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Pratiche pastorali e cultura cinquecentesca: teatro e stampa

Sul piano delle attività che i gesuiti attivarono a sostegno delle loro pratiche pastorali non vanno dimenticate quelle legate al complesso percorso della formazione umanistica che proposte nei collegi spesso superavano l’ambiente delle aule scolastiche e si riflettevano più ampiamente nella vita culturale dei centri in cui sorsero i collegi.

L’esempio più importante è senz’altro costituito dalle attività teatrali che facevano pienamente parte del curriculum formativo della Ratio Studiorum fino ad arrivare a diventare, nel corso del Seicento e Settecento un esempio importate di alta drammaturgia. Attività teatrali o musicali ad esempio sono documentate in molteplici contesti e hanno rivestito nel tempo una grande importanza sia nel definire la peculiarità dell’opera dei gesuiti, sia le novità apportate dall’ordine nell’ambito dell’azione pastorale all’indomani del Concilio di Trento. Il teatro rientra all’interno della pedagogia gesuitica con una duplice finalità: da un lato aveva lo scopo di far esercitare gli studenti nelle arti della retorica, coronamento della formazione umanistica, e dall’altro le si attribuiva quello di edificare gli spettatori.448

Anche nei collegi sardi le attività teatrali non mancarono fin dai primi anni di apertura delle fondazioni fino ad arrivare alla prima metà del Seicento. Le stringate notizie presenti nella documentazione non rendono conto del reale utilizzo del teatro nella vita delle comunità gesuitiche e delle città in cui esse erano state fondate.449 Dal complesso dei riferimenti emerge che le rappresentazioni erano da un lato esercizio interno degli allievi dei collegi, dall’altro venivano offerte alla città nell’ambito delle attività dei collegi soprattutto a rimarcare alcuni momenti forti dell’anno come la presentazione dei corsi alla cittadinanza o l’inizio delle lezioni (carmina che venivano cantati o dialogi), altre volte invece costituivano un vero e proprio intrattenimento proposto in occasioni legate alla vita della Compagnia come le celebrazioni per beatificazioni o canonizzazioni di membri dell’ordine o gli spettacoli offerti all’intera cittadinanza in corrispondenza di momenti importanti della vita civile, come ad esempio l’ingresso o la visita in città del nuovo viceré o dell’arcivescovo. A questi momenti se ne univano altri più legati alle celebrazioni dell’anno liturgico durante le processioni ad esempio in occasione di alcune solennità come la festa di Corpus Domini.

Quanto al contenuto di tali rappresentazioni esso non era sempre religioso. Infatti nelle fonti della prima metà del Seicento è attestato il ricorso a motivi mitologici, come quando nel 1623 a Sassari, durante le celebrazioni per la canonizzazione del fondatore dell’ordine e di Francesco Saverio, sfilarono per le vie della città Marte e Pallade. Un momento dell’anno che ben si prestava ad essere allietato dalle proposte teatrali dei gesuiti era il periodo di carnevale. Per quanto questo momento fosse di solito ritenuto sconveniente e foriero di eccessi poco raccomandabili, alcune delle

448

Sul teatro e la Compagnia di Gesù cfr. M. CHIABÒ, F. DOGLIO (a cura di), I gesuiti e i primordi del teatro

barocco in Europa : convegno di studi, Roma 26-29 ottobre 1994, Anagni 30 ottobre 1994, Torre d'Orfeo Editrice,

1995; C. GONZALEZ GUTIERREZ, El teatro en los collegios jesuitas del Siglo de Oro. Bibliografia actualizada y comentada, «Quadernos para la Investigación de Literatura Hispanica», 23 (1998), 91-122; B. MAJORANA, Une

pastorale spectaculaire. Missions et missionaires…, cit.; Sul teatro in Sardegna: S. BULLEGAS, Il teatro in Sardegna fra Cinque e Seicento da Signismondo Arquer ad Antioco Arca, Cagliari, 1976, in particolare Il teatro dei gesuiti, p. 25

e sgg.

449

R. TURTAS, Appunti sull’attività teatrale nei collegi gesuitici, in Id. Studiare, istruire, governare…, cit., pp. 173-191.

rappresentazioni proposte dai collegi erano organizzate in questo periodo, talvolta per contrastare, con una proposta comica ma comunque controllata, la sregolatezza che veniva associata alla festa.

