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I primi studi clinici che valutarono l’efficacia dell’aspirato midollare nella guarigione delle pseudoartrosi risalgono ai primi anni novanta, tra cui si ricorda lo studio effettuato nel 1993 da Garg et al. in cui vennero trattati 20 casi di pseudoartrosi con iniezioni percutanee di aspirato midollare direttamente nel sito di frattura; si riscontrarono consolidamenti in 17 casi (85%) in un periodo di 5 mesi[51]. Un altro elemento determinante riguarda l’enorme variabilità dell’utilizzo delle terapie cellulari; in considerazione dell’enorme potenzialità biologica di queste terapie[52], negli ultimi anni sono state applicate in numerose tipologie di condizioni morbose ed inoltre, nell’ambito della stessa patologia, sono state impiegate in associazione a differenti strategie terapeutiche. Tutto ciò si è venuto a creare anche in relazione alla mancanza di linee guida e di evidenze che potessero permettere di restringere il campo di applicazione di queste terapie. Bisogna inoltre considerare la scarsa qualità degli studi clinici, spesso caratterizzati da un numero ristretto di pazienti considerati, da un breve follow up e dalla mancanza di controlli[53].

Nell’ambito del trattamento delle pseudoartrosi le MSC di origine midollare sono state impiegate in modo estremamente eterogeneo. Le MSC possono essere direttamente iniettate in sede dopo l’aspirazione midollare, oppure possono essere precedentemente concentrate o possono essere prima espanse in coltura. In letteratura l’utilizzo dell’aspirato midollare si ritrova per esempio nello studio condotto da Goel et al. in cui vennero trattati 20 pazienti con pseudoartrosi di tibia attraverso due iniezioni successive (3-5ml la prima e 15ml la seconda) di aspirato midollare direttamente nel sito di lesione. I risultati ottenuti furono rappresentati da una guarigione nel 75% (15 casi) dei casi trattati[54].

L’efficacia dell’aspirato midollare fu anche dimostrato da Connolly nel 1998, il quale revisionò 100 pazienti con diversi difetti ossei (ritardi di consolidazione, pseudoartrosi, artrodesi ecc.) trattati con aspirazione midollare nei quindici anni precedenti e notò una guarigione nel 80% dei casi[55].

In considerazione dei risultati ottenuti dall’utilizzo dell’aspirato midollare e da studi, come quello compiuto da Hernigou[56], che mostravano una correlazione tra la concentrazione di MSC e la guarigione delle pseudoartrosi, prese sempre più campo l’idea di aumentare la concentrazione delle MSC prima di iniettarle nel sito di pseudoartrosi. In questa direzione si aprì un dibattito tra i vari autori su quale metodica, tra la concentrazione midollare e l’espansione in coltura, potesse essere la più efficace. I risultati mostrarono una certa equità

tra le due tecniche, sebbene bisogna sempre tenere in considerazione la variabilità tra i vari studi e le loro limitazioni.

In letteratura alcuni tra gli studi che avvalorano l’impiego di MSC espanse nel trattamento delle pseudoartrosi possono essere lo studio di Giannotti et al. in cui si ebbe la guarigione completa di 8 casi di pseudoartrosi atrofiche dell’arto superiore in circa 6 mesi[57], oppure lo studio di Bajada et al. in cui si trattò con successo una pseudoartrosi di tibia, refrattaria a sei interventi chirurgici, con l’utilizzo di MSC espanse e uno scaffold di calcio solfato (CaSO4)[58].

Uno svantaggio di questa tecnica è rappresentata dalla necessità di effettuare due sedute operatorie, di cui la prima allo scopo di eseguire il prelievo delle MSC e la seconda per introdurre le cellule mesenchimali espanse. Inoltre questa metodica non è priva di rischi poiché si possono verificare contaminazioni batteriche, rischi xenogeni e trasformazioni cellulari[59]

La tecnica della concentrazione midollare invece risulta più semplice da eseguire e potenzialmente può essere completata in una sola seduta chirurgica. Nel nostro studio infatti, grazie all’utilizzo del Regenkit Extracell® BMC, il prelievo, la concentrazione e l’iniezione delle MSC avviene durante il medesimo intervento chirurgico.

