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Diventare provincia: richieste ed elaborazioni per un progetto

Il fallimento dei tentativi di salvare l’istituzione della provincia di Sardegna tra il 1593 il 1594 portò i collegi sardi ad affrontare un triennio di incertezza in cui intensificarono notevolmente le loro richieste, finalmente accolte solo nel 1597:

“Que me contento de hacer lo que piden y ansi le embiamos patente de provincial al p. Juan Pogio que al presente es viceprovincial” 223

Tornando indietro nel tempo nell’analisi della documentazione emerge in maniera chiara che prima del 1593 c’erano state petizioni in questa direzione, ma solo dopo i fatti del 1594 si assiste ad una maggiore elaborazione delle richieste dei padri isolani. Una maggiore determinazione in questo

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“Petitur ut Sardinia fiat Societatis provincia ob rationes allatas. R: Placet ut sit provincia, sit que ut hactenus

fuit sub hispania Assistentia”. ARSI, CONGR. 45, 11-14. Responsa ad ea quae Procurator Sardiniae proposuit data p.° february 1594.

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La conferma della collocazione iberica dei collegi sardi è data da alcune comunicazioni ufficiali del generale alle province, all’inizio del Seicento. In questi documenti la Sardegna è sempre ricordata insieme alle province iberiche. L’attendibilità di queste fonti è da valutare poiché le lettere sono conservate in una serie (HISP 86a) il cui titolo riporta la dicitura APOGRAFO “CODEX C”. Sarebbe dunque necessario un confronto con l’originale per vedere se i titoli delle lettere compaiono con queste diciture o esse sono stati formulati in fase di copiatura o di riordino. ARSI, HISP. 86a, 82. Común a los provinciales de España a Cerdeña y a las Indias. 19 settembre 1606; ARSI, HISP. . 86a, 83.

Litterae communes ad provinciales Europae, die 11 decembris 1606. Missae fuerunt ad provincias hispaniae et Sardiniae; ARSI, HISP. 86a, 94. Commun a los 4 provinciales y al de Sardeña. 19 abril 1608; ARSI, HISP. 86a,

Común a los 4 provinciales y al de Cerdeña, 3 marzo 1609; ARSI, HISP. 86a, Commun a los provinciales de España,

Cerdeña, Mexico, Perù, Philippinas en 14 septembre 1610.

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ARSI, FG. 1590-2, 29-30v. Utrum Sardiniae regno Instituenda sit Provintia nec no.

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ARSI, CONGR. 47 9-15. Respuestas dadas en april del 1597 a las cosas que propuso y pidio el p. Juan Maria

Flor en nombre del p. viceprovincial y delos demas padres de la isla de Cerdeña que le embiaron y vino a Roma a 16 de enero del 1597.

senso era già presente nel documento che il p. De Filippis presentò al generale, in veste di procuratore durante la quinta congregazione generale.224

Le prime aspirazioni all’istituzione di una provincia autonoma emergono però già nel 1579, sebbene la richiesta presentata dai collegi sardi al generale fosse motivata con il solo fatto che un tale cambiamento avrebbe giovato nel complesso alla presenza della Compagnia nell’isola.225 Nel corso del tempo si assiste ad un processo di elaborazione dei contenuti e delle motivazioni di quella che finora era stata una richiesta formulata in maniera molto generica. A confronto con il documento del 1579 le richieste di fondazione della provincia autonoma redatte dopo l’impasse del 1594 sono chiaramente il frutto di una riflessione sulla condizione dei collegi più approfondita ed elaborata. I documenti ufficiali inviati a Roma dai padri isolani testimoniano un momento di intenso confronto tra le diverse componenti delle comunità sarde.