Alle rappresentazioni che ebbero come palcoscenico lo spazio urbano se ne unirono anche di più tradizionali allestite all’interno di uno spazio chiuso, con l’allestimento di un vero e proprio palco. I luoghi scelti per tali messe in scena furono talvolta le chiese come ad esempio quella di S. Croce a Cagliari che nel 1624 divenne teatro dei festeggiamenti offerti alla città in onore della beatificazione di Francesco Borja. La rappresentazione di tali spettacoli all’interno delle chiese testimonia per la Sardegna l’infrazione del divieto posto dai generali di allestire rappresentazioni teatrali all’interno delle chiese. Su questo tema erano intervenuti sia Borja che Mercuriano. A preoccupare i generali era l’utilizzo degli spazi sacri per attività che spesso sacre non erano, motivo per cui arrivarono ad ordinare ai superiori delle fondazioni gesuitiche di limitare al massimo tali attività, stabilirono inoltre di rappresentare soggetti pii e in lingua latina e nel caso in cui non avessero potuto farne a meno le rappresentazioni dovevano essere destinate ad un pubblico ristretto, nei collegi. Le pur scarse notizie provenienti dalla documentazione sarda mostrano come tale divieto fosse ignorato. Si assiste inoltre alla diminuzione dei riferimenti alle attività teatrali in concomitanza con l’intensificarsi degli interventi dei generali, che dopo le prime indicazioni di massima e resisi conto della loro mancata osservanza specialmente nelle periferie, rincararono la dose. La diminuzione dei riferimenti non sarebbe però da collegare ad un effettivo abbandono di tali attività quanto piuttosto ad un’operazione di autocensura praticata nelle periferie per impedire che il centro dell’ordine intervenisse a limitare queste proposte che in loco riscuotevano un grande successo, ma per i vertici dell’ordine erano foriere di numerosi problemi. La questione teatrale si configura come autocensura simile al meccanismo illustrato per i rapporti con l’inquisizione. C’è da dire che a differenza di quest’ultima nel caso teatrale si trattò di un’iniziativa delle periferie per contrastare l’ingerenza del centro romano e non tanto di una prassi raccomandata dal centro dell’ordine alle stesse periferie.450

Maggiormente in ombra rimane l’utilizzo della musica nella catechesi o in altre pratiche pastorali.451 I pochi cenni presenti compaiono soprattutto nelle Annuae e poco nella corrispondenza ordinaria e pur essendo attestato che tale arte venne impiegata come accompagnamento delle rappresentazioni teatrali,452 per accompagnare alcuni momenti della liturgia e della paraliturgia e la

pratica della catechesi ai bambini, si riscontrano ben poche riflessioni teoriche sul suo utilizzo. Non si hanno notizie sulla formazione dei padri che la utilizzavano o informazioni riguardanti le attività praticate. Rimane ancora più nell’ombra il tema dell’uso delle immagini nella predicazione e nelle attività pastorali per cui i fugaci riferimenti nella documentazione non sembrano per ora essere accompagnati da studi specifici su questo aspetto.453 Nel 1574 Francesco Berno comunica che erano giunte l'anno prima da Roma alcune immagini de la piedad, alle quali il papa aveva concesso alcune indulgenze. Poco tempo dopo il rettore di Sassari aveva esposto nella chiesa della Compagnia queste immagini dipinte con diversi colori in una tavola sotto il pulpito insieme all'indulgenza, in modo che fossero viste da tutti e tutti venissero a guadagnare le dette indulgenze. Si accenna altrove all’arrivo dell’isola di algune immagini dell’Agnus dei, usate in questo caso a scopo di devozione.

Un altro discorso può essere fatto invece in relazione alla stampa. La corrispondenza in partenza dall’isola contribuisce poco anche alla ricostruzione del suo utilizzo da parte della Compagna. Esso

450

Ibid.

451

R. TURTAS, Studiare, governare, istruire…, cit., p. 186 nota n. 18.

452

ARSI, SARD. 14, 91r- 96v. Littera Annua 1566.

453

A qualcuno questa cosa non piacque e chiese così al vice-provinciale che non si sapeva se una cosa del genere si usava nella Compañia. Questo gli rispose che non era stato avvertito e che di questo non si parlasse fino alla sua venuta. "despues de la qual se ha quedado en su regno" ARSI, SARD. 15, 29-32v. Sassari, 16 marzo 1574. Francisco Berno.

