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I. Usi e disusi del patrimonio

5. Disusi del passato

Come conciliare il disinteresse che il regno del Buganda dimostra nei confronti del suo passato con le argomentazioni centrali dei suoi programmi politici? Englebert definisce l’ideologia del Buganda come «based on a claim of moral regeneration and “return to village”, it is essentially conservative […]. It is also pro- development, however, albeit a development based on the rural world and predicated on a return to tradition» (Englebert 2002, 351). Come può, dunque, un “ritorno alla tradizione” non prevede la salvaguardia delle pratiche che si svolgono presso i masiro in cui si ricordano i kabaka del passato precoloniale?

I motivi di questa apparente contraddizione vanno ricercati, a mio avviso, nella storia stessa del regno, in particolare nella seconda metà del XIX secolo. Ciò che

intendo illustrare nell’ultima parte di questo capitolo è come il disinteresse ufficiale – nonostante i profondi cambiamenti causati dagli scambi con le nuove culture, anche in relazione ai masiro stessi –, sia dovuto piuttosto a una causa endogena. Certamente favorito dalla presenza degli esploratori, il disinteresse è dunque da considerare non come indice di «impoverimento culturale» (Remotti 2002) bensì

come la causa di un processo politico in atto, nel regno del Buganda, probabilmente già a partire dalla fine del XVIII secolo.

L’analisi del disinteresse ufficiale permetterà di confermare quanto dichiarato più sopra, ovvero che gli usi della storia, e la patrimonializzazione di quest’ultima, avvenuti presso i masiro, abbiano avuto un valore e un ruolo eminentemente politico in epoca precoloniale. Per comprendere in modo chiaro la tesi che intendo avanzare, è necessario, inizialmente, procedere con due argomentazioni riguardanti, da un lato, gli avvenimenti politici e militari del Buganda e, dall’altro, i complessi sistemi di parentela che caratterizzano la successione dinastica in seno alla famiglia regale. Stando alle descrizioni dei primi esploratori britannici e agli studi storici ed etnografici di epoca coloniale, il regno del Buganda è sempre stato dipinto come uno degli stati più complessi e sviluppati dell’Africa sub-sahariana. Tuttavia, l’epoca dell’arrivo l’arrivo di Speke coincise solo con il periodo di massimo splendore del regno e uno sguardo al tempo della sua fondazione permette di comprendere come la sua potenza fosse inizialmente minore. In epoca precoloniale, infatti, il Buganda conobbe un progressivo processo di centralizzazione dei poteri14.

Le tradizioni orali riportate da Fallers sostengono infatti che

Over the centuries the kabaka moved for a position of primus inter pares among heads of patrilineal descent groups to that of a despotic monarch who could remove areas from descent-group control and put in charge of them personal appointees of his own choosing (Fallers 1974, 76).

In un certo senso, la carica del kabaka sarebbe stata inizialmente subordinata a quella dei capi clan per via di ciò che Chrétien definisce «a compromise between a new authority […] and a network of influential clans» (Chretién 2003, 113). È infatti opinione comune fra gli storici che il Buganda nacque, fra il XII e il XIV secolo, come

stato tributario del più potente regno del Bunyoro e che la «nuova autorità» di cui parla Chretién fosse un principe nyoro di nome Kimera. Solo le successive conquiste territoriali ai danni del Bunyoro permisero al Buganda di raggiungere il culmine del suo splendore e ciò condusse verso un’inversione dei rapporti di forza che conferì al kabaka la posizione di predominio politico sull’intera regione dei Grandi Laghi. Al contempo, tuttavia, la necessità di amministrare un territorio più vasto costrinse il sovrano ad accentrare gradualmente i poteri politici nelle sue mani, istituendo nuove unità amministrative e nominando nuovi capi a lui fidati. Chretién sostiene che si trattò di una vera e propria «ristrutturazione istituzionale», attuata a scapito del potere un tempo detenuto dai capi clan, la cui autorità iniziò ad essere sottoposta a nuove cariche politiche:

This reform consisted in elevating the kabaka’s authority, to the detriment of clans, mediums, and princes. Clan chiefs (the bataka) were progressively, but not easily, brought under control by according them court posts, intervening in their succession struggles, and […] subjecting them to the new territorial chiefs. (Ivi, 157).