Le motivazioni iniziali della richiesta dell’istituzione della provincia facevano leva sulla decennale constatazione delle difficoltà nelle comunicazioni con la provincia d’Aragona, che portava al rallentamento delle normali attività e decisioni dei collegi. Col tempo si era aggiunta una maggiore presa di coscienza della crescita che nel tempo le comunità isolane avevano avuto, fino a raggiungere dimensioni che avrebbero permesso loro di essere indipendenti. Tanto nella corrispondenza ordinaria quanto nei memoriali inviati a Roma, i padri dell’isola si presentano come non sottoposti al governo di alcuna provincia, trattano il rapporto con quella aragonese come un qualcosa di già concluso e per questo avanzano l’istanza di poter ottenere di trattare direttamente con il generale le questioni riguardanti i collegi. Il culmine di questa elaborazione si registra nel 1597 l’anno in cui l’obiettivo tanto sperato fu raggiunto. L’ennesima richiesta veniva supportata dai dati relativi alle fondazioni isolane che nel corso del tempo avevano raggiunto il numero di 5 (collegi di Sassari, Cagliari, Iglesias, Alghero, Noviziato di Cagliari), sostenute da una sufficiente dotazione economica e di personale. Forti di questa situazione i padri dell’isola facevano leva anche sul fatto che in altri contesti non meglio specificati, a parità di situazione (assenza di Casa Professa, numero e tipologia di fondazioni, di padri e situazione economica), il centro dell’ordine aveva concesso la costituzione della provincia.226 A loro parere la concessione del titolo avrebbe inoltre apportato risvolti positivi sul versante dei rapporti con gli esterni alla Compagnia e della maggiore unità dei padri nell’isola e con il resto dell’ordine. Questo nuovo status avrebbe poi accresciuto il buon nome della Compagnia nell’isola e avrebbe garantito una maggiore fiducia nell’ordine, maggiore sostegno alle sue attività e fondazioni da parte delle autorità isolane e dei notabili. La nascita della provincia avrebbe infatti fatto ricredere molti dall’idea che il regno di Sardegna non fosse tenuto in considerazione dai vertici della Compagnia.

Sul versante interno i padri registravano i positivi risultati del lavoro del procuratore dei collegi a Roma De Filippis, non solo per la trattazione diretta delle questioni con il generale, ma anche per le occasioni di confronto con altre realtà della Compagnia al di fuori del contesto isolano. I padri si dicevano fiduciosi dello sviluppo dei rapporti con altri membri dell’ordine che i contatti con l’esterno avrebbero potuto portare, ad esempio in occasione delle periodiche congregazioni dei procuratori. Il tema del confronto con l’esterno sembra rivestire un interesse particolare anche per il contributo che avrebbe potuto dare alla coesione interna dell’intera Compagnia a partire dalla conoscenza e condivisione delle direttive provenienti dal centro. I sostenitori della proposta

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ARSI, CONGR. 45, 1.2; 7-8. Proponenda Patri Nostro & Congregationi Generali a Patre Philippo procuratore

Sardiniae totius Provintiae nomine. La relazione è redatta dal p. Pischedda.

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ARSI, CONGR. 93, 295-299v. Responsiones ad ea quae a procuratorum collegiorum Sardiniae proposit

a fuerunt anno domini 1579.

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ARSI, CONGR. 45, 1-2; 7-8 Proponenda Patri Nostro & Congregationi Generali a Patre Philippo procuratore

Sardiniae totius provintiae nomine; ARSI, SARD. 16, 170-171v. Sassari, 22 maggio 1594. Filippus Filippi a

Acquaviva; ARSI, CONGR. 47 1-8. Respuesta al memorial de lo que piden al V. R. los collegios de Cerdeña dadas en

speravano infatti che questa nuova condizione dell’isola potesse aumentare lo scambio con e altre comunità della Compagnia rendendo più appetibile lo svolgimento del servizio nelle sue fondazioni, giacché la maggior parte dei padri che vi arrivavano dall’esterno lo facevano mal volentieri e spesso speravano in un veloce trasferimento. Sul versante sardo il possibile avvio delle congregazioni provinciali avrebbe inoltre fatto guadagnare molto sul piano della conoscenza, del confronto e dell’unità interna dei gesuiti presenti nell’isola.

Nei tentativi ufficiali di ottenere la concessione del titolo di provincia rimanevano però in ombra alcune delle problematiche e alcune posizioni contrarie che venivano invece proposte apertamente nella corrispondenza ordinaria. Se nelle richieste ufficiali i padri nell’isola mostravano una certa fiducia nella possibilità di reperire sostegno economico per tutte le fondazioni esistenti una volta raggiunta la piena indipendenza, nelle comunicazioni ordinarie con il generale e i suoi collaboratori i riferimenti alle difficoltà economiche sono molto ricorrenti. Dalla lettura della corrispondenza emerge che l’ordine riscuoteva un consenso tale da assicurarsi numerose donazioni, ma si vedeva costretto a rifiutare molte di esse o per difetto di forma che le rendeva incompatibili con le regole dell’ordine o per difficoltà momentanee di gestione. I padri avevano fiducia quindi che le offerte non sarebbero mancate, ma erano al contempo consapevoli che avrebbero continuato a trovarsi obbligati a rifiutarle se le condizioni poste dai donatori fossero state inadeguate.