emerge in controluce sia dagli studi sull’attività di controllo e censura da parte dell’Inquisizione,454 sia da quelli che Luigi Balsamo ha condotto sulla diffusione della stampa e del libro nel regno455 sia da quelli sulla storia delle università sarde che pongono il collegio sassarese e la sua biblioteca alla base della nascita dell’ateneo sardo. Il quadro che può essere ricostruito grazie ai diversi contributi di studio mostra da un lato che l’ordine, avendo tra le sue principali attività quella dell’insegnamento, si dotò ben presto di una biblioteca nel collegio facendo arrivare i testi dalla penisola italiana e da quella iberica oppure, soprattutto in un secondo tempo, affidandosi alle stamperie locali; dall’altro per lo stesso motivo la Compagnia divenne, pur nelle contraddizioni e nei conflitti di interesse legati al funzionamento della macchina inquisitoriale già illustrati, uno dei principali obiettivi delle visite dell’inquisizione isolana per il controllo sulla diffusione dei libri proibiti. I gesuiti presenti nell’isola svolsero un ruolo importante nell’introduzione nell’isola di alcuni testi di argomento religioso, teologico che circolavano in Europa, opere talvolta di loro confratelli, mentre limitata appare la loro attività di autori. L’unico testo che viene ricordato per il Cinquecento riguarda le attività pastorali svolte dalla Compagnia. Si tratta infatti dell’Instructio ad

bene confitendum del rettore del collegio di Sassari Joan Franco, di cui non si conoscono

direttamente esemplari, ma la cui esistenza è segnalata dall’inventario della biblioteca di Monserrato Rossello.456. Non limitandosi ai testi prodotti dalla Compagnia e prendendo in considerazione le opere stampate nell’isola ci si rende ben conto che pur non essendo sempre scritte in Sardegna, le pubblicazioni avevano più spesso un contenuto pastorale che strettamente teologico.457 Secondo il Balsamo la carenza di pastori di anime formati è alla base della scelta di

pubblicare soprattutto manuali di pratica pastorale o di devozione, spesso di autori gesuiti.458 Gli stessi gesuiti furono tra i principali clienti della tipografia Canelles di Cagliari che stampò la metà dei suoi volumi per conto di terzi. Al presente rimane irrisolta la questione del ruolo che l’uso e la promozione della stampa da parte dei gesuiti ebbe nel caratterizzare la presenza dell’ordine e la sua azione nel contesto sardo, al di là del suo utilizzo nelle attività di insegnamento e di formazione. È al contempo appurato il ruolo svolto dai padri nel contribuire alla vita culturale dell’isola. Al loro arrivo nell’isola i gesuiti trovarono una situazione molto sguarnita sul piano dell’istruzione, sia per la precarietà delle esperienze di insegnamento pubblico finanziate dalle autorità cittadine, sia per

454

A. RUNDINE, Inquisizione spagnola…, cit.

455

L. BALSAMO, La stampa in Sardegna…, cit., p. 71 e sgg. Le opere di membri della Compagnia stampate nell’isola vengono riportare da Balsamo nei suoi annali alla fine del volume: E. AUGER, Catechismus, Cagliari, 1566; J. A. POLANCO, Breve directorium ad confessarii ac confitentis…,Cagliari, Canelles, 1567; G. LOARTE, Exercicio de

la vida cristiana, Callar, 1567 e 1574; C. SOAREZ, De arte rethorica libri tres, Caller, 1574;

456

Joannes Franco, Instructio ad bene confitendum, Calari, 1568 segnalata da Balsamo a p. 130, n. 12. La redazione di questa opera è confermata dall’autorizzazione a ristamparla data dal generale: “Concedimus que se puede alli

imprimir de nuevo el librillo del p. Joan Franch de la Instruction para bien confessar, como el señor obispo de Bosa en una suya me pide: asi podra el mismo padre Franch revello para este effecto y añadille lo que le pareciere convenir, lo qual podra VR comecer a dos de nostros theologos que le parecieren al proposito para que lo examinen y juzgandolo que asi el libro como lo que se le añadesca para imprimirse lo hagan” in ARSI, CONGR. 93, 301-304. Responsa de N. P. Generalis a las preguntas del memorial del viceprovincial de Cerdeña y otras dubdas que el pricurador della a qui nos ha propuesto el año 1579. Per gli altri titoli prodotti dai gesuiti nell’isola durante il Seicento si vedano più avanti p.

39 e seguenti.

457

Cfr. L. BALSAMO, La stampa in Sardegna…, cit., p. 71 Secondo Balsamo durante i circa 20 anni di attività della tipografia Canelles di Cagliari (dal 1566 al 1589), che dette la luce ad almeno 47 opere, la maggior parte delle pubblicazioni avevano argomento religioso o ecclesiastico: si andava dai manuali di devozione agli atti sinodali, dai rituali agli inni e alla poesia didascalica fino ad arrivare ai testi scolastici, alle leggi del regno. Circa la metà delle pubblicazioni avvenne per conto di terzi quali il governo viceregio, i gesuiti, le curie vescovili o altri ordini religiosi.

