istituzione di erede e non aveva esigenze formali rigorose. Così, mentre l’istituzione d’erede poteva farsi solo per testamento, il fedecommesso poteva ordinarsi anche con codicilli; ed ancora, mentre il diritto dell’erede era trasmissibile dal momento dell’accettazione, il fedecommesso universale aveva il suo dies cedit dal momento dell’apertura della successione. Infine, l’erede istituito non era soggetto a riduzione, se non per la parte dei legittimari, ed aveva diritto a un quarto dei beni rispetto agli onerati a titolo particolare.

Da quanto emerge dalla disciplina descritta, possiamo affermare che, diversamente da quanto avverrà nel periodo medioevale, presso i Romani il fedecommesso non fu utilizzato per la conservazione dei beni all’interno della famiglia, ma piuttosto per l’affido degli stessi (secondo un ordine prestabilito) a rappresentanti di singole generazioni con l’obbligo di trasmetterli intatti al destinatario successivo.

In epoca classica non si era ancora delineato il fedecommesso di famiglia, ma vennero riconosciute solamente alcune clausole volte a mantenere i beni fedecommissari all’interno del nucleo familiare. Possiamo prendere, ad esempio, la clausola “ne domus alienaretur”, con la quale non si dava luogo alla disposizione della quarta Pegasiana e la casa doveva trasmettersi intatta o da uno all’altro membro della famiglia, o secondo l’indicazione data dal testatore, o secondo le preferenze del titolare pro tempore, oppure secondo il criterio della prossimità. Questo regime, però, era possibile solo per due generazioni: i parenti in linea maschile viventi alla morte del testatore ed i figli. Più tardi, Giustiniano consentì che questo limite potesse essere portato al quarto grado, ma solo nell’ipotesi in cui il caso fosse

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sottoposto al suo esame per volontà del testatore; al di fuori di tale evenienza confermò il principio della durata di due generazioni26.

Altra tipologia di fedecommesso prevista dal diritto romano era il fedecommesso de residuo27, ovvero una disposizione con la quale il testatore imponeva al primo chiamato (istituito), l’obbligo di trasmettere ad un altro soggetto designato dal testatore stesso (sostituito) esclusivamente i beni oggetto del fedecommesso rimasti alla morte dell’istituito.

3. Il fedecommesso nel diritto giustinianeo

Come delineato in precedenza, gli interventi legislativi di Giustiniano portarono ad una sempre più marcata distinzione tra i fedecommessi e l’istituzione d’erede. In particolare, il fatto che il fedecommesso avesse il suo dies cedit al giorno dell’aperura della successione e che la restitutio potesse avvenire post certum tempus (ciò di regola non era permesso nella diretta istituzione di erede) aprì la strada a numerosi espedienti, che finirono col dare all’istituto un’impronta speciale.

Il fine cui l’istituto aveva mirato fino a quel momento cominciò quasi del tutto a scomparire e rimase solo il mezzo, ossia la fides dell’amico. Da ciò nacque il bisogno del testatore di salvaguardare nella famiglia il frutto dei propri risparmi e assicurare agli stessi familiari uno stato di benessere economico, ma per raggiungere tali scopi non bastava una semplice disposizione fedecommissaria. La difficoltà a lasciare le sostanze familiari alla casata risiedeva nel divieto d’istituire erede il postumus alienus, dunque, il de cuis, per far

26 F. SANSOVINO, Le istituzioni imperiali del sacratissimo prencipe Giustiniano

Cesare Augusto, Venezia 1719, p. 190.

27 G.GENNARI, Successioni e donazioni: percorsi giurisprudenziali, Napoli 2009, p.

243; M.CARAVALE, Fedecommesso (diritto intermedio), in Enciclopedia del Diritto, vol. XVII, Milano 1968, pp. 109-114.

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ciò, non aveva altro mezzo se non quello di ricorrere ad una sostituzione fedecommissaria28: desiderando immobilizzare il più a

lungo possibile nella propria famiglia il suo patrimonio e assicurarne ai membri di questa un lungo godimento, il testatore non poteva fare altro che creare una serie di obblighi di restituzione.

L’interesse del de cuis riguardo alla condizione economica del proprio consorzio gentilizio lo portò a voler lasciare al successore, come fiduciario, la sua eredità soltanto per un certo periodo di tempo o fino a che non si fossero verificati determinati eventi. Così, ad esempio, si arrivò a stabilire di assegnare il proprio patrimonio al coniuge sopravvivente per la durata della vita e, dopo la morte dello stesso, ai suoi prossimi parenti; ed ancora di valersi di una terza persona, qualora, per cause di infermità o per assenza, l’erede non avesse potuto acquistare l’eredità. In questi casi non vi era altra strada se non quella di ricorrere al fedecommesso e cioè all’istituzione di un erede con l’obbligo della restituzione ad un altro.