Il più rilevante studio retrospettivo riguardo il concentrato midollare è stato effettuato da Hernigou et al. nel 2005, che esaminò 60 pazienti con pseudoartrosi atrofiche di tibia trattate con MSC concentrate. Riscontrò la guarigione nel 88,4% dei casi (53 casi). Notò inoltre una correlazione diretta tra il volume del callo mineralizzato e la concentrazione di Colony Forming Unit-Fibroblast (CFU-F) nel graft. I pazienti non guariti presentavano nel graft un numero di MSC < di 1000 per cm³ e per questo indicò questo valore come il minimo necessario affinché si possa ottenere la guarigione di una pseudoartrosi[56]. Riguardo quest’ultima affermazione però non tutti gli autori sono in accordo; Kitho et al. ipotizzarono che l’efficacia delle terapie cellulari doveva dipendere soprattutto dal grado di vascolarizzazione e di integrità dei tessuti molli circostanti piuttosto che dalla concentrazione delle MSC[60].

L’efficacia delle MSC iniettate nel sito di pseudoartrosi è influenzato da un numero elevato di fattori, tra cui l’età del paziente, il tipo di lesione, la vascolarizzazione, la quantità di perdita ossea ma anche la tipologia di intervento chirurgico effettuato.

Seebach et al. studiarono la capacità di formare colonie in coltura da parte di MSC prelevate a livello midollare in pazienti con differenti patologie ossee; questi autori notarono una maggiore efficacia nei pazienti politraumatizzati ed una minore risposta nei pazienti affetti da

pseudoartrosi atrofica, per cui ipotizzarono la presenza di una relazione tra la tipologia del danno e la capacità proliferativa delle MSC midollari[61].

La minor abilità delle MSC midollari nelle pseudoartrosi atrofiche, accompagnate da una ridotta vascolarizzazione dei frammenti sicuramente può essere una delle cause che porta alla maggiore difficoltà delle guarigioni delle pseudoartrosi atrofiche rispetto a quelle ipertrofiche. Sovente si ritrovano in letteratura risultati in linea con quanto affermato precedentemente, per esempio Manes et al. in entrambi gli studi che effettuò, riscontrò la guarigione completa in tutti i casi di pseudoartrosi ipertrofica, mentre solo il 70% di guarigione nelle forme atrofiche[62][63]. La terapia era costituita dall’inoculazione di concentrato midollare e PRP. Diversi autori sostengono che l’utilizzo del concentrato midollare debba essere impiegato insieme a fattori di crescita omologhi o a scaffold, al fine di potenziarne le capacità proliferative e differenziative.

Gli studi sperimentali di Weibrich et al.[64] riguardo l’effetto proliferativo del PRP sulla linea osteoblastica diedero l’incipit all’utilizzo di tale associazione. Sebbene da un punto di vista razionale sia logico pensare ad un incremento dell’efficacia delle MSC, da un punto di vista clinico diventa difficile calcolarne i reali effetti sulla guarigione delle pseudoartrosi. Anche in questo ambito in letteratura sono presenti un esiguo numero di pubblicazioni; tra queste si segnala lo studio di Kitoh et al. i quali utilizzarono, oltre alla distrazione osteogenica, MSC midollari espanse in coltura e PRP a livello femorale e tibiale, in pazienti con acondroplasia e pseudoartrosi congenita della tibia; i risultati, sebbene preliminari, mostrarono una maggiore velocità di rigenerazione ossea[65]. Inoltre Manes et al. negli studi sopracitati, ottennero una notevole efficacia della terapia associando MSC e PRP (guarigione in 30-90 giorni delle pseudoartrosi ipertrofiche, guarigione di 7 pazienti su 10 affetti da pseudoartrosi atrofica in un tempo massimo di sei mesi) ma non si ritrovano sostanziali differenze nel numero e nei tempi delle guarigioni rispetto all’uso del solo concentrato midollare.

