un’analisi empirica
5. Discussione e conclusioni
Il conseguimento di efficacia ed efficien-za, ma anche l’equità di accesso ai trattamen-ti per i pazientrattamen-ti, non può prescindere dalla possibilità che venga praticata una medicina quanto più vicina allo stato dell’arte in termi-ni di dispotermi-nibilità di know how, di competen-ze, di tecnologie e di procedure adottate. La possibilità di operare con modalità più vicine a quello che in un determinato momento
ri-sulta essere «lo stato dell’arte» della pratica medica è intimamente legata all’adesione all’approccio dell’evidence based medicine.
La decisione e la pratica clinica ispirata alle migliori evidenze disponibili, infatti, assicu-rano la riduzione della variabilità indeside-rata della pratica clinica identificando le mi-gliori e più appropriate modalità per affron-tare i singoli casi.
Il presente studio ha inteso esplorare quali fattori determinino la diffusione di informa-zione «evidence based» contribuendo alla comprensione delle determinanti dell’inno-vazione nella pratica medica. Per innovazio-ne si intende, in questo contesto, l’adozioinnovazio-ne di modalità di operare innovative (adozione di pratiche evidence-based).
La letteratura ha documentato che la dif-fusione dell’innovazione nella pratica me-dica dipende, oltre che da fattori ambientali e organizzativi rilevanti (tra gli altri, Short-ell et al., 2001; Waters et al., 2001), anche dall’interazione e dalla collaborazione tra i clinici (Coleman et al., 1966; Valente, Rog-ers, 1995; Valente, Davis, 1999; Burt, 1999).
Alla base dell’EBM vi è dunque una com-ponente sociale molto forte (Dopson et al.,
Network professionale Variabile dipendente
Beta † Significatività
Intercetta 0.0000
Adozione EBM 0.0228 ** 0.042
Età 0.0196 0.342
Genere 0.0175 * 0.090
Years since Graduation 0.0318 0.123
Specializzatione 0.2588 *** 0.000
Anzianità Ssn 0.0258 0.126
Anzianità Asl 0.0130 0.377
Ruolo manageriale – 0.0207 *** 0.000
Ospedale (affiliazione) 0.0545 *** 0.000
Dipar timento (affiliazione) 0.0819 *** 0.000
Numero pubblicazioni 0.0267 0.210
Co-authorship 0.0944 *** 0.000
Distanza geografica – 0.0377 *** 0.000
Osser vazioni - N diadi (N clinici) 42,642 (207)
Multiple R2 (Adj.) 0.237 (0.211)
p-value 0.000
Tabella 4
Stime MRQAP
Number of permutations: 5,000; † Standardized coefficients. *** p < 0.01. ** p < 0.05. * p < 0.10.
2000; Dopson, Fitzgerald, 2005) poiché il grado di adozione e implementazione delle evidenze nella pratica assistenziale dipende dalle complesse reti di relazionali professio-nali tra i clinici (Shortell, Rundall, 2003). Il presente studio si inserisce in questo dibatti-to andando a esplorare i) se e in quale misu-ra la configumisu-razione struttumisu-rale del network professionale del clinico indice sulla propen-sione individuale a utilizzare EBM per la cu-ra dei pazienti assistiti, e ii) se l’omofilia tcu-ra clinici è alla base della creazione di legami di collaborazione professionale.
I risultati del nostro studio mostrano la presenza di un «effetto network» nella spie-gazione della dinamica di diffusione della conoscenza e dell’innovazione in campo me-dico. Questo suggerisce che la conoscenza si diffonde per effetto di una disponibilità indi-viduale alla cooperazione e alla condivisione di conoscenze e pratiche, prerequisito fon-damentale per il miglioramento della pratica e, di conseguenza, dei risultati. I dati docu-mentano in particolare che l’effetto network funziona per network non eccessivamente
«densi» coerentemente con la teoria dei bu-chi strutturali (Burt, 1992; 1999). Se la rete diventa troppo ampia, ma soprattutto molto densa, si possono correre dei rischi. Il rischio è che le persone operanti in quella rete (es.
