2.1 Breve excursus sulla storia della fotografia
2.1.1 Gli effetti fotografici nell’era digitale: tecnicismi e riflessioni
Di seguito si procede a una breve disamina delle caratteristiche tecniche della fotografia digitale, per passare successivamente alla messa in luce delle modificazioni che l’avvento della stessa ha generato sul piano sociale.
Al termine del secolo scorso, i crescenti progressi nel campo dell’elettronica portarono alla nascita della fotografia digitale. Elemento fondamentale di ogni apparecchio fotografico digitale è il sensore67, la cui funzione nella fotografia
digitale è essenzialmente analoga a quella della pellicola nella fotografia tradizionale, ovvero di catturare l’immagine e trasformarla in un segnale elettrico di tipo analogico68.
Non è sorprendente che il sensore rivesta un ruolo di primissima importanza nel determinare la qualità dell’immagine risultante, che a sua volta dipende da molti fattori:
La risoluzione totale del sensore, ovvero il numero di milioni di pixel totali;69
67 Il sensore è un dispositivo elettronico fotosensibile costituito da una matrice di fotodiodi, in grado di trasformare un segnale luminoso in un segnale elettrico. Questo può essere realizzato secondo due tipi di tecnologia differenti, nello specifico denominate CCD (Charge Coupled Device) e CMOS (Complementary Metal Oxide Semiconductor).
68 Come evidenziato da Beaumont Newhall ne L’immagine latente, gli impulsi elettrici vengono convertiti in digitale da un convertitore A/D, con modalità che variano leggermente a seconda della tecnologia del sensore. Il risultato è un flusso di dati digitali, atti ad essere immagazzinati in vari formati su supporti di memoria. Cfr. Con Beaumont Newhall, L’immagine latente, Zanichelli, Bologna 1969.
69 Per pixel si intende la più piccola porzione dell’immagine che la fotocamera è in grado di
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La qualità delle ottiche: distorsione (aberrazione sferica), luminosità, aberrazione cromatica, etc.;
La tecnologia del sensore: CMOS o CCD, dai quali dipende ampiezza della gamma dinamica delle immagini catturate;
Il formato di cattura: numero di pixel, formato di memorizzazione (Raw, TIFF, JPEG, ...);
Il sistema di elaborazione interno: memoria di buffer, algoritmi di elaborazione immagine, etc.
Il primo prototipo di fotocamera digitale fu prodotto nel 1975 su idea di Steven Sasson, un ingegnere della Kodak. Da allora si è verificato uno sviluppo molto rapido, parallelamente alle continue migliorie nella tecnologia elettronica, che ha portato alla disponibilità sul mercato di apparecchi fotografici di altissimo livello da parte di tutte le grandi case produttrici (Newhall 1984: 403).
L’evoluzione tecnologica ha condotto alla generazione di molteplici apparecchi digitali in grado di riprodurre, più o meno fedelmente, la realtà e responsabili dell’ineluttabile consacrazione di una nuova idea e di un nuovo senso di fotografia.
Da un lato il riprodursi degli strumenti in grado di generare foto ha reso questa pratica sempre esercitabile in termini di tempo, spazio e costi; dall’altro, sebbene la professione del fotografo continui a permanere, ciascuno di noi, sfruttando la strumentazione disponibile nel mare magnum della new technology, può assurgere a questo ruolo, in maniera più o meno professionale, più o meno esperta, più o meno ludica.
Il processo di digitalizzazione che ha coinvolto anche la fotografia non sottrae dal continuare a condurre un’analisi critica su di essa.
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Un disconoscimento totale, infatti, delle riflessioni teoriche che da sempre accompagnano la pratica fotografica non metterebbe a tacere le questioni scaturenti dalla stessa, nemmeno se a essere al centro della diatriba è la fotografia digitale70.
