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La tutela dell'embrione. Intersezioni tra progresso scientifico ed evoluzione normativa.

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1

U

NIVERSITÀ DI

P

ISA

DIPARTIMENTO DI GIURISPRUDENZA

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN GIURISPRUDENZA

TESI DI LAUREA

LA TUTELA DELL’ EMBRIONE.

INTERSEZIONI TRA PROGRESSO SCIENTIFICO ED EVOLUZIONE NORMATIVA

Relatrice Candidata

Chiar.ma Prof.ssa Erica Palmerini Sara Zagami

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INDICE

INTRODUZIONE p.4

CAPITOLO 1

LO STATUTO GIURIDICO DEL CONCEPITO E LA TUTELA DELL’EMBRIONE.

1. La soggettività problematica del concepito p.7

2. Prima della legge n. 40 del 2004 p.11

3. L’embrione nella Legge 40 p.13

4. La “crisi” della Legge 40 p.20

5. Logica formale della soggettività e sostanza degli interessi in conflitto

p.25

6. Diritto a nascere sano e tutela oggettiva del concepito p.27

CAPITOLO 2

A confronto con i problemi: LA DIAGNOSI PREIMPIANTO

1. Il diritto alla procreazione responsabile e l’autodeterminazione bilanciata

p.30

2. L’accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita

p.35

3. Il divieto di selezione degli embrioni a scopo eugenetico

p.40

4. L’esperienza degli altri ordinamenti europei p.46

4.1 La diagnosi preimpianto in Francia p.46

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3

4.3 La diagnosi preimpianto in Germania p.48

CAPITOLO 3

GLI EMBRIONI SOPRANNUMERARI E LA RICERCA SCIENTIFICA

1. Gli embrioni soprannumerari e i divieti di crioconservazione e di soppressione

p.51

2. L’adozione per la vita p.55

3. La sperimentazione sugli embrioni soprannumerari p.58

3.1 Il divieto di ricerca scientifica p.58

3.2 L’editing genetico p.68

4. La tutela dell’embrione nella CEDU e nel diritto comunitario

p.71

4.1. Il modello tedesco p.73

4.2 Il modello liberale dello Human Fertilization and Embriology Act

p.73

4.3. La soluzione “mediana” francese p.75

NORMATIVA p.78

BIBLIOGRAFIA p.79

GIURISPRUDENZA p.86

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INTRODUZIONE

Il problema dell’inizio della vita umana non è certo un argomento nuovo per i giuristi1.

Nel dibattito che ruota intorno al tema della definizione di “concepito”, si possono distinguere almeno due impostazioni differenti: la prima registra le divergenze in relazione all’individuazione del punto di inizio della vita, la seconda, invece, parte dal presupposto che si tratti di vita umana, e muove le sue considerazioni da un punto di vista etico, discutendo quindi se è legittimo o meno un certo tipo di vita umana2.

In ogni caso, nonostante nello stesso codice civile sono ravvisabili, a favore del concepito, alcuni diritti in previsione della sua nascita3, i rapidi progressi della scienza degli ultimi decenni, hanno fatto aumentare il rischio di forti inadeguatezze della normativa sui momenti più delicati della

1 P. VERONESI, Il corpo e la Costituzione. Concretezza dei “casi”, astrattezza della forma, Milano, 2017, “che cosa sia poi la “vita” e in quale momento abbia

inizio la “persona” è peraltro una discussione che non avrà mai fine.”

2 B. BRANCATI, Il complesso rapporto tra il giudice costituzionale e il dibattito extra-giuridico, in relazione al problema della ricerca scientifica sugli embrioni,

in Consulta Online, 2016.

3 Esempio emblematico a tal proposito è rappresentato dal diritto del nascituro alla

successione ereditaria, sancito dall’art. 462 c.c., che prevede la capacità successoria del concepito, al pari di quella spettante a chi è già nato.

