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La querelle del crocifisso in Italia Il caso Lautsi.

Come si evince da quanto precedentemente esposto, la trasformazione della società odierna in contesto globalizzato e multietnico ha comportato l’apparire ed il consolidarsi di molteplici insicurezze identitarie e nazionali su prassi ed aspetti di vita quotidiana che sembravano ormai indiscutibili.

La comunità nazionale ha reagito ripiegandosi su se stessa144, attuando una sorta di protezione delle proprie tradizioni religiose e culturali finalizzata all’esaltazione della propria identità; in questo scenario la religione è stata utilizzata come “riserva di valori a cui attingere per dare risposta a questa esigenza”145, mediante l’ostentazione di simboli e di ulteriori manifestazioni fideisticamente orientate.

In territorio nazionale il crocifisso, simbolo per eccellenza della religione cristiana, è stato così, in certe circostanze, strumentalizzato, condotto nelle “lotte” di esposizione,

      

144 Cfr. N.FIORITA, La questione del Crocifisso nella giurisprudenza del terzo millennio, in AA.VV., Simboli

e comportamenti religiosi nella società plurale, a cura di M.PARISI, Ed. Scientifiche Italiane, Napoli, 2006, p. 126.

145S.FERRARI, Dalla tolleranza ai diritti: le religioni nel processo di unificazione, in Concilium, 2, 2004, p.

54 eretto a baluardo della religione e della cultura cattolica146, come barriera morale rispetto all’invasione e all’invadenza dell’“altro”147.

La controversia giudiziaria Lautsi c. Italia, conosciuta anche come “il caso dei crocifissi”148, ha condotto ad una delle pronunce più discusse, ma al contempo evolutive, in seno alla giurisprudenza della CEDU attinente all’esposizione dei simboli religiosi149.

La questione nasce sulla base della richiesta dei genitori di Dataico e Sami Albertin, due ragazzi frequentanti nell’anno accademico 2001- 2002 l’Istituto comprensivo statale “Vittorino da Feltre” ad Abano Terme, di rimuovere il crocifisso esposto nelle aule scolastiche della struttura e ciò in quanto contrastante con il principio di laicità posto alla base dell’educazione dei propri figli150, che i genitori stessi intendevano garantire anche al di fuori del contesto familiare.

In particolare, i richiedenti pongono alla base della loro mozione la sentenza del “caso Montagnana”151 secondo la quale, come già visto in precedenza, la presenza del crocifisso

in un seggio elettorale costituisce una violazione del principio di laicità dello Stato e della libertà di coscienza di chi in quel simbolo non si riconosceva152.

Di fronte alla negazione della loro proposta da parte del Consiglio d’Istituto, la madre dei ragazzi Soile Lautsi, porta la controversia innanzi alla giurisdizione amministrativa, lamentando la violazione del principio costituzionale di laicità e dell’imparzialità della pubblica amministrazione. Il TAR di Venezia con sentenza del 17 marzo 2005153 e,       

146 Cfr. G.DALLA TORRE, Europa, quale laicità, Milano, 2003, p. 68 ss.; F.PATERNITI, Tutelare il Crocifisso

quale simbolo del patrimonio storico e dell’identità culturale della nazione, in La laicità crocifissa? Il nodo costituzionale dei simboli religiosi nei luoghi pubblici, a cura di R.BIN,G. BRUNELLI,A. PUGIOTTO, P. VERONESI, Giappichelli, Torino, 2004, p. 265 ss.

147 Cfr. V.CESAREO, Società multietniche e multiculturalismi, Ed. V&P, Milano, 2000, p. 163 ss.

148 Cfr. G. PUPPINCK, Il caso Lautsi contro l’Italia, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista

telematica (www.statoechiese.it), febbraio 2012, p. 1 ss.;

149 Cfr. J. TEMPERMAN, The Lautsi Papers: Multidisciplinary Reflections on Religious Symbols in the Public

School Classroom, Martinus Nijhoff Publishers, Leidon- Boston, 2012, p. 241 ss.