In altre parole, sarebbe necessario delucidare quali modifiche e cambiamenti lo sviluppo delle tecnologie digitali, qui, nello specifico, la fotografia, hanno generato, andando a indagare la necessità di superamento del cosiddetto determinismo tecnologico, a partire dal quale mettere in evidenza le novità di tipo tecnico a cui la digitalizzazione fotografica ha condotto e, successivamente, porre in rilievo i cambiamenti relazionali e comportamentali che ne sono derivati, in un’ottica di modellamento sociale delle tecnologie71;ancora più utile,
sarebbe che poi, tali argomentazioni non rimanessero sconosciuti ai più ma divenissero, quantomeno nella loro forma più immediata e semplice, patrimonio comune a tutti; ognuno dovrebbe essere consapevole, cioè, che esistono molteplici spazi discorsivi all’interno dei quali la fotografia, indipendentemente dalla sua forma d’espressione tradizionale o digitale, continua a muoversi. È questo l’argomento su cui insiste particolarmente Rosalind Krauss, sottolineando come l’archiviazione della pratica fotografica all’interno di categorie predeterminate non consenta di svilupparne e comprenderne il valore ultimo e autentico (Krauss 1996).
Il medesimo monito è quello che dovrebbe accompagnare chiunque si approcci all’arte fotografica: anche se è vero che l’acquisizione di competenze tecniche e conoscitive rimane circoscritta a una residua élite di soggetti, altrettanto veritiero è asserire che pressoché tutti sono capaci di realizzare una foto, qualsiasi sia l’uso che di questa verrà fatto.
Si potrebbe parlare di democratizzazione del fenomeno ma quello di volgarizzazione sarebbe altrettanto adatto.
70 Anche Elio Grazioli, nella Prefazione a Teoria e storia della fotografia, sottolinea come la
questione sull’originalità, sulla bellezza, sull’autoralità della pratica fotografica, restino interrogativi sempre aperti. Il passaggio al formato digitale non ci sottrae, dunque, dall’affrontare le questioni che la fotografia, anche digitale, continua a suscitare. Per approfondire vedi Elio Grazioli, Prefazione a Teoria e storia della fotografia, Mondadori, Milano 1996.
71 Cfr. Giovanni Boccia Artieri, Stati di connessione. Pubblici, cittadini e consumatori nella
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L’espansione della pratica fotografica, infatti, e il congiunto esercizio della stessa da parte di un gruppo sempre più esteso di soggetti, non è stato pressoché per nulla accompagnato da una comprensione del significato fotografico; se quasi paradossalmente si è assistito a un incremento delle vendite di apparecchi fotografici sempre più sofisticati da parte di non-professionisti e i corsi di fotografia, per l’acquisizione dei segreti tecnici per la realizzazione delle foto, riscuotono grande successo, alla riflessione sul senso della fotografia, ai discorsi dalla stessa veicolati, alle coordinante di riferimento nelle quali la medesima si dispiega è lasciato uno spazio ben più ridotto e benché non si possa dire che manchi una sua tematizzazione sociale72, sembra che tali riflessioni non
prendano piede tra i nuovi produttori di materiale fotografico.
Infatti, nonostante la fotografia sia onnipresente, le argomentazioni intorno a quegli spazi discorsivi di cui poco fa si è detto dovrebbero trovare maggiore esplicitazione cosicché, sia nella foto scattata dall’autovelox, sia in quella che ritrae la famiglia al completo, i soggetti fruitori possano quantomeno individuare il nesso rappresentazione/realtà proprio di ogni raffigurazione iconica.
In altre parole, quel potere che David Freedberg riconosce puntualmente alle immagini, deve essere esteso senza interruzioni anche alle fotografie, che nel loro formato digitale, ci chiamano ancora di più ad attivare quel processo di mediazione tra reazione immediata di fronte all’immagine e ricerca profonda nel nostro mondo interiore da una parte; accettazione dei formalismi e degli storicismi73, così li definisce ancora l’accademico, dall’altra (Freedberg 2009)
L’evoluzione tecnologica non ci esime, quindi, da questo tipo di confronto. In effetti, un miglioramento tecnologico della pratica fotografica rimarrà del tutto autoreferenziale se non sarà accompagnato dall’esplicitazione dei nuovi significati che, nell’era del digitale, l’arte fotografica continua a trasmettere. Se non si prende pienamente coscienza del fenomeno che si ha di fronte, il rischio è quello, insomma, di dare concretizzazione a ciò che Günther Anders sostiene più genericamente a proposito del rapporto tra uomo e prodotti della
72 Cfr. Pierre Bourdieu, La fotografia. Usi e funzioni sociali di un’arte media, Guaraldi, Rimini
2004.
