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Il primo obiettivo di questo lavoro ha riguardato la valutazione di immagini ottiche a diversa risoluzione spaziale per la delimitazione dell'area colpita dall'incendio. Per tale obiettivo sono state comparate due immagini a diversa risoluzione spaziale: Sentinel-2 (10 m di risoluzione) e Pléaides (2 m di risoluzione). Delimitati i poligoni dell’area interessata dall’incendio, sono state calcolate le relative aree. La differenza areale fra le due è risultata essere di circa 24 ettari che, su una superficie incendiata molto estesa, non è così rilevante (Fig. 7.1). Questo dimostra che per un primo studio basato sulle immagini satellitari, anche un’immagine liberamente accessibile, a minor risoluzione, può portare risultati più che soddisfacenti. L’uso di un’immagine a pagamento, a maggiore risoluzione spaziale, in questi casi può essere utile per attuare una ricerca a scala maggiore e quindi più dettagliata. Risoluzioni spaziali più elevate possono risultare utili per delimitare aree colpite da incendi di piccole dimensioni ed a bassa intensità, che spesso sono caratterizzate da limiti bruciato/non bruciato molto più irregolari e frastagliati. Ma anche un'immagine ad altissima risoluzione può presentare problemi legati al fatto che le chiome non sempre vengono raggiunte dal fuoco. In questi casi particolari l'utilizzo del drone è raccomandabile, sia per la maggior risoluzione sia per la possibilità di acquisire immagini o filmati con angolo di vista variabile.

127 Si può quindi concludere che il risultato ottenuto tramite Sentinel 2, seppur caratterizzato da un maggior errore, può essere considerato positivo, data la facile reperibilità ed elaborazione dei dati. Ovviamente l’uso di un’immagine a maggiore risoluzione diminuisce gli errori, però comporta un aumento dei costi e dei tempi di elaborazione. Quindi la scelta del tipo di dato da utilizzare dipende esclusivamente dall’obiettivo finale. Poiché in questo studio il primo obiettivo è stato quello di quantificare l'area bruciata, è stato scelto il POLIGONO 2 (ricavato da Pléiades) contando su una maggiore precisione ed un minore errore umano derivato dalla costruzione manuale del poligono. Un secondo approccio è stato quello di provare a ricavare il poligono dell’area bruciata tramite l’uso di un tool di classificazione semiautomatica che però non ha dato buoni risultati. L’incendio studiato ha dimensioni elevate per l’area di studio, ma non è eccessivamente esteso, per questo è stato scelto di continuare a mappare l’area bruciata manualmente. Solo nel caso di un gran numero di incendi, di grande estensione, è consigliabile l’utilizzo di tecniche automatiche per accorciare soprattutto le tempistiche di elaborazione.

Il vantaggio dell’uso di questi dati satellitari è principalmente quello di poter indagare fenomeni anche di grande estensione, come in questo caso un grande incendio, che non potrebbero essere studiati in altro modo. In più la disponibilità di programmi appositi, come in questo caso Arcgis, ne permette la facile e rapida elaborazione e la produzione di carte utili per studi futuri.

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Figura 7.1 – Le due immagini satellitari utilizzate, a sinistra Pléiades e a destra Sentinel 2 con i relativi poligoni ricavati.

I risultati ottenuti tramite i database di Uso e Copertura del Suolo e il Database Pedologico mostrano come le zone coperte da foreste di conifere, latifoglie ed oliveti sono state quelle maggiormente colpite dall’incendio.

Più precisamente il 30,9% di conifere, il 21,1% di latifoglie, il 14,5% di oliveti sul totale di tutta la zona bruciata. Anche in questo caso i database, liberamente accessibili, hanno fornito una grandissima quantità di dati sia per quanto riguarda le tipologie di suolo interessate dall’incendio sia per le successive elaborazioni della carta di suscettibilità. Per questo si possono ritenere delle fonti di dati gratuiti più che sufficienti, da usare come basi per un possibile studio futuro. Le zone studiate, in cui si ha avuto un peggioramento con diminuzione della vegetazione, si sono individuate durante i mesi da novembre a gennaio, localizzate soprattutto nelle parti orientali della zona bruciata (Fig. 7.2).

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Figura 7.2 – Limite orientale della zona bruciata (foto acquisita 17/06/2018).