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vita umana. In particolare, l’inarrestabile evoluzione della c.d. ingegneria genetica e il consolidamento della medicina prenatale negli studi sull’embrione umano hanno sollevato nuove e controverse problematiche in tema di tutela dei diritti fondamentali dell’individuo.

Ma, mentre le attribuzioni patrimoniali hanno efficacia solo dal momento della nascita, la tutela della persona segue il concetto di “vita”, che comincia già dal concepimento e, pertanto, sotto il profilo personale, il concepito è da considerarsi già soggetto di diritto4.

La previsione di regole giuridiche e di strumenti normativi per l’applicazione della tecnologia sull’uomo, diviene necessaria e assolve una duplice funzione: da un lato tutela la ricerca scientifica e biomedica sull’uomo, dall’altro adegua tale ricerca e le invenzioni biotecnologiche a criteri non lesivi per l’integrità e la dignità dell’individuo5. A tal fine, nel

ricostruire il sistema normativo e le tutele da garantire alla persona, la dottrina ha operato un giusto bilanciamento tra i valori giuridici coinvolti6, quindi tra la libertà scientifica e la

tutela della dignità della persona in ogni sua fase della vita.

4 C.S. PASTORE, L’embrione umano tra tutela della ricerca scientifica e diritti della persona, in Rass. dir. civ., 2014.

5 P. PERLINGIERI, Il diritto civile nella legalità costituzionale, 2006.

6 La tecnica del bilanciamento dei diversi valori concorrenti presuppone il rispetto

del canone della ragionevolezza; F. PARENTE, La protezione giuridica della

persona dall’esposizione a campi elettromagnetici, in Rass. dir. civ. 2008, pp. 397

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A questo punto, preme tenere in considerazione, non tanto la tutela giuridica affidata al concepito in generale, ma, nello specifico, alla soggettività dell’embrione creato in vitro tramite Procreazione Medicalmente Assistita (p.m.a.) prima dell’impianto nell’utero della donna.

Nel 1985, il cardinale Dionigi Tettamanzi, nel suo “Bambini

fabbricati. Fertilizzazione in vitro, embryo transfer”, si

chiedeva: “l’embrione è un semplice oggetto, termine di possibile manipolazione, oppure è un vero e proprio soggetto, avente quindi quella dignità personale che esige assoluto rispetto?” Sono trascorsi da allora più di trent’anni e il dilemma è ancora lontano dal trovare una risposta univoca. Sarà dunque necessario analizzare i diversi punti di vista a riguardo, prendendo in considerazione diversi momenti della “vita” dell’embrione, stabilendo se e in che misura è giusto e opportuno intervenire tramite una diagnosi preimpianto per accertare eventuali malattie che affliggono l’embrione, e come utilizzare i c.d. embrioni soprannumerari ridotti in stato di abbandono.

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CAPITOLO 1

LO STATUTO GIURIDICO DEL

CONCEPITO E LA TUTELA

DELL’EMBRIONE

Sommario: 1. La soggettività problematica del concepito – 2. Prima della Legge n. 40 del 2004 – 3. L’embrione nella L. 40 – 4. La crisi della L. 40 – 5. Logica formale della soggettività e sostanza degli interessi in conflitto – 6. Diritto a nascere sano e tutela oggettiva del concepito.

1. La soggettività problematica del concepito

Il primo passo da fare per riuscire a capire che tipo di tutela affidare all’embrione creato a seguito di procreazione medicalmente assistita, è quello di chiarire la posizione della legge italiana in merito alla soggettività del nascituro in generale.

Secondo il nostro ordinamento giuridico, ai fini della titolarità delle situazioni giuridiche soggettive, è necessario il preliminare acquisto della capacità giuridica, intesa come capacità del soggetto di essere titolare di diritti e destinatario di doveri7.