73 David Freedberg intende con queste due espressioni che l’esercizio della pratica fotografica
non può prescindere dalla conoscenza dei passaggi storici che la fotografia ha attraversato e di quelle regole formali che la decodificano.
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tecnica; di fronte alle tecnologie da lui stesso generate, l’essere umano prende coscienza della sua inferiorità e della sua limitatezza rispetto alla perfezione della macchina, finendo con l’essere dominato da ciò che lui stesso ha prodotto. Questo perché, continua Günther Anders, sarebbe del tutto illusorio credere che l’efficacia e l’azione degli strumenti tecnologici siano legate esclusivamente allo scopo per cui essi vengono utilizzati; la loro forza dirompente si manifesta a prescindere dall’assegnazione data loro ad libitum scopi.
Qualora tale meccanismo non venga compreso, nel caso in cui il soggetto non avverta lo scarto tra la sua limitata capacità di previsione e interpretazione delle ricadute dei processi tecnologici e l’assunzione di responsabilità sugli stessi, il rischio è quello di una totale ininfluenza dell’uomo su ciò che in prima persona ha generato (Anders 2003).
Il monito del filosofo assume grande rilievo in relazione all’universo della pratica fotografica.
Quando si entra in un museo o si visita una mostra, quando quello che c’è da vedere appare troppo, per la legge della sovrabbondanza, ogni singolo elemento non solo sarà oggetto di un’osservazione più fugace, ma la probabilità che attiri l’attenzione diminuirà notevolmente rispetto alla situazione in cui le opere esposte fossero state di numero inferiore; se a questo si aggiunge una non conoscenza o competenza di ciò che viene osservato, il risultato è che si potrà acquisire qualche informazione, scoprire qualcosa di cui prima si ignorava l’esistenza, provare emozioni, ma tutto finirà con l’esaurirsi all’interno di un percorso autoreferenziale e tautologico74.
Ciò accade, in egual modo, in relazione al nostro rapporto con l’universo fotografico che, come asserisce Susan Sontang «altera e amplia le nostre nozioni di ciò che val la pena guardare e di ciò che abbiamo il diritto di osservare» (Sontang 2004: 3).
Ogni giorno, infatti, si è subissati da una miriade di immagini fotografiche, filtrate attraverso canali differenti come la televisione, il cinema, i videoclip musicali, le riviste, i cartelloni pubblicitari e i Social Network.
Nella rete sociale dell’universo virtuale il processo autocelebrativo della pratica fotografica ha raggiunto il suo culmine, non solo per l’ampio spazio che a essa
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viene destinato ma, soprattutto, per il significativo investimento simbolico che su di essa si riversa75.
Proprio nella sovrabbondanza fotografica che caratterizza i Social Network si delinea, però, chiaramente quel processo di sfruttamento poco critico e per lo più inconsapevole del materiale fotografico: gli utenti, infatti, produttori e fruitori di fotografie, molte volte dimenticano che viene ben evidenziato da Walter Benjamin (Benjamin 2011: 16):
La natura che parla all’apparecchio fotografico è diversa infatti da quella che parla all’occhio; diversa soprattutto perché, al posto di uno spazio elaborato consapevolmente dall’uomo, ne compare uno elaborato inconsciamente.
In questo fallace esercizio della pratica fotografica, la digitalizzazione ha avuto un ruolo tutt’altro che secondario, in relazione, nello specifico, a due aspetti salienti ravvisabili nella manipolazione del materiale fotografico da una parte, e nella facilità di diffusione dello stesso dall’altra.
Mentre delle conseguenze socio-relazionali dei due fenomeni ci si occuperà in seguito, si vuole qui fornire un accenno di tipo tecnico-funzionale relativo proprio a questi aspetti.
Per quanto concerne la manipolazione, appare evidente che esistono oggi moltissimi programmi per computer, più o meno complessi e professionali, attraverso i quali è possibile modificare le fotografie, primo fra tutti Photoshop (Poli 2006).
Attraverso una strumentazione di questo tipo è possibile migliorare la qualità delle fotografie, eliminare difetti fotografici e creare veri e propri fotomontaggi, sconvolgere completamente il senso primo del lucido fotografico attraverso trasformazioni che ne alterano totalmente le caratteristiche originarie. La possibilità di continua manipolazione, qualitativa (sistemi di ritocco multipli) e quantitativa (accessibilità iper estesa di accedere al mezzo fotografico) dell’immagine fotografica ha messo in crisi la veridicità del mezzo fotografico in quanto tale e ha determinato la sostituzione dell’idea di autenticità con quella
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di credibilità (Schiaffini 2015); efficace l’espressione di Michele Smargiassi che parla, a riguardo, di autentica bugia (Smargiassi 2009).
