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Il divieto di selezione degli embrioni a scopo eugenetico

medicalmente assistita

3. Il divieto di selezione degli embrioni a scopo eugenetico

L’art. 13, comma 3, lett. b), della legge n. 40/2004, sancisce l’assoluto divieto di “ogni forma di selezione a scopo eugenetico degli embrioni e dei gameti, ovvero interventi che, attraverso tecniche di selezione, di manipolazione o comunque tramite procedimenti artificiali, siano diretti ad alterare il patrimonio genetico dell’embrione o del gamete ovvero a predeterminarne caratteristiche genetiche, ad eccezione degli interventi aventi finalità diagnostiche e terapeutiche”, volte in ogni caso alla tutela della salute o allo sviluppo dell’embrione stesso. Il prelievo di cellule, invece, potendo determinare la fine dell’embrione, dovrebbe ritenersi

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vietato; oltretutto, l’eventuale scoperta di una malattia genetica, quale la talassemia, non permetterebbe, allo stato attuale delle conoscenze scientifiche, di intervenire con un trattamento curativo, per cui l’embrione sarebbe violato al di fuori della finalità terapeutica espressamente selezionata dal legislatore come unica possibilità.

Si sono però registrati tentativi, sia in dottrina che in giurisprudenza, volti a ricavare l’ammissibilità di tale tecnica, sul presupposto che l’art. 14, comma 5, della medesima legge, prevede che i soggetti che accedono alla p.m.a. siano “informati sul numero e, su loro richiesta, sullo stato di salute degli embrioni prodotti”.

Una prima indicazione circa l’interpretazione dell’art. 13 proviene dalle Linee Guida ministeriali78, che vietavano

chiaramente “ogni diagnosi preimpianto a finalità eugenetica”, disponendo inoltre che le indagini riguardanti lo stato di salute degli embrioni creati in vitro, dovessero essere di tipo puramente “osservazionale”79, al fine di tutelare il

diritto all’integrità della persona (diritto che si realizza

78 V.d.m. 21 luglio 2004 del Ministero della Salute, la cui previsione fu dichiarata

illegittima (perché non si limitva a dettare norme di alto contenuto tecnico, bensì disciplinava nel merito una materia coperta da riserva di legge) dal Tar Lazio 21 gennaio 2008, n. 398, in Nuov. Giur. civ. comm., 2008, con nota di S. Penasa,

Tanto tuonò che piovve: l’illegittimità parziale delle Linee Guida e la questione di costituzionalità della l. n. 40/2004 in materia di procreazione medicalmente assistita.

79 L’indagine di tipo “osservazionale” consiste nell’esame al microscopio

dell’embrione, per accertare la sua regolarità morfologica ed eventuali anomalie nel suo sviluppo.

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attribuendo rilevanza giuridica all’embrione)80. Così facendo,

tuttavia, il decreto ministeriale finiva per precludere anche quelle attività di ricerca clinica e sperimentale che la legge n. 40/2004 ammette (anche se solamente per finalità terapeutiche e diagnostiche e a tutela della saluta dell’embrione).

Il Tribunale di Cagliari81, e successivamente il Tar del

Lazio82, disposero la disapplicazione delle Linee Guida

ministeriali che escludevano qualsiasi forma di selezione, affermando la liceità della diagnosi, richiesta da coppie aventi diritto ad accedere alle tecniche di p.m.a., “avente ad oggetto gli embrioni destinati all’impianto nel grembo materno, strumentale all’accertamento di eventuali malattie dell’embrione e finalizzata a garantire a coloro che abbiano avuto legittimo accesso alle tecniche di procreazione assistita una adeguata informazione sullo stato di salute degli embrioni da impiantare”. Si insiste inoltre sul diritto dei ricorrenti “all’effettuazione dell’accertamento diagnostico richiesto, da eseguirsi, anche con tecniche invasive, secondo

80 Tale posizione è rafforzata dal divieto di discriminazione genetica sancito

dall’art. 81 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE.

81 Trib. Cagliari 24 settembre 2007, in “Nuova g. civ. comm.”, 2008, I, con nota

di E. Palmerini, Procreazione assistita e diagnosi genetica: la soluzione della

liceità limitata.

82 Tar Lazio 21 gennaio 2008, n. 398: la pronuncia ribadiva da un lato che

“l’indagine genetica preimpianto è consentita solamente nell’interesse del concepito”, mentre dall’altro osservava che “non esistono ancora terapie genetiche che permettono di curare un embrione malato, con possibile incidenza dunque sullo stato di salute del medesimo; di conseguenza la diagnosi preimpianto invasiva non potrebbe che concernere le sole qualità genetiche dello stesso embrione”.

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metodologie che, in base alla scienza medica, offrano il maggior grado di attendibilità della diagnosi ed il minor margine di rischio per la salute e la potenzialità di sviluppo dell’embrione medesimo”. Il Tribunale cagliaritano, aveva quindi ritenuto sussistere il diritto alla prestazione medico- diagnostica richiesta, all’esame clinico sugli embrioni ed al trasferimento in utero unicamente di quelli sani.