Poiché i parenti furono i primi e forse gli unici a trarre vantaggio da tale forma d’istituzione di erede, questa prese il nome di fedecommesso di famiglia. La trasmissione, infatti, poteva avvenire a favore del parente designato dal testatore, oppure a favore di un soggetto scelto dal fiduciario, purché appartenente alla cerchia familiare. Se il fiduciario non esprimeva preferenze, si seguiva l’ordine successorio ab intestato29.

Così, di fronte alla scomparsa quasi completa del fine e della possibilità di avvantaggiare persone incapaci, si consolidò l’idea di far

28 Circa la distinzione tra semplice disposizione fedecommissaria e sostituzione

fedecommissaria si veda G. BONILINI, Trattato di diritto delle successioni e delle donazioni, vol. II, Milano 2009, p. 1825.

29 La successione ab intestato era una delle forme di successione a titolo universale

per causa di morte che aveva luogo nei casi in cui il defunto non avesse lasciato un testamento, o quest’ultimo fosse diventato nullo, oppure se nessuno degli eredi istituiti avesse accettato l’eredità.P.ARCES, Studi sul disporre mortis causa: dall'età decemvirale al diritto classico, Milano 2013, p. 50.

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sentire il peso della propria volontà anche quando colui che disponeva non era più in vita. Era come l’ultimo e notevole attributo della patria potestà che si estendeva per i suoi effetti oltre la morte del padre, più per forza d’interpretazioni e di consuetudini che per una disposizione del sistema giuridico.

La fides, col venire meno al suo scopo tradizionale - ovvero avvantaggiare persone incapaci - perdette carattere ed efficacia e cominciò a distaccarsi sempre più dal fedecommissario palesando la sua nuova tendenza ad accostarsi alle disposizioni rimesse all’arbitrio di un terzo. Essa aveva fornito il mezzo per istituire erede o nominare legatario qualcuno, con l’accordo che egli fosse semplice amministratore e depositario dell’eredità o del legato fino al giorno indicatogli per la restituzione. Mentre la fides cominciò, così, a dar vita ad un istituto basato prevalentemente sull’incarico affidato segretamente dal testatore al fiduciario di far conoscere, dopo la sua morte, il vero erede o il vero legatario (che poteva essere un incapace) e di trasmettergli i beni, le disposizioni fedecommissarie cominciarono, invece, ad affermare sempre più la volontà del testatore, a renderla manifesta e vederla osservata in un dato ordine di persone.

Come già detto, l’ostacolo maggiore alla perpetuazione dell’efficacia di un atto di ultima volontà scaturiva dall’impossibilità legale di istituire erede un postumus alienus: finché si mantenne tale impedimento, il fedecommesso di famiglia, diretto ad assicurare il rispetto della volontà del defunto, non solo da parte di persone viventi ma anche da parte dei loro successori, non ebbe modo di svilupparsi. Quando, però, col passare del tempo e soprattutto tramite interventi legislativi, per postumus alienus cominciò ad intendersi il nipote del testatore e non il discendente di quest’ultimo, gli ostacoli all’affermarsi di tale istituto non ebbero più ragione d’essere.

D’altra parte, nel mantenere inalterata la consuetudine di considerare contrario al buon costume ogni atto capace di

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compromettere l’attuazione della volontà del defunto, il fedecommissario, cui era stata restituita l’eredità, altro non faceva che rispettare la preghiera del testatore e nominare a sua volta erede colui che gli era stato indicato dal de cujus. Veniva a realizzarsi in tal modo una sostituzione espressa sotto forma di preghiera, ovvero una substitutio fideicommissaria30. Questa, innestandosi al fedecommesso, attuava la volontà del defunto e il passaggio dei beni ad un’altra persona, oltre il fiduciario e il fedecommissario, rendendo compatibile col concetto di sostituzione quello d’istituzione di erede del sostituito. Dunque, con una sostituzione fedecommissaria e con una ulteriore restituzione disposta verbis precativis, si poteva ottenere il prolungamento o la perpetuazione della volontà del pater familias, ed un risultato corrispondente a quello che si poteva raggiungere con una prohibitio alienationis.

Sulla base della Novella 15931 di Giustiniano che, sia pure per il solo caso sottoposto al suo esame, fissò alla quarta generazione il

30 Per il tramite della substitutio fideicommissaria il disponente imponeva al

beneficiato istituito - sia esso tale a titolo di erede o di legato - l'obbligo di conservare quanto ricevuto per farne restituzione, alla morte, ad altro soggetto (c.d. sostituito o fedecommissario). G. CASSANO - R. ZAGAMI, Manuale della successione testamentaria, Roma 2010, p. 77.

