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I L SERVIZIO SANITARIO NELL ’O RDINAMENTO P ENITENZIARIO E L ’ ARTICOLO

C APITOLO 4 I L QUADRO NORMATIVO NAZIONALE

4.1 I L SERVIZIO SANITARIO NELL ’O RDINAMENTO P ENITENZIARIO E L ’ ARTICOLO

La previsione di un servizio sanitario all’interno degli istituti penitenziari deriva direttamente dalle Regole minime dell’O.N.U. per il trattamento dei detenuti, approvate il 30 agosto 1955 e ribadite dal Consiglio d’Europa il 19 gennaio 1973.

L’ordinamento penitenziario contempla alcune disposizioni stabilite con la finalità di salvaguardare il diritto alla salute che, nel nostro ordinamento è tutelato, in via generale e primaria, dall’art. 32 della Costituzione che implica il diritto ai trattamenti sanitari necessari per la sua tutela ed è garantito ad ogni persona, e, in via indiretta e con specifico riferimento all’esecuzione penale, dall’art. 27 co. 3 della Costituzione, che vieta l’adozione di pratiche contrarie al senso di umanità nel corso dell’esecuzione delle pene.

Nell’ambito delle norme dell’ordinamento penitenziario poste a tutela della salute dei detenuti possono distinguersi due settori principali:

a) norme di prevenzione, stabilite a salvaguardia della salute della generalità dei reclusi: si collocano in tale settore le prescrizioni dettate in materia di vestiario, alimentazione, igiene personale, edilizia penitenziaria, permanenza all’aperto, attività sportive e ricreative, obbligo di visita in

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ogni istituto, almeno due volte l’anno, da parte del medico provinciale;

b) norme che disciplinano le cure e gli interventi di

assistenza che si rende necessario attuare, nel contesto

penitenziario, nei confronti dei singoli detenuti affetti da patologie: la principale norma di riferimento è l’art. 11 O.P., che disciplina l’organizzazione del servizio sanitario negli istituti.

La materia sanitaria è, peraltro, ampiamente integrata da numerose disposizioni regolamentari, alcune delle quali specificano ulteriormente l’indirizzo, fissato dalla legge, che concepisce il servizio sanitario come una funzione a cui le risorse esterne collaborano continuamente: in particolare l’art. 1770del Regolamento. L’art. 11 O.P.71 definisce i principi generali relativi ai servizi sanitari negli istituti penitenziari. Esso prevede anzitutto che ogni istituto penitenziario sia “dotato di servizio medico e di servizio farmaceutico rispondenti alle esigenze profilattiche e di cura della salute dei detenuti e degli internati “ e che esso disponga dell’opera di almeno uno specialista in psichiatria. Il comma 1 dell’art. 17 Reg. esec. afferma che “I detenuti e gli internati usufruiscono dell’assistenza sanitaria secondo le disposizioni delle vigente normativa” e il comma 3 della stessa disposizione aggiunge: “L’assistenza sanitaria viene prestata all’interno degli istituti penitenziari, salvo quanto previsto dal secondo comma dell’articolo 11 della legge”.

Un utilizzo razionale delle risorse finanziarie e materiali destinate alle prestazioni sanitarie offerte ai detenuti non sempre, però, consente di garantire ogni tipo di prestazione in tutti gli istituti penitenziari. Pertanto, ferma restando l’obbligatoria istituzione di un servizio medico e farmaceutico in ogni istituto penitenziario, così come la disponibilità dell’opera di almeno uno specialista, il comma 4 dell’art. 17 Reg. esec. dispone: “Sulla base delle indicazioni desunte dalla rilevazione e dall’analisi delle esigenze sanitarie della popolazione penitenziaria, sono organizzati, con opportune dislocazioni nel territorio nazionale, reparti clinici e chirurgici”. L’assistenza sanitaria erogata all’interno degli istituti penitenziari, intesa come tutela preventiva della salute dei detenuti, è disciplinata dal comma 9 dell’art. 17 Reg. esec.: “In ogni istituto devono essere svolte con continuità attività di medicina preventiva che rilevino, segnalino ed intervengano in merito alle situazioni che possono favorire lo sviluppo di forme patologiche, comprese quelle

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Si veda appendice legislativa

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collegabili alle prolungate situazioni di inerzia o di riduzione del movimento e dell’attività fisica”.