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Nell’ambito della teoria della soggettività giuridica8, si

distingue, opportunamente, tra persona in senso proprio e soggetto in senso tecnico; i due concetti non coincidono necessariamente, anche se possono sovrapporsi l’uno all’altro. Tale distinzione assume primaria importanza con riguardo allo status del concepito: pur ammettendo che lo stesso non sia “persona” intesa in senso statico, è pur vero che lo stesso potrebbe essere considerato “soggetto”, poichè potenzialmente destinato a divenire persona.

Emblematica è, a tal proposito, la disposizione dell’articolo 1 del Codice Civile, che prevede espressamente l’acquisizione della capacità giuridica in capo ad un soggetto, soltanto al momento della nascita9.

Prendiamo ad esempio la normativa sulla capacità di succedere del nascituro, disciplinata dall’articolo 462 del Codice Civile; mentre l’articolo 1 nega espressamente, come abbiamo visto, che vi sia capacità prima della nascita, la seconda norma invece afferma che sono capaci di ereditare anche i concepiti al tempo dell’apertura della successione10.

8 A. FALZEA, Il soggetto nel sistema dei fenomeni giuridici, Milano, 1939. 9 Art. 1 c.c. “La capacità giuridica si acquista dal momento della nascita. I diritti

che la legge riconosce a favore del concepito sono subordinati all’evento della nascita”.

10 Art. 462 c.c. “Sono capaci di succedere tutti coloro che sono nati o concepiti al

tempo dell'apertura della successione. Salvo prova contraria, si presume concepito al tempo dell'apertura della successione chi è nato entro i trecento giorni dalla morte della persona della cui successione si tratta.

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A questa contraddizione nelle due norme, la dottrina ha risposto in vario modo, proponendo una serie di teorie sulla natura giuridica della successione dei nascituri, partendo dal presupposto che agli stessi debba essere concessa una qualche forma di soggettività: alcuni autori11 ravvisavano nella posizione dei nascituri una capacità giuridica anticipata; altra parte della dottrina12 distingueva tra nascituri concepiti13

e non concepiti (che possono succedere solo per testamento o donazione), attribuendo soltanto ai primi la capacità di succedere per legge, poiché è la legge stessa ad equiparare il concepimento alla nascita14. Appare qui preferibile la teoria che ravvisa nell’istituzione dei nascituri una fattispecie a formazione progressiva, nella quale si ha un eccezionale anticipo di alcuni degli elementi della fattispecie stessa, in quanto si consente che il chiamato non esista al momento dell’apertura della successione15.

Se però, comunque, dal punto di vista patrimoniale si parla di interessi del nascituro, e quasi mai di diritti, poiché l’acquisto del diritto, come abbiamo visto, è sottoposto ad una

Possono inoltre ricevere per testamento i figli di una determinata persona vivente al tempo della morte del testatore, benché non ancora concepiti”.

11 A. CICU, Successione per causa di morte, Milano, 1961.

12 F. SANTORO PASSARELLI, Lineamenti di diritto civile. Persone fisiche”,

Padova, 1940.

13 Per una definizione di “concepito” si può fare riferimento alla presunzione di

concepimento prevista dal comma 2 art. 462 c.c. (v. nota 10).

14 Ad es. l’art. 463 c.c. attribuisce ai genitori l’amministrazione dei beni lasciati al

concepito, a differenza di quelli lasciati al non concepito.

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condizione sospensiva coincidente con la nascita, dal punto di vista non patrimoniale, gli interessi del nascituro che non trovano una disciplina organica o specifica, devono essere trattati in relazione ai principi generali dell’ordinamento. All’inizio si riteneva che non potesse essere riconosciuto alcun diritto non patrimoniale al concepito, sulla base di due considerazioni: innanzitutto le norme che riconoscono tutela al nascituro sono norme di carattere speciale e quindi tassative; in secondo luogo, non avendo capacità giuridica, non è un soggetto destinatario dei diritti stessi.