A chiarire questa situazione che appare quasi contraddittoria, può essere utile il commento che su questo tema offre Antonio Astrain nella sua Historia de la Compañia.227 Spiega lo storico che spesso, passato il primo entusiasmo legato all’avvio di un nuovo collegio, le promesse dei benefattori rimanevano sulla carta. Altre volte a questo si accompagnava la difficoltà nell’effettivo godimento delle donazioni: in alcuni casi si trattava di benefici ecclesiastici la cui annessione alla Compagnia passava attraverso una serie di pratiche complesse da curare a Roma; in altri casi i beni donati erano accompagnati da una serie di obblighi (obbligaciones), da cui derivano fastidiosos

pleytos. Situazioni di questo genere vengono più volte descritte nella corrispondenza proveniente

dalla Sardegna e sembrano andare ben al di là delle lamentazioni di facciata, creando effettivi intralci alle attività dei gesuiti nell’isola. Basti pensare semplicemente ai problemi affrontati dai primi gesuiti nell’isola in relazione al lascito di Alessio Fontana.

Alle difficoltà di tipo economico si aggiungeva anche quelle inerenti le risorse umane. Il numero dei padri e dei coadiutori era ritenuto sufficiente anche se si ponevano all’attenzione del generale problemi seri relativi alla formazione e alla gestione delle fondazioni.

La costituzione della provincia non era però una prospettiva condivisa da tutti. Da più parti si sollevavano dubbi sulle conseguenze di questo passo. Tali posizioni emergono chiaramente da un documento dal titolo Utrum Sardiniae regno instituenda sit Provintia nec no conservato in una serie del Fondo Gesuitico.228 Il documento è suddiviso in tre parti: la prima espone i motivi a favore della costituzione della provincia, la seconda quelli contrari, la terza riporta le risposte a quelli contrari. Non è finora stata chiarita la sua natura, né si conosce l’identità dei suoi estensori, né l’occasione o la data in cui venne redatto. La parte positiva riporta nel complesso le motivazioni già illustrate, mentre quella negativa mette in evidenza alcune interessanti questioni già emerse, ma che in questa forma problematica permettono di completare il quadro. La maggior parte dei punti toccati riguarda le difficoltà economiche legate alla nascita e il sostentamento della nuova provincia.

Secondo gli estensori del documento numerosi erano gli elementi a sfavore della costituzione della provincia di Sardegna. Sul piano delle condizioni da soddisfare per ottenere l’autorizzazione dal generale si faceva notare che con difficoltà si sarebbe riusciti a sostenere l’avvio della Casa Professa poiché il regno di Sardegna era particolarmente povero e già con fatica riusciva a provvedere al sostentamento ordinario dei collegi già presenti. La promozione al rango di provincia

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A. ASTRAIN, Historia de la Compañia..., cit., vol. II (Laynez y Borja), p. 237.

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avrebbe inoltre complicato la già precaria situazione economica perché l’invio periodico dei propri rappresentanti alle Congregazioni dei Procuratori o a quelle Generali avrebbe costituito un dispendio di risorse difficilmente sostenibile. Sul versante delle risorse umane invece, i problemi individuati erano di altra natura. In primo luogo si riteneva difficile mettere insieme, tra i professi dell’isola che formalmente ne avrebbero avuto diritto, il gruppo di persone capaci e formate da riunire nella congregazione e tra cui eleggere un provinciale. Si riteneva inoltre che altri problemi sarebbero sorti con quei gesuiti originari di altri contesti mandati nell’isola, che cercavano di andare via il prima possibile, anche quando vi arrivavano per ricoprire incarichi da superiore.

Conflitti interni alle comunità isolane

La corrispondenza del 1594 ha già mostrato l’insieme di interventi intenzionali e i malintesi che si susseguirono nell’isola e a Roma nelle settimane di convocazione della congregazione generale e in quelle immediatamente successive. Nell’insieme di vicende che portarono allo sfumare della costituzione della provincia è più volte emerso il ruolo svolto dal p. Olivencia.