In particolari difetti del tessuto osseo, tra cui abbondanti perdite di tessuto, oppure pseudoartrosi atrofiche con perdita di sostanza, diventa necessario riempire il gap osseo in modo da impedire accorciamenti e di favorire una più rapida guarigione. In questi casi possono essere utilizzati innesti ossei o biomateriali, capaci di ristabilire rigidità alla struttura ossea e contemporaneamente di esibire proprietà di osteoconduttività ed osteoinduttività. Kon et al. revisionando le pubblicazioni più recenti hanno evidenziato l’importanza di associare lo scaffold alle MSC in questi particolari tipologie di lesioni ossee[66].

In realtà questo tipo di associazione sembra essere molto valida nell’aumentare le guarigioni, come dimostrano gli studi condotti da Quarto et al. o da Marcacci et al. in cui vengono trattati

rispettivamente tre e quattro pazienti con ampi difetti ossei attraverso l’utilizzo delle MSC espanse e di uno scaffold di idrossiapatite[67] [68]. Anche Jäger et al. attraverso uno studio prospettico su 39 pazienti con ampi difetti ossei (maggiori di 1cm X 1cm) trattati con MSC midollari concentrate e con scaffold di idrossiapatite bovina o collagene, mostrarono un vantaggio di tale terapia rispetto ai controlli[69]

Nella nostra casistica non ci sono pazienti in cui sia stato effettuato il trattamento con cellule staminali mesenchimali senza revisionare il mezzo di sintesi, modificando soltanto uno dei fattori contenuti nella “teoria del diamante” enunciata da Giannoudis, perchè vista la gravità dei casi non è stato ritenuto etico non tentare tutte le strategie per garantire la guarigione La nostra casistica, in relazione ai risultati ottenuti, può essere suddivisa in tre gruppi:

 Il primo gruppo è composto da tutti i casi in cui il trattamento chirurgico della pseudoartrosi o ritardo di consolidamento è risultato efficace (tab. 6.1). L’intervento chirurgico eseguito si basa sulla revisione del focolaio, sulla sintesi della frattura con fissatori interni od esterni e sull’utilizzo di cellule staminali mesenchimali mediante la metodica Regenkit Extracell® BMC. I pazienti appartenenti a questo gruppo sono 13 (61,9% dei pazienti totali) (tab. 6.1)

Pz, età Sesso Tipo di patologia Sede Localizzaz ione Mezzo di sintesi fallito Mezzo di sintesi efficace Guarigione B.G.

22 Maschio Pseudoartrosi Femore Diafisi endomidollareChiodo Placca 4 mesi B.S. 59 Maschio Pseudoartrosi Omero Diafisi Placca Chiodo

Endomidollare 4 mesi C.F. 22 Maschio Pseudoartrosi Femore Diafisi Chiodo

endomidollare endomidollare, Chiodo cerchiaggio

10 mesi

C.M.

75 Femmina Pseudoartrosi Tibia Placca endomidollareChiodo 7 mesi C.G.

86

Femmina Pseudoartrosi Femore Diafisi Placca Placca 4 mesi D.V.M

34 Maschio consolidazioneRitardo di (2,5 mesi)

Tibia Metafisi

distale endomidollareChiodo Fissatore esterno 3 mesi F.C. 71 Femmina Pseudoartrosi Tibia Diafisi Placca Chiodo

endomidollare 4 mesi F.A.

68 Maschio Pseudoartrosi Tibia Metafisidistale Fissatoreesterno 2 placche 6 mesi M.G.

73 Femmina Pseudoartrosi Tibia Diafisi Placca endomidollareChiodo 6 mesi N.A.

48

Maschio Pseudoartrosi Perone Diafisi Placca Placca 4mesi O.L.

43 Maschio consolidazioneRitardo di (5 mesi)

Ulna Diafisi Fissatore

esterno Placche 1 anno e 3 mesi R.S. 80 Maschio Pseudoartrosi Femore Diafisi Placca Chiodo

endomidollare 5 mesi V.P.