La seconda questione su cui è opportuno soffermarsi, al fine di illustrare al meglio le motivazioni politiche dell’attuale “disinteresse ufficiale” del Buganda nei confronti dei masiro più antichi, riguarda i sistemi di parentela e le loro eccezioni interne alla società dei Baganda. In questa regione, le norme per contrarre il matrimonio seguono le regole dell’esogamia, mentre la discendenza clanica si acquisisce per via patrilineare. Ciò determina il divieto alle unioni appartenenti allo stesso clan e l’acquisizione, da parte dei figli di una coppia, del gruppo di discendenza del padre. Sono inoltre ammessi i matrimoni poliginici, i quali tuttavia si verificano solo nelle le famiglie più ricche, dunque fra gli uomini che in grado di costruire una casa per ogni sposa, sostentando sia quest’ultima che la prole: per questo motivo, in epoca precoloniale, era molto frequente che solo i capi politici, e fra di essi anche il sovrano, avesse molte mogli.

Le stesse regole, infatti, sono seguite all’interno della famiglia regale, eccetto quella della patrilinearità. Come riporta Fallers, infatti,

the princes [i diretti discendenti dei kabaka], unlike members of commoner clans, do not have a collective totemic symbol. Rather, they have only the totems of their mothers, who belong to various commoner clans (Fallers 1974, 68).

Questa norma, associata alla poliginia che consentiva al sovrano di avere un consistente numero di mogli, determinava in passato la presenza di numerosi eredi al trono, appartenenti a diversi clan. Questi ultimi, mediante questo elaborato meccanismo, tentavano di ottenere una via d’accesso alla sfera della regalità. Ciò è confermato da quanto riporta Young, secondo il quale i «clans would be desirous of assuring for themselves the possibility of having a Kabaka in the future by offering one of their daughters to the incumbent king» (Young 1977, 200-201). Si attuava dunque ciò che potrebbe essere definita una vera e propria condivisione del potere regale fra i clan, i quali, per mezzo delle articolate regole di discendenza, riuscivano nell’intento di far salire al trono un loro “figlio”. Come suggerisce Nakanyike Musisi, la poliginia del Buganda precoloniale, unita alla matrilinearità, sarebbe dunque da intendere come un dispositivo che permetteva ai clan di attuare una vera e propria forma di controllo indiretto dell’amministrazione del regno (Musisi 1991, 758).

Con queste due parentesi si è tentato di tracciare un profilo del complesso sistema politico del Buganda. Ho evidenziato quanto il potere non fosse posseduto esclusivamente dal sovrano, spesso descritto come un despota dai poteri assoluti, nei resoconti di epoca coloniale, bensì il detentore di un titolo in qualche misura condiviso con i clan. Mi sono inoltre soffermato sul processo di centralizzazione dei poteri che i kabaka attuarono gradualmente nel corso della storia precoloniale e su quanto questo processo ostacolò l’autonomia politica dei capi clan: i bataka rimasero – a parte qualche eccezione – sempre di più relegati entro i confini dei loro territori,

lontani dalle capitali15 scelte dai sovrani. Queste premesse permetteranno di chiarire

le modalità attraverso cui i clan, benché allontanati dalla sfera del potere, continuarono a esercitare una forma di resistenza attraverso i masiro e il motivo per cui questi siti siano oggi non godano dell’interesse del regno.

Come già descritto più sopra, una volta morto un sovrano, la sua mascella e il suo spirito venivano conservati nel masiro amministrato dalla sua sorella ufficiale, la nnalynnya. Quest’ultima apparteneva allo stesso clan che il kabaka aveva ereditato dalla madre e alla sua morte una sua discendente ne avrebbe assunto il mandato: erano dunque i clan a controllare questi luoghi e a tramandare i racconti sulla vita del sovrano. In altre parole, erano i gruppi di discendenza a “creare” e tramandare la storia del Buganda. Ma qual era l’uso sociale che ne facevano? In che modo la storia del regno, narrata e performata presso i masiro, poteva rappresentare una forma di resistenza politica al potere sempre più centralizzato del kabaka?