È lo stesso Olivencia che scrive a Roma quasi a discolparsi per non essere intervenuto a distogliere il viceré e l’arcivescovo di Cagliari dal convincere Horru a dirottare la sua donazione verso la fondazione dell’università e a scusarsi perché era vero che aveva trattato la questione della provincia sarda direttamente con il viceré nelle settimane in cui si riuniva la congregazione generale. Le scuse ricorrenti del vice-provinciale mostravano che tra i padri isolani circolava una certa insofferenza nei suoi confronti e lo stesso Olivencia afferma in modo accorato che riguardo al contatto del viceré con l’ambasciatore di Spagna a Roma affinché i collegi sardi venissero collocati nell’assistenza di Spagna e non d’Italia non aveva avuto alcuna intenzione di sollecitare il viceré a questo atto seppure aveva avuto modo di parlare di tale questione con lui, tacendo le informazioni riservate che aveva riguardo all’effettiva intenzione del generale di dar vita alla provincia di Sardegna sotto il controllo dell’assistenza italiana.229

I primi ad essere posti sotto accusa furono appunto i rapporti tra il vice-provinciale e il viceré di Sardegna. Dalle lettere spedite a Roma il padre spagnolo non appare un semplice interlocutore di Moncada, interessato alla buona conclusione degli affari della Compagnia. Emerge infatti il rapporto di amicizia che intercorreva tra i due, rapporto che negli anni del suo incarico aveva fruttato molti vantaggi all’ordine. A muovere una vera e propria campagna contro il vice- provinciale intervengono alcune lettere inviate dal p. Pogio dopo il suo arrivo nell’isola nell’agosto del 1595 e che rivelano quanto questo legame non fosse solo connesso alla comune permanenza nell’isola, ma avesse origini, o almeno propaggini, iberiche.230 Un anno dopo la chiusura della congregazione generale Pogio tornava nell’isola con una patente da vice-provinciale e tutte le intenzioni di porre i collegi sardi sotto il suo controllo. Le vicende appena trascorse e le loro immediate conseguenze gli offrirono materia d’intervento e la possibilità di mostrare presto le sue

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ARSI, SARD. 16, 191-192v. Sassari, 20 novembre 1594. Olivencia a Acquaviva. “No hiziese esta provincia de

la asistencia de Italia y que alla ha avido sospechas que no uviese el Virrey sido incitado para ello por my o por otro delos nuestros Y si algo escrivio al embaxador ny yo lo supe, ny fue por instigacion mya, y esto lo jurare si V. P. quiere mayor certificacion. Y aunque se que despues de mi [venida] a este cabo ha tratado el virrey esto con otros muchos de la Compañia y de fuera della pero me persuado que ninguno de la Compañia le ha movido a escrivir esto al enbaxador.”

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La lettera si trova in ARSI, SARD. 16, 278-279V. Cagliari, 30 aprile 1596. Pogio ad Acquaviva. Juan Pogio era un gesuita sardo che entrato nell’ordine nell’isola nel 1565, aveva compiuto la sua formazione nel collegio di Sassari e nel 1570, insieme ad altri padri, era stato mandato a completare la sua formazione nella penisola iberica. Divenuto professo dei quattro voti il provinciale di Aragona gli aveva affidato incarichi di governo a Mallorca, il rettorato del collegio di Barcelona e di Gandía. Sull’invio di Pogio in Spagna insieme ad altri qualche anno prima ARSI, SARD. 15, 86-87v. Caller, 4 settembre 1574. Giorgio Passiu a Mercuriano; sugli incarichi ricoperti da Pogio nella penisola iberica si veda ARSI, ARAG., 5 28. Asiento de la provincia de Aragón en mayo 1591; sul suo arrivo nell’isola con l’incarico di vice-provinciale ARSI, SARD. 16, 266-267v. Cagliari, 27 gennaio 1596. Olivencia a Acquaviva.

intenzioni di governo sulle fondazioni sarde. L’operato del suo predecessore era divento ben presto materia di indagine e in modo particolare i rapporti con il viceré. Pogio ne spiega la natura e le implicazioni raccontando alcuni episodi avvenuti. In occasione dell’insediamento del conte di Elda Antonio Coloma nel 1595 come successore di Moncada, il p. Olivencia si ritrovò a dover fare gli onori di casa.231 In quella occasione qualcuno non ben identificato, lo accusò di aver parlato male di Elda, notizia che fece andare su tutte le furie il nuovo viceré tanto da portarlo alla decisione estrema di non voler avere alcun rapporto di collaborazione con la Compagnia finché il p. Olivencia fosse rimasto nell’isola. Alla luce di questa situazione, il p. Pogio, chiese al generale l’allontanamento del gesuita dalla Compagnia, invitando a non mandarlo né a Madrid, né in Castiglia, visto che, a detta del nuovo viceré, avrebbe potuto remare contro di lui anche presso la corte del Re, aiutato dal De Moncada che nel frattempo era tornato in Spagna.232 Il tempo trascorso da Pogio in Spagna lo rendeva di sicuro informato degli equilibri politici che si giocavano attorno alla nomina del viceré e delle relazioni tra i diversi personaggi operanti nell’isola e provenienti dall’area iberica. Sembra chiaro che i rapporti intessuti tra de Moncada e Olivencia non erano graditi al nuovo viceré e venivano tenuti sotto controllo da Pogio. Alla luce di questi contatti tra i due anche le questioni legate alla collocazione della erigenda provincia di Sardegna mettevano il vecchio vice-provinciale sotto una cattiva luce.