150 Cfr. P. CAVANA, La pronuncia della Grande Chambre di Strasburgo sul caso Lautsi c. Italia: post nubila

Phoebus, in Il diritto di famiglia e delle persone, 4, 2011, p. 1563 ss.

151 Corte di Cassazione, sentenza n. 439 del 1 maggio 2000.

152 Cfr. G.DI COSIMO, Simboli religiosi nei locali pubblici: le mobili frontiere dell’opinione pubblica, in

Giurisprudenza costituzionale, 2000, 2, p. 1130 ss.

153Il Tar Veneto, anticipando quello che poi è stato il ragionamento del Consiglio di Stato, pur valorizzando la natura religiosa del Crocifisso afferma che lo stesso “dovrebbe essere considerato non solo come simbolo

55 successivamente, il Consiglio di Stato154 rifiutano di seguire la giurisprudenza della Corte di Cassazione155 attinente alla presenza del simbolo religioso nei seggi elettorali,       

di un’evoluzione storica e culturale e quindi dell’identità del nostro popolo, ma quale simbolo altresì di un sistema di valori di libertà, uguaglianza, dignità umana e tolleranza religiosa e quindi anche della laicità dello Stato, principi questi che innervano la nostra Carta costituzionale”. Tar Veneto, III sez., sent. 1110/05, in Diritto e Giustizia, 16, 2005, p. 75).

154 Il Consiglio di Stato con sentenza 556/2006 asserisce che “la presenza del Crocifisso nelle scuole

pubbliche si giustifica per l’idoneità di tale simbolo a svolgere nello specifico contesto scolastico una funzione altamente educativa, esprimendo, meglio di ogni altra raffigurazione, l’elevato fondamento dei valori civili che delineano la laicità nell’attuale ordinamento dello Stato” (Consiglio di Stato, sent. 556/2006, in Diritto e Giustizia, 10, 2006, p. 69). Il Consiglio afferma la non lesività della presenza del Crocifisso all’interno dei luoghi pubblici, non incidendo lo stesso non arreca pregiudizio né ai non cristiani né ai non credenti, poiché quello che rileva di tale simbolo non deve essere la sua valenza religiosa, bensì il suo valore storico-culturale. Nel caso di specie, la presenza del Crocifisso all’interno dell’aula scolastica non mira a voler imporre la pratica di una determinata fede, piuttosto ad educare secondo principi e valori propri dell'ordinamento italiano e della sua storia. Il ragionamento cui giungono il Tar di Venezia e lo stesso Consiglio di stato è il seguente: il crocifisso è simbolo del cristianesimo; il principio di laicità nasce da cristianesimo; dunque il Crocifisso è simbolo di laicità. (A. MORELLI, Se il Crocifisso è simbolo di laicità l'ossimoro costituzionale è servito, in Diritto e Giustizia, 16, 2005, p. 66 ss.). In questo modo è come se la Croce, spogliata del suo valore fideistico per divenire una rappresentazione dei valori culturali e sociali del nostro paese, cessasse di configurare un semplice segno religioso, per essere assorbita da una configurazione simbolica “complessa”, figurativa dei molteplici significati riconducibili all'area semantica di tale simbolo. (O. CHESSA, La laicità come uguale rispetto e considerazione, in Associazione Italiana dei Costituzionalisti, Rivista telematica (www.associazionedeicostituzionalisti.it), febbraio 2006, p. 7 ss.). Bisogna però rilevare che il Consiglio di Stato in tale decisione, affermando che il Crocifisso non sia né una semplice suppellettile né solo un oggetto di culto e, altresì, concentrandosi precipuamente sul profilo sociale, piuttosto che su quello religioso, del simbolo, porta ad una confusione tra valori civili e valori fideistici. Difatti è sicuramente innegabile che alla base del cristianesimo ci siano quei principi di tolleranza, di libertà, di fraternità e reciproco rispetto riportati nella decisione in oggetto, ma è pur vero che appare “non del tutto condivisibile la commistione effettuata in sentenza tra la simbologia religiosa e i valori civili , in quanto il simbolo religioso è certamente atto ad esprimere (verso fedeli e non) un valore immanente non banalizzabile, soprattutto agli occhi dei credenti, nella sola «origine religiosa» di valori civili” e ciò in quanto la fede sicuramente è parte e fonte di valori e principi sociali, ma, soprattutto per i credenti, è anche altro. (A. FUCCILLO, Ma la croce in aula è un conforto per tutti, cit., p.73 ss.).