49 Femmina Pseudoartrosi Tibia Diafisi Fissatoreesterno Placca 3 mesi

 Il secondo gruppo è composto dai casi che sono giunti a guarigione solamente dopo aver ripetuto l’intervento chirurgico (tab. 6.2). In questo gruppo è presente solamente un paziente (5,6% del totale dei pazienti). Il paziente in questione era un uomo di 42 anni con ritardo di consolidazione di tibia; il primo intervento chirurgico effettuato è stato eseguito revisionando il focolaio, sintetizzando la frattura con una placca e un innesto osseo autologo ed infine utilizzando le cellule mesenchimali con la metodica Regenkit Extracell® BMC. Il secondo intervento invece è stato caratterizzato dalla revisione del focolaio, dalla rimozione del precedente mezzo di sintesi e dalla sua sostituzione con un chiodo endomidollare; anche in questo intervento sono state utilizzate cellule staminali mesenchimali mediante la metodica Regenkit Extracell® BMC. La guarigione è avvenuta a distanza di tre mesi dal secondo intervento chirurgico. Occorre evidenziare che già nel primo intervento, nonostante non sia stata raggiunta la guarigione è presente neoproduzione ossea.

Pz, età Sesso Tipo di patologia Sede Localizzaz ione Mezzo di sintesi fallito Mezzo di sintesi efficace Guarigione F.G.

45 Maschio consolidazioneRitardo di (5 mesi)

Tibia Metafisi

prossimale FissatoreEsterno endomidollareChiodo 3 mesi

Tabella 6.2 – Paziente guarito dopo il secondo intervento chirurgico.

 Il terzo gruppo è composto dai casi non guariti neppure dopo ripetuti interventi chirurgici (tab. 6.3). Nella nostra casistica si ritrovano 7 pazienti con queste caratteristiche (33,3% dei pazienti). I pazienti in questione presentavano in 1 caso un ritardo di consolidazione di ulna (dovuta ad una frattura scomposta di entrambe le ossa dell’avambraccio) e in 5 casi pseudoartrosi (2 a livello femorale, 2 a livello omerale e 1 a livello tibiale). Tra questi pazienti sono presenti 3 casi molto particolari, poiché presentavano un quadro clinico molto complesso. In una paziente la pseudoartrosi era derivata da una mancata consolidazione di una frattura pluriframmentaria della diafisi omerale. Un altro paziente invece era politraumatizzato e presentava nel sito di pseudoartrosi, a livello della metafisi femorale, ingente perdita ossea (circa 8cm). L’ultima paziente invece presentava ustioni diffuse e frattura scomposta ed esposta della metafisi prossimale di tibia. In ogni caso in tutti i pazienti si è verificata riduzione del gap osseo e iniziale formazione del callo osseo.

Pz, età Sesso Tipo di patologia Sede Localizza zione Mezzo di sintesi fallito Guarigione C.P.

26 Femmina Pseudoartrosi Omero Diafisi Placca Non guarita C.P.

75 Femmina Pseudoartrosi Rotula Cerchiaggio Non guarita G.E.

69 Femmina Pseudoartrosi Tibia prossimalMetafisi e

Fissatore

esterno Non guarita M.F.

58

Maschio Pseudoartrosi Omero Diafisi Placca Non guartito M.A.

83 Femmina Pseudoartrosi Femore prossimalEpifisi e

Chiodo

Endomidollare Non guarita P.D.

29 Maschio Pseudoartrosi Femore MetafisiDistale Placca Non guarito S.I. 39 Femmina Pseudoartrosi Femore Metafisi

Distale Placca Non guarita

Tabella 6.3 – Tabella riassuntiva dei pazienti non guariti.

In totale le guarigioni si sono riscontrate nel 66,7% dei casi trattati in un arco di tempo medio di 5,7 mesi. Non si sono riscontrati particolari differenze da un punto di vista statistico tra i vari mezzi di sintesi che hanno portato a fallimento.

Capitolo 7

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