Tali argomentazioni sono state superate rilevando che, subentrata la Costituzione, il Codice Civile deve adeguarsi ai principi fondamentali da questa affermati: nello specifico troverebbe fondamento negli articoli 216 e 3217 della Costituzione il cd. “diritto a nascere sano”18. La situazione

giuridica soggettiva in esame integrerebbe un vero e proprio diritto del nascituro, inteso a tutelarne l’integrità psicofisica, e quindi la salute. La tesi è stata inoltre supportata da

16 Art. 2 Cost.: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili

dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.”

17 Art. 32 Cost.: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto

dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.”

18 A. R. VENNERI, Diritto del nascituro a nascere sano, in Rass. dir. civ. comm.,

1994; N. COVIELLO, La tutela della salute dell’individuo concepito, in Dir fam. e pers., 1978.

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rilevanti innovazioni normative, quali la legge sull’aborto19,

volta a proteggere non solo gli interessi della gestante, ma anche quelli del feto, e la Legge 40 che “assicura i diritti di

tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito”20,

riconoscendogli quindi natura giuridica di soggetto.

Se la questione della soggettività del concepito in generale, è già di per sé ostica, bisogna soffermarsi sulla natura ancora più controversa dell’embrione creato in vitro tramite procreazione medicalmente assistita, e sul tipo di tutela che a quest’ultimo spetta.

2.

Prima della Legge n. 40 del 2004

L’applicazione delle tecniche di fecondazione assistita era

regolata, prima del 2004, da circolari21 e ordinanze22

ministeriali che lasciavano il tema ancora sconosciuto al legislatore italiano.

19 L. 194/1978 (sul punto v. cap. 2, par. 2).

20 Art. 1, comma 1, l. 40, 19 febbraio 2004 “Norme in materia di procreazione

medicalmente asssitita”.

21 Circolare Ministro della sanità Degan, 1985, autorizzava le sole coppie sposate

ad accedere alle tecniche di fecondazione artificiale di tipo omologo, praticabili soltanto all’interno di strutture private (sul punto v. cap. 2, par. 2); Circolare n. 19, Ministro Donat Cattin, 1987, sostituita nell’aprile 1992 dal Ministro De Lorenzo sulle patologie trasmissibili all’embrione tramite fecondazione artificiale.

22 Ordinanza del Ministero della Sanità, 5 marzo 1997, vietava ogni esperimento

finalizzato alla clonazione umana, e imponeva ai centri pubblici e privati, che praticavano le tecniche di procreazione medicalmente assistita, di informare il Ministero in merito alle attività espletate in quell’ambito.

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Altra fonte di rilevante importanza era rappresentata dal Codice deontologico, redatto dall’Ordine professionale dei Medici23, che vincolava tali professionisti all’osservanza di alcune norme, e in particolare vietava al medico, “nell’interesse del bene del nascituro”, di attuare qualsiasi forma di maternità surrogata, qualsiasi forma di fecondazione assistita al di fuori di coppie eterosessuali stabili, o in donne in menopausa non precoce, e qualsiasi forma di p.m.a. dopo la morte del padre.

Era vietata inoltre, secondo tale codice, ogni pratica di fecondazione assistita ispirata a pregiudizi razziali, non era consentita alcuna selezione di gameti ed era bandito ogni sfruttamento commerciale, pubblicitario, o industriale di gameti, embrioni, o feti, nonché la produzione di embrioni ai soli fini di ricerca.

Si è comunque sentita la necessità, grazie alle continue evoluzioni scientifiche che hanno caratterizzato e continuano a caratterizzare questo settore, di redigere una norma apposita, che regolasse in ogni suo aspetto le tecniche di procreazione assistita e la tutela data all’embrione da queste creato: nacque così, dopo un iter che si concluse in Parlamento l’11 dicembre 2003, la “Legge 40”, recante le

23 Si fa qui riferimento alla seconda versione del Codice di Deontologia Medica,

nata, a seguito della rapida evoluzione delle conoscenze scientifiche, nel 1995 e approvato nel 1998 dal Consiglio nazionale della Federazione italiana degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri.