Due sono i fattori che possono spiegare questo fenomeno: il primo è la stagionalità che porta alla normale caduta delle foglie mentre il secondo è la morte progressiva di tutti quegli alberi che erano stati colpiti dall’incendio. In molte aree all’interno della zona bruciata è stato possibile notare che l’incendio aveva colpito gli alberi bruciando il tronco, ma lasciando intatte le chiome (Fig. 7.3), che infatti risultavano verdi dalle immagini satellitari.

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Figura 7.3 – Alberi colpiti dall’incendio con le chiome ancora intatte (foto acquisita il 20 Febbraio 2019).

Con il passare dei mesi però la morte di questi alberi ha portato prima ad un cambiamento di colore delle chiome e infine alla perdita di tutte le foglie. Tutto questo è stato poi verificato grazie al lavoro svolto sul campo, volto a cartografare le varie zone dove vi era stato peggioramento dal punto di vista della vegetazione. In alcuni casi gli alberi con le chiome intatte, ma bruciati alla base sono stati successivamente abbattuti. Questa operazione di messa in sicurezza è stata effettuata soprattutto in prossimità di strade e sentieri, per impedire che alberi morti cadessero su passanti ed escursionisti e per poter utilizzare i tronchi per la realizzazione di palizzate.

Da Settembre 2018 a Marzo 2019 le aree in peggioramento corrispondono a:

1. Aree in cui la chioma degli alberi non è stata raggiunta dal fuoco, l'albero è comunque morto e le foglie sono gradualmente cadute per non ricrescere;

131 2. Aree in cui la chioma degli alberi non è stata raggiunta dal fuoco, l'albero è riuscito a sopravvivere, ma ha perso le foglie per stagionalità (in questo caso non rientrano le conifere);

3. Aree in cui la chioma degli alberi non è stata raggiunta dal fuoco ma, indipendentemente dalle condizioni di vita della pianta, gli alberi sono stati abbattuti per motivi di sicurezza.

Nelle situazioni 1) e 3) si apre il problema delle radici.

Le radici delle piante, essendo dotate in genere di una discreta resistenza a trazione, possono produrre un sensibile incremento della resistenza al taglio del terreno stesso (Preti, 2015). Le radici sono efficaci sia nell'aumentare la resistenza a rottura, sia nel distribuire, mediante la loro elasticità, le tensioni nel terreno, in modo da evitare stress locali e fessure.

In letteratura sono riportati i valori di resistenza delle radici che vanno a cambiare a seconda della specie, della stagione, delle dimensioni e dell’orientamento delle radici stesse (Greenway, 1987). Sia la densità delle radici, sia la resistenza a trazione diminuirebbero con il passare del tempo dopo il taglio, evidenziando il rischio di maggiore franosità in aree disboscate.

In generale la resistenza a trazione dipende dal diametro delle radici più che dalla specie, potendo arrivare anche a valori fino a 70 Mpa, ma nella maggioranza dei casi tali valori sono compresi fra 10 e 40 Mpa. Le conifere presentano valori inferiori dei cedui; gli arbusti hanno resistenze paragonabili a quelle delle piante arboree, con i

132 vantaggi di minor peso e rigidità (Preti, 2015). Una volta che l’albero muore o viene tagliato comincia un processo di decomposizione delle radici rimaste nel suolo, che inizialmente continuano a stabilizzare il versante, ma a lungo termine, con l’acqua che penetra nel suolo e tutti i fenomeni chimici e biologici, vengono decomposte. Questo comporta non solo una diminuzione della stabilità del versante, ma le grandi quantità di legno che rimangono sul versante apportano molto peso e contribuiscono a diminuirne la stabilità.

In generale, la perdita di forza radicale a causa della morte della pianta è rappresentata da una curva specifica che mostra il decadimento nel tempo. Il declino misurato nella forza della radice è molto rapido nel primo anno, ma rallenta quando si arriva al quarto anno. Tuttavia, le curve che rappresentano il calo della forza della radice, variano a seconda delle specie arboree e le condizioni del sito in cui crescono gli alberi (De Graff, 2018). È anche importante ricordare che qualsiasi curva che rappresenta la diminuzione di forza delle radici, mostra dopo quanto tempo si ha una maggiore probabilità di innesco di debris

flow. La scomparsa delle radici porta ad un aumento

dell’infiltrazione di acqua nel sottosuolo che può creare fenomeni di instabilità a seconda anche dell’estensione della zona colpita dall’incendio. I processi che portano allo sviluppo di debris flow sono principalmente due: (1) erosione e trasporto di materiale causato dallo scorrimento superficiale delle acque, (2) infiltrazione delle acque nel sottosuolo durante precipitazioni intense. Le condizioni post-incendio influiscono sullo sviluppo di