un gruppo, una équipe) inizino a fidarsi sem-pre più del proprio giudizio di «gruppo» che delle informazioni che provengono dal mon-do scientifico circostante. Sembrerebbe pos-sibile ipotizzare quello che nell’ambito de-gli studi di comportamento organizzativo è stato definito «group think». Per group think si intende quella situazione in cui la coesio-ne del gruppo tende a gecoesio-nerare effetti di in-fluenza reciproca così forti da far perdere di
«razionalità» alle decisioni del gruppo stesso (Janis, 1972; McCauley, 1989). In sostanza, quando alla «saggezza» del leader clinico si sostituisce la convinzione del gruppo e l’ef-ficienza di una routine consolidata, l’effetto network può essere quello di ridurre la pro-pensione del singolo a informare il proprio giudizio sulla base delle evidenze provenien-ti dalla comunità scienprovenien-tifica internazionale veicolato attraverso la letteratura. L’indivi-duo trova più conveniente fondare le decisio-ni sulla base di convinziodecisio-ni nate nel proprio ristretto contesto clinico e poste alla prova giornalmente in una routine consolidata. Gli
studi, d’altronde, se da un lato hanno mo-strato l’importanza del lavoro di gruppo per l’efficacia del lavoro medico (Edmondson, Bohmer, Pisano, 2001), dall’altro ci mettono in guardia dalle possibili distorsioni del fe-nomeno group think in questo contesto.
I risultati, allo stesso tempo, riconoscono l’esistenza di importanti fattori attributivi che spiegano la propensione dei singoli a instaurare legami collaborativi. In particola-re, l’analisi MRQAP ci ha permesso di do-cumentare che la propensione individuale a instaurare legami relazionali con altri clinici dipende dal grado di omofilia. Tale omofilia riguarda, tra le altre cose (genere, affiliazio-ne dipartimentale e strutturale, ecc.), anche la propensione ad adottare EBM nella prati-ca cliniprati-ca. I clinici, dunque, utilizzano l’uso dell’EBM come un fattore utile per la scelta dei «partner» in ambito medico.
Diverse sono le implicazioni per la pratica manageriale nelle organizzazioni sanitarie e nelle decisioni di politica sanitaria che posso-no derivare dall’interpretazione dei risultati dello studio. La prima riguarda le pratiche di progettazione organizzativa per gli ospedali.
L’evoluzione recente nei modelli organiz-zativi nei sistemi sanitari avanzati ha portato a sperimentare strutture formali a cui affida-re la affida-responsabilità della diffusione di pra-tiche evidence-based (prapra-tiche innovative) e il monitoraggio delle performance cliniche.
I modelli di governo clinico (Scally, Don-aldson, 1998) prevedono la creazione di re-sponsabilità specifiche nelle direzioni degli ospedali proprio a questi scopi. Oltre a que-sto, si è riconosciuta l’importanza del decen-tramento delle responsabilità per la gestione dell’assistenza e per l’assicurazione della qualità nell’ambito di strutture chiamate di-partimenti. Queste strutture sono chiamate a favorire la condivisione tra i clinici delle decisioni che riguardano il governo delle risorse e il governo dei processi di assisten-za. I dipartimenti sono la sede privilegiata per sviluppare i protocolli diagnostico tera-peutici, per l’audit clinico e per il controllo della qualità attraverso l’incoraggiamento del lavoro di gruppo e l’accettazione del si-stema della revisione tra pari (Braithwaite et al., 2006). Nella progettazione degli assetti organizzativi dipartimentali è certamente fondamentale identificare specifiche respon-sabilità interne per lo sviluppo di pratiche
in-novative, quali l’utilizzo di linee-guida e di evidenza scientifica per le decisioni cliniche.
Ma, aldilà dell’identificazione di funzioni formali, è altrettanto rilevante creare le con-dizioni organizzative affinché si sviluppino reti di collaborazione intradipartimentale (e poi interdipartimentale) tali da massimizzare l’interazione tra clinici, ponendo attenzione alla crescita eccessiva della densità nelle re-lazioni. Questo, in termini pratici, potrebbe risolversi attraverso modalità di accorpamen-to dei professionisti e delle unità operative cliniche (i c.d. reparti) in dipartimenti ospe-dalieri in cui siano presenti specializzazioni cliniche differenti, che siano obbligate – di fatto – a far riferimento, da un lato, alla rete interna (per massimizzare routine e processi) e, dall’altro, a reti professionali esterne cia-scuno per la propria specializzazione. Questi modelli organizzativi prevedono che le unità operative e i professionisti siano accorpa-ti raggruppando le competenze in relazione alle esigenze multidisciplinari di trattamento di pazienti «omogenei» in termini di proble-matiche cliniche (ad esempio, per «organo-apparato»). Questo tipo di disegno organiz-zativo assegna centralità alle problematiche dei pazienti, rispetto ai modelli che, basati sul criterio della «specializzazione clinica», creano strutture omogenee relativamente al-le competenze degli operatori e rispetto alal-le criticità di gestione delle «risorse guida», ca-ratteristiche del dipartimento stesso, come ad esempio le sale operatorie nel dipartimento chirurgico (Zanetti et al., 1996).