458

Ibid. p. 74 e p.76. Balsamo ricorda il Catechismo di Auger, l’Imitazione di Cristo, un manuale del p. Luis de Granada, l’Esercizio della vita cristiana di Gaspare Loarte; sul versante delle edizioni destinate direttamente ai sacerdoti per la pratica pastorale sono conservati manuali contenenti le norme e le materie per l’esame dei candidati agli ordini ecclesiastici e due guide per la confessione, i canoni e i decreti conciliari e un compendio di questioni teologiche del frate José V. Angles

l’assenza di un vero e proprio sistema di studi organizzato in gradi successivi di formazione.459 L’isola era inoltre priva di università e, per questo, i sardi che arrivavano ad averne la possibilità, frequentavano le università italiane (Siena e Pisa in testa, ma anche Bologna) o, soprattutto in età spagnola, quelle iberiche, in particolare da quando il possesso di un titolo accademico facilitava l’inserimento all’interno dei posti di governo e di amministrazione, all’inizio esclusivo appannaggio degli iberici.460 Per questo motivo, dalla fine del Quattrocento si era creato una migrazione intellettuale e diversi sardi conseguirono i gradi accademici fuori dall’isola per poi farvi ritorno. Nei primi decenni questo fenomeno non sembra aver contribuito immediatamente ad un ampliamento degli orizzonti culturali del regno, pur influendo in prima battuta sulla lenta formazione dei letrados dell’isola. Col tempo esso ricevette un importante impulso anche dalla Compagnia prima con l’apertura dei collegi, che permise l’accesso all’istruzione non solo elementare, e poi con la fondazione del primo studio universitario. Si dovette infatti aspettare il 1624 per vedere istituito il primo studio dell’isola, quello cagliaritano, fondazione che era stata richiesta più volte nel corso del Cinquecento e attorno alla quale si fronteggiò la profonda rivalità tra i due capi dell’isola, tra le città di Sassari e di Cagliari.461 Le attività dello studio cagliaritano iniziarono ufficialmente nel 1624 sebbene Filippo III avesse concesso fin dal 1603 a Cagliari di essere sede della università regia. Sassari, iniziò l’iter in un periodo precedente vide la sua conclusione solo nel 1632. A differenza dello studio cagliaritano che dipendeva dalla città, quello sassarese era inglobato nel collegio e dipendeva direttamente dalla Compagnia. Pur avendo uno statuto differente lo studio cagliaritano continuò a usufruire della collaborazione dei docenti e delle stesse lezioni offerte dal collegio dei gesuiti anche per buona parte degli insegnamenti della facoltà di filosofia e teologia.

Per quanto i gesuiti possano essere, a posteriori, considerati tra i principali fautori di un rinnovamento culturale, con i primi segnali entro la seconda metà del Cinquecento ed effetti decisivi nel corso del Seicento, le comunità gesuitiche isolane, avanguardia culturale dell’isola, non furono sede o promotrici di intenso dibattito né teologico né scientifico, diversamente da quanto accadeva negli stessi anni in altri contesti. Il contesto sardo non era pronto a questo e i gesuiti presenti nelle comunità dell’isola non erano stati scelti in primo luogo per la loro preparazione teologica o per le loro competenze nei campi del sapere. Vi erano stati inviati per vedersi affidato il compito di consolidare la presenza della Compagnia in un contesto geografico e politico di una certa marginalità in cui le priorità generali, e ancor più quelle dell’ordine, avevano a che fare con esigenze pastorali di rinnovamento della vita cristiana in collaborazione con gli ordinari e il clero locale in vista dell’applicazione dei decreti tridentini. A queste si legavano inevitabilmente urgenze

459

R. TURTAS, Amministrazioni civiche e istruzione scolastica nella Sardegna del Cinquecento, in Id., Studiare,

istruire, governare…, cit., pp. 41-69.; Id., La formazione delle università i Cagliari e Sassari, ibid., pp. 71-92; Id., Gli studenti sardi tra ‘500 e ‘600, ibid. pp. 92-171.

460

Sulla consuetudine di frequentare le università isolane da parte dei giovani sardi intervenne Filippo II nel novembre 1559 con una Prammatica che imponeva agli studenti sardi di preferire le università iberiche alle tradizionali mete universitarie italiane di Pisa, Siena e Bologna. Notizie di questo provvedimento si hanno in R. TURTAS, La

questione linguistica…, cit. pp. 239 e p. 259 nota n. 25. La formazione di Giovanni Francesco Fara nelle università di

Pisa e Bologna negli anni Sessanta del Cinquecento mostra che il divieto non veniva sempre rispettato.

