CAPITOLO 5. ASPETTI POSITIVI E NEGATIVI DELLE AAFNs
5.2. Potenziali effetti negativi e critiche
Nonostante il processo di localizzazione sia spesso visto come antagonista alla globalizzazione, in realtà la questione non è così semplice e scontata; i sistemi alimentari possono assumere molte sfaccettature e a volte significati contradditori. Le AAFNs non sempre corrispondono a metodi di agricoltura sostenibile (Goodman, 2000), o a relazioni sociali positive; e ci possono essere, come a livello globale, delle disuguaglianze di potere. Le comunità potrebbero avere problemi di pregiudizi verso altre comunità (Swanson, 2001), o di esclusione sociale al proprio interno, evidenza del “lato oscuro del capitale sociale” (Schulman e Anderson, 1999). Non è detto che sotto le condizioni di prossimità spaziale si vengano a creare automaticamente fiducia, rispetto e rapporti personali. In precedenza abbiamo detto che tra gli obiettivi dei sistemi alimentari alternativi ci sono una maggiore partecipazione democratica ed una maggiore accessibilità a prodotti genuini e sani, ma questo non è automatico.
I sistemi alimentari industriali hanno attenuato le differenze tra le diverse classi di reddito nel consumo alimentare attraverso un accesso più democratico (Allen 1999); con le AAFNs c’è il rischio di un diseguale accesso ad una alimentazione sana, sicura e nutritiva, a causa della localizzazione decentrata di questi mercati. Esistono casi di AAFNs che si focalizzano su prodotti e su clientele esclusive (DeLind, 1993), come ad esempio alcuni mercati contadini e CSA negli Stati Uniti, i quali hanno come target la classe media dei consumatori; mentre recenti riflessioni hanno
suggerito l’organizzazione di mercati contadini in comunità con bassi redditi e CSA per i senzatetto (Fisher, 1999; Groh e McFadden, 1997). Le AAFNs che si basano sulla qualità e tipicità dei prodotti, in assenza di un sussidio al prezzo per i consumatori, rischiano di rimanere alla ristretta dimensione dei gruppi di consumatori con redditi medio-alti. Morgan e Murdoch (2000) attraverso i loro studi sulle filiere alimentari convenzionali e biologiche, mostrano come queste ultime siano accompagnate in alcuni casi, da un’elite di consumatori. Nelle filiere alimentari industriali il consumatore è completamente passivo e ignorante, in queste nuove filiere il consumatore tende ad assumere un ruolo più attivo, favorendo in questo modo la classe media, con un grado di istruzione maggiore, più informata sui benefici di tali produzioni, e capace di pagare un prezzo più alto per i prodotti biologici. Una maggiore formazione permette anche di avere le conoscenze per potersi interessare direttamente ai processi decisionali dei nuovi sistemi alimentari locali.
Non è scontato che una filiera nata come una iniziativa locale e corta rimanga tale, essa può espandersi in tutto il mondo e perdere i vantaggi ecologici e sociali iniziali, come successo in Europa con le etichette di identificazione geografica, dove alcune strategie che puntavano sui prodotti locali, in realtà volevano andare oltre i potenziali mercati locali (Barham, 2001). Il rischio è che la loro elevata crescita e diffusione conduca agli stessi caratteri negativi degli attuali circuiti convenzionali. Un esempio è il caso della filiera del Parmigiano Reggiano che si è espansa a livello nazionale e internazionale, per la quale le vendite e i profitti degli allevatori sono aumentati sotto la minaccia della concorrenza di formaggi di qualità inferiore ma con caratteristiche apparentemente simili (De Roest, 2000). I sistemi alternativi conducono a nuovi vantaggi competitivi e nuove strutture di potere da tenere sotto controllo. Il rischio di quando si studia e si giudica il livello locale è quello suggerito da Allen (1999), il quale avverte che il localismo potrebbe ridurre la lente da cui guardiamo.
Questi problemi pongono incertezza sulla riproduzione e sulla durabilità delle AAFNs. Lo sviluppo diseguale di diversi territori è uno dei possibili effetti nel lungo periodo, dovuto alla crescente competitività territoriale, i prodotti più differenziati avranno più possibilità di resistere alla concorrenza di prodotti standardizzati e stranieri. E’ necessario creare, come in certi Paesi (Francia, Germania, Italia) e regioni sinergie tra le diverse pratiche di sviluppo rurale.
C’è poi chi sostiene che per una maggiore sostenibilità, non sempre bisogna ridurre le “food
miles” dei prodotti alimentari. Il DEFRA ha condotto una lunga ricerca per accertare se le “food miles” possano essere un indicatore utile della sostenibilità, scoprendo che in realtà, la questione è
molto complessa. Da questo studio si ricava che, se si analizza non solo i chilometri percorsi dai cibi e le conseguenti emissioni prima dell’acquisto, ma anche il consumo di energia necessaria per
coltivare i prodotti (analizzando la quantità di cibo prodotta per unità di energia consumata), ci potremmo accorgere che per l'ambiente è meglio se i britannici importano pomodori dalla Spagna durante l'inverno, piuttosto che coltivarli in serre riscaldate ed illuminate in Gran Bretagna.
Un sistema di produzione locale e lontano dal sistema basato sui supermercati con i loro depositi centrali di distribuzione, aumenterebbe il numero di "food-miles", muovendo i prodotti tramite un maggior numero di più piccoli, e meno efficienti autoveicoli. E' stato calcolato che la metà delle "food-miles" sono effettuati da vetture che si muovono avanti ed indietro dai negozi, che seppur a corto raggio, rappresentano milioni di spostamenti ogni giorno. I consumatori che si recano al supermercato acquistano tutti i prodotti a loro necessari per più giorni in una sola volta, mentre chi si reca ad un mercato contadino o chi partecipa ad altre iniziative di filiera corta deve spesso fare altri spostamenti al supermercato o in negozi per acquistare prodotti non alimentari.
Per quanto riguarda il consumo energetico vengono proposti i casi dei prodotti caseari, degli agnelli e delle mele importati dalla Gran Bretagna e provenienti dalla Nuova Zelanda. Secondo una ricerca condotta dalla Lincoln University, questi prodotti utilizzano meno energia di quanta se ne consumerebbe per la loro produzione in Gran Bretagna, poiché le coltivazioni e le trasformazioni in Nuova Zelanda sono molto meno energivore, rendendo la loro importazione meno dannosa rispetto alla produzione nazionale.
Infine le AAFNs che puntano sul consumo locale presentano degli aspetti negativi relativi alla difficoltà in molti casi dei piccoli produttori locali di soddisfare le richieste dei consumatori, o la difficoltà di quest’ultimi di trovare una sufficiente gamma di prodotti disponibili.