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IV. Pastiche turistic

2. I luoghi della memoria del Buganda

2.3 Luoghi colonial

In quest’ultima sezione intendo riportare la parola ”lieux“ al suo significato più comune e proporre dunque l’analisi di veri e propri “luoghi” della memoria ganda. Si tratta, in particolare, di tre siti culturali che costituiscono le tre attrazioni turistiche più visitate del regno e certamente fra le più note in Uganda in genere. Del primo, le Tombe di Kasubi, ho già parzialmente discusso l’inautenticità, attraverso l’analisi delle sue caratteristiche storiche e delle vicende legate al restauro in corso. Gli altri due, la residenza ufficiale del sovrano (Twekobe) e il palazzo del parlamento (Bulange) costituiscono, invece, i maggiori simboli istituzionali del regno, rappresentando rispettivamente il kabaka e il consiglio regale (lukiiko). Tutti questi luoghi presentano, come i lieux de mémoire già descritti, delle caratteristiche ibride e rivelano la compresenza di più stili e tradizioni architettoniche. Tuttavia, anche in questo caso, il governo promuove la loro autenticità fondata su un dichiarato collegamento all’autentica tradizione storico-politica del Buganda.

Come ho evidenziato nel primo capitolo, sebbene le Tombe di Kasubi siano promosse dal regno come uno dei luoghi più autentici rispetto alla tradizione del Buganda, fra le motivazioni addotte a sostegno dell’iscrizione del sito nella lista dei Patrimoni dell’umanità UNESCO figura la loro «unicità» rispetto al resto dei masiro

precoloniali. Escluso l’aspetto esteriore dell’edificio principale, chiamato Muzibu- Azaala-Mpanga, la struttura architettonica dell’intero sito presenta infatti delle chiare caratteristiche di ibridismo fra lo stile architettonico precoloniale e le innovazioni tecniche impiegate a seguito della stagione coloniale: queste ultime si colgono soprattutto nell’uso di materiali non organici, spesso camuffati mediante la sovrapposizione di elementi vegetali. Inoltre, anche nell’apparato rituale funebre legato al sito si riscontrano importanti modifiche dovute all’influenza delle religioni cristiana e musulmana.

La presenza dei materiali di origine non vegetale è evidente sin dall’arrivo all’ingresso del sito, un tempo costituito dal Bujjabukula, una capanna posta a

guardia del sito. Per esigenze di sicurezza e gestione della proprietà, infatti, il regno del Buganda ha dovuto erigere un muro di cinta attorno all’area di Kasubi, al fine di evitare le intrusioni e l’uso improprio della terra posta sotto la tutela dell’UNESCO.

Questo muro, posto a sostituzione della lunga fila di mutuba (ficus natalensis) che in passato delimitavano l’area delle tombe, è stato giudicato inappropriato dall’UNESCO, poiché incompatibile con lo stile generale del sito. Per questo motivo,

il regno ha ordinato che sulla parete esterna del muro venissero affisse delle canne, in modo da ostacolare la visione dei materiali non vegetali (Fig. 31).

La presenza di costruzioni in muratura ricorre anche all’interno del sito, dove in tutte le residenze poste attorno alla piazza centrale sono state preferite una struttura in mattoni e cemento e un tetto di lamiera, più resistenti al clima tropicale rispetto a legno, canne e gramigna (Fig. 32). Anche questa scelta ha suscitato l’invito dell’UNESCO al restauro secondo un metodo di costruzione tradizionale, tuttavia,

questi lavori non sono ancora avvenuti per la mancanza dei fondi, interamente destinati alla ristrutturazione dell’edificio principale.

Ancora in corso, i lavori di restauro del Muzibu-Azaala-Mpanga, interamente distrutto nel 2010 a seguito di un incendio, ne rivelano la struttura tutt’altro che vegetale. Come descritto nel capitolo precedente, infatti, l’edificio principale delle Tombe di Kasubi non possiede più la sua struttura originaria ma quella derivata da una ristrutturazione avvenuta nel 1938, che prevede l’impiego di mattoni e acciaio. La struttura portante è sorretta da pilastri in cemento, a sostituzione degli antichi pali di legno, mentre il soffitto presenta un reticolo d’acciaio. Al termine della ristrutturazione, un tetto conico di gramigna nasconderà tutti gli elementi inorganici, in modo da preservare la staged authenticity del sito (Figg. 15-20).

Le caratteristiche ibride delle Tombe di Kasubi si riscontrano anche nei rituali, che presentano delle novità sostanziali rispetto alla forma seguita in epoca precoloniale. La definitiva stabilizzazione della struttura architettonica al posto di una periodica diminuzione della sua grandezza; l’introduzione della pratica dell’inumazione al posto della conservazione della mascella inferiore; l’impiego del

sito per il ricordo di quattro kabaka e non più di uno solo: sono tutti elementi innovativi, determinati dall’influenza delle religioni cristiana e musulmana e dai cambiamenti politici avvenuti durante la stagione coloniale.

L’autenticità promossa dal regno, dunque, anche in questo sito sembra derivare dalla presenza di elementi di alterità che, a un primo sguardo, suscitano l’impressione di trovarsi di fronte a un’attrazione celebrativa della dominazione straniera. La stessa sensazione si avverte in effetti anche durante la visita agli altri due siti più sopra menzionati, il Bulange e il Twekobe, cui intendo accennare avviandomi alla conclusione. L’esame di questi due edifici richiederebbe ulteriori approfondimenti e meriterebbe uno spazio maggiore. Tuttavia, le scarse e sparse informazioni reperibili impongono un’analisi poco estesa.