Rispondere a queste domande consente di comprendere la funzione che i masiro assunsero nel passato precoloniale del regno e la natura dell’uso sociale della storia che avveniva presso questi luoghi. Inoltre, tali risposte posso chiarire anche le scelte che il potere centrale del Buganda operò come contrappeso alle forme di resistenza attuate dai clan: alla luce di ciò può essere chiarito il fenomeno finora descritto come “disinteresse ufficiale”.

Luoghi creatori di storia e di resistenza politica, i masiro offrivano la possibilità di connettersi con il passato. La loro forma e coloro che li abitavano resuscitavano la corte del kabaka che lì veniva celebrato, mentre il mukongozi stabiliva un contatto diretto con il suo spirito: i masiro erano dunque la rappresentazione delle capitali del passato. Inoltre, così come la capitale del regno, nella sua conformazione urbanistica, era «la messa in forma, la rappresentazione, la modellizzazione»

15 Uso in questo caso il plurale poiché il Buganda rappresenta uno di quegli stati presso i quali,

in epoca precoloniale, la capitale del regno cambiava ogni volta che saliva al potere un nuovo sovrano. Questo fenomeno è riportato, relativamente al Buganda, nei resoconti di John Roscoe (1911). Per un approfondimento di carattere generale, cfr. Remotti (2005).

(Remotti 2005, 136) dell’intero regno, mi sembra possibile affermare che i masiro esemplificassero non solo la struttura architettonica del lubiri, il palazzo del sovrano, ma, in modo più significativo, un modello di “buon governo” per i kabaka viventi. Al contempo, lo spirito dei loro predecessori rappresentava una fonte di saggezza politica e di consigli. Era infatti pratica comune che i sovrani si recassero presso i masiro e partecipassero ai rituali che permettevano loro di comunicare con lo spirito dei loro avi. Roscoe conferma infatti che «during his reign it was customary for the reigning King to visit the temple of his father» e che «the King had a shrine built for his father within his enclosure, and thither the medium came to give the oracles […]. The King stood in great awe of his father's ghost, and constantly made offerings to him» (Roscoe 1911, 112).

È lecito sostenere, a mio avviso, che i consigli veicolati dai medium fossero condizionati da coloro che controllavano i masiro, ovvero i clan di appartenenza dei sovrani defunti. Questi ultimi, dunque, anche dopo la morte continuavano a inviare messaggi ai loro figli, nel tentativo di condizionarne le scelte politiche. Questi stessi messaggi, insieme ai masiro intesi come finzioni esemplari raffiguranti le capitali del regno, e alle storie relative ai kabaka, costituivano quelle rappresentazioni del passato di cui i clan si servivano per condizionare la politica del Buganda. I masiro costituirono, come sostiene Remotti, un «terreno di parziale sovrapposizione e intreccio del potere centrale da un lato e del potere clanico all’altro» (Remotti 2005, 115), ovvero l’ultimo strumento in mano ai gruppi di discendenza che consentì loro di arginare la centralizzazione dei poteri politici del regno.

Tuttavia, il momento di massima centralizzazione del Buganda coincise, e al contempo fu inasprito, dall’arrivo dei primi esploratori. Ciò condusse i sovrani di quel periodo verso l’adozione delle nuove religioni, spesso inconciliabili con le credenze e i rituali locali. Infatti, oltre ai drastici cambiamenti della tradizione funebre decretati da Muteesa I, i quali determinarono la fine del culto della mascella,

As Suuna and Muteesa I succeeded in extending the scope of centralized despotism, they came into conflict with the […] priests. Muteesa I in particular repeatedly expressed his contempt for the traditional cult to many visitors (Young 1977, 203).