Sono garantite le prestazioni sanitarie erogate dal Servizio sanitario nazionale, in quanto l’art. 18 Reg. esec. vieta che venga richiesta alle persone detenute o internate alcuna forma di partecipazione alla spesa per le prestazioni stesse72.

Il comma 2 dell’art. 32 Cost. enuncia il principio secondo cui qualunque forma di trattamento sanitario non può prescindere dal consenso del soggetto che ne è il diretto destinatario. Risulta così affermata la necessità di garantire l’autodeterminazione della persona circa la disponibilità della propria salute e della propria integrità fisica73. L’esplicazione di tale sfera ha una componente passiva ed una attiva. All’interno della prima è configurabile il diritto ad essere ammalato, cioè il diritto a rifiutare i trattamenti sanitari, anche se diretti a vantaggio della propria salute. Relativamente alla seconda è invece configurabile il diritto alla libera scelta del medico, oltre che al tipo di terapia e del luogo in cui essa deve svolgersi.

Nell’ordinamento penitenziario la componente passiva della sfera di autodeterminazione del detenuto, ossia il diritto a non subire trattamenti sanitari contro la propria volontà, risulta limitata in relazione ai casi in cui la legge penitenziaria prevede che il detenuto sia sottoposto a visita medica obbligatoria indipendentemente da una sua richiesta. Infatti, in ossequio alla riserva di legge prevista dal comma 2 dell’art. 32 Cost. per i trattamenti sanitari obbligatori, l’art. 11 O.P. commi 5 e 6 e l’art. 23 commi 1 e 2 Reg. esec. prevedono una triplice tipologia di controlli medici, effettuabili indipendentemente dalla richiesta dell’interessato:

a) la visita medica generale all’atto dell’ingresso in istituto; b) l’assistenza prestata con periodici e frequenti riscontri; c) il controllo periodico dei detenuti adibiti a mansioni lavorative.

Tali previsioni sono funzionali alla tempestiva adozione dei necessari provvedimenti sia in relazione alle esigenze di diagnosi e cura

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Viene prevista inoltre l’iscrizione obbligatoria al SSN limitatamente al periodo detentivo, anche degli stranieri che “hanno parità di trattamento e piena uguaglianza di diritti rispetto ai cittadini liberi, a prescindere dal regolare titolo di permesso di soggiorno in Italia”. Non si pongono problemi di ticket dato è prevista l’esclusione di tutti i reclusi dal sistema di compartecipazione alla spesa sanitaria per le prestazioni erogate dal SSN. Il riconoscimento dell’esenzione risolve anche quei problemi legati all’accertamento dello stato d’indigenza favorendo un eguale accesso alle prestazioni sanitarie senza dover ricorrere all’attestazione dell’esenzione per patologia d’organo.

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riguardanti il singolo caso nonché alla individuazione di eventuali situazioni rilevanti ai fini della concessione del differimento dell’esecuzione della pena, sia in relazione alle esigenze riguardanti l’intera comunità carceraria: isolamento, igiene personale ed ambientale. La finalità delle visite mediche obbligatorie può quindi ritenersi conforme alla ratio dell’art. 32 Cost. poiché essa, pur essendo descritta genericamente (“accertare eventuali malattie

fisiche o psichiche”) appare incentrata sulla tutela non

dell’interessato ma degli altri detenuti. Le malattie fisiche che le visite obbligatorie hanno lo scopo di accertare sono anzitutto quelle infettive e contagiose, la cui diffusione sia collegata a comportamenti della persona. Che sia questa la ragione legittimante le visite mediche di cui all’art. 11 O.P. si evince agevolmente anche dalla disposizione che prescrive l’isolamento per i detenuti e gli internati sospetti o riconosciuti affetti da malattie contagiose. Sempre al fine di evitare la diffusione di malattie contagiose l’art. 33 O.P. prevede la misura dell’isolamento continuo prescritta dal medico per ragioni sanitarie e destinata a venir meno con la cessazione dello stato contagioso: si atteggia a misura igienico-sanitaria necessaria nell’interesse della popolazione carceraria, è eseguita in appositi locali dell’infermeria o in un reparto clinico e durante il suo svolgimento è riservata speciale cura dal personale all’infermo, anche per sostenerlo moralmente. Sempre ai fini della tutela degli altri detenuti si giustifica l’obbligatorietà della visita in relazione all’accertamento di malattie psichiche, considerato che in alcuni casi da tali malattie può derivare il rischio di comportamenti aggressivi del detenuto. La sussistenza di un rapporto funzionale tra l’accertamento sanitario e l’adozione di misure idonee a preservare la collettività penitenziaria trova riscontro nel comma 7 dell’art. 11 O.P.: “nel caso di sospetto di malattia psichica sono adottati senza indugio i provvedimenti del caso col rispetto delle norme concernenti l’assistenza psichiatrica e la sanità mentale”. In relazione alle visite mediche nel corso della permanenza in istituto manca la previsione di precise cadenze temporali da imprimere ad esse, in quanto il legislatore si limita ad affermare che tale assistenza sanitaria viene prestata “con periodici e frequenti riscontri”.