155 La Corte di Cassazione nella sentenza n.439 del 1 maggio 2000 rifiutava la tesi che vedeva nel Crocifisso

simbolo “di un’intera civilizzazione o della coscienza etica collettiva e di un valore universale indipendente da una confessione religiosa specifica”. A. MORELLI, Se il Crocifisso è simbolo di laicità l’ossimoro costituzionale è servito, cit., p. 66 ss.

56 affermando, viceversa, che il principio di laicità non debba intendersi come violato dalla presenza del crocifisso all’interno delle aule, in quanto lo stesso non è soltanto la rappresentazione di una fede, bensì un simbolo che esprime la storia, la cultura ed i valori dell’Italia e, sostanzialmente, di tutta l’Europa, dunque la sintesi di un insieme di principi e significati che prescindono dal suo carattere esclusivamente religioso.

Analizziamo i passaggi appena esposti nel particolare.

Il TAR Veneto si poneva in netto disaccordo con quanto rappresentato dal Consiglio di Stato nel parere n. 63/1988156 ritenendo che sicuramente il segno cristiano poteva assumere significati semantici diversi, incluso quello storico-culturale, ma ad avviso dei giudici amministrativi era innegabile la preponderanza della portata religiosa, pertanto gli stessi ponevano alla Corte Costituzionale la problematica delle norme regolamentari157 che prevedevano l’esposizione del simbolo cristiano158. Gli stessi, accogliendo la teoria del c.d. “diritto vivente regolamentare”159, ritenevano che le disposizioni sopra menzionate

potessero essere considerate attuative e specificative di norme primarie e pertanto dichiarate costituzionalmente illegittime rispetto al fondamentale principio di laicità dello Stato scaturente dagli artt. 2,3,7,8, 19 e 20 della Costituzione italiana160.

      

156 “Il Crocifisso, o più comunemente la Croce, a parte il significato per i credenti, rappresenta il simbolo

della civiltà e della cultura cristiana, nella sua radice storica, come valore universale, indipendente da specifica confessione religiosa”.

157 Il riferimento è, ovviamente, alla normativa riportata già nel capitolo precedente, riguardante l’esposizione

del Crocifisso per gli istituti di istruzione secondaria all’ 118 del R.D. 965/1924 e per le scuole primarie all’art. 119 del R.D. n. 1297/1928, in combinato disposto con l’allegato C del decreto stesso.

158 Cfr. N.MARCHEI, Il simbolo religioso e il suo regime giuridico nell’ordinamento italiano, in AA.VV.,

Symbolon/ Diabolon, cit., p. 261 ss.; F.MARGIOTTA BROGLIO, Il fascismo e i tentativi di conciliazione, in AA.VV., La legislazione ecclesiastica, a cura di P.A.D’AVACK, Neri Pozza, Milano, 1967, p. 225 ss.

159 Cfr.C.ESPOSITO, Diritto vivente, legge e regolamento di esecuzione, in Giurisprudenza costituzionale,

1962, p. 605 ss.

160 “Le norme contenute nei RR.DD. 965 e 1297, caratterizzandosi per la propria natura regolamentare, non

avrebbero potuto essere sottoposte ex se al sindacato della Corte costituzionale, che l’art. 134 della Costituzione limita alle leggi e agli atti aventi forza di legge. Tuttavia – argomentava il TAR, richiamando sul punto le sentenze 30 dicembre 1994, n. 456 e 20 dicembre 1988, n. 1104 della Corte – il sindacato di legittimità costituzionale di norme regolamentari è ammissibile quando i contenuti di queste ultime integrino il precetto di una norma primaria, che trova così applicazione per mezzo delle specificazioni contenute nella normativa secondaria. Tale rapporto, nella ricostruzione sistematica dei giudici veneti, andava ravvisato tra i precetti dei regi decreti summenzionati e gli artt. 159 e 190, D. Lgs. 16 aprile 1994, n. 297 («Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine

57 La Corte Costituzionale, dichiarandosi incompetente161 a causa della natura regolamentare degli atti che prevedono la presenza del crocifisso162, rappresentava “la manifesta inammissibilità della questione sottopostole, non ravvisando quel rapporto di necessaria “integrazione” e “specificazione” tra le norme legislative in materia di istruzione e le citate disposizioni regolamentari che, esso solo, avrebbe consentito di estendere il controllo (indiretto) di legittimità alle seconde”163.

Il TAR Veneto, sezione III, non trovando soluzione dalla questione di costituzionalità sottoposta alla Corte delle leggi, si trova a dover risolvere concretamente il problema, insistere sulla questione, sollevata dalla I sezione l’anno precedente, della non validità dei regi decreti in questione assumendosi la responsabilità giuridica e sociale di disapplicarli, o riconsiderare la questione in un’ottica differente.

Decidendo di aderire a quest’ultima opzione, i giudici amministrativi nulla disponevano circa l’abrogazione dei regi decreti e rappresentavano la portata “polisemica” del crocifisso, che racchiude sicuramente un significato religioso, ma è anche il simbolo della storia e della cultura italiana164, proprio come affermato dal Consiglio di Stato; vi è di più i giudici affermavano che proprio tenendo conto della sua portata confessionale, “in virtù di       

e grado») i quali, pur non contenendo alcun espresso riferimento al crocifisso, tuttavia trovavano specificazione – quando facevano riferimento agli «arredi» per le scuole elementari o all’«arredamento» per le scuole medie – proprio nelle previgenti disposizioni regolamentari che imponevano la presenza del simbolo religioso nelle aule. Analoghe considerazioni, poi, erano svolte con riguardo all’art. 676 del medesimo D. Lgs. 297/1994 che, regolando i rapporti del Testo Unico con le fonti previgenti, faceva salva la vigenza (anche) delle norme contenute nei citati decreti degli anni Venti”. M.TOSCANO, Nuovi segnali di crisi: i casi Lombardi Vallauri e Lautsi davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo, in Rivista telematica Stato, Chiese e pluralismo confessionale (www.statoechiese.it), maggio 2010, p. 42, nota n. 85.

161 Cort. Cost. Ordinanza n. 389/2004. La corte ritiene trattasi di una questione di legittimità “concernente le

norme regolamentari richiamate: norme prive di forza di legge, sulle quali non può essere invocato un sindacato di legittimità costituzionale, né, conseguentemente, un intervento interpretativo di questa Corte”.

162 Corte Costituzionale, ord. n. 389 del 15 dicembre 2004. In questo modo la Corte ha rimesso alla

magistratura, rispetto a tali tipi di controversie, il compito di decidere caso per caso la compatibilità delle norme che prescrivono la presenza del Crocifisso rispetto alla Costituzione, dando vita a decisioni e ad esiti interpretativi non sempre del tutto coincidenti.

163 M.TOSCANO, Nuovi segnali di crisi: i casi Lombardi Vallauri e Lautsi davanti alla Corte europea dei

diritti dell’uomo, cit., p. 42.

164 TAR Veneto, sez. III, sent. 22 marzo 2005 n. 1110, in Il diritto di famiglie e delle persone, 1, 2006, p. 90

58 una supposta assimilazione tra i valori fondanti lo stato laico- così come delineato anche dalla sentenza costituzionale- e i principi ispiratori del cristianesimo”165 il crocifisso poteva essere addirittura un vero e proprio simbolo della laicità dello Stato166.