461

Sulle caratteristiche delle università nel regno di Sardegna: BRIZZI, Sassari. Università della monarchia

ispanica, in A. MATTONE (a cura di), Storia dell’università di Sassari, Nuoro, Ilisso, 2010, vol. I, pp. 39-49; Sul

rapporto tra i gesuiti e l’università cfr. G. P. BRIZZI, A. D'ALESSANDRO, A. DEL FANTE, Università, principe,

gesuiti: la politica farnesiana dell'istruzione a Parma e Piacenza (1542-1622), Roma, Bulzoni, 1980; G. P. BRIZZI, (a

cura di), La ratio studiorum: modelli culturali e pratiche educative dei gesuiti in Italia tra Cinque e Seicento, Roma, Bulzoni, 1981; G. P. BRIZZI, R. GRECI, (a cura di), Gesuiti e università in Europa: (secoli XVI-XVIII), Bologna. Clueb, 2002; G. P. BRIZZI, P. DEL NEGRO, A. ROMANO, (a cura di), Storia delle Università in Italia, Messina, Sicania, 2007, 3 voll. Sulle vicende sarde si veda A. MATTONE, La città di Sassari e la sua università, un rapporto

speculare; R. TURTAS, La laboriosa formazione dell’università di Sassari (sec. XVI-XVII). Entrambi i saggi si trovano

nel volume n. 6 degli Annali di Storia delle università italiane, pubblicazione del Centro Interuniversitario per la storia delle università italiane (CISUI); R. TURTAS, I gesuiti in Sardegna. 450 anni di storia (1559-2009), Cagliari, CUEC, 2010, pp. 53-59.

che potremo definire politiche come la necessità di stabilire equilibrate relazioni con le autorità del regno e delle città, e non ultimo con il contesto iberico da cui il regno dipendeva, ed infine bisogni organici alla vita dell’ordine che in ogni contesto si doveva preoccupare del suo insediamento, consolidamento e sopravvivenza sia a livello delle risorse umane sia di quelle materiali.

La peculiarità del mondo isolano, che un uomo come Alessio Fontana riteneva bisognoso dell’operato della Compagnia tanto da donare al momento della sua morte parte dei suoi beni in vista del suo insediamento, venne riconosciuta anche dai primi padri che arrivarono nel regno. Ai primi gesuiti e anche ai loro successori fu subito chiaro che in Sardegna non si giungeva per dedicarsi agli studi in modo esclusivo. Il primo incarico, accanto a quello di strappare popolazioni e clero ad una condizione di ignoranza di fede e ad usi religiosi e sociali consolidati ben lontani dalle recenti indicazioni conciliari, era quello di risvegliare, indirizzare o meglio ancora creare un innalzamento culturale e suscitare, in alcuni, un interesse per una cultura propriamente accademica. Se le priorità dei gesuiti impiegati nell’isola prevedevano un impegno culturale mirato all’innalzamento di un livello di partenza generale piuttosto basso, poco tempo rimaneva per dedicare tempo alla riflessione teologica o scientifica di un certo livello. Pur rendendosi conto anche di questa esigenza dell’isola i gesuiti sapevano che i primi risultati sarebbero stati lenti ed erano comunque subordinati all’avvio delle attività dei collegi, insieme ad un’intensa attività pastorale. Si può dunque sottolineare l’innegabile impulso al rinnovamento e sviluppo culturale dell’isola dato dall’istituzione dei collegi di Sassari e Cagliari. Al loro operato si affiancarono ben presto anche quelli di Iglesias ed Alghero che consentirono, seppure limitatamente ad alcune fasce della popolazione cittadina, di accrescere il livello di istruzione di diverse zone dell’isola. Il sistema dei collegi sardi creò un fertile terreno che sosterrà in seguito non solo la strada alle richieste di fondazione dell’università e alla possibilità della sua realizzazione, ma anche un rinnovamento culturale e sociale che si rifletterà sull’intera vita del regno.

Lo sforzo della Compagnia sotto il profilo culturale fu reso più faticoso dal persistere dello stato di marginalità dell’isola e delle stesse comunità gesuitiche isolane rispetto al mondo esterno, condizione questa che non riuscì a promuovere l’inserimento pieno della vita dei gesuiti sardi nell’ampio contesto di quella dell’ordine, soprattutto per quel che riguarda il piano teologico e