Tutto ciò non significa, comunque, mancanza di attenzione o sottovalutazione, da parte dell’ordinamento, della posizione del singolo: la visita medica obbligatoria d’ingresso, da effettuare non oltre il giorno successivo all’ingresso in istituto, è infatti concepita in un’ottica di garanzia, in quanto è rivolta, da un lato, a riscontrare che il soggetto non abbia subito lesioni o maltrattamenti nella fase della cattura e delle attività di polizia, dall’altro, a rilevare cause influenti ai fini del rinvio dell’esecuzione della pena.

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La previsione della visita medica generale all’atto di ingresso in carcere, che viene effettuata “allo scopo di accertare eventuali malattie fisiche o psichiche”, è funzionale all’efficacia di ogni eventuale successivo intervento di carattere sanitario nei confronti del detenuto. Dopo tale visita e prima dell’assegnazione al reparto, la prassi prevede lo svolgimento di un colloquio a carattere psicologico volto a stabilire il livello di rischio che il soggetto compia atti di auto o etero violenza. La visita medica è estrinsecazione del dovere di assicurare un trattamento sanitario adeguato alle condizioni individuali. All’esito della visita medica e in caso di riscontro di patologia, i provvedimenti adottabili potranno consistere, in proporzione alla gravità della malattia e al livello di organizzazione del servizio sanitario dell’istituto, nel ricovero del detenuto in infermeria, in un centro clinico dell’amministrazione penitenziaria, o, infine, in un luogo di cura esterno.

Per quanto concerne la componente attiva della sfera di autodeterminazione dovrebbe manifestarsi con la libertà di scegliere il medico, il tipo e il luogo di cura. La Corte costituzionale ha affermato il principio generale del bilanciamento dell’interesse tutelato dal diritto con gli altri interessi costituzionalmente protetti, tenuto conto dei limiti oggettivi che il legislatore incontra nella sua opera di attuazione in relazione alle risorse organizzative e finanziarie di cui dispone al momento. In considerazione di ciò, l’ordinamento penitenziario riconosce il diritto del detenuto ad autodeterminarsi circa la propria salute, ma, dovendo contemperare le modalità di esercizio di tale diritto con basilari esigenze organizzative e finanziarie attinenti all’esecuzione della pena, vi pone dei limiti significativi. Il comma 11 dell’art. 11 O.P. contempla la possibilità per detenuti e internati di farsi visitare, a proprie spese, da un sanitario di fiducia. La scelta di porre le spese a carico del detenuto è giustificata dal fatto che egli, scegliendo di essere assistito dal proprio medico di fiducia, rinuncia parzialmente a quanto il Servizio Sanitario Nazionale è tenuto ad offrirgli gratuitamente. Il comma 7 dell’art. 17 D.P.R. 230/2000 stabilisce inoltre che “Con le medesime forme previste per la visita a proprie spese possono essere autorizzati trattamenti medici, chirurgici e terapeutici, da effettuarsi a spese degli interessati da parte di sanitari e tecnici di fiducia nelle infermerie o nei reparti clinici e chirurgici degli istituti”. L’autorizzazione è fornita, per gli imputati fino alla pronuncia della sentenza di primo grado, dal magistrato che procede; per gli imputati dopo la pronuncia della sentenza di primo grado, per i condannati e per gli internati, dal direttore; se la richiesta proviene da imputato che si trovi agli arresti domiciliari, la competenza a decidere spetta al giudice di merito che ne ha l’istituzionale controllo per ciò che

