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Disuguaglianze di salute e donne immigrate

La donna immigrata , rispetto a quelle autoctone, è in maggiormente esposta a incidenti, traumi, malattie professionali, malattie della migrazione. “Le ricerche hanno evidenziato l’esistenza di una correlazione fra incidenti e lavoro domestico nell’ultimo anno. Nel 2008 sono stati 3.576 gli infortuni del personale domestico, di cui 2 mortali. Le cause degli incidenti sono la disattenzione (55,7%), l’imperizia, i comportamenti azzardati (18,2 %), la mancata o cattiva manutenzione di oggetti e impianti (10,9%), la rottura di strutture (9,5%), la disattenzione e imperizia altrui (7,6%)” (CENSIS, 2010).

Per comprendere la situazione delle donne immigrate, il punto di osservazione che sicuramente chiarirà meglio la situazione è la “salute riproduttiva”.

“Le cause maggiori di ricovero sono legate alla gravidanza e al parto, un maggior ricorso all’interruzione volontaria di gravidanza rispetto alle donne italiane. Le ricerche relative alla maternità e all’infanzia evidenziano difficoltà di accesso ai servizi di cura e prevenzione riconducibili innanzitutto all’offerta non adeguata alla domanda espressa dalla popolazione femminile immigrata , poi alle resistenze culturali e sociali delle donne stesse (Donati, 2001). Le donne che accedono ai

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servizi per la gravidanza, parto e cura dei figli, vivono situazioni di isolamento attribuibili al fatto che il loro reticolo familiare e amicale è rimasto, nella sua composizione principale, nel paese di origine. Spesso partoriscono in ospedali poco accoglienti nei quali gli operatori hanno difficoltà a comprenderle.

Il tutto è aggravato da condizioni di lavoro pesanti, ambienti abitativi inadeguati o a volte condivisi con altre famiglie o altri immigrati, un difficile accesso ai servizi socio-sanitari. Le ricerche evidenziano gravidanze ravvicinate, nascite pre- termine, basso peso alla nascita, IVG, pratiche contraccettive non conosciute o non capite ”(Tognetti Bordogna, 2011, p.86)29.

A 3 mesi dal concepimento il 12,8% delle straniere non ha ancora effettuato una prima visita di controllo, mentre le italiane nella stessa situazione sono il 5,4%. Per le asiatiche questa percentuale sale al 17,8%. I corsi di accompagnamento alla nascita sono seguiti dal 19,6% delle donne migranti e dal 64,0% delle native. La percentuale di bambini nati pre-termine è superiore per le madri migranti dai paesi del centro e sud America (9,3%), a confronto con il 6,4% dei nati da madri italiane. L’indice di Agpar, che misura la vitalità e efficienza delle funzioni vitali primarie del neonato, presenta valori peggiori per quasi l’8% dei nati da madri dell’est Europa a fronte del 3,5% dei nati da madre italiana. Esistono barriere non formali ma culturali all’accesso al sistema di cura. I servizi di mediazione interculturale sono uno strumento indispensabile per facilitare l’accesso alle cure da parte delle donne migranti, adeguando l’offerta di servizi alla qualità e alle necessità della domanda di cura. Non si tratta solo di offrire interventi di interpretariato linguistico, ma anche di mettere in atto azioni volte a sviluppare competenze culturali negli operatori e a riorganizzare i servizi per meglio rispondere ai nuovi bisogni. Come, per esempio, è stato fatto a Bologna con l’attivazione, più di venti anni fa, di un servizio specifico per rispondere ai bisogni di salute delle donne straniere e dei loro bambini.

Il progetto Better Health for Better Integration30 ha analizzato le disuguaglianze di salute delle donne migranti in Italia, focalizzando l’attenzione sulla regione Marche in una prospettiva comparata con altre regioni. La ricerca ha evidenziato che nonostante la costante attenzione posta sul tema dall’osservatorio diseguaglianze della regione, i servizi di mediazione interculturale sono presenti

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Su questi temi si veda anche la recente Relazione del Ministero della Salute settembre 2013 pp. 30 e sgg

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solo nella provincia di Ancona, grazie a un accordo rinnovato annualmente fra alcune associazioni di volontariato e la sanità. Nelle altre 4 province sono del tutto non strutturati e offerti su base volontaristica e non sistematica. In sintesi, i servizi di mediazione interculturale non sono mai stati posti nell’agenda politica, nonostante i piani sanitari e sociali degli ultimi dieci anni vi facessero esplicito riferimento. La regione Marche spende per questo tipo di servizi meno di un decimo di quello che spende la sola provincia di Reggio Emilia. Nel 2012, la provincia di Reggio Emilia ha speso 380.000 euro per fornire 2.510 ore di mediazione interculturale, mentre la Regione Marche ha speso 30.000 euro per la sola provincia di Ancona. Non sono però al momento disponibili dati relativi all’impatto che questi servizi hanno sulla salute della popolazione e sui costi complessivi del sistema. Inoltre, i processi in atto di riorganizzazione del sistema sanitario delle Marche hanno messo in discussione l’esistenza stessa dell’osservatorio diseguaglianze, nonostante il ruolo importante in termini di analisi e attenzione al tema svolto da questo istituto non solo a livello regionale, ma anche nazionale. Questa scelta, basata su motivazioni economiche di breve termine, contrasta con ragioni di efficienza di più lungo periodo. Nelle Marche una partoriente su cinque è migrante, e l’assenza di servizi di mediazione interculturale ha ripercussioni economiche nel sistema sanitario stesso. La presenza di barriere culturali nell'uso del sistema sanitario genera infatti un uso non appropriato dei servizi – per esempio un maggiore ricorso a servizi di emergenza – e peggiori condizioni di salute, con relativo aumento nell’utilizzo del sistema sanitario stesso. Dunque si tratta di un problema di inefficienza economica, oltre che un problema di giustizia sociale. Inoltre il contributo che i migranti forniscono al nostro sistema di welfare è tuttora di gran lunga superiore ai servizi che ne ricevono: «Si stima che nel 2006 gli stranieri, che rappresentavano circa il 5 per cento della popolazione residente, contribuivano per circa il 4 per cento alle entrate derivanti dall’imposta personale sul reddito, dall’Iva e dalle accise, dai contributi sociali e dall’Irap sul settore privato e assorbivano circa il 2,5 per cento della spesa per istruzione, prestazioni pensionistiche, sanitarie e a sostegno del reddito», si legge in una relazione annuale della Banca d'Italia.

Nel 2012 sono oltre 4 milioni i cittadini stranieri residenti in Italia (pari al 7,5% della popolazione) e di questi più della metà è composta da donne e bambine.

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Oggi nel nostro paese in una famiglia ogni dieci, è presente una donna migrante, aiuto indispensabile nei compiti di cura svolti dalle native italiane. Sebbene i flussi in ingresso rappresentino ormai una costante degli ultimi tre decenni, il sistema di welfare italiano ha mostrato una grande resistenza a riorganizzarsi per rispondere ai nuovi bisogni della popolazione. I processi di riorganizzazione territoriale delle politiche (rescaling) e il coinvolgimento di nuovi attori (governance) nella costruzione della rete dei servizi sanitari e sociali hanno dato forma a welfare regionali molto diversificati, ma solo in pochi di questi i bisogni sociali e sanitari dei migranti hanno avuto un adeguato ruolo nell’agenda politica (www.ingenere.it).

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