Una seconda implicazione riguarda i mec-canismi di valutazione dei professionisti previsti per i dirigenti medici del Ssn sia in sede di distribuzione delle quote variabili di salario che per il rinnovo delle posizioni. La letteratura precedente ha già mostrato chiara-mente la connessione esistente tra l’efficacia della pratica clinica sostenuta dall’approccio dell’EBM rispetto ai modelli decisionali più tradizionali (Sackett et al., 2000). Il nostro studio ha messo in evidenza una associazione tra propensione all’utilizzo dell’EBM (rite-nuta in questo caso comportamento innovati-vo) e la posizione assunta da parte dei clinici in una rete di collaborazione. In particola-re, una rete interpersonale caratterizzata da structural holes assicura maggiore disponi-bilità di informazione e favorisce l’adozione delle evidenze nella propria pratica clinica.
Al tempo stesso, però, lo studio ha mostrato i «rischi» di reti troppo dense che potrebbero generare fenomeni di group think. Quello di cui sembrerebbe esserci bisogno è certamen-te la presenza di reti coese che permettono ai clinici di realizzare una forte integrazione per l’assistenza e routine efficaci senza però, per questo, divenire «reti autoreferenziali».
Appare ragionevole prevedere valutazioni periodiche «esterne» dei dipartimenti (ex-ternal peer review) come già da tempo si suggerisce, in particolare per quelli ospeda-lieri accademici. La motivazione, in genere, è quella di avere valutazioni indipendenti e scientificamente robuste non legate al con-testo organizzativo. I risultati dello studio individuano una ulteriore motivazione per la pratica valutativa di parte terza, ovvero l’esi-genza di avere punti di vista di persone non soggette a possibili fenomeni di group think, che possono invece interessare reti dense e apparentemente efficaci.
In termini generali, i risultati dello studio restituiscono una visione della pratica pro-fessionale nella medicina che premia coloro che, da un lato, sono in grado di costruire am-pi ego network, ma che dall’altro canto, non entrando in network particolarmente densi e coesi, mantengono la propria indipendenza di giudizio che proviene dalla consolidata esperienza clinica affiancata da un utilizzo sapiente di tutte le informazioni veicolate attraverso la letteratura scientifica e dalla selezione accorta delle informazioni riferite da colleghi considerati prestigiosi (Valente, Davis, 1999).
In questo contesto, l’adozione autoriferita di pratiche cliniche evidence-based viene ri-tenuta di per sé una pratica innovativa. Rima-ne aperta la domanda dei possibili e diversi impatti dell’EBM sull’effettiva introduzione dell’innovazione in termini diagnostici e te-rapeutici in ambito clinico. La rigorosità del metodo EBM e la necessità di utilizzare solo pratiche di dimostrata efficacia potrebbero, secondo alcuni autori, rallentare l’adozione di modalità di cura innovative e modellate sui bisogni dei pazienti «reali» che differi-scono dai pazienti «ideali» dei trial clinici (Holmes, Murray, 2006).
Un punto di forza dello studio attiene al contesto organizzativo investigato, ovvero una Asl di grande dimensioni, che copre tutto il territorio della Provincia di Bologna
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Gli structural holes potrebbero, in effetti, essere «colmati» da relazioni non rilevate
con i professionisti di queste ultime Azien-de. Nonostante questi limiti, le caratteristi-che e la qualità dei dati raccolti in termini di compliance permettono di ipotizzare una buona estendibilità dei risultati ad analoghe realtà aziendali nel Ssn. Rimane, invece, li-mitata la generalizzabilità delle evidenze ad altri contesti sanitari.
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BIBLIOGRAFICHE
Carmine Clemente (a cura di)