31 Nella Novella 159, del 1° giugno 555 e indirizzata al prefetto del pretorio Pietro,

troviamo un elemento della normazione giustinianea: la generalizzazione della legge personale si giustifica per l’inserimento nel diritto positivo di una regola nuova sulla quale è fondata la decisione specifica, anche questa volta richiesta da un personaggio di rango. L’illustre Alessandro rivolge nuovamente le sue preces all’imperatore, cui già aveva chiesto aiuto in merito a controversie nate dal testamento e dai codicilli del padre Ierio. Questi aveva diviso tra i figli le sue proprietà, oggetto di un fedecommesso di famiglia, vietandone l’alienazione a pena di perdere l’eredità a vantaggio dei fratelli. In un codicillo successivo Ierio aveva attribuito al nipote Ierio II un fondo già lasciato a suo padre. Morto Ierio II, Alessandro aveva rivendicato il fedecommesso contro le due donne (madre e moglie), che si erano opposte, sostenendo l’efficacia della sostituzione pupillare. Giustiniano stabilendo che il divieto di alienazione cessava alla quarta generazione, madre e moglie facendo parte

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limite delle sostituzioni, si può rilevare che il fedecommesso, nel periodo giustinianeo, altro non era che un’istituzione di erede o di legatario. Con l’aggiunta dell’incarico o della preghiera di restituire dopo un certo tempo i beni ricevuti ad un altro, l’istituzione dava luogo ad una translatio con condizione risolutiva. Nel complesso, la finalità cui mirava il fedecommesso giustinianeo era quello di impedire, sia pure temporaneamente, l’uscita dei beni dalla famiglia e contemporaneamente tutelare il desiderio del defunto di evitare ai discendenti i danni cagionati da una cattiva amministrazione tutoria.

4. Il fedecommesso negli scritti dei giuristi contemporanei alla riforma giustinianea

Ulteriori manifestazioni del fedecommesso romano si ritrovano nel diritto bizantino e tra i suoi giureconsulti. Fra costoro, l’unico che per chiarezza di esposizione e per lo stato di conservazione delle sue opere presenta importanza è lo Pseudo-Teofilo32. Questi, nella sua Parafrasi, trattando dei legati, prende in considerazione anche i fedecommessi mettendo in evidenza due circostanze: 1) la possibilità di estendere l’efficacia delle disposizioni di ultima volontà oltre il

della famiglia rientravano nella sostituzione, di conseguenza vennero respinte le pretese di Alessandro. G.G. EINECCIO, Elementi di diritto civile romano, Napoli 1831, p. 88.

32 Teofilo, giureconsulto greco, nel 533 fu professore di diritto a Costantinopoli. Egli

fu incaricato da Giustiniano di compilare (sotto la direzione di Triboniano) delle istituzioni o elementi di diritto che entrarono a fare parte delle raccolte di leggi di cui è composta la compilazione Giustinianea. La denominazione “Parafrasi di Teofilo” non è originaria e risale a Jacob Curtius, il quale definì in tal modo il lavoro di Teofilo soltanto nell’edizione del 1610. Il Ferrini, dopo aver seguito l’idea dominante di una attribuzione della Parafrasi a Teofilo, successivamente cambiò opinione parlando di uno Pseudo-Teofilo. F.BRIGUGLIO, Studi in onore di Antonio Metro, vol. I, Milano 2009, p. 173 nota 31.

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primo istituito; 2) l’indifferenza nell’adottare qualsiasi espressione propria del fedecommesso.

Altre testimonianze, alquanto limitate, dell’istituto del fedecommesso nel diritto bizantino si rilevano dagli scarsi frammenti delle opere dei suoi contemporanei. Idee e posizioni un po’ diverse rispetto a quelle di Teofilo si individuano nel giurista Teodoro33. Egli, analizzando la parte del Digesto e del Codice relativa alla legge Falcidia, illustra il modo di applicare questa legge tanto alle disposizioni fedecommissarie quanto alle altre disposizioni ereditarie e specialmente a quelle inter virum et uxorem ed ai legati.

Dalle differenti applicazioni si possono intravedere i caratteri di ogni singolo modo di disporre. Poteva infatti accadere che qualcuno lucrasse per l’erede istituito, in questo caso chi avrebbe dovuto restituire ad altri l’eredità poteva chiedere allo stesso fedecommissario di restituirgli l’eredità medesima. La maniera e la forma della disposizione fedecommissaria si desumeva dunque dalle parole usate dal testatore: le conseguenze più notevoli di ciò si ripercuotevano sempre sulla restituzione e sulle modalità di essa.

