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Diritto ecclesiastico vivente: strumento per la tutela delle tradizioni religiose nelle società multietniche.

Nel documento SIMBOLI, COMUNICAZIONE E MARKETING RELIGIOSO (pagine 105-110)

I simboli religiosi, siano essi segni, prassi o riti, come visto, sono la concreta e diretta manifestazione dell’esercizio del diritto di libertà religiosa; diritto che oggigiorno, nel contesto delle società multiculturali, per essere tutelato e “bilanciato” rispetto ad altri diritti meritevoli di tutela265, deve essere analizzato in un’ottica che va ben al di là della normativa “scritta” ed ormai obsoleta.

Occorre rimettersi alla normazione “quotidiana”, ai provvedimenti interni, alla giurisprudenza, a quella normazione “sfornata” a seconda delle “ordinazioni”.

Ecco cos’è il diritto ecclesiastico vivente. È il diritto positivo relativo al fenomeno religioso, che trova applicazione mediante le decisioni giurisprudenziali in tale materia, svolgendo ruolo di custodia di valori già formalizzati, intatti, ma muovendosi nell’interpretare e nel regolare prassi e situazioni del tutto nuove, così da colmare i vuoti lasciati da un legislatore che, giustamente, non si aspettava la dinamicità etnica delle odierne società266.

Al diritto ecclesiastico vivente, quindi, compete l’obiettivo di costruire un codice ermeneutico che serva ai giuristi per riconoscere ed interpretare le diverse fattispecie concrete che la società pluralista produce, così da scongiurare pericolosi scontri all’interno della stessa provocate da una non tutela dal punto di vista ordinamentale.

      

265 Cfr G. RIVETTI, Religione, immigrazione ed integrazione tra politiche europee in cerca di identità e

criticità normative statuali, in Immigrazioni e soluzioni legislative in Italia e Spagna, a cura diM.PARISI,V. TOZZI, La Regione-Annali Univ. Molise, Campobasso, 2007, pp. 361- 378.

266 Cfr. A.FUCCILLO,R.SANTORO, Le professioni legali alla prova della multireligiosità interculturale, in

96 Questa sembra essere la frontiera innovativa del diritto ecclesiastico: cercare equilibri nuovi tra i diversi diritti e bisogni “in gioco”267.

Si pensi, per fare qualche esempio, alla religione sikh. Una religione di assoluta minoranza, di cui, probabilmente, fino a qualche anno se ne ignorava persino la conoscenza.

A tal ultimo riguardo, si riporta di seguito qualche riferimento flash per far capire la portata e l’importanza che il diritto ecclesiastico vivente ricopre all’interno della società268.

In ossequio a tale confessione, i fedeli sikh, molto legati alla simbologia, devono rispettare le regole delle cinque “K”: Kes, non tagliare barba e capelli, e racchiudere questi ultimi in un turbante, segno di rispetto della volontà di Dio; Kanga, il pettine di legno per fermare i capelli, indice di cura personale; Kach, portare brache fino alle ginocchia, sinonimo di forza morale; Kara, bracciale di acciaio al polso, simbolo dell’unità con Dio;

Kirpan, pugnale, emblema della resistenza al male269.

Ebbene, proprio rispetto al turbante e al pugnale in Italia sono stati emessi dei provvedimenti al fine di regolare la manifestazione religiosa mediante tali simboli, con il contemperamento dei diversi diritti altrettanto meritevoli di tutela270.

      

267 Sui problemi ecclesiasticistici connessi al multiculturalismo vedi C. CARDIA, Multiculturalismo (Dir.

eccl.), in Il diritto - Enciclopedia giuridica, IX, Milano, 2007, p. 722 ss.;M.C.FOLLIERO, Libertà religiosa e società multiculturali: il caso italiano, in Diritto Ecclesiastico, 3-4, 2008, pp. 423-437; in relazione al dibattito attualmente in corso su tali tematiche, vedi Simboli e pratiche religiose nell’Italia multiculturale. Quale riconoscimento per i migranti? (Relazioni e comunicazioni del Convegno Asgi di Trieste del 9 maggio 2009), a cura di A.DE OTO, Roma, Ediesse, 2010.

