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C APITOLO 3 L A SALUTE “ DETENUTA ”

3.6 I L DIRITTO ALLA SALUTE E AIDS

Il dilagare del fenomeno AIDS negli istituti penitenziari ha fatto emergere due esigenze fondamentali di tutela: il diritto alla salute del detenuto da una parte e il rispetto delle esigenze cautelari, di difesa e prevenzione sociale dall’altra. Si sottolinea come per salute intendiamo non solo la condizione della persona affetta da AIDS ma anche la tutela degli altri detenuti che devono convivere forzatamente con questa patologia. L’O.M.S. e il Consiglio d’Europa hanno emanato raccomandazioni e direttive per la tutela dei diritti individuali stabilendo principi generali per l’esecuzione della pena con l’intento di armonizzare le politiche d’intervento dei singolo stati, ma, di fatto, è lasciata alla discrezionalità dei legislatori nazionali la possibilità di recepirle e applicarle al rapporto punitivo di tipo carcerario.

Con la Raccomandazione n. 1080, relativa ad una “politica sanitaria coordinata per prevenire la diffusione dell’AIDS nelle prigioni”, i governi erano invitati anche a adottare politiche di riduzione del danno,autorizzando la distribuzione di preservativi e, in casi estremi, di siringhe ai detenuti tossicodipendenti.

Nella stessa direzione era anche la Raccomandazione R (89) 14 del 24 ottobre 1989.

Il Consiglio d’Europa nella Raccomandazione R (93) 6 del 18 ottobre 1993 per il trattamento dell’infezione da HIV in ambiente

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penitenziario formula principi generali e disposizioni particolari, orientandosi ad una gestione “liberale” del problema.

Importante è segnalare che in Europa non esiste alcun sistema penitenziario che adotti politiche di riduzione del danno, a parte qualche isolata sperimentazione. In Italia il Ministero di Giustizia ammette con gran difficoltà anche l’esistenza di rischi specifici carcerari nella diffusione della patologia in questione. Nessuna circolare accenna alla possibilità di adottare misure di riduzione del danno, come pure non vi è fatto cenno alcuno nel “Progetto Ssn – carcere”, elaborato per consentire alle aziende sanitarie di gestire il passaggio di competenze sanitarie previsto dal D.lgs. 230/199934. Esistono delle “Linee giuda sulla riduzione del danno” promulgate dal Ministero della sanità (in appendice) come risposta all’emanazione delle direttive dell’OMS note come “Principio d’equivalenza della cure”.

Per quanto riguarda nello specifico la tutela della salute nei casi di AIDS le normative internazionali hanno sottolineato la necessità di garantire dei diritti che, potenzialmente, le strutture penitenziarie possono ledere52:

 il diritto a godere di un’assistenza sanitaria di livello paritario a quello di tutti i cittadini,

 il diritto a non correre pericoli maggiori di contrarre malattie contagiose per il fatto di vivere in un “ambiente ad alto rischio”,

 il diritto a ricevere informazioni e strumenti di prevenzione contro la diffusione del contagio,

 il diritto alla riservatezza,

 il diritto ad un rapporto fiduciario col personale sanitario,  il diritto a non essere discriminati nell’ambito delle attività

organizzate all’interno del carcere,

 il diritto ad avere una sessualità non coatta nei limiti consentiti dalle esigenze di sicurezza carceraria,

 il diritto ad un sostegno psicologico nei casi di sieropositività. Uno studio promosso dall’OMS sulla condizione dei sieropositivi, condotto in istituti penitenziari di vari paesi, ha identificato dei caratteri costanti: lo stato di salute dei detenuti è inferiore rispetto a quello della popolazione esterna, la qualità dell’alimentazione è inferiore alla media esterna, il livello economico e sociale del

52

Cfr. Magliona B., Sarzotti C., a cura di, La prigione malata. Letture in tema di AIDS, carcere e salute, L’Harmattan, Torino, 1996, pp.115-154

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detenuto è inferiore alla media generale, i livelli di stress sono molto elevati e favoriscono l’immunodepressione53.