Le considerazioni fin qui esposte comprovano che subito dopo il periodo giustinianeo, in fatto di fedecommessi, di stabile e di concreto era rimasto solamente l’incarico di restituire ad altri ciò che era stato affidato.

Fino alla pubblicazione dei Basilici34, ben poco si trova nelle pubblicazioni e negli ordinamenti legislativi circa l’istituzione

33 Teodoro, giurista bizantino, svolse un lavoro originale di traduzione e di riassunto

conciso delle costituzioni del Codice Giustinianeo di cui si conservano brani nei Basilici. F.ARCARIA –O.LICANDRO, Diritto romano: Storia costituzionale di Roma, Torino 2014, p. 495.

34 I Basilici contengono il riassunto in greco del materiale della Compilazione

Giustinianea. Il contenuto proviene dal Digesto, dalle Novelle, dalle Istituzioni ed è organizzato secondo il sistema del Codice Giustinianeo. F.ARCARIA –O.LICANDRO, Diritto Romano, cit., p. 496.

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giuridica della materia successoria. In detta compilazione, peraltro, non vi è quasi traccia dell’istituto del fedecommesso; la stessa parola ricorre ben di rado, così pure altri termini di uso comune che si ritrovano nei testi giustinianei – disposizione fedecommissaria, fedecommesso universale, fedecommesso di famiglia, onere della restituzione - vengono sostituiti con sostantivi che si distanziano dalla terminologia utilizzata dai giuristi romani.

Una successiva elaborazione scientifica di tale istituto si ebbe nel periodo che va dalla riforma giustinianea alla rinascita degli studi romanistici, epoca caratterizzata dalle influenze delle popolazioni straniere e in particolare dei popoli germanici. Nel diritto consuetudinario e nelle concezioni dei Germani non era compresa la possibilità di una manifestazione dell’attività giuridica dell’individuo posteriormente alla morte; anzi è noto come nei primi tempi perfino una infermità e la debolezza fisica potevano impedire questa attività. Non era infatti ammissibile che il volere del de cuius potesse continuare artificiosamente dopo la sua morte mediante un atto unilaterale di ultima volontà. L’unica causa di delazione ereditaria era la parentela, ed i parenti più prossimi, anche prima della morte del de cuius, erano indicati come eredi e potevano tutelare i propri interessi intervenendo negli atti di disposizione del patrimonio domestico ed imponendovi alcune limitazioni.

Il diritto di disporre dei propri beni, per poi trasmetterli ad altri che non fosse l’erede naturale, era quindi in contrasto con gli usi germanici e con le credenze religiose che rappresentavano la base del diritto di proprietà e del diritto successorio. L’individuo, per tanto, acquistava la proprietà in quanto faceva parte di quell’aggregato familiare e tale patrimonio veniva poi tramandato dai genitori ai figli. Questo dimostra come anche in quel tempo si conservasse l’antico concetto che il diritto all’eredità proveniva dalla legge e non dalla volontà del de cuius. Principio dominante era quello dell’assoluta

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eguaglianza fra coloro che si trovavano negli stessi rapporti di sangue col de cuius: comuni erano gli oneri e i benefici.

Nel diritto consuetudinario dei barbari non erano contemplate le successioni testamentarie e con esse le disposizioni fedecommissarie; per tale motivo, quando questa popolazione conobbe il testamento guardò a tale atto giuridico con diffidenza e lo considerò come un grave pericolo per i parenti e come elemento sovvertitore della quiete familiare. Anche quando i contatti tra germanesimo e romanità aumentarono ed i testamenti cominciarono ad addentrarsi nell’ordinamento giuridico barbarico, le fonti germaniche continuarono a mantenere la successione naturale della famiglia35 ricorrendo all’atto di ultima volontà solo nei casi di estrema necessità.

Per garantire il rispetto della propria volontà contro le opposizioni dei parenti più prossimi, i barbari cominciarono a considerare e ad utilizzare le disposizioni testamentarie con la possibilità di eseguire contrattualmente una disposizione mortis causa in modo che fosse possibile far passare i beni dal dominio del disponente a quello di un terzo (parente od estraneo), con l’obbligo di trasmetterli ad un beneficiario. Affinché ciò venisse realizzato, essi ricorsero all’istituto del salmanno36, il quale esercitava lo stesso ufficio

35 Mediante le dispensationes e gli iudicati pro anima il re longobardo Liutprando

fornì ai connazionali il primo mezzo per sottrarsi ai vincoli di una successione obbligatoriamente legittima, ma soltanto per gratificare i figli più meritevoli e provvedere alla salute dell’anima, rompendo così il rigorismo presente nell’ordine successorio. Fuori di questi casi, i vincoli di parentela creavano fra i congiunti tanti diritti e doveri reciproci da bastare da soli a mantenere nella famiglia quella compattezza morale ed economica che i Romani, con altri mezzi, non sempre riuscivano a raggiungere. F.SERAFINI, Istituzioni di diritto romano comparato al diritto civile patrio, Firenze 1870, p. 20; L.FASCIONE, Storia, cit., p. 529.