Come precedentemente anticipato, anche il Consiglio di Stato167 rigetta il ricorso della signora Lautsi affermando la natura storica del crocifisso e, pertanto, la legittimazione ad essere esposto all’interno delle aule scolastiche come rappresentativo dello stesso ordinamento repubblicano. Secondo il Consiglio di Stato i contenuti degli artt. 2, 3, 7, 8, 19 e 20 Cost., “individuerebbero le «condizioni d’uso» secondo le quali il principio di laicità, desunto dalla Corte Costituzionale dall’insieme delle citate disposizioni, va inteso ed       

165M.TOSCANO, Nuovi segnali di crisi: i casi Lombardi Vallauri e Lautsi davanti alla Corte europea dei

diritti dell’uomo, cit., p. 45

166 Cfr. TAR Veneto, sent. 22 marzo 2005, n. 1110: “in particolare poi il cristianesimo [...] contiene in nuce

quelle idee di tolleranza, eguaglianza e libertà che sono alla base dello Stato laico moderno e di quello italiano in particolare. [...] In sostanza, non appare azzardato affermare che [...] la laicità dello Stato moderno sia stata faticosamente conquistata anche (certamente non solo) in riferimento più o meno consapevole ai valori fondanti del cristianesimo. [...] A saper mirare la storia, ponendosi cioè su di un poggio e non rimanendo confinati a fondovalle, si individua una percepibile affinità (non identità) tra il “nocciolo duro” del cristianesimo, che, privilegiando la carità su ogni altro aspetto, fede inclusa, pone l’accento sull’accettazione del diverso, e il “nocciolo duro” della Costituzione repubblicana. [...] La sintonia permane anche se attorno ai due nuclei, entrambi focalizzati sulla dignità dell’uomo, si sono nel tempo sedimentate molte incrostazioni, alcune talmente spesse da occultarli alla vista, e ciò vale soprattutto per il cristianesimo. Si può quindi sostenere che, nell’attuale realtà sociale, il crocifisso debba essere considerato non solo come simbolo di un’evoluzione storica e culturale, e quindi dell’identità del nostro popolo, ma quale simbolo altresì di un sistema d valori di libertà, eguaglianza, dignità umana e tolleranza religiosa e quindi anche della laicità dello Stato, principi questi che innervano la nostra Carta costituzionale. In altri termini, i principi costituzionali di libertà hanno molte radici, e una di queste indubbiamente è il cristianesimo, nella sua stessa essenza. Sarebbe quindi sottilmente paradossale escludere un segno cristiano da una struttura pubblica in nome di una laicità, che ha sicuramente una delle sue fonti lontane proprio nella religione cristiana”.

167 “Il richiamo, attraverso il crocefisso, dell’origine religiosa di tali valori e della loro piena e radicale

consonanza con gli insegnamenti cristiani, serve dunque a porre in evidenza la loro trascendente fondazione, senza mettere in discussione, anzi ribadendo, l’autonomia (non la contrapposizione, sottesa a una interpretazione ideologica della laicità che non trova riscontro alcuno nella nostra Carta fondamentale) dell’ordine temporale rispetto all’ordine spirituale, e senza sminuire la loro specifica “laicità”, confacente al contesto culturale fatto proprio e manifestato dall’ordinamento fondamentale dello Stato italiano. Essi, pertanto, andranno vissuti nella società civile in modo autonomo (di fatto non contraddittorio) rispetto alla società religiosa, sicché possono essere ‘laicamente’ sanciti per tutti, indipendentemente dall’appartenenza alla religione che li ha ispirati e propugnati”. Consiglio di Stato, sentenza n. 556 del 13 aprile 2006.

59 opera. Tuttavia, le suddette condizioni d’uso andrebbero «determinate con riferimento alla tradizione culturale, ai costumi di vita, di ciascun popolo, in quanto però tale tradizione e tali costumi si siano riversati nei loro ordinamenti giuridici». Così ragionando il principio di laicità è svuotato del suo contenuto propriamente giuridico, soppiantato dal dato pre- o meta-giuridico, che finisce per alterarne la portata e limitarne il ruolo a quello di sfocato referente ordinamentale per una politica del diritto (anche giurisprudenziale) orientata al mantenimento dello status quo168.

