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Le diverse definizioni di qualità nelle filiere alimentari alternative

CAPITOLO 4. FILIERE AGRO-ALIMENTARI ALTERNATIVE

4.2. Le diverse definizioni di qualità nelle filiere alimentari alternative

Esiste una diversità di definizioni di qualità lungo le AAFNs tra ed entro i Paesi. Queste differenze sono dovute a una diversità nei sistemi di coltivazione, delle tradizioni culturali e gastronomiche, nell’organizzazione delle filiere, ad una variazione nella percezione dei consumatori, e ai differenti aiuti istituzionali e politiche di sostegno.

Per rispondere alle nuove richieste dei consumatori sulla sicurezza alimentare, naturalità, trasparenza e tracciabilità; molti produttori hanno modificato i propri processi produttivi orientandosi verso produzioni biologiche, pratiche agricole con bassi input chimici ed esterni, multifunzionalità e nuovi metodi di distribuzione e approvvigionamento dei generi alimentari come le iniziative di filiera corta.

La produzione di prodotti alimentari di alta qualità garantisce un prezzo più alto di quello di mercato generando extra-profitti. La scelta di produrre prodotti di qualità rientra nella logica di

differenziazione dei prodotti, il rischio è l’entrata nel mercato di nuove imprese attratte da questi extra-profitti, che potrebbe aumentare la concorrenza e ridurre i guadagni. Questo è dovuto anche dall’ampia adozione di strategie di differenziazione basate su etichette troppo generiche.

La maggior parte delle filiere corte opera sul principio di differenziazione e radicamento al territorio di provenienza. La differenziazione implica la costruzione di relazioni di mercato trasparenti, e l’individuazione di specifici criteri per la definizione della qualità, riguardanti le regole di produzione le quali sono influenzate dalle conoscenze, dagli interessi e dalla cultura dei soggetti coinvolti nel processo, è quindi necessario trovare un compromesso e formare delle coalizioni tra tutti i soggetti coinvolti. I criteri di definizione della qualità devono essere facilmente comunicabili ai consumatori per convincerli che tali prodotti meritano di essere pagati un prezzo più alto. Ci sono due principali categorie di definizioni di qualità nelle SFSCs basate su:

l’importanza del collegamento tra qualità del prodotto e luogo di produzione: le

caratteristiche specifiche del luogo di produzione (condizioni ambientali, tradizioni, cultura, gastronomia…) o del processo di produzione (artigianale, tradizionale,…) diventano parametri importanti per definire la qualità del prodotto (anche se molte volte sono usati per creare una tipicità apparente), un esempio sono i prodotti Dop. Gli agricoltori o venditori sottolineano la natura artigianale del processo di produzione, l’esperienza e la capacità del produttore, e il mantenimento delle tradizioni locali. Le definizioni di qualità basate sul commercio equo-solidale sono qui comprese per la loro enfasi data al collegamento tra consumatori e produttori, nonostante in questo ultimo caso le considerazioni principali siano sull’etica e la giustizia (Renting et al., 2003);

l’importanza del collegamento tra la qualità, la produzione e il consumo: in questo caso

sono inclusi i prodotti che rispondono a criteri ecologici durante l’intero processo di produzione come quelli derivanti dall’agricoltura biologica o integrata. Questi prodotti fanno pensare a metodi di coltivazione tradizionali ma sono anche espressione di una tendenza verso la valorizzazione della multifunzionalità dell’agricoltura, per il loro contributo al paesaggio e alla biodiversità nelle aree rurali.

Nella realtà non si possono sempre fare distinzioni nette tra le diverse definizioni di qualità; esistono molti prodotti senza nessuna etichetta specifica per l’impossibilità di sostenere i costi delle certificazioni, ma che sono comunque salutari e sicuri.

Nel primo filone rientrano Murdoch et al., (2000) i quali notano che la “qualità è venuta ad essere vista come intrinsecamente collegata alla dimensione locale della produzione”. Murdoch sviluppa una teoria su come le filiere alimentari sono radicate nelle relazioni naturali. Ad una piccola scala gli agricoltori locali non sempre sono i migliori gestori dell’ambiente, nonostante

abbiano meno ettari di terra per rendere questo più possibile. Alcuni piccoli agricoltori hanno intensificato la loro gestione piuttosto che aumentare la scala di produzione e gli investimenti di capitale. In alcuni casi la loro produzione intensiva può includere migliori pratiche ambientali; ma in altri i piccoli agricoltori sono ostacolati dall’età, dalla scarsità delle risorse finanziarie, dalle competenze non aggiornate, e dalla mancata consapevolezza della necessità di seguire nuovi metodi di produzione più sostenibili. Michael Winter sostiene che i sistemi alimentari di qualità sono radicati negli equilibri ecologici locali. In cinque casi studio in Inghilterra, Winter ha scoperto che i consumatori dei cibi locali prodotti convenzionalmente erano più numerosi di quelli dei prodotti biologici. Winter spiega questa scoperta attribuendola al “localismo difensivo”, in cui si dà più importanza alla provenienza locale che a metodi di produzione di qualità. Per Holloway e Kneafsay (2000) le AAFNs, in particolar modo i mercati contadini da loro esaminati, sembrano assumere implicitamente che per i consumatori il cibo locale sia automaticamente migliore di quello estero, il “locale” diventa un elemento fondamentale per la costruzione della qualità.

Al secondo filone fanno riferimento le reti di Latour (1999) nelle quali si considerano le sfere biofisiche e sociali, e la qualità è intesa come una relazione materiale che è prodotta attraverso scambi socio-naturali tra queste due sfere. Per Mansfield la qualità dei prodotti alimentari è costruita tramite il collegamento dei prodotti all’ecologia, alla storia e alle relazioni personali. Questo collegamento è attribuito alla richiesta di cibi sani e sicuri, e ad una maggiore trasparenza e tracciabilità dei metodi di produzione.

Le grandi catene alimentari al dettaglio hanno risposto velocemente alla richiesta di sicurezza alimentare sviluppando una serie di strategie per la qualità dei prodotti, rinforzando gli standard di qualità, come HACCP, norme sulla tracciabilità, etichette sulla provenienza locale dei cibi, e introduzione di proprie etichette. Il potere di mercato di queste grandi imprese minaccia la logica del valore aggiunto derivato dal legame con il territorio con cui agiscono le AAFNs, imitandone le strategie di differenziazione dei prodotti basate sulla qualità. Il rischio è che la logica di valorizzazione del territorio attuata dalle AAFNs produca una proliferazione di sistemi competitivi basati sulla qualità che si tradurrebbero in una miriade di etichette e nella confusione da parte dei consumatori.

Se vogliamo davvero raggiungere uno sviluppo sostenibile, non basta considerare per la qualità dei prodotti agro-alimentari la provenienza locale, il loro radicamento nelle tradizioni del territorio, o il rispetto degli equilibri ecologici, ma è necessario, come sostiene Commoner, non valutare il valore delle merci solamente in base ai criteri monetari, ma considerare anche i costi energetici, di consumo di risorse, ed i costi esterni (ambientali e sociali), perché sono questi costi che determinano la qualità di un bene o di un servizio.