133 questi due fenomeni. L’accumulo di cenere e di materiali, derivati dalla combustione della vegetazione, comporta lo sviluppo di una grande quantità di materiale che viene facilmente mobilitato durante le precipitazioni intense. La scomparsa delle radici comporta una maggiore infiltrazione nel sottosuolo e di conseguenza la possibilità di mobilitare una maggiore porzione di terreno (Parise et

al, 2012). Per i debris flow che si sviluppano in zone

incendiate non ci sono modelli che possano prevedere dimensione, probabilità di innesco o il tempo che intercorre tra l’evento di precipitazioni intense e lo sviluppo del fenomeno. L’unica azione possibile per mitigare questo tipo di eventi è la riforestazione, per cercare di sostituire tutte quelle radici andate perse con l’incendio.

È una tecnica comunemente usata nelle aree post- incendio, caratterizzate da fenomeni come debris flow dove si è vista una diminuzione repentina di fenomeni di instabilità negli anni successivi alla riforestazione (Parise

et al., 2012).

Le aree di miglioramento hanno raggiunto un’estensione areale maggiore, grazie alla rapida ricrescita di erba e felci che hanno ricoperto molti versanti anche a pochi mesi dall’incendio.

La ricrescita veloce di vegetazione erbacea ed arbustiva non va a sostituire la capacità delle radici degli alberi ad alto fusto nel contrasto della suscettibilità da frana, ma comunque, permette di limitare fenomeni di erosione superficiale e di infiltrazione delle acque meteoriche. Per cui, anche se in maniera minore, è possibile considerare la ricrescita di piante arbustive come un fattore di

134 miglioramento delle condizioni di stabilità di un versante interessato da un incendio. Se da una parte questa ricrescita apporterà nel breve termine l’aumento della stabilità, a lungo termine si avranno nuovamente condizioni di pericolo per gli incendi futuri, date soprattutto dalla crescita non controllata di specie come le conifere. Per questi motivi sarebbe necessario tenere sotto controllo la crescita incontrollata, bloccando le nuove nascite e sostituendole con piantumazioni di alberi più resistenti agli incendi. Inoltre, in molte zone la presenza di cenere prodotta dall’incendio non ha portato alla formazione di strati impermeabili che avrebbero creato un ostacolo alla crescita delle piante, al contrario la cenere ha svolto il ruolo di fertilizzante velocizzandone la crescita.

Il lavoro di rilevamento sul campo ha permesso di verificare i risultati ottenuti con la tecnica del change

detection, ovvero confrontare tutte le zone che avevano

subito un miglioramento od un peggioramento. Confrontare i dati ricavati tramite satellite con quelli raccolti in campagna è stato di fondamentale importanza per capire come era avvenuta la ricrescita della vegetazione nelle varie aree bruciate e come questa veniva visualizzata dal satellite. Il confronto tra queste tipologie di dati diventa essenziale e può essere preso come un esempio per studi futuri, basandosi su quali tipologie di dati satellitari scegliere e soprattutto poi su quali zone andare a concentrare il lavoro di campagna e di sistemazione dei versanti.

135 Riguardo allo studio dei comportamenti dei corpi franosi, legati agli effetti dell’incendio, i PS non hanno riportato variazioni significative legate a questo fenomeno. C’è comunque da sottolineare che nel periodo compreso fra l’incendio ed oggi non ci sono stati eventi meteorologici importanti.

Se si osservano però i trend (Fig. 7.4), si nota invece come l’andamento dei PS prima dell’incendio sia caratterizzato da maggiore rumorosità del segnale, mentre il trend post-incendio è molto più lineare. Gli effetti dell’incendio hanno portato ad un miglioramento delle caratteristiche del segnale radar e, di conseguenza della rumorosità delle serie storiche di deformazione, in quanto essendo un trend caratterizzato da meno errore diventa più facile individuare anche le deformazioni più piccole. Questo fenomeno è sostanzialmente dovuto alla forte diminuzione della vegetazione a seguito dell'incendio. Infatti, la vegetazione (soprattutto quella ad alto fusto) influisce in maniera decisamente negativa sulla riflessione del segnale radar. L'assenza della vegetazione ha quindi migliorato il segnale e di conseguenza la qualità delle serie storiche di deformazione. Queste potranno essere utilizzate con maggior accuratezza per individuare variazioni millimetriche che possano suggerire la presenza di movimenti di versante lenti.