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“Norme in materia di procreazione medicalmente assistita”, che entrò in vigore il 19 febbraio 2004.

3.

L’embrione nella Legge 40

Nel febbraio del 2004 il Parlamento italiano ha approvato la prima legge in materia di procreazione medicalmente assistita24, con l’obiettivo di favorire la soluzione dei

problemi riproduttivi derivanti da sterilità o infertilità umana, qualora non vi siano altri metodi efficaci per rimuoverne le cause.

La Legge 40, assicura, già all’art. 1 “i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito”, ma la volontà del legislatore di riconoscere all’embrione una piena tutela, è evincibile, soprattutto, dagli articoli 13 e 14 della stessa, dedicati, infatti, alle “Misure di tutela dell’embrione”, già nella loro originaria stesura.

In particolare, dall’articolo 13 può dedursi una serie di divieti posti a garanzia della dignità umana, quali quelli relativi alla produzione di embrioni umani a fini non procreativi, e quindi di ricerca e di sperimentazione (salvo che per il perseguimento di quelli diretti al soddisfacimento di finalità

24 L. 19 febbraio, n. 40, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 45, il 24 febbraio

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esclusivamente terapeutiche e diagnostiche volte alla tutela della salute e allo sviluppo dell’embrione stesso)25, alla

pratica di ogni forma di selezione a scopi eugenetici26, o all’esecuzione di interventi finalizzati alla modificazione genetica dell’embrione umano27, mentre l’art. 14, nella sua

formulazione originaria28, individuava i limiti alle

metodologie di applicazione della p.m.a., al fine di evitare il compimento di attività sanitarie ritenute contrarie alla dignità e alla tutela dell’embrione.

L’interprete, a proposito del dilemma sul tipo di soggettività da attribuire all’embrione, si trova quindi davanti a due diversi percorsi da intraprendere: “egli può cercare di

25 Sul punto v. cap. 3, par. 3 26 Sul punto v. cap. 2, par. 3

27 Art, 13, l. 40/2004: “È vietata qualsiasi sperimentazione su ciascun

embrione umano.

La ricerca clinica e sperimentale su ciascun embrione umano è consentita a condizione che si perseguano finalità esclusivamente terapeutiche e diagnostiche ad essa collegate volte alla tutela della salute e allo sviluppo dell'embrione stesso, e qualora non siano disponibili metodologie alternative.

Sono, comunque, vietati:

a) la produzione di embrioni umani a fini di ricerca o di sperimentazione o

comunque a fini diversi da quello previsto dalla presente legge;

b) ogni forma di selezione a scopo eugenetico degli embrioni e dei gameti ovvero

interventi che, attraverso tecniche di selezione, di manipolazione o comunque tramite procedimenti artificiali, siano diretti ad alterare il patrimonio genetico dell'embrione o del gamete ovvero a predeterminarne caratteristiche genetiche, ad eccezione degli interventi aventi finalità diagnostiche e terapeutiche, di cui al comma 2 del presente articolo;

c) interventi di clonazione mediante trasferimento di nucleo o di scissione precoce

dell'embrione o di ectogenesi sia a fini procreativi sia di ricerca;

d) la fecondazione di un gamete umano con un gamete di specie diversa e la

produzione di ibridi o di chimere.”

28 Erano vietate, per esempio, nella prima stesura della Legge 40, ai commi 1 e 2

dell’articolo in questione, la crioconservazione e la soppressione degli embrioni, e la produzione di un numero di embrioni superiore a quello strettamente necessario ad un unico e contemporaneo impianto, comunque non superiore a tre.

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sostenere che, grazie all’art. 1 di detta legge, la nozione di “capacità giuridica” si dilata fino ad estendersi alla vita prenatale; oppure, invece, può cercare di desumere dalla norma appena citata una conferma, al livello di legislazione ordinaria, della esistenza, nel nostro ordinamento giuridico, di soggetti non misurabili in termini di capacità giuridica, la

cui nozione conseguentemente si ridimensiona”29.