Al di là dei disagi psicofisici che un’eventuale interruzione di gravidanza, o la nascita di un figlio malato potrebbero portare alla coppia, tale posizione potrebbe essere inoltre condivisibile se si tengono in considerazione gli ingenti costi che, in tali circostanze, lo Stato, le strutture sanitarie e la coppia stessa sarebbero costretti ad affrontare.

Obiettivo prioritario della diagnosi preimpianto però, riguarda la realizzazione dell’aspirazione di ciascun genitore di evitare gravi sofferenze ai figli qualora questi fossero affetti da terribili malattie genetiche; tuttavia le opinioni contrarie ribadiscono la valenza moralmente inaccettabile di quella che viene definita “la costruzione di bambini su misura”83, poiché non esisterebbe il diritto costituzionalmente

protetto di generare un figlio sano84, sottolineando il fatto

83 L’ex sottosegretario al Ministero della salute (2008-2011) E. Roccella, promise

nuove Linee Guida per la l. n. 40, 27 maggio 2009.

84 Si è ritenuto necessario precisare, a tal proposito, che la stessa richiesta di

accertamento diagnostico, ove non espressamente finalizzata alla verifica di eventuali anomalie al feto, è indice niente affatto univoco della volontà di avvalersi della facoltà di sopprimerlo, bensì anche di decidere, coscientemente, le condizioni più consone alla nascita di quel figlio, quand’anche malformato.

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che, se questo diritto esistesse, esso legittimerebbe le richieste di risarcimento del danno da wrongful life.

Non è infatti previsto un diritto a non nascere: è la vita, e non la sua negazione, il bene protetto dal nostro ordinamento. Lo hanno stabilito le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con

la sentenza 25767/201585, rigettando la richiesta di

risarcimento presentata dai genitori di una bambina down nei confronti dell’Asl di Lucca, per non aver diagnosticato la patologia da cui era affetto il feto, non consentendo così alla madre, se correttamente informata, di interrompere la gravidanza.

È però controverso se tale posizione si possa applicare anche parlando di embrione creato in vitro, o soltanto di feto generato tramite procreazione naturale.

Con la sentenza 229/2015 della Corte Costituzionale, la legge 40/2004 riceve un nuovo duro colpo, poiché cade il divieto di selezione degli embrioni, senza eccezioni: è quindi permessa la scelta finalizzata ad evitare l’impianto di embrioni affetti da gravi malattie trasmissibili86. Per alcuni, questa decisione

apre una forma di eugenetica indiretta, riducendo l’embrione “a un bene di consumo”87.

85 Cass. Civ., SS.UU., sent. 22 dicembre 2015 n. 25767 in Il diritto quotidiano,

2015, con nota di L. Izzo, Sezioni Unite: non esiste un diritto a non nascere se

non sani! Nessun risarcimento per la mancata diagnosi della sindrome di down. 86 Si tratta delle malattie del nascituro che determinano un grave pericolo per la

salute fisica o psichica della donna, previste dalla l. 194 sull’aborto.

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La questione di costituzionalità era stata sollevata dal Tribunale di Napoli nell’ambito di un procedimento penale contro un gruppo di medici rinviati a giudizio con l’accusa di produrre embrioni umani con fini diversi da quelli previsti dalla legge 40, effettuando una selezione eugenetica e la soppressione di embrioni affetti da patologie. I giudici della Consulta hanno dunque dichiarato illegittimo l’articolo della legge sulla fecondazione assistita in cui si contempla “come ipotesi di reato” la selezione degli embrioni anche nei casi in cui questa sia “finalizzata ad evitare l’impianto nell’utero della donna di embrioni affetti da malattie genetiche trasmissibili rispondenti ai criteri di gravità”; tale articolo violerebbe, secondo la Consulta, gli articoli 3, sul diritto all’uguaglianza, e 32, sul diritto alla salute (inteso, in questo caso, a favore tanto della donna quanto dell’embrione), della Costituzione.

C’è però chi vede soccombere, da questa pronuncia, il principio di autonomia e dignità dell’embrione88, e chi ritiene

che “in ogni caso, non possano ammettersi gerarchie di valori tra embrioni sani e embrioni malati. […] la loro

88 “Dobbiamo chiederci: chi è malato non ha diritto a vivere? La richiesta della

coppia di avere un figlio sano è legittima, ma il metodo no”. Prof. Antonio Spagnolo, direttore dell’Istituto di Bioetica presso la Facoltà di Medicina dell’Università Cattolica di Roma e Policlinico Gemelli.

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menomazione infatti non ne giustifica un trattamento

deteriore o comunque discriminatorio”89

Da un punto di vista più strettamente giuridico, si lamenta un percorso che pare possa condurre a creare indirettamente i presupposti per un diritto ad avere un figlio sano, con il relativo problema di indicare i limiti entro cui un individuo possa dirsi sano o meno.

La Consulta tuttavia, affermando che “l’embrione non è certamente riconducibile a mero materiale biologico”, ne riafferma il divieto di soppressione, riconoscendogli quindi una rilevante forma di soggettività.

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