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Figura 7.4 – I due trend relativi ad acquisizioni prima e dopo l’incendio.

Per la creazione di una carta di suscettibilità delle frane si possono usare principalmente due tecniche. La tecnica della frequency ratio (FR) e la tecnica semplificata. Nel primo caso, la tecnica FR è un approccio statistico molto utilizzato quando si analizzano aree con un gran numero di corpi franosi, questa tecnica è basata sulla relazione tra i fattori che influenzano le frane e la distribuzione delle frane stesse (Xialong et al., 2017). In questo lavoro, poiché nell’area di studio ricadevano poche frane, è stato scelto di usare la tecnica semplificata per avere un risultato più affidabile.

Nella carta iniziale della suscettibilità, molte zone soprattutto nelle parti ad Est e Nord della zona bruciata, risultano nella classe più alta di suscettibilità.

137 La carta iniziale, esclusi i fattori delle frane e cambiamento della vegetazione, è stata prodotta con il fine di mostrare la suscettibilità dell’area di studio indipendentemente dall’incendio. In pratica è stata realizzata una carta di suscettibilità che considera solamente i fattori topografici che caratterizzano l’area di studio. Nel momento in cui si inserisce il fattore relativo ai cambiamenti della vegetazione, la suscettibilità acquisisce un fattore temporale influenzato sul lungo periodo dalla ripresa della vegetazione. Fondamentale è l’esposizione, in questa carta i versanti considerati più a rischio sono quelli rivolti verso il mare. Questo perché i versanti rivolti verso il mare sono quelli maggiormente colpiti dalle perturbazioni, che scaricando le precipitazioni su versanti senza vegetazione possono portare a fenomeni di instabilità. Se invece consideriamo gli stessi versanti, ma a lungo termine, saranno quelli che avendo maggiore disponibilità di acqua porteranno ad una crescita maggiore della vegetazione e di conseguenza diventeranno quelli a minore suscettibilità. Spesso, come già detto in precedenza, un rimboschimento artificiale con specie più resistenti ai futuri incendi può essere una valida soluzione, ma in un contesto come quello studiato in questo lavoro, diventa estremamente difficile mettere in atto tale intervento. Innanzitutto, l’estensione dell’area interessata dall’incendio richiederebbe un ingente investimento per una completa riforestazione e la scarsità di risorse disponibili costringerebbe a scegliere solo alcune zone specifiche dove fare il rimboschimento. L’operazione di rimboschimento è connessa anche ad una elevata necessità di acqua. Per mettere in atto un rimboschimento, le nuove piante hanno bisogno di molta

138 acqua e in maniera costante, con la necessità di un sistema di irrigazione con una capacità tale da mantenere in vita le piante. Questo diventa estremamente difficile da realizzare nell’area di studio, sia per la sua estensione, sia per la scarsità di acqua soprattutto nei mesi estivi. Nella tabella seguente sono riportati il numero di pixel per ogni classe: della carta iniziale (colonna “Suscettibilità") e, dopo aver inserito il fattore dei corpi di frana (colonna “Fattore frane") quello del cambiamento di vegetazione (colonna Fattore vegetazione). In più per ogni intervallo è stata elaborata anche la sua reale estensione in ettari (Fig. 7.5).

Figura 7.5 – Numero di pixel presenti in ogni classe delle tre carte di suscettibilità ed il corrispondente valore in ettari.

Per avere un’idea del cambiamento di suscettibilità non solo a breve termine e di come questi fattori abbiano modificato la suscettibilità, è stata fatta poi la differenza per vedere a livello di numero di pixel il cambiamento (Fig. 7.6).

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Figura 7.6 – Cambiamento apportato dai due fattori aggiunti.

Il simbolo + o – davanti ai vari valori indica un aumento o una diminuzione del numero di pixel e/o ettari rispetto a quelli della carta di suscettibilità di partenza.