Consapevoli dei limiti che i clan imponevano al loro potere, i kabaka si ribellarono alla religione tradizionale, ignorando i consigli provenienti dai masiro e interrompendo le offerte destinate ai templi delle divinità nazionali, anch’essi controllati dai clan. Questo fu il momento in cui, per la prima volta, il potere centrale del regno del Buganda manifestò disinteresse nei confronti degli antichi masiro e iniziò a rivolgere le sue attenzioni esclusivamente verso il luogo di sepoltura di Muteesa I: le Tombe di Kasubi.

Jean-Pierre Chrétien, in un volume dedicato all’Africa dei Grandi Laghi, descrive come i clan «often appeared as the explicit or implicit managers of the past or the sacred» (Chrétien 2003, 94). Nella gran parte delle società statali di questa regione, dunque, i gruppi di discendenza erano comunemente considerati come gli amministratori e i responsabili del passato. Attraverso le loro conoscenze, essi avevano il compito di custodire e tramandare la storia. Ciò che ho inteso sottolineare in questo capitolo, infatti, è come il ruolo dei clan, nel regno Buganda, assunse un valore politico che condusse verso un vero e proprio uso della storia. Questo fenomeno non consisteva solamente nel processo di trasmissione del passato, attraverso la ricostruzione delle residenze dei sovrani defunti e la narrazione delle loro storie. Esso era ancor di più un uso di natura politica e strumentale al condizionamento delle scelte del sovrano.

Attraverso i masiro, infatti, i gruppi di discendenza patrimonializzarono il passato del regno sotto forma di veri e propri monumenti celebrativi dei sovrani defunti e, parallelamente, di pratiche rituali attraverso cui la storia veniva conservata. Considero questi luoghi un “patrimonio” della società in quanto custodi di un’eredità esemplare, salvaguardata come monito per le generazioni future.

Ritengo ancora una volta necessario affermare, inoltre, che questo patrimonio venisse speso, utilizzato dai clan, suoi custodi, nel tentativo di arginare il sempre più opprimente potere del kabaka.

I masiro rappresentarono un vero e proprio strumento di resistenza politica cui il potere centrale poté contrapporre un’unica arma: quella del rifiuto e dell’abbandono. In un’epoca di forti mutamenti sociali dovuti al contatto con le nuove culture, Muteesa I trovò il modo di affrancarsi dai clan e decise di porre fine

alla secolare tradizione dei masiro. Reputo ragionevole sostenere che questa scelta decretò l’avvio di ciò che ho qui definito “disinteresse ufficiale”, ovvero quell’atteggiamento di distacco nei confronti del passato: un vero e proprio “disuso sociale – e politico – della storia”, ereditato e manifestato tutt’oggi dal Buganda nelle sue politiche di patrimonializzazione.

È necessario anticipare, a questo punto, che il disuso della storia precoloniale analizzato finora non si riscontra solo nelle pratiche di patrimonializzazione del Buganda. Al contrario, questo fenomeno è pervasivo di gran parte della società ganda e appare ben visibile nella perdita di conoscenza del passato precoloniale un tempo salvaguardata dai masiro. Nelle società ad oralità primaria – è stato già detto all’inizio di questo capitolo – ricordare gli avvenimenti del passato è fisiologicamente difficile. Tuttavia, in questa sede ho tentato di dimostrare come quello scarto di conoscenza (floating gap) riscontrabile laddove non è presente l’impiego della scrittura sia stato colmato, nel regno del Buganda, dalle attività svolte presso i masiro. Pur trattandosi di un passato alterato per finalità politiche da ognuno dei suoi autori, ha comunque permesso, nel corso di diversi secoli, di mantenere letteralmente viva la conoscenza di avvenimenti e personaggi antichi. Per questo motivo ritengo fondamentale evidenziare come la perdita di questo passato sia stata favorita dall’approdo, presso il regno del Buganda, della scrittura, ovvero quella tecnica capace di fissare su supporti scritti la conoscenza, al fine di tramandarla con più efficienza.

Nei prossimi capitoli tenterò di mostrare il modo in cui tale evento abbia condizionato una perdita di conoscenza pervasiva di tutta la società, riscontrabile sia presso le Tombe di Kasubi che nella memoria collettiva. In seguito, illustrerò le modalità grazie alle quali questo vuoto, questo floating gap, viene oggi colmato.