Uniti da un lungo viale comunemente chiamato “royal mile” (Fig. 33), i due monumenti sede delle massime istituzioni si presentano come edifici pienamente coloniali e la loro disposizione assiale si ispira quella del National Mall di Washington, che separa il Campidoglio dal Lincoln Memorial. In stile modernista, il Bulange (Fig. 34) ospita l’antico consiglio del regno (lukiiko) e gli uffici dei ministeri. Completato nel 1956 sulla base del progetto di Cobb, Powell and Freeman (Olweny 1998; Meuser-Dalbai 2020), l’edificio si ispira al Palazzo di Stormont di Belfast, attuale sede dell’Assemblea dell’Irlanda del Nord. La sua inaugurazione precedette di sei anni quella del parlamento ugandese e rappresentò il tentativo di consolidare la posizione del Buganda al centro della politica nazionale. La costruzione, infatti, avvenne agli albori dell’indipendenza ugandese: un periodo di forti tensioni politiche fra il regno e l’amministrazione coloniale, che determinarono l’esilio del kabaka Muteesa II, principale leader dei movimenti a favore

dell’autonomia del Buganda rispetto alla nascente repubblica.

Il progetto del Bulange, dunque, rappresentò il tentativo di legittimare l’autorità del regno, che fino ad allora aveva ricoperto il ruolo di principale attore politico dell’indirect rule britannico, e di differenziarsi dagli altri stati precoloniali attraverso l’immagine di una monarchia moderna, senza nulla da invidiare agli stati europei.

Al contempo, tuttavia, la sede del lukiiko divenne il simbolo di una continuità politica avviata con l’amministrazione coloniale e dell’abbandono della tradizione precoloniale. Con l’inaugurazione di questo edificio, infatti, il consiglio del regno, un tempo riunito presso la residenza del kabaka, divenne un organo separato dalla sfera della regalità, assumendo funzioni più affini a quelle della Camera dei Comuni.

La trasformazione architettonica e formale del regno del Buganda venne tuttavia interrotta a dieci anni dall’inaugurazione del Bulange, a seguito dell’abolizione dei regni precoloniali formalizzata dal primo ministro ugandese Milton Obote. Il nome dell’edificio cambiò in Republic House e i suoi uffici vennero occupati dall’esercito nazionale, che fece del Bulange uno dei suoi centri direttivi. Con la restaurazione dei regni avvenuta nel 1993 e la restituzione dei loro possedimenti, l’edificio è tornato a rappresentare il principale centro delle politiche ganda.

Al lato opposto del “royal mile”, anche il Twekobe (Fig. 35) presenta degli elementi derivati dall’influenza della stagione coloniale e da un generale processo di stabilizzazione e formalizzazione delle istituzioni. La residenza del sovrano sorge all’interno del recinto regale (lubiri), che un tempo costituiva il centro della capitale mobile del Buganda: all’incoronazione di ogni kabaka, infatti, la posizione del principale edificio del regno veniva modificata. Tale pratica venne interrotta da Mwanga II, successore di Muteesa I, che stabilizzò la capitale ganda sulla collina di

Mengo. È sulla sommità di questo rilievo, infatti, che oggi sorge il Twekobe, il palazzo ufficiale del sovrano. Usato unicamente per le cerimonie ufficiali e non come residenza effettiva del kabaka, il palazzo presenta una classica struttura a due piani: una torre sormonta l’edificio centrale, fiancheggiato da due ali separate e simmetriche.

Completato nel 1922, durante il regno di Daudi Chwa, è stato restituito al kabaka nel 1993, dopo un lungo periodo di occupazione da parte dell’esercito ugandese. In effetti, il Twekobe rappresenta di fatto il simbolo storico dell’abolizione dei regni e il teatro del colpo di stato ordinato da Milton Obote che comportò il definitivo esilio

di Muteesa II nel Regno Unito. Queste caratteristiche, unite allo stile architettonico,

rendono l’edificio un’attrazione turistica dalla storia complessa, che mira alla rappresentazione del periodo di abolizione del Buganda, piuttosto che al racconto della sua rilevanza politica nella regione. La visita guidata al sito, infatti, dopo la descrizione dell’edificio principale, procede con la narrazione del colpo di stato del 1966 e della trasformazione del sito in base militare. Il punto di maggiore intensità del percorso è costituito dalle camere di tortura usate durante la dittatura di Idi Amin, dove il racconto delle atrocità avvenute durante questo periodo buio per la Repubblica Ugandese trasforma la visita al Twekobe in un vero e proprio esempio di dark tourism.

I siti appena descritti costituiscono le tre maggiori attrazioni turistiche del regno e vengono proposti come i principali simboli dell’identità ganda. L’impressione che restituisce la visita di questi luoghi, tuttavia, è quella di essere di fronte a dei siti lontani da una tradizione ancestrale e fortemente influenzati dagli elementi di alterità introdotti nel Buganda a seguito della dominazione coloniale. Ritengo tuttavia opportuno ribadire nuovamente la necessità di superare una nozione di autenticità di stampo oggettivista e riconoscere il carattere costruttivo di ogni forma di heritage. In questo modo è possibile aggiungere complessità al giudizio di una rappresentazione turistica, senza arenarsi in riduzioni essenzialiste volte a ricondurre uno stile o una pratica, alternativamente, alla genuinità precoloniale o al suo disfacimento coloniale. Nell’analisi del patrimonio culturale del Buganda è infatti doveroso riconoscere come le costruzioni operate dal regno siano caratterizzate da una creatività che accoglie l’alterità e la manipola, al fine di reinterpretarla mediante la definizione di auto-rappresentazioni identitarie ibride e coerenti al contesto sociale contemporaneo.