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Possedere una disabilità visiva non implica l'incapacità di percepire la realtà circostante, di riconoscere luoghi, oggetti e persone o necessariamente la presenza di difficoltà di comunicazione; tuttavia esistono delle problematiche che sono legate alla tipologia di deficit sensoriale posseduto, all'educazione ricevuta o non ricevuta e alla presenza o meno di barriere che permettono l'instaurarsi di meccanismi che accrescono l'handicap.

Le criticità presenti vanno analizzate tenendo conto della molteplicità di fattori, intrinseci ed estrinseci, che contribuiscono di fatto a limitare l'attività sensoriale dei minorati della vista. I parametri da tenere in considerazione sono l'acutezza visiva residua, la percezione del contrasto cromatico e il campo visivo residuo; inoltre sono fattori altrettanto rilevanti le capacità motorie possedute, gli ausili acustici e gli strumenti compensatori presenti nell'ambiente. E' evidente quindi come siano differenti le difficoltà di un ipovedente, di un non vedente acquisito o di un non vedente congenito.

La percezione visiva dell’ipovedente è spesso influenzata da un’ampia serie di fattori fisiologici e ambientali, quali la pressione endooculare, i difetti di rifrazione, la luminosità, ecc., che, a seconda della patologia e talvolta del suo trattamento in corso, possono subire variazioni importanti anche nell’arco della stessa giornata, determinando instabilità e privando la persona di sicurezza. Nonostante queste problematiche, gli ipovedenti, grazie ad un residuo visivo, sono facilitati nell’acquisizione dell’autonomia rispetto a chi presenta cecità totale, soprattutto se insorta nei primi mesi di vita. La disabilità visiva totale, congenita o insorta precocemente, ha infatti ripercussioni a diversi livelli. Innanzitutto ha implicazioni sull'elaborazione cognitiva dello spazio: l’individuo è meno motivato all’esplorazione dell’ambiente e presenta dei ritardi in alcuni settori dello sviluppo cognitivo e nello sviluppo senso-motorio, con conseguenti difficoltà di orientamento spaziale e quindi nell'acquisizione dell'autonomia. 21

La rappresentazione dello spazio di un cieco congenito è in diretta relazione agli stimoli provenienti dall'udito, dall'olfatto, dalla percezione aptica. La sintesi degli input che raggiungono i recettori tattili, acustici, cinestesici, olfattivi, crea una rappresentazione mentale utile al riconoscimento della grandezza del luogo, degli ostacoli presenti e delle distanze. Gli schemi spaziali degli ipovedenti e dei ciechi acquisiti sono influenzati invece dal residuo visivo o dall'esperienza visiva posseduta. Nei minorati della vista, soprattutto in coloro i quali sono non vedenti dalla nascita, il deficit sensoriale ha una influenza diretta nella capacità di espressione e comunicazione non verbale. Si ha difficoltà nel far coincidere espressioni facciali o gesti ai contesti sociali e per tal motivo è fondamentale sin da piccoli rendere possibile un confronto diretto fra quanto detto e quanto analizzato col tatto e con i sensi vicarianti. Inoltre tutte le difficoltà legate alla disabilità visiva vanno affrontate stimolando e favorendo l'acquisizione dell'autonomia con gradualità, permettendo l'abbattimento delle barriere architettoniche ambientali e dei preconcetti.

21 tratto da http://lab.crd.marche.it/index.php?option=com_content&view=article&id=128:i-deficit-visivi-

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Autonomia e indipendenza sono due concetti che se adeguatamente stimolati permettono di superare alcuni limiti legati al deficit visivo; infatti i ciechi possono presentare una scarsa autostima e poca consapevolezza delle loro risorse. I non vedenti acquisiti, vedendosi ridotte le proprie capacità e l'autonomia a cui erano abituati, tendono a percepirsi come incapaci riducendo così la loro autostima; così come gli ipovedenti se da un lato si ritengono abili e capaci a ricevere gli input visivi, di contro subiscono degli sbalzi d'umore notevoli che li rendono insicuri.