Intraprendendo la prima strada, si soddisfa, o comunque si tenta di soddisfare, un’esigenza di eguaglianza; appoggiando invece la seconda interpretazione, si persegue la tutela minima dei diritti inviolabili dell’uomo, basandosi sul presupposto che la nozione civilistica di capacità giuridica non si possa sovrapporre a quella di soggettività e che comprenda un’area più ristretta rispetto a quella degli individui protetti dai principi costituzionali. Questa seconda chiave di lettura, se da un lato esclude la qualificazione del concepito come “cosa”, dall’altro consente la predisposizione di altre misure di tutela. Tale tesi trova supporto nella sentenza n. 299 del 201530, in cui la Corte Costituzionale

aveva affermato che l’embrione, “quale che sia il, più o meno ampio, riconoscibile grado di soggettività correlato alla genesi della vita, non è certamente riconducibile a mero materiale biologico”. Per la Corte l’embrione è un soggetto,

29 F. D. Busnelli, L’inizio della vita umana, in Riv. Dir. Civ., 2004, pp. 533 ss. 30 Corte cost., sent. 299/2015, con nota di A. PENTA, La Corte costituzionale sulla selezione degli embrioni, in Unicost.eu.

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ma si tratta di stabilire quale sia il “grado di soggettività”, in relazione alla sua tutela.

Una risposta a questa domanda, è possibile trovarla nel parere del Comitato Nazionale della Bioetica31 in cui si riconosce il dovere morale di trattare l’embrione umano, fin dalla fecondazione, secondo criteri di rispetto e tutela che si devono adottare nei confronti degli individui umani cui si attribuisce comunemente la caratteristica di persona, soggetto giuridico, “prefigurazione della persona” a prescindere dalla sua capacità giuridica32.

Se quindi la persona è tale sin dal suo concepimento, ne deriva che da tale momento deve esserle riconosciuto anche il diritto alla vita, alla salute, all’integrità fisica, e il diritto a ricevere tutte le tutele disposte a sua protezione33.

Alla tesi appena esposta, per cui gli interventi sugli embrioni vanno giuridicamente valutati come interventi su una persona

umana34, si contrappone quella secondo cui la persona viene

ad esistenza in un momento successivo al concepimento: questa impostazione propone di collocare il momento di formazione della persona dopo i primi quattordici giorni di

31 Comitato Nazionale della Bioetica, Identità e statuto dell’embrione umano,

1996.

32 F. D. BUSNELLI, Persona umana e dilemmi della bioetica: come ripensare lo statuto della soggettività, in D. umani e d. internazionali, 2007, pp, 245 ss.

33F. PERENTE, La biogiuridicità, 2014.

34 A. BALDASSARRE, Le biotecnologie e il diritto costituzionale, in M. VOLPI, Le biotecnologie: certezze e interrogativi, 2001.

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sviluppo35, escludendo il godimento del diritto alla vita dell’embrione entro questo lasso temporale e raccomandando la sola adozione di una normativa in grado di scongiurare, in detto periodo, un uso sconsiderato dell’embrione stesso36.

Nonostante ancora non ci sia un’interpretazione legislativa unanime a riguardo, l’ordinamento italiano sembra prediligere una visione orientata all’unità e alla continuità del processo vitale dell’embrione, riconoscendo soggettività al concepito, inteso come “prefigurazione della persona”37 a

prescindere dalla fase del suo sviluppo.

Malgrado l’assenza, nel nostro ordinamento, di una nozione normativa di concepito, la ricostruzione della sua qualificazione, quale soggetto di diritto, e quindi come tale destinatario di tutte le tutele prescritte in favore del nato e, più in generale, della persona, operata da dottrina e giurisprudenza, è stata avallata dal legislatore nelle più recenti disposizioni di legge, e dalle decisioni prese in ambito comunitario.