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concerne il regime cautelare. L’autorizzazione prevista per gli imputati fino alla sentenza di primo grado ha una giustificazione nella prevalente tutela di esigenze processuali: non è richiesto al riguardo alcun parere del direttore e il potere del magistrato di negare l’autorizzazione deve intendersi rigorosamente riferito alla salvaguardia delle esigenze cautelari legate allo svolgimento del processo penale; ogni altra ragione, ad esempio di carattere disciplinare o relativa al comportamento non meritorio del detenuto, non potrebbe essere legittimamente addotta. Ancora più limitato deve ritenersi il potere autorizzatorio riconosciuto dall’art. 17 comma 6 Reg. esec. al direttore dell’istituto per le richieste avanzate dalle suddette categorie di detenuti, che è stato introdotto dal regolamento esecutivo in assenza di una specifica previsione della legge penitenziaria. Affinché la disposizione regolamentare non contrasti con la disciplina della legge, che sembra non contemplare altre ragioni ostative alle prestazioni mediche private, oltre a quelle di natura processuale valutabili dal giudice, deve essere interpretata nel senso che l’autorizzazione del direttore esprima non una discrezionalità riguardo all’accoglimento della richiesta di prestazioni mediche fiduciarie, ma attenga solo alle modalità di tali prestazioni, al fine di evitare abusi e situazioni contrastanti con l’ordine dell’istituto. Il provvedimento con il quale viene concessa o negata l’autorizzazione a sottoporsi alla visita medica di un sanitario di fiducia non è passibile di alcuna impugnazione: si tratta infatti di un provvedimento di natura amministrativa, non incidente sulla libertà personale del detenuto. La possibilità, concessa al detenuto, di scelta del medico, deriva evidentemente dal riconoscimento del valore costituzionale della salute come fondamentale diritto dell’individuo, e si colloca nell’ottica di un servizio sanitario volto alla tutela della salute di tutti i cittadini, indipendentemente dalle condizioni individuali o sociali di ciascuno. L’art. 19 Reg. esec., inoltre, si fa carico di specificare che ai detenuti e agli internati che hanno diritto di usufruire di prestazioni sanitarie a carico degli enti preposti all’assistenza sanitaria, le dette prestazioni sono fornite direttamente dall’amministrazione penitenziaria in condizioni di assoluta parità con gli altri detenuti e internati (comma 1). Tali enti provvedono direttamente all’assistenza prevista dalle leggi vigenti nei confronti dei familiari dei detenuti e degli internati lavoratori (comma 3).

Ai sensi del comma 2 dell’art. 11 O.P. “Ove siano necessari cure o accertamenti diagnostici che non possono essere apprestati dai servizi sanitari degli istituti, i condannati e gli internati sono trasferiti, con provvedimento del magistrato di sorveglianza, in ospedali civili o altri luoghi esterni di cura”. Ai ricoveri in luoghi

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esterni si ricorre quindi nelle ipotesi in cui le cure o gli accertamenti non possano essere garantiti dai servizi sanitari all’interno degli istituti: tale impossibilità costituisce un parametro fondamentale. Il provvedimento con il quale viene disposto tale ricovero esterno è adottato, fino alla pronuncia della sentenza di primo grado, dal giudice per le indagini preliminari; per gli imputati dopo la pronuncia della sentenza di primo grado e per i condannati e gli internati, dal magistrato di sorveglianza (art. 240 disp. att. c.p.p.). Nei casi di assoluta urgenza, tuttavia, qualora non sia possibile ottenere l’immediata decisione della competente autorità giudiziaria, il direttore dell’istituto provvede direttamente al trasferimento, dandone contemporanea comunicazione alla predetta autorità (art. 17 comma 8 Reg. esec.).