IMPLICAZIONI NEGLI SCHEMI MOTORI E NELLA VITA DI RELAZIONE

Un cieco o un ipovedente per integrarsi a pieno e vivere le relazioni sociali deve sviluppare ed accrescere in sé un processo di adattamento che gli permette l'esaltazione dei sensi vicarianti utili a fronteggiare le diverse situazioni che l'ambiente che lo circonda gli propone. Questo è quello che la tiflopedagogia definisce con il termine "normalizzazione" ovvero la rimozione degli effetti secondari della cecità. Essa si attua gradualmente e conduce l'individuo a regolare il proprio modo di fare, il proprio comportamento, le proprie risposte agli stimoli esterni. Ma questa capacità, unita al saper contrarre e mantenere rapporti interpersonali, a saper interagire con gli altri e particolarmente con coloro che vedono, è strettamente connessa con una buona educazione motoria. Essa infatti esaltando le funzioni di corpo e mente riveste un ruolo basilare per lo sviluppo della personalità e pone i presupposti affinché un soggetto possa ben relazionarsi con l'ambiente. In particolare l'educazione motoria deve prevedere tutti quegli esercizi pratici e tutte quelle conoscenze ed attività volte allo sviluppo delle capacità residue e all'esaltazione dell'utilizzo dei sensi vicarianti della vista (tatto, udito, olfatto, sensazioni aptiche, termiche e propriocezione muscolare) oltre che esercizi utili al miglioramento della postura, della deambulazione e della capacità di escursione articolare. Un efficace intervento educativo mira innanzitutto alla conoscenza delle parti del proprio corpo, all'utilizzo che si fa di esso, alla rappresentazione immaginativa del proprio corpo ed al riconoscimento dei vari segmenti corporei su altri soggetti oltre che all'orientamento nello spazio. 22

La cecità o l'ipovisione implicano difficoltà nel mantenimento dell'equilibrio in posizione statica e dinamica, compromettono la capacità di coordinazione motoria generale, di coordinazione fine, bimanuale e braccia - gambe. La lateralizzazione può non essere ben sviluppata (distinzione fra destra e sinistra non molto chiara) e il tono muscolare può presentarsi ipotonico o ipertonico, con conseguente debolezza e rigidità articolare. Proprio a causa di scarsa mobilità articolare, le principali articolazioni quali quelle del polso e della spalla, dell'anca e della caviglia possono presentarsi in una condizione di anchilosi e indurre difficoltà nei movimenti di flesso - estensione, adduzione - abduzione e rotazione. La deambulazione risulta essere incerta, costituita da piccoli passi e poco armonica, con i movimenti degli arti superiori che non si coordinano a quelli degli arti inferiori. Tipico degli ipovedenti è l'andatura oscillatoria con allargamento del piano podalico d'appoggio, col capo proiettato in avanti e con accentuazione della cifosi toracica nel tentativo di ampliare il campo visivo. Si ha una notevole difficoltà nel mantenere l'equilibrio monopodalico e nel percepirsi stabili e in equilibrio in posizione eretta. Nella maggior

22 tratto da L'EDUCAZIONE MOTORIA DEI MINORATI DELLA VISTA, il gioco e lo sport - Michele Alliegro,

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parte dei casi ciò è dovuto anche ad uno scarso trofismo della muscolatura della cintura pelvica. La carente tenuta addominale unita ad atteggiamenti posturali errati sono legati alla ridotta percezione del proprio corpo nello spazio. Per tale motivo se bene educati il senso anemestesico o dell'aria in movimento e la percezione aptica saranno strumenti compensativi utili, sia per migliorare l'orientamento, sia per l'acquisizione di una maggiore sicurezza e stabilità. I disturbi posturali e le difficoltà nella deambulazione dovute alla errata dinamica del passo sono alla base dell'insorgenza di paramorfismi che compromettono l'immagine e l'aspetto del soggetto. La minorazione visiva comporta difficoltà nella percezione sensoriale sia a causa delle difficoltà motorie e di orientamento sia per fattori legati al deficit visivo quali ansia, paura del vuoto e degli ostacoli. Queste implicazioni sono correlate alla vita relazionale del non vedente e dell'ipovedente. In tal senso infondere sicurezza e consapevolezza delle proprie risorse, analizzare i propri limiti ed acquisire fiducia negli altri e in sé permetteranno di ridurre le frustrazioni.

Le capacità relazionali del minorato della vista sono strettamente connesse, così come avviene per i vedenti, ai vissuti dell'infanzia e ai rapporti con le figure genitoriali, in particolare con la madre. Come sostiene la Dott.ssa Olimpia Caropreso: "...L'assenza di un dialogo visivo tra madre e bambino può determinare, fin dalle prime settimane di vita, difficoltà relazionali, che in rapporto a diverse variabili quali la gravità della diagnosi e la modalità di comunicazione della stessa ma anche la capacità dei genitori di elaborare l'esperienza traumatica della diagnosi, nonché la capacità di contenimento emozionale della madre, possono sfociare in quadri di sofferenza psicologica diversi. In alcuni casi la difficoltà ad instaurare precocemente col figlio quel dialogo visivo che tanto naturalmente accompagna e sostiene i processi di accudimento, determina nella madre una difficoltà di comunicazione empatica a cui il bambino risponde con un atteggiamento di ritiro che, nei casi più gravi, può sembrare di tipo autistico. In altri casi la madre può assumere precocemente atteggiamenti inglobanti di iperprotezione che rischiano di chiudere il bambino in una relazione simbiotica privandolo di quello spazio relazionale necessario per strutturare il proprio Io. Da ciò deriva una difficoltà di individuazione e separazione psicologica che andrà a sommarsi a quella della differenziazione del sé più strettamente legata alla disabilità visiva. Al di là delle due condizioni appena descritte che, in assenza di un intervento tempestivo ed adeguato, possono evolvere verso quadri di vera e propria psicosi, l'assenza dell'esperienza del rispecchiamento può compromettere la capacità di attaccamento del bambino e costituire, in ogni caso, una condizione di svantaggio nella costruzione del sé..." 23. La frequente insicurezza e il senso di impotenza nel padroneggiare la realtà circostante portano l'ipovedente ad avere atteggiamenti di rinuncia, scarsa adattabilità alle situazioni oltre che vulnerabilità e atteggiamenti di vittimismo nella ricerca della compassione da parte degli altri. I ciechi oltre al senso di insicurezza manifestano atteggiamenti di passività, tendenza all'isolamento, fuga dalle relazioni e accentuata pigrizia.