36 Il salmanno aveva o poteva avere le qualità morali e fisiche per difendere i beni ed

imporre agli altri il volere del testatore. Affinché nel nuovo sistema giuridico si potesse regolamentare l’istituto del salmanno e scegliere il mezzo migliore per costringere quest’ultimo a tener fede alla promessa fatta al de cuius, si cercò nella

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del familiae emptor o dell’heres fiduciarius dei romani. Attraverso il mandato ad una persona di fiducia, il testatore barbarico credette di poter trovare la via per affermare la sua volontà contro i vincoli della società familiare e per garantire l’esecuzione contro gli eventuali ostacoli dei parenti o contro le usurpazioni dei vicini, i quali potevano trovare conveniente attendere la morte del testatore per imporsi.

Col tempo, quando gli elementi dell’istituto romano cominciarono a distaccarsi fra loro e l’elemento fiduciario scomparve dal concetto di fedecommesso, diminuirono i punti di contatto tra gli esecutori barbarici e i fiduciari romani. I primi nomi assunti dagli esecutori che si rilevano nelle carte (erogatores, dispensatores, distributores, manusfideles, fideicommissarii) avevano tutti uno scopo ben determinato: la loro funzione di regola iniziava dopo la morte del testatore e consisteva in una potestas che li metteva in grado di ottemperare al desiderio di quest’ultimo e che, essendo abbastanza ampia, conferiva all’esecutore la facoltà di regolarsi secondo la propria coscienza e la propria discrezione, ma sempre con il fine ben limitato di contemplare l’anima del defunto.

Il testatore conferiva, dunque, loro l’incarico di vendere determinati beni o anche tutti quelli di cui poteva liberamente disporre, oltre che a provvedere ad elargizioni ed elemosine. Oltre a ciò, con il

pratica di dividere sempre di più la figura dell’erede da quella dell’esecutore testamentario. In questo modo, l’intermediario non rappresentava più un mezzo a cui uno avrebbe potuto ricorrere per disporre della propria eredità, bensì un semplice esecutore della volontà del defunto. L’esecuzione della volontà altrui poteva essere affidata indifferentemente a una o più persone (uomini, donne, laici e anche ecclesiastici) e poteva riguardare tutto il patrimonio, una parte dell’eredità o anche singoli oggetti di questa. La funzione dell’esecutore doveva di regola avere la sua legittimazione dalla carta, e si perfezionava con essa; ogni atto era quindi giustificato con la presentazione del documento, e solo quando, come talune volte poteva accadere, il testatore non avesse avuto tempo di compiere quest’atto, l’esecuzione delle sue ultime volontà erano affidate a persone di fiducia, in presenza di testimoni. R.TRIFONE, Il fedecommesso, cit., p. 40 ss.

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passare del tempo, gli esecutori si dedicarono a svolgere anche altri incarichi di vario genere, come, ad esempio, soddisfare i legati, difendere la validità del testamento, riparare danni per conto del testatore. Con il ricorrere ad essi, il pensiero del testatore era dunque ben lontano dalla famiglia e dalle preoccupazioni per il suo avvenire: lo spirito che in quell’istante lo guidava era in opposizione a tutto ciò che è umano e terreno, era in opposizione alla famiglia stessa; coloro che contrastavano la volontà del testatore compromettevano il benessere della sua anima.

La funzione, dunque, del salmanno non era affatto esercitata a vantaggio della famiglia, ma piuttosto si poneva in antitesi con questa; essa trovava la sua ragion d’essere in quel bisogno dell’individuo di veder rispettata la propria volontà, soprattutto in ordine a quelle improrogabili necessità dello spirito e nei riguardi di coloro che avevano interesse ad opporvisi.

5. Il fedecommesso nel periodo alto medievale

Ulteriori sviluppi storici del fedecommesso si ritrovano nelle opere giuridiche prebolognesi in cui persistono i tre elementi fondamentali della dottrina fedecommissaria, cioè quelli della restituzione, della preghiera e della libertà nel testatore di scegliere il modo di manifestare la propria volontà. Ciò nonostante, i concetti che vengono espressi e la terminologia utilizzata dai giuristi in questi testi lasciano intravedere dei disordini a livello di interpretazione lessicale e concettuale.