268 Si rimanda a tal riguardo e per approfondimenti a S.CARMIGNANI CARIDI, Simboli e segni. Ostentazione

di simboli religiosi e porto di armi od oggetti atti ad offendere. Il problema del kirpan dei fedeli Sikh, in Il Diritto Ecclesiastico, anno CXX, 3-4, luglio-dicembre 2009, p. 739 ss.

269 Per completezza di esposizione anche a fini comparatistici Cfr. H.J.STEINER,P.ALSTON,R.GOODMAN,

International human rights in context. Law. Politics. Morals, Oxford University Press, Oxford, 2008, pp. 634-63; S.V.WAYLAND, Religious expression in public schools: kirpans in Canada, hijab in France, in Ethnic and Racial Studies, 3, 1997, pp. 545-561.

270 Rispetto alle varie soluzioni normative e giurisprudenziali inerenti in particolari il problema del kirpan,

vari sono i modi nei quali gli ordinamenti giuridici positivi possono porsi: “Il primo, decisamente “tollerante”, capitola di fronte alle differenze culturali e non si pone neppure il problema di una possibile integrazione dei gruppi di minoranza nel sistema dominante ; la scelta – radicale – è quella di salvaguardare a tutti i costi la “specificità culturale” di un gruppo, anche se questa tutela si scontra con la cultura del Paese di accoglienza”. All’estremo opposto troviamo il modello “cieco di fronte alle culture” denominato da sempre come ‘assimilazionista’, “perché rifiuta di riconoscere una specifica identità culturale alle minoranze etniche,

97 Il kirpan può essere indossato e portato con opportune limitazioni: deve essere racchiuso nel fodero, avere la punta arrotondata e la lama priva di filatura.

Rispetto al turbante, lo stesso deve essere tolto per indossare il casco in caso di guida ad un motociclo, ergo, a scapito della manifestazione religiosa, in tal caso, è stata prevista la salvaguardia del superiore interesse dell’incolumità personale.

O ancora, possiamo annoverare le disposizioni emesse in occasione dei giochi olimpionici, in particolare rispetto al rito del ramadan, al fine di regolare il rapporto esistente tra rispetto delle osservanze religiose e lo svolgimento delle prestazioni sportive.

La Casa della Fatwa d’Egitto, la più importante autorità predisposta per l’emanazione di editti validi per la religione musulmana, ha previsto che la regola del digiuno islamico, può non essere ottemperata qualora dalla stessa discendesse un peggioramento della

performance sportiva, comportando, quindi, un inadempimento contrattuale del soggetto

legato ad una squadra che partecipa ai giochi olimpionici.

Parlando di diritto ecclesiastico vivente, non è possibile non fare un veloce accenno alla chiacchierata “questione burkini” avvenuta in Francia, dove la problematica della legittimità degli indumenti marcatamente religiosi è così tornata di attualità questa estate 2016, dopo che i sindaci di tre comuni, esattamente Cannes e Villeneuve-Loubet, in Costa azzurra, e Sisco, in Corsica, hanno emesso delle ordinanze che vietavano di fatto di indossare il burkini271, il costume da bagno che lascia scoperti solo volto, mani e piedi lanciato in Australia e indossato da alcune donne musulmane nel mondo.

      

obbligandole a integrarsi nella cultura dominante, pena l’emarginazione e l’esclusione dal sistema”; a tal riguardo Cfr. C. DE MAGLIE, Multiculturalismo (Dir. pen.), in Il diritto –Enciclopedia giuridica, IX, Milano, 2007, pp. 736- 737.

271 “Ma non è questione di parti coperte o scoperte del corpo; né possono assumere rilievo ragioni legate alla