35 In tal senso si può trovare un’analogia con le Linee Guida adottate dal National

Research Council e dall’Institute of Medicine, istituti che, negli Stati Uniti d’America, fanno parte delle National Accademies of Science, secondo le quali “il termine del quattordicesimo giorno è considerato il tempo limite entro cui si ha l’individuazione biologica, e sarebbe dunque questo l’inizio della vita umana degna di tutela”.

36 F. PARENTE, La staticità normativa, in C. S. PASTORE, L’embrione umano tra tutela della ricerca scientifica e diritti della personalità, 2014 ; F. D. Busnelli, La tutela giuridica dell’inizio della vita umana, in R. ROSSANO e S. SIBILLA, La tutela giuridica della vita prenatale, 2005.

37 F. D. BUSNELLI, Persona umana e dilemmi della bioetica: come ripensare lo statuto della soggettività, in Dir. Umani, 2007, p. 245

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Esempio importate, a tal proposito, è rappresentato dalla sentenza del 2011 della Corte di Giustizia Europea38, che

definì l’embrione come “qualunque ovulo umano fin dalla fecondazione, qualunque ovulo umano non fecondato in cui sia stato impiantato il nucleo di una cellula umana matura e qualunque ovulo umano non fecondato che, attraverso patogenesi, sia stato indotto a dividersi e a svilupparsi”, e ne escluse l’utilizzo ai fini della ricerca scientifica in quanto lesivo della dignità umana: sebbene la questione riguardasse

esclusivamente il divieto di brevettabilità e di

commercializzazione di prodotti provenienti da cellule

staminali embrionali umane39, molti dei passaggi

argomentativi, sono stati utilizzati per ribadire l’intangibilità dell’embrione umano. L’approccio della Corte di Strasburgo è però stato diverso, facendo presente che non esiste a livello europeo una soluzione condivisa sulla qualificazione dello status dell’embrione.

38 Corte Giust. UE, 18 ottobre 2011, procedimento C-34/10, Brustle vs.

Greenpease, in Foro it., 2012

39 La vicenda sorge dal deposito da parte di Oliver Brüstle di un brevetto relativo

a cellule progenitrici neurali, isolate e depurate, aventi proprietà neurologiche e ancora in grado di moltiplicarsi. Il brevetto avrebbe potuto porre rimedio al problema tecnico della riproduzione illimitata di siffatte cellule, trovando applicazione nei trapianti di cellule del sistema nervoso e migliorando la cura di numerose malattie neurologiche, specie del morbo di Parkinson. Contro questo brevetto ha presentato ricorso l’associazione Greenpeace e V, in quanto proibito dalla legge tedesca di implementazione della direttiva CE/44/98, che all’art. 6 prevede il divieto di brevettabilità delle invenzioni il cui sfruttamento commerciale è contrario all’ordine pubblico o al buon costume, in particolare, al paragrafo 2) lett. c) il quale vieta “le utilizzazioni di embrioni umani a fini industriali o commerciali”.

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Tornando però al nostro ordinamento nazionale, attribuire la capacità giuridica al concepito non significa necessariamente garantirgli il diritto alla vita e alla salute; anche in relazione alla situazione giuridica dell’embrione creato in vitro, il riconoscimento di tale capacità non è determinante per risolvere a suo vantaggio, in maniera assoluta, eventuali situazioni di conflitto con altri diritti o interessi giuridicamente tutelati.

Ma, allora, se il riconoscimento della capacità giuridica fin dal concepimento non aiuta a risolvere possibili conflitti, né comporta il riferirsi di tutte le norme giuridiche al concepito, il quale pertanto non beneficerebbe di una piena tutela né della parità di trattamento con chi è nato, come interpretare il riferimento della soggettività contenuto nell’articolo 1 della Legge 40? Se si muove dalla considerazione secondo cui non vi è equivalenza di posizione giuridica tra la madre e l’embrione, è evidente che una forma legislativa come quella contenuta nell’articolo 1 della legge 40, non può pareggiare una condizione oggettiva di diversità.