Da sottolineare che per l’Aids sono stati utilizzato istituti previsti dagli ordinamenti penali e penitenziari dei vari paesi e solo l’Italia, con la legge n. 222/93, stabilisce l’incompatibilità tra detenzione e malattia Aids e con la legge 231/99.

Alcuni autori hanno tracciato un quadro dal 1990 alla fine del 1999 delle presenze di detenuti sieropositivi54, notano che è in continua diminuzione dal 1992 ad oggi, mentre il rapporto fra tossicodipendenti e popolazione carceraria si aggira sempre intorno al 30%55. Gli stessi autori sono molto critici nel considerare i dati sopra descritti in quanto precisano che il dato relativo al numero di presenze di sieropositivi si riferisce al flusso di detenuti in ingresso che si sottopongono al test sierologico e non all’intera popolazione detenuta. Avvertono inoltre che, malgrado i sieropositivi in carcere non sono aumentati rispetto al numero dei detenuti tossicodipendenti, il legame tra tossicodipendenza e HIV è strettissimo, ma evidenziano la percentuale altissima di detenuti tossicodipendenti sieropositivi. Gli autori riportano dati AMAPI56 che stimano circa 6.500 casi di HIV positivi ristretti. La distribuzione percentuale dei casi di AIDS fra gli immigrati è in continuo aumento dal 1998 ad oggi rappresentando circa il 10% del totale delle denunce57.

Esiste un “rapporto diretto tra carcere e sieropositività, nel senso dell’esistenza di modalità con cui l’istituzione favorisce la diffusione del virus: sono i casi in cui il carcere diventa un ambiente ad alto rischio, in cui si verifica un effetto-ponte tra soggetti a rischio ed altri abitualmente non considerati tali, che finiranno per contrarre l’infezione in carcere”58.

Fattori specifici di rischio individuati:

a. rapporti omosessuali occasionali o coatti

Da ricerche vittimologiche si deducono rapporti di omosessualità non quantificabili e non identificabili, visto il pesante condizionamento che circonda questa categoria di soggetti. Ma sembra sovrastimata se correlata alla diffusione di malattie veneree e uretriti rilevabili.

b. scambio di siringhe tra detenuti.

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Ricerca riportata in Demori A, Roncali D., Tavani M., Compatibilità carceraria, op. cit., p. 37

54

Si veda Demori A, Roncali D., Tavani M., Compatibilità carceraria, op. cit., p. 26

55

ibidem, pp. 21-39

56

Associazione Medici Amministrazione Penitenziaria Italiana

57

Demori A, Roncali D., Tavani M., Compatibilità carceraria, op. cit.

58

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I dati della letteratura criminologica sulla problematica della diffusione di droga in carcere59 si orientano in modo opposto: a fronte di chi considera il fenomeno non rilevante, supportato dalla grande richiesta di ansiolitici da parte dei detenuti, altri considerano il carcere il luogo per iniziarsi all’uso della droga. I dati di una ricerca condotta nelle carceri dell’Italia settentrionale confermano che il 40% dei detenuti ha fatto uso di eroina in carcere e il 7% ammette che fosse la prima volta60. Sovraffollamento e promiscuità carceraria, condizioni igieniche scadenti sembrano essere il fattore di rischio più importante riconosciuto da tutti.

Come dire che il fatto stesso di essere in carcere ovvero di subire le condizioni di vita carcerarie non favorisce la promozione della salute né individuale né della collettività.

59

Per approfondimenti si veda anche Gobbi M., Verdolini V. (2007), Una tacita

presenza: la droga in carcere, in Cipolla C. (a cura di) Il consumo di sostanze psicoattive oggi, “Salute e Società”, a. VI, suppl. n. 1, FrancoAngeli, Milano.

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Dati riportati all’Europian Network for HIV prevention in prison, nel 1999, III

Seminario Europeo su AIDS ed epatiti, finanziato dall’Unione Europea, tenutosi a

Milano, in Demori A, Roncali D., Tavani M., Compatibilità carceraria, op. cit., p. 32

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CAPITOLO 4-IL QUADRO NORMATIVO