È inoltre la stessa macchina fotografica digitale a offrire una vasta gamma di possibili modalità di realizzazione dello scatto e di immediata modifica dello stesso; si tenga conto che con queste moderne apparecchiature, infatti, il risultato può essere subito visionato, nei minimi dettagli (Poli 2006).
L’imminente conseguenza che si ravvisa su questo fronte è la demarcazione del potere del soggetto nel dare il proprio contributo alla fotografia, di imprimere la propria impronta sul prodotto fotografico.
Ciò, non solo rende maggiormente controllabile il risultato ottenuto ma lo scardina ancora di più da quel giogo di veridicità, tipico della fotografia, di cui si parlerà approfonditamente in seguito, poiché la possibilità di modifica è sempre immanente, così come il soddisfacimento di quei modelli teorici a cui, grazie alle molteplici tipologie di formattazioni presenti, sembra più semplice arrivare.
Il tutto è accompagnato, come si diceva, da un’ampia diffusione della pratica: da un lato scattare una fotografia è cosa alla portata di tutti e lo è ancora di più se, una volta sostenuto il costo per l’acquisto dell’apparecchio, lo scatto non incide più sul budget degli improvvisati fotografi; dall’altro scattare diventa un gioco a tutti gli effetti, una pratica ludica (Ivi).
Non è più necessario recarsi dal fotografo e, grazie alla convergenza delle piattaforme, è possibile, tanto velocemente come le si è realizzate, fare uscire le fotografie dalla propria sfera personale e porle in condivisione con altri76.
La diffusione del prodotto fotografico, dunque, è istantanea poiché viene azzerato il lasso temporale tra produzione e fruizione e viene meno la mediazione di un terzo soggetto esterno; in questo modo viene facilitata anche la divulgazione dei dati degli utenti, perciò se la condivisione e la pubblicazione del materiale fotografico non sono accompagnate da senso critico e conoscenza, la libertà individuale attiva in questo senso produce una democrazia illusoria che non si traduce in responsabilità individuale (Berger, Mohr 1982).
76 Paolo Poli fornisce un’attenta disamina delle procedure di input e output correlate al discorso
fotografico digitale. Per approfondire si rimanda a Paolo Poli, Fotografia digitale. Guida completa, Apogeo, Milano 2006.
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Ed Kashi, famoso fotografo, ammette senza mezzi termini che le tecnologie digitali hanno modificato il modo di far fotografia sebbene non abbiano minimamente intaccato la fotografia stessa77.
Sono proprio i professionisti del settore, quindi, a vedere nella nuova strumentazione offerta non un pericolo di scostamento dal valore e dal senso originario del fotografare, bensì un nuovo insieme di opportunità che vengono offerte allo stesso e che possono contribuire a un suo migliore esplicamento. La fotografia rimane, da tale prospettiva, entità superiore rispetto al kit di apparecchiature e sofisticate tecnologie attraverso cui può esprimersi; essa è ovunque: intorno a noi come ambiente, attaccata a noi come estensione delle nostre facoltà fisiche e percettive e dentro di noi, come cornice di riferimento per la memoria, l’identità, gli affetti (Rubenstein, Sluis 2012).
La prolificazione di materiale fotografico che immortala continuamente l’istante (la cosiddetta attività di snapshot78) manifesta come l’evoluzione tecnologica
della fotografia sia accompagnata da una lato dal persistere dei tratti distintivi dell’esperienza fotografica canonica, e dall’altro dalla modulazione delle nuove opportunità offerte dai miglioramenti tecnologici stessi e dai cambiamenti sociali (D’Aloia 2016).
Nell’era digitale la fotografia rompe la barriera tra spazio pubblico e spazio privato, divenendo un “personal collective object” (D’Aloia 2016: 7) a tutti gli effetti, accompagnata dall’esperienza contestuale di dare e avere, catturare e diffondere, individualizzare e condividere, e incidendo sulla costruzione di nuove estetiche relazionali e del sé.