Nelle fonti, l’atto contenente una disposizione fedecommissaria prendeva il nome di fideicommissum (forma di disposizione indiretta), mentre il fedecommesso prendeva il nome di codicillum (forma di disposizione diretta).

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Ciò si riscontra in particolar modo nella Glossa torinese37 che non distingue il fedecommesso dal codicillo e ne scambia i caratteri, considerandolo sostanzialmente come restituzione; contestualmente mette allo stesso livello i legatari ed i fedecommissari, ritenendo che essi non sono successores iuris. Dopo la parificazione dei legati con i fedecommessi anche questi potevano essere disposti con qualsiasi parola, come ad esempio “necessitatem legatorum”, avendo in assegnatione libertorum il trattamento dei legati38.

La confusione di idee e di locuzioni utilizzate che s’intravede nella Glossa torinese crebbe enormemente nei Summaria capitum dell’Epitome di Giuliano39 e nelle altre fonti giuridiche minori di quel

periodo: la figura dell’esecutore testamentario veniva affiancata a quella dell’erede fiduciario del fedecommesso romano sia attraverso l’istituto della tutela testamentaria, sia attraverso quello dell’esecutore che suppliva l’erede nell’ufficio della distribuzione del patrimonio ereditario e nell’ adempimento dei voleri del de cujus40.

Difatti, i Summaria capitum dell’Epitome di Giuliano, che a differenza delle glosse secondo il Besta41 appartengono al territorio

37 F.C.V. SAVIGNY, Storia del diritto romano nel medioevo, vol. II, Torino 1857, p.

107 ss.

38 A. AZARA - E. EULA, Fedecommesso, in Novissimo digesto italiano, Vol. VII,

Torino 1961, p. 195.

39 L’Epitome di Giuliano è una delle raccolte con cui sono state tramandate le

Novelle di Giustiniano e comprende 124 novelle compendiate. G.B.BEDARIOTTI –S. BATTAGLIANO - A. BIAGINI – F. BIGLIETTI – G.A. CAVALLI – G. CESANO – L. FRANCHI - P. D VINELLI – R. SINEO – M. TONELLO, Annali di giurisprudenza: raccolta mensile pubblicata da una società di avvocati, vol. II, Torino 1838, p. 483; F.PATETTA, Studi sulle fonti giuridiche medievali, Torino 1967, p. 689.

40R.TRIFONE, Il fedecommesso, cit., pag. 52.

41 Enrico Besta è stato un giurista e storico italiano. Fu uno studioso di storia del

diritto italiano all'Università di Padova. Nel 1938 si dedicò alla storia delle fonti del diritto e scrisse “Fonti del diritto italiano dalla caduta dell'impero romano sino ai tempi nostri”. C. RINAUDO, Rivista storica italiana, Torino 1952, p. 464; A.

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romano, mostrano come al posto dei fideicommissarii si trovino curatores e liberi. In tal modo possiamo presumere che il fedecommesso non venisse più riconosciuto e che al concetto di tutela si fosse sostituita una gubernatio dei beni pupillari corrispondente a quella tenuta dagli epitropi e che, sotto la veste dell’antico istituto, si andasse rafforzando l’elemento della fiducia42.

Una più rilevante individuazione delle caratteristiche del fedecommesso viene delineata dalla Summa Perusina43 nella quale, sempre secondo il Besta, il testamento non è più quello “autentico” romano. Infatti, sebbene venga ribadito che solo con esso è possibile stabilire una istituzione d’erede o una haeredatio, questa non è però essenziale per la validità del testamento e non ha il contenuto e la portata dell’istituzione romana. Nella maggior parte dei casi, infatti, essa mirava esclusivamente ad una migliore ordinatio del patrimonio tra gli eredi legittimi e, in mancanza di essi, si risolveva in un complesso di disposizioni particolari a vantaggio di persone predilette o di pie istituzioni.

Pur riconoscendo i consueti divieti romani, nella Summa sembra che si riconosca una specie di successione convenzionale tra madre e figlio, tra fratello e fratello e forse anche tra estranei. In essa è presente anche la distinzione tra fedecommessi e legati, senza tuttavia chiarire esattamente in cosa questa consista. Secondo Enrico Besta

MATTONE, Enrico Besta, in Dizionario Biografico dei Giuristi Italiani, vol. I, Bologna 2013, pp. 240-242.

42 E.BESTA, Le successioni nella storia del diritto italiano, Milano 1961, pp.

170-176.