La sua posizione subì un decisivo aggravamento poiché tra l’inizio del 1594 e gli ultimi mesi del 1595 il p. Olivencia si trovò coinvolto in un insieme di situazioni che concorse a minarne ulteriormente la credibilità .

Olivencia divenne infatti protagonista di altri episodi incresciosi 233 quali gli attacchi sferrati contro di lui da un cappuccino voluto a Cagliari dall’arcivescovo per predicare la quaresima del 1594 che arrivò al punto di denunciare il gesuita presso l’inquisizione per screditare l’intera Compagnia nell’isola234; a questo si aggiunsero le accuse di un canonico di Sassari di aver

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Antonio Coloma Calvillo, duca di Elda, signore della Baronia di Petrell, alcalde del castello di Alicante, fu viceré di Sardegna dal 1595 al 1603. Durante il suo incarico fu assente dall’isola e il suo posto venne ricoperto ad interim da due sostituti: dal 1597 al 1599 da Alfonso Lasso y Sedeño, arcivescovo di Cagliari, poi dal 1601 al 1602 da Juan de Zapata. Dal 1602 al 1603 convocò il parlamento sardo cfr. G. DONEDDU (a cura di), Il Parlamento del viceré Antonio

Coloma conte di Elda (1602-1603), «Acta Curiarum Regni Sardiniae», 13.

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Pogio sembra però ignorare che Olivencia aveva più volte chiesto al generale di essere mandato a Roma alla fine del suo mandato e non in Spagna. Quando nel mese di gennaio del 1596 venne comunicata la nomina di Pogio a vice- provinciale, Olivencia ringraziò di essere stato sollevato dall’incarico e chiese di avere presto una destinazione. D’altro canto si può pensare che l’influenza delle relazioni interpersonali era tale che per evitare ripercussioni nell’isola fosse necessario che Olivencia non si trovasse nelle condizioni di poter ledere la reputazione del viceré Elda. All’arrivo dei padri dalla Spagna, alla fine di agosto, la situazione non si era ancora chiarita e le cose non cambiarono neanche nel successivo mese di novembre: ARSI, SARD. 16, 266-267v. Cagliari, 27 gennaio 1596. Olivencia a Acquaviva e ARSI, SARD. 16, 254-255v. Cagliari, 1 novembre 1595. Olivencia a Acquaviva.

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Il primo episodio è già stato ricordato ed è quello del confronto che il p. Olivencia ebbe con il viceré, intenzionato a chiedere, tramite l’ambasciatore di Spagna, la collocazione della provincia di Sardegna sotto il controllo dell’assistenza di Spagna e non d’Italia. Come già visto Olivencia scrisse al generale con lo scopo di presentare la vicenda, ma anche per difendersi dalle accuse rivolte nei confronti del suo operato. La lettera non chiarisce l’identità degli accusatori. Dalla sua Olivencia aveva solo l’ammissione di aver effettivamente discusso con il vicerè e l’aver dichiarato apertamente di vedere qualche rischio nella collocazione dell’isola sotto l’assistenza italiana. Nelle sue lettere però non si rileva nessun commento riguardo alle pretese del sovrano spagnolo e alla posizione di Moncada.

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Il secondo episodio vede Olivencia protagonista di un episodio che coinvolse presto l’intera Compagnia nell’isola. Poco prima degli inizi della quaresima del 1594, probabilmente nel mese di febbraio, nella città di Cagliari, dove i gesuiti erano soliti predicare durante la quaresima su richiesta dell’Arcivescovo, giunse il padre Pablo de Lara Cappuccino dalla provincia di Catalogna. Il padre aveva ricevuto per quell’anno l’incarico di sostituire i gesuiti in quel ministero. Il p. Olivencia non era stato avvisato di questo cambiamento e si trovò ad accettarlo di buon grado. Scrisse così a Roma informando il generale di non aver avanzato alcuna lamentela giacché riconosceva il pieno diritto