Quanto detto precedentemente fa capire l'importanza di una azione educativa quanto più tempestiva possibile che permetta di recuperare la fisicità e le capacità comunicative del

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corpo. Sono proprio gli strumenti educativi utilizzati a rendere possibile la piena integrazione sociale e a migliorare il vissuto dei minorati della vista.

NON VEDENTI CONGENITI, NON VEDENTI ACQUISITI E IPOVEDENTI

Quanto detto precedentemente fa comprendere che la possibilità di sfruttare un residuo visivo, di avere delle esperienze motorie pregresse o di aver ricevuto una educazione sensoriale sin dai primi anni di vita hanno delle ripercussioni nell'utilizzo del corpo nei vari contesti sociali. I minorati della vista si distinguono per l'acutezza visiva, misurata in decimi, ma anche per il campo visivo, misurato in gradi. Quest'ultimo è il "raggio d'azione" dell’occhio che consente di percepire gli oggetti che si trovano lateralmente, sopra o sotto un punto fissato in avanti. Molte patologie portano proprio ad una riduzione del campo visivo e inducono la persona a gravi difficoltà di orientamento e a scarsa percezione degli ostacoli che lo circondano. Fra gli ipovedenti pertanto si distinguono coloro i quali possiedono una ipovisione centrale e periferica. Inoltre analizzandone il profilo psicologico evince che sono spesso soggetti fragili che hanno bisogno di aiuto, sia sul piano psicologico che su quello sociale e che vanno sostenuti continuamente per esaltare l'impegno e la motivazione che loro stessi riescono a mettere in ciò che fanno.

“Se l’handicap visivo è insorto improvvisamente, per un certo periodo di tempo tutto ruota attorno all’evento ed allo choc prodotto dall’esperienza vissuta. Se la capacità visiva viene meno lentamente, la persona vive con una minaccia sempre incombente. Chi invece ha un handicap visivo fin dalla nascita o dalla prima infanzia, sa che ci sono cose che gli altri possiedono, ma che lui o lei non potrà mai avere. Nonostante tutte le differenze di durata ed intensità di un handicap visivo, ci sono comunque delle analogie nel vissuto individuale: tutti sono consapevoli di aver perso qualcosa e quella perdita può essere elaborata soltanto passo passo per essere infine integrata nella personalità”. 24

Spesso le differenze fra non vedenti e ipovedenti si rispecchiano in atteggiamenti sociali e nel fatto che entrambi sentono forte la lotta per l'abbattimento delle barriere ma allo stesso tempo richiedono delle attenzioni in determinate circostanze. In particolare l'ipovedente si trova continuamente dibattuto tra il sentirsi considerato come un vedente per la sua capacità visiva residua e il ricevere le attenzioni per la sua condizione di disabilità. Fra i non vedenti differenze di atteggiamento si notano fra chi lo è dalla nascita, il quale è più facilmente spinto ad integrarsi e all'autonomia, e chi invece ha perso progressivamente la vista o in seguito ad un trauma. Anche nella pratica motoria e sportiva l'approccio è differente. L'ipovedente credendosi più in grado di fare del cieco spesso corre il rischio di azzardare troppo con delle conseguenti ripercussioni sulla sua autostima; il non vedente acquisito tentenna prima di iniziare una pratica motoria o sportiva per paura di farsi del male; il non vedente congenito si appresta molto di più all'apprendimento attraverso l'esperienza tattile e cinestesica. L'obiettivo principale di una buona pratica motoria per il minorato della vista sarà quello di consentirgli di fare delle esperienze di vissuto corporeo controllate e tali da permettere il recupero della normalità nelle azioni quotidiane e di restituire momenti di benessere alleggerendo i disagi causati dall'handicap.

24 estratto da : Renata Martinoni, "Aspetti psicologici dell'handicap visivo", in Giornale Retina Suisse n.2-

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CAPITOLO 4

Gli esercizi di Rieducazione Funzionale: gli strumenti utilizzati

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