Pertanto, non soddisfatta del risultato (non) ottenuto da parte della giurisprudenza italiana, la sig.ra Lautsi insieme con i figli ormai diventanti maggiorenni, ricorre alla Corte di Strasburgo il 27 luglio 2006, adducendo la violazione del diritto di libertà di pensiero, coscienza e di religione sancito dall’art. 9 della CEDU169, la violazione del divieto di discriminazione, in quanto non praticanti la religione cattolica, sancito dall’art. 14 della stessa Carta170, nonché per la violazione del diritto di istruzione dei propri figli così come

sancito dall’art. 2 Protocollo addizionale n. 1171.

Vi è di più: i proponenti, sostenuti dalle organizzazioni italiane del libero pensiero, oltre alle disposizioni ritenute violate, chiedono altresì che la Corte europea si pronunci sul principio di laicità, rendendo la “neutralità confessionale” una qualità propria dello Stato, necessaria al rispetto del diritto alla libertà religiosa anche di chi non crede, come aveva già fatto in altri casi relativi all’interdizione del velo islamico nel quadro educativo. Si indirizza la Corte europea a ritenere la “neutralità confessionale” dello Stato       

168M.TOSCANO, Nuovi segnali di crisi: i casi Lombardi Vallauri e Lautsi davanti alla Corte europea dei

diritti dell’uomo, cit., p. 46

169 Sull’art. 9 CEDU si veda: F.MARGIOTTA BROGLIO, La protezione internazionale della libertà religiosa

nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo, Milano, Giuffrè, 1967, che affronta lo studio partendo da un accurato esame dei lavori preparatori della Convenzione; C.MORVIDUCCI, voce Libertà, Libertà di religione o di convinzioni, Diritto internazionale, in Enciclopedia del diritto, vol. XIX, 1990, p. 5 ss.

170 Art. 14 CEDU: “Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve

essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o di altro genere, l’origine nazionale o sociale, l'appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita o ogni altra condizione”.

171 Art. 2 del I Protocollo Addizionale: “Il diritto all’istruzione non può essere rifiutato a nessuno. Lo

Stato, nell’esercizio delle funzioni che assume nel campo dell’educazione e dell’insegnamento, deve rispettare il diritto dei genitori di assicurare tale educazione e tale insegnamento secondo le loro convinzioni religiose e filosofiche”.

60 un’implicazione necessaria del diritto alla libertà religiosa dei non credenti e più precisamente della libertà negativa di religione dei non credenti.

“Questo caso rientra nell’ambito di ciò che gli anglosassoni chiamano la strategic

litigation. Si tratterebbe per le associazioni italiane di libero pensiero, che hanno agito con

il pretesto della signora Lautsi, di utilizzare la Corte europea per ottenere un risultato politico di portata generale oltrepassando l’oggetto giuridico iniziale della richiesta. Questo contesto di strategic litigation è all’origine della grande confusione giuridica che circonda questo caso. La responsabilità è di alcuni giudici della Seconda Sezione che, vicini loro stessi al libero pensiero, hanno pensato di dover intraprendere un percorso che in definitiva si è rivelato più politico che giuridico. In effetti, creando un nuovo obbligo di neutralità confessionale per l’insegnamento pubblico, la Seconda Sezione ha abbandonato il rigore giuridico e il ritegno giudiziario, concentrando tutta l’attenzione sul tema politico della laicità a detrimento della stretta analisi giuridica delle disposizioni della Convenzione. Ciò facendo, la Seconda Sezione ha originato una crisi meta-politica sul ruolo del cristianesimo in Europa e sulla legittimità politica della Corte europea. Questa crisi sta avendo effetti durevoli; il prestigio e l’autorevolezza della Corte sono stati seriamente intaccati.

In definitiva, la questione iniziale strettamente giuridica dell’impatto del crocifisso sulla libertà degli alunni e dei loro genitori, così come garantita dalla Convenzione, è passata in secondo piano. È stata necessaria molta energia per ricondurre la Corte a pronunciarsi principalmente su questa questione, che la presenza del crocefisso non ha come effetto di indottrinare gli alunni”172.

Sostanzialmente, dunque, la questione strettamente giuridica che ha scaturito la