43 La Summa Perusina è un prezioso manoscritto giuridico altomedievale contenente

un testo del Codice di Giustiniano incompleto e trasformato in un séguito di rozzi sommari delle costituzioni. S.TAROZZI, Ravenna capitale: permanenze del mondo giuridico romano in Occidente nei secoli V-VIII: instrumenta, civitates, collegia, studium iuris, vol. III., Rimini 2014, p. 33; E. CORTESE, Le grandi linee della storia giuridica medievale, Torino 2001, pp. 148-149.

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questi ultimi appaiono come comando a scopo religioso, facendo anche sorgere il sospetto che il legatario fosse quello favorito, ed il fedecommissario un esecutore delle ultime volontà; ciò confermerebbe quanto già disposto nei Sommari dell’Epitome di Giuliano44.

La funzione del fedecommesso di famiglia sembrerebbe dunque assorbita dalle imposizioni di patti successori, mutevoli secondo le contingenze del momento, ma diretti sempre ad un migliore ordinamento delle sostanze domestiche.

Il fedecommesso veniva adottato quasi esclusivamente nei rapporti tra il testatore e la persona di fiducia. Quest’ultima, sostituendosi alla figura classica dell’erede, si prestava ad eseguire la volontà altrui attuando le deliberationes; si riusciva così a compiere ciò che con i patti suddetti non era sempre possibile ottenere. Un esempio, che troviamo nella Summa, è quello dei liberti (molti dei quali potevano essere figli del testatore e di una serva) che potevano avvantaggiare i figli naturali senza esasperare troppo i figli legittimi. Da ciò la tendenza ad attribuire al fedecommesso quel carattere d’incertezza formale che lo faceva confondere con la nuncupatio e con il codicillo.

Più interessante è quanto affermato dalla Summa Codicis45 in

cui, pur persistendo ancora l’incertezza tra fedecommesso e codicillo, non mancano accenni ai metodi di disporre per fedecommesso, alla fiducia che bisogna riporre nell’erede e all’importanza assunta dalla volontà del testatore. In particolare quello che richiama alla mente l’antico istituto è quanto rilevato dal Summator e cioè:

44 R.TRIFONE,Il fedecommesso, cit., p. 53.

45 La Summa Codicis è l’opera principale di Azzone e avrebbe rappresentato il

manuale di diritto romano per eccellenza nel Medioevo. La summa è una forma letteraria che si è sviluppata partendo dalla metodologia della glossa che, evolvendosi, portò a nuovi generi letterari autonomi. P.FIORELLI,Intorno alle parole del diritto, Milano 2008, p. 193.

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- che senza la possibilità di una restitutio post mortem heredis non è da parlarsi di fedecommesso;

- che la substitutio fideicommissaria è quella che usque ad mortem non ispecta certa etate porrigitur;

- che per essa il termine per la restituzione usque ad tempus mortis prorogatur.

Una più attenta e sistematica analisi del fedecommesso romano nei testi giuridici prebolognesi si trova invece nel Brachylogus iuris civilis46 che, con limpida sintesi, distingue esattamente gli epitropi dai tutori e curatori, e gli eredi dagli esecutori testamentari. Tale opera giuridica elimina, infatti, ogni incertezza su come considerare l’essenza e la portata delle disposizioni fedecommissarie.

Per prima cosa rimuove ogni equivoco tra fedecommessi e codicilli definendo questi ultimi come uno dei mezzi con cui “legata et fideicommissa relinqui possunt”; i fedecommessi costituiscono una forma di disposizione indiretta, i codicilli una forma di disposizione diretta.

Ogni differenza, dunque, consisteva nel fatto che “quod legatum directo, fideicommissum vero semper per interpositam personam relinquitur”; che nel legato semper specialis res una vel plures continentur e che nel fedecommesso etiam hereditatis relinqui potest.

Altro importante argomento trattato dal Brachylogus è quello riguardante le sostituzioni: in una disposizione testamentaria si potevano plures gradus facere, ut puta “Titius heres esto; quod si Titius heres non erit, Sejus heres esto”vel ita “Titius heres esto” est postea rogo te Titi “ut quam primum potes hereditatem meam Seio

46 Il Brachylogus iuris civilis (anche Corpus Legum per modum Institutionum o

Brachylogus totius iuris civilis, spesso abbreviato più semplicemente in Brachylogus) è il nome attribuito a un'opera giuridica medievale in latino, di autore ignoto. E. BOECKING, Corpus Legum sive Brachylogus Juris Civilis, Roma 1829, p. 308; E. CORTESE,Le grandi linee, cit., p. 249;R.TRIFONE, Il fedecommesso, cit., p. 56.