La competenza del magistrato di sorveglianza sussiste solo nel caso di imputato in regime di custodia cautelare in carcere; diversamente, qualora l’imputato si trovi agli arresti domiciliari, la competenza a disporre il trasferimento in un ospedale esterno spetta, ai sensi dell’art. 279 c.p.p., al giudice che procede. Tuttavia, qualora l’accertamento delle condizioni psichiche di un imputato detenuto richieda il trasferimento in O.P.G., la competenza a provvedere spetta sempre all’autorità procedente, ai sensi dell’art. 99 Reg. esec. che disciplina specificamente la materia, non trovando applicazione, in tale ipotesi, la normativa generale dell’art. 11 comma 2 O.P. Il provvedimento che nega il ricovero del detenuto in una struttura sanitaria esterna all’istituto non è impugnabile; la giurisprudenza è costante nel ritenere che tale atto abbia contenuto amministrativo e che non incida sulla libertà personale del soggetto, ma solo sulle modalità di detenzione: egli, anche se trasferito in ospedale, rimane in vinculis. Il ricovero in luoghi esterni di cura si svolge con le modalità previste dal comma 3 dell’art. 11 O.P.: vale, come principio generale, l’obbligo di piantonamento del detenuto, con la facoltà conferita al magistrato di disporre l’esonero dallo stesso sul presupposto che non vi sia pericolo di fuga, oppure qualora la costante custodia non risulti necessaria per la tutela della incolumità personale del detenuto. Un’eccezione a tale regime riguarda il semilibero ricoverato in luogo esterno di cura: l’art. 92 comma 7 Reg. esec. prevede espressamente che non ne sia disposto il piantonamento. La modifica del provvedimento di ricovero all’esterno, finalizzata a garantire le esigenze di sicurezza che siano sopravvenute, consente una certa flessibilità delle modalità attuative della misura: il piantonamento potrà essere in tali evenienze ripristinato; la competenza per la modifica e per la revoca non spetta al giudice che ha deciso il ricovero, ma a quello che abbia la

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disponibilità del processo nel momento in cui si renda necessario provvedere altrimenti.

L’art. 11 O.P. prevede che ogni istituto penitenziario disponga dell’opera di almeno uno specialista in psichiatria. Esso stabilisce inoltre che, nel caso di sospetto di malattia psichica, debbano essere adottati senza indugio i provvedimenti necessari, col rispetto delle norme concernenti l’assistenza psichiatrica e la sanità mentale. Sullo sfondo devono essere tenute presenti le norme in tema di accertamenti sulla capacità dell’imputato di partecipare coscientemente al procedimento (artt. 70-73c.p.p.), la possibilità di disporre la custodia cautelare in luogo di cura (art. 286 c.p.p.), i provvedimenti di ricovero adottabili in caso di sopravvivenza di un’infermità psichica prima o durante l’esecuzione di una pena restrittiva della libertà personale (artt.148 c.p. e 678 c.p.p.), le disposizioni in ordine all’applicazione provvisoria, sospensione o trasformazione delle misure di sicurezza (artt. 206 e 212 c.p., artt. 678-680 c.p.p.), l’ergoterapia prevista dall’art. 20 O.P. comma 5 per i sottoposti alle misure di sicurezza della casa di cura e di custodia e dell’ospedale psichiatrico giudiziario. L’art. 20 Reg. esec. detta particolari disposizioni per gli infermi e seminfermi di mente: la loro corrispondenza può essere sottoposta a visto di controllo anche per esigenze connesse al trattamento terapeutico; se idonei, possono essere ammessi al lavoro o, altrimenti, ad attività ergoterapiche; alla stessa condizione possono far parte delle rappresentanze e, viceversa, sono suscettibili di esserne esclusi a causa della mancanza di adeguate condizioni psichiche; in presenza di una “sufficiente capacità naturale che consenta loro coscienza dell’infrazione commessa” possono essere sottoposti a sanzioni disciplinari.

Gli imputati, i condannati e gli internati possono essere assegnati all’ospedale psichiatrico giudiziario o alla casa di cura e custodia. Gli imputati e i condannati ai quali, nel corso della misura detentiva, sopravvenga un’infermità psichica che non comporti, rispettivamente, l’applicazione della misura di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario o l’ordine di ricovero nel medesimo o in casa di cura o custodia, sono assegnati ad un istituto o sezione speciale per infermi e minorati psichici. L’accertamento delle condizioni psichiche degli imputati, dei condannati e degli internati è espletato nell’istituto in cui si trova il soggetto o, in caso di insufficienza di quel servizio diagnostico, in altro istituto della stessa categoria. In presenza di particolari motivi, le autorità competenti possono disporre che l’accertamento sia svolto in altri luoghi per un periodo di osservazione non superiore ai trenta giorni. All’esito dell’accertamento, se non vengono adottati i provvedimenti ai fini dei quali è stata disposta la diagnosi, l’autorità giudiziaria

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competente dispone il rientro nell’istituto di provenienza. Possono inoltre essere stipulate convenzioni tra Amministrazione penitenziaria e servizi territoriali extraospedalieri, previe intese con la Regione competente e secondo gli indirizzi del Ministero della sanità, al fine di consentire il ricovero di soggetti destinati ad ospedali psichiatrici giudiziari.