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La self-presentation, ovvero la presentazione che il soggetto realizza del proprio sé per proporsi agli altri, si configura come un discorso multidisciplinare e complesso che, in questa sede, verrà accennato in qualità di supporto al sostrato teorico costruito in funzione della ricerca empirica.

Com’è noto, nell’interazione con gli altri, vengono svelate continuamente, e più o meno volontariamente, parti del proprio sé nell’ottica di comunicarsi agli altri e di aderire alle implicite norme situazionali imposte.

Erving Goffman, ne La vita quotidiana come rappresentazione, teorizza per primo la presentazione del sé ricorrendo alla celebre metafora del teatro: nella vita quotidiana i soggetti, esattamente come gli attori sul palcoscenico, recitano una parte scegliendo, di volta di volta, cosa comunicare e cosa tacere, cosa svelare di sé e cosa nascondere138 (Goffman 1969).

Il sociologo sposta quindi l’analisi identitaria sul piano drammaturgico ed evidenzia la necessità comune di gestire i codici sociali appropriati nei diversi momenti di interazione per presentare se stessi come soggetti che possiedono talune qualità desiderabili e per dimostrare agli altri il proprio apprezzamento nei loro confronti.

138 Per Erving Goffman, infatti, il self non è un’entità autonoma e creativa, né l’espressione di

un individuo dotato di un’identità più o meno stabile nel tempo, ma un artificio drammaturgico, un effetto di struttura.

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A sintetizzare questi aspetti è la faccia, così descritta da Erving Goffaman (Goffman 1969:8):

Il valore sociale positivo che una persona rivendica per se stessa mediante la linea che gli altri riterranno che egli abbia assunto durante un contatto particolare. Per faccia si intende quindi un’immagine di se stessi, delineata in termini di attributi sociali positivi; un’immagine, tuttavia, che gli altri possono condividere, come avviene quando una persona conferisce prestigio alla propria professione o religione comportandosi in modo da ricevere l’approvazione degli altri.

La faccia sviluppa allora la dimensione espressiva della compresenza e diviene emblema della presentazione del sé poiché svela i due tratti distintivi della self- presentation: da un lato l’aspetto relazionale evidente nella necessità di riconoscimento e accettazione da parte degli altri; dall’altro quello di costruzione sociale, nel suo stretto legame con l’elemento situazionale e di contesto.

Insite nel concetto del Sé sono, inoltre, anche le cosiddette immagini ipotetiche di se stessi, ossia quelle immagini che si desidera realizzare o evitare; secondo le ricercatrici Hazel Markus e Paula Nurius (1986) i Sé possibili rappresentano le idee degli individui riguardo a ciò che possono diventare, che potrebbero diventare o che temono di diventare. In riferimento a ciò, E. Tory Higginns teorizza i tre aspetti fondamentali nella rappresentazione di sé di un individuo, definendoli come Sé reale (come sono), Sé ideale (come vorrei essere) e Sé normativo (come dovrei essere): in base alle discrepanze o analogie esistenti tra questi diversi stati, gli esiti comportamentali e di manifestazione del sé saranno differenti (Higgins 1987).

Anche all’interno di Facebook la costruzione e la presentazione del proprio sé giocano un ruolo centrale; non a caso la prima azione richiesta dal Social Network all’utente è quella di condividere la propria identità (Ippolita 2012). Al di là della questione dell’oversharing ben descritta da Ben Agger come l'eccesso di contenuti personali condivisi con gli altri sui profili sociali (Agger 2012), si

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evidenzia fin da subito quel confronto necessario e continuo con se stessi e con l’altro, che nelle dinamiche online assume toni ancora più marcati.

Da un lato è la struttura stessa della piattaforma a garantire e perpetrare questa interazione costante io/io e io/tu, in cui la messa in scena di se stessi, la narrazione, la manutenzione e la propaganda di sé in relazione al proprio pubblico di riferimento diventa il cuore pulsante dello stare in Facebook: è quanto sintetizzato da Zizi Papacharissi con l’espressione networked self per indicare un sé sempre connesso a una rete di contatti sociali che fungono da pubblico a cui mostrarsi, ma anche da capitale sociale sul quale far leva (Papacharissi 2010). Sempre Zizi Papacharissi evidenzia a tale proposito come le affordance di Facebook consentano un continuo storytellling della propria identità (Paparachissi 2012), ovvero un perenne rimaneggiamento in termini sia discorsivi che fotografici di chi si è e, soprattutto, di come ci si vuole palesare agli atri. In altre parole, in Facebook, è più semplice far combaciare il Sé reale, il Sé ideale e il Sé normativo di cui sopra.

La self presentation evidenzia una nuova tecnologia del sé, ovvero un nuovo processo di elaborazione della soggettività legata all’immaginario di un certo ordine del discorso e dunque, insieme ai casi più evidenti di self-branding, cioè di creazione della propria identità finalizzata alla promozione per scopi economici ad ampio raggio di se stessi e ai numerosi esempi di microcelebrities, ossia di tecniche di presentazione del sé nelle quali i soggetti vedono e propongono se stessi come fossero un personaggio pubblico, ciò che ne scaturisce prioritarimente è il tentativo di costruzione di un edited-self progettato dagli utenti in un’ottica di autogoverno di se stessi, sfruttando le possibilità offerte dal Social Network e rispondenti ai bisogni scaturenti al suo interno (Marwick 2015).

Su un secondo fronte, bisogna poi considerare la continuità online/offline e, quindi, la necessità di propagare anche all’interno di Facebook l’immagine che di sé si cerca di dare anche fuori dalla rete. È certamente vero che sul proprio profilo si proverà a nascondere ciò che non è presentabile o confessabile e che, come in un gioco di specchi, l’immagine che si desidera vedere e far vedere miri a suscitare piacere e non commiserazione (Ippolita 2012), ma è altresì asseribile che l’identificazione tra il soggetto e il suo comportamento online e, dunque, la

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condivisione di oggetti digitali che compongono identità virtuali, non è scevra dalle logiche comportamentali proprie della piattaforma, non scritte ma imperanti al suo interno139.

Anche Quentin Jones (Jones 1997) evidenzia come in rete si sia impegnati, esattamente come accade nella vita reale, nella presentazione di se stessi di fronte agli altri; il sé dell’individuo può palesarsi in tre modi, che lo studioso riconosce nel Self, ovvero la persona inserita nella realtà fisica che sta di fronte al computer; il Metaself, cioè la presentazione del self online relativo a come questo venga percepito dagli altri utilizzatori; il Metafictional Self, ossia la manifestazione di una parte dell’ego all’interno di un ambiente caratterizzato dalla meta-finzione costruito coscientemente come alternativa al Metaself entro i confini della realtà conversazionale del mondo virtuale.

La self-presentation in Facebook rappresenta, quindi, un chiaro esempio di attuazione di una progettualità più consapevole nella costruzione riflessiva del self (Giddens, 2001), che assume sfaccettature differenti da persona a persona come emergerà chiaramente in sede di analisi.

113 Capitolo 5

IMMAGINI DEL CORPO E SELF-PRESENTATION: L’INDAGINE SUL CAMPO