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restituas”; nel primo caso si aveva una sostituzione, nel secondo una restituzione; ognuno poteva fare suo testamento etiam et quod substitutiones voluerit, ma lo stesso non era detto per le restituzioni. A queste ultime si ricongiungevano le disposizioni fedecommissarie, che a loro volta si attuavano per mediam personam47.

In complesso le fonti giuridiche prebolognesi presentano lo stesso fenomeno rilevato dalle fonti bizantine. Dopo l’eliminazione della forma transitoria, il fedecommesso si presenta come una disposizione basata sull’obbligo della restituzione e privata di qualsiasi rapporto di fiducia. Mentre le fonti bizantine per riferirsi più precisamente al concetto di restituzione e al carattere di fiducia utilizzano altre parole, quelle prebolognesi con la parola fedecommesso indicano sia la disposizione con l’onere della restituzione sia il rapporto di fiducia.

Da tutto ciò scaturiscono equivoci e incertezze. Infatti nella Glossa Torinese, nei Summaria Capitum dell’Epitome di Giuliano e nella Summa Perusina, il fedecommesso assume sia le funzioni di gubernatio dei beni pupillari, di distributio, di erogatio dei beni del de cujus, di executio di una fideicommissaria libertas, quanto quelle di una pura e semplice restituzione. Il fideicommissarius (o curator) viene confuso con il fiduciarius (od onerato del fedecommesso romano), manifestando in tal modo una confusione di espressioni che è comune non soltanto all’ambiente giuridico italiano, ma anche a quello d’oltralpe48.

Ciò che invece si rileva dalla Summa Codicis e dal Brachylogus è quello di un fedecommesso inteso prevalentemente come onere di restituzione: l’onerato, infatti, può trattenere i beni fino alla morte, può riceverli tutti o anche soltanto una parte. Egli assumendo l’incarico

47S.M.ONORY, Rivista di storia del diritto italiano,Milano 2003, p. 540.

48 R. CAILLEMER, Origines et developpement de l’execution testamentaire, Lyon

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affidatogli dal testatore rende inalienabili i beni stessi ed agisce da tramite, da media persona, per assicurare ad un altro (di regola il superstite dei figli e dei fratelli) integram hereditatem. L’onere può cessare per un fatto indipendente dalla volontà del defunto o per un fatto da lui previsto (presenza di figli dell’onerato al tempo della morte di quest’ultimo), ma non termina affatto quando il fiduciario muore sine filiis, poiché in tal caso ha luogo la restituzione49.

Gli altri accenni contenuti nelle fonti giuridiche riguardano il fideicommissarius50. Questi non è più l’onerato o il fiduciario dell’antico istituto, ma piuttosto colui che tende ad assumere la veste dell’erede o della persona di fiducia. Da ciò si deduce il carattere incerto e di circostanza che assume il fedecommesso nella tutela testamentaria, al contrario di quello più solido e duraturo dell’onerato di fedecommesso o di restituzione. Si evidenzia, in questo modo, la tendenza a fare dell’esecutore l’interprete e il confidente dei voleri del defunto, e dell’onerato il conservatore del patrimonio.

Infine, i documenti privati evidenziano un fatto ancora più importante: contrariamente a quanto avveniva prima, i bisogni della famiglia vengono anteposti alla salvezza della propria anima. La Chiesa, quindi, riceverà i beni se il testatore non avrà figli postumi, se il parente prossimo “obierit sine filiis” o “obierit infra etatem”, se il nipote “ex seculo obierit et sine heredes excesserit et filium vel filiam non reliquerit”.

Infine, i beni familiari venivano destinati alle chiese quando l’obbligo di una restituzione reciproca tra figli o fratelli non poteva cagionare vantaggio alla famiglia per l’assoluta mancanza di prole51.

49 R. TRIFONE,Il fedecommesso,cit., p. 60.

50 R. G.POTHIER, Le Pandette, cit., p. 1036. Sui fedecommissari e gli esecutori

testamentari nell’alto medioevo si veda P.S.LEICHT, Il diritto privato preirneriano, Bologna 1933, pp. 311-315.

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Nel complesso, mentre da una parte si delineava la tendenza ad assicurare alla famiglia ciò che si era ricevuto dagli ascendenti o ciò che si era accumulato con la propria attività lavorativa, dall’altra si incrementava il desiderio e l’aspirazione, per chiunque, di possedere qualcosa con la libertà nel disporre delle sostanze domestiche. L’istituto venne così ad assumere un aspetto nuovo: cominciò a privarsi di tutte quelle varie ed incerte mansioni che gli erano state attribuite, rimettendole all’esecutore testamentario. Quest’ultimo con la veste dell’erede romano e per i rapporti di fiducia col testatore, si presentava molto adatto ad eseguire i molteplici incarichi che gli si potevano affidare.

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