L’aumento o la diminuzione dei pixel e/o ettari all’interno delle varie classi corrisponde ad un aumento o ad una diminuzione della suscettibilità. Questo risultato mostra, anche se non per tutte le classi, come le frane e la vegetazione siano fattori che vanno ad influenzare molto la suscettibilità. Nel caso delle frane, l’aggiunta di questo fattore modifica la suscettibilità in modo differente a seconda dello stato di attività del corpo di frana. Lo stato è suddiviso in: frane attive, stabilizzate, quiescenti e indeterminate e di conseguenza ogni stato ha influito in modo diverso sulla suscettibilità finale. Per la vegetazione, le zone in peggioramento hanno modificato la suscettibilità, perché la morte degli alberi e di conseguenza quella delle radici porterà ad un aumento dell’instabilità. Per questo diventa di estrema importanza prevenire in futuro gli incendi, andando a modificare la

140 vegetazione esistente e monitorando la ricrescita di questa, per capire quali zone sono soggette a rischio e di conseguenza intervenire. Le zone caratterizzate da un miglioramento della vegetazione dopo l’incendio o che non hanno mostrato peggioramenti, non hanno subito variazioni correttive della suscettibilità in quanto si presume che gli alberi, anche se raggiunti dal fuoco, siano ancora vivi. In tali casi le radici non tenderanno a decomporsi e non rappresentano quindi un fattore negativo per la stabilità del versante. La produzione di carte relative alla vegetazione, alla suscettibilità, al rischio idrogeologico ecc., possono fornire una base di partenza per futuri interventi mirati ad una migliore gestione delle aree a rischio e ad un miglioramento delle tempistiche di progettazione e realizzazione degli interventi.

Ad esempio, per il rischio idrologico è stata ricavata la mappa tramite il tool flow accumulation. Questa è stata usata per capire dove avveniva lo scorrimento preferenziale delle acque superficiali e di conseguenza dove poter collocare opere di drenaggio o fossi di guardia. Ciò è stato fatto in zona all’interno dell’area bruciata (Fig

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Figura 7.7 – Zona all’interno dell’area bruciata dove sono stati effettuati dei lavori di regimazione delle acque superficiali.

La zona indicata di rosso si trova su un versante dove la vegetazione è stata quasi del tutto eliminata dall’incendio. Dal flow accumulation (Fig. 7.8) si vede come il versante sia attraversato da una serie di impluvi, che convergono sulla strada, visibile da entrambe le mappe.

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Figura 7.8 – Zona dove sono stati svolti i lavori, vista tramite la mappa ricavata dal flow accumulation.

Nel punto indicato nella carta soprastante (Fig. 7.8), è stata realizzata una struttura in muratura per far convergere le acque superficiali e una tubazione al di sotto della strada per convogliarle nella zona sottostante (Fig. 7.9).

Figura 7.9 – La foto a sinistra mostra la tubazione che porta l’acqua a valle della strada, mentre la figura a destra si trova a monte della strada ed ha il compito di raccogliere l’acqua proveniente dai vari impluvi e convogliarla nella tubazione (foto acquisita il 17/04/2019).

143 La struttura è stata realizzata dove, dalla carta del flow

accumulation, si concentravano tre diversi impluvi e di

conseguenza dove risultava essere un maggiore rischio di dissesti durante piogge intense.

Durante gli interventi per la regimazione delle acque superficiali, svolti nel post-incendio, per prima cosa sono state costruite nuove opere di drenaggio e di stabilizzazione dei versanti, e in secondo luogo si è cercato di rimettere in funzione tutte le vecchie opere di drenaggio come canalette e fossi di guardia ormai non più funzionanti (Fig. 7.10).

La localizzazione di queste vecchie opere è stata svolta utilizzando le acquisizioni del LIDAR, elaborate da modelli del terreno, come DTM e DSM che, grazie all’alta risoluzione, ne hanno permesso l’individuazione nonostante fossero ricoperte da detrito e vegetazione.

Figura 7.10 – Serie di fossi di guardia rimessi in funzione durante i lavori nel post-incendio.

144 Per riuscire ad individuare tutte le opere abbandonate, dai vari modelli del terreno sono state elaborate mappe come l’hillshade, (Fig. 7.11) capaci di mostrare la morfologia del suolo e quindi qualsiasi struttura irriconoscibile utilizzando altre carte o immagini.

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