“neutralità” dei servizi pubblici. A differenza del burqa, la mise da spiaggia delle donne musulmane non copre il volto. Palesemente impossibile, quindi, stabilire analogie con la legge c.d. “anti-burqa” (11 ottobre 2010, n. 2010-1192), tesa a proteggere quel “diritto di guardarsi in faccia”, posto a base delle regole del “vivere insieme” alla francese, che la stessa Corte di Strasburgo aveva ritenuto protetto dalla CEDU per “salvare” la normativa interdisant la dissimulation du visage dans l’espace public. Né possono valere, per l’accesso in spiaggia, esigenze di “neutralità” nell’erogazione o nella fruizione di un servizio pubblico che caratterizzano, ad esempio, il contesto scolastico (in relazione al quale l’esigenza che l’insegnamento sia dispensato nel rispetto, per un verso, della neutralità dei programmi e degli insegnanti e, per altro verso, della libertà di coscienza degli alunni, ha portato, com’è noto, all’approvazione della legge del 15 marzo 2004, n. 2004-228, encadrant, en application du principe de laïcité, le port de signes ou de tenues manifestant une appartenance religieuse dans les écoles, collèges et lycées publics). È, ancora una volta, una questione di

98 Le misure, che secondo i sindaci puntano a prevenire le provocazioni legate all’“avanzata del fondamentalismo”, sarebbero giustificate dall’esigenza di evitare disturbi all’ordine pubblico innescati da costumi che manifestano in modo ostentato un’appartenenza religiosa, mentre la Francia e i luoghi di culto sono attualmente bersaglio di attacchi terroristici. Le ordinanze stabiliscono che sulle spiagge è obbligatorio indossare vestiti “corretti” e che rispettino il buon costume e la laicità272.

I divieti in oggetto appaiono a primo impatto eccessivamente generici per superare le norme contro la discriminazione, lasciando spazio ed adito a differenti interpretazioni e possibili abusi. I disturbi all’ordine pubblico devono infatti essere circostanziati e dimostrati, e questo non è il caso. Nei luoghi interessati dai provvedimenti in questione, non si erano verificate sommosse o scontri tale da giustificare una misura fortemente lesiva delle libertà individuali come un divieto sanzionato da una multa, né i sindaci hanno fornito la prova che non c’erano altri mezzi per evitare disordini, mentre hanno l’obbligo di adottare le misure più leggere possibili quando si tratta di libertà individuali.

Il divieto del costume integrale è giunto a fine agosto 2016 all’esame del Consiglio di Stato, il più alto grado della giustizia amministrativa, in quanto la Ligue des droits de

l’homme e il Collectif contre l’islamophobie en France hanno proposto appello contro una

delle sentenze con cui il tribunale amministrativo di Nizza ha giudicato legittime le ordinanze adottate da una trentina di comuni francesi.

Il Consiglio di Stato ha deciso di sospendere il provvedimento emesso dall’amministrazione di Villeneuve-Loubet, estendendo tale decisione per tutti i comuni che hanno introdotto il divieto.

Ora, “sorvolando” sulla imprescindibile questione francese appena rappresentata, rispetto alla situazione nazionale possiamo affermare, alla luce di quanto precedentemente esposto che, difficilmente sarà possibile elaborare una normazione capace di riflettere in egual modo diritti e garanzie di tutte le culture e religioni insistenti su uno stesso territorio, ma occorre muoversi verso un mutamento giuridico, pluralista per l’appunto, che agisca       

laicità, nella tipica accezione che a essa dà l’ordinamento francese”.A.LICASTRO, Il dubbio di una “velata” discriminazione: il diritto di indossare l’hijab sul luogo di lavoro privato nei pareri resi dall’Avvocato generale alla Corte di giustizia dell’Unione europea, in Stato, chiese e pluralismo confessionale (www.statoechiese.it), 26 settembre 2016, p. 43

272 G.P.ACCARDO, Il divieto del burkini è un segno di laicità o di islamofobia?, in Internazionale, Rivista

99 tenendo conto della varietà di fatto e di senso della società, che tratti le differenze senza annullarle, che interpreti in senso interculturale normative ormai non più sufficienti a dare risposta alle diverse controversie e problematiche che nelle odierne comunità si verificano.

100 Capitolo III

Il linguaggio del segno: semiotica, mass media e satira religiosa. 

 

SOMMARIO: 1. La semiotica come studio della comunicazione: il segno che parla. 2. La comunicazione sociale della Chiesa Cattolica. L’Inter Mirifica e i documenti del Magistero. 3. L’impatto mediatico della fede. La religione protagonista nei mass media. 4. Satira religiosa. La vicenda Charlie Hebdo.

Nel documento SIMBOLI, COMUNICAZIONE E MARKETING RELIGIOSO (pagine 105-110)