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4.

La crisi della Legge 40

La prima pronuncia che ha inciso sull’impianto della Legge 40 del 2004 è ravvisabile nella Sentenza n. 151 del 200940,

con la quale la Corte costituzionale dichiarò l’illegittimità, in primo luogo, dell’art. 14, comma 2, della Legge 40 (secondo cui “Le tecniche di produzione degli embrioni [...] non devono creare un numero di embrioni superiore a quello strettamente necessario ad un unico e contemporaneo impianto, comunque non superiore a tre”) limitatamente alle parole “ad un unico e contemporaneo impianto, comunque non superiore a tre”. La Corte, partendo dal presupposto che dalla stessa Legge 40 fosse desumibile che la tutela dell’embrione non si configurasse come assoluta, ma limitata in relazione alla necessità di bilanciarla con le esigenze della procreazione, rilevava che il divieto di creare un numero di embrioni superiore a quello strettamente necessario e comunque non superiore a tre, avrebbe determinato, tra le controindicazioni, nel caso in cui il primo impianto non desse esito positivo, la reiterazione di cicli ormonali, con conseguente aumento del rischio di insorgenza delle patologie a questa collegate.

40 Corte Cost. 151/2009, con nota di M. MANETTI, Procreazione medicalmente assistita; una political quastion disinnescata, in Giur. cost., 2009.

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Inoltre, con tale sentenza, veniva ad essere introdotta una deroga al divieto di crioconservazione, con la conseguente “necessità del ricorso alla tecnica di congelamento con riguardo agli embrioni prodotti, ma non impiantati per scelta medica”.

Un’ulteriore svolta nell’evoluzione della legge sulla procreazione medicalmente assistita, è rappresentata dalla sentenza n. 162 del 201441, con la quale la stessa Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità del divieto di fecondazione eterologa previsto dall’art. 4, comma 3, della legge in questione, sul presupposto che lo stesso si poneva in contrasto con la fondamentale libertà di autodeterminazione della persona (ricondotta agli artt. 2, 3 e 31 della Costituzione), la quale, tra le sue espressioni, include la scelta di diventare genitori e formare una famiglia. La caduta di tale divieto è stata giustificata anche dalla tutela del diritto alla salute psico-fisica, sancito dall’art. 32 della Costituzione italiana, che non sarebbe stato garantito ove fosse stata procurata una sofferenza psicologica a quelle coppie che si sarebbero viste escluse dal ricorso ad una tecnica che, ammessa in altri Paesi, al pari della fecondazione omologa, è protesa, principalmente, a risolvere i problemi riproduttivi determinati da uno stato patologico irreversibile di sterilità.

41 Corte Cost. 162/2014, con nota di A. CERRATO, Diagnosi preimpianto: l’applicazione giurisdizionale della sentenza n. 96/2015 della Consulta, in

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Tuttavia, anche sulla scia di tali ragioni, la Corte, nella richiamata sentenza, ha escluso che la fecondazione eterologa possa essere utilizzata per “illegittimi fini eugenetici” e che possa essere assimilata ad altre metodiche come la c.d. “surrogazione di maternità”.

Sul piano poi prettamente bioetico, bisogna sottolineare che la tutela dell’embrione in quanto tale è salvaguardata anche

dalla “Convenzione sui diritti dell’uomo e la biomedicina”42,

la quale, all’art. 18, comma 1, stabilisce che, anche laddove la legge consenta la ricerca sugli embrioni in vitro, “dovrà essere assicurata un’adeguata protezione dell’embrione”. Nel panorama della giurisprudenza europea sono, poi, intervenute due rilevantissime pronunce, che hanno, tuttavia, aderito ad una concezione della tutela dell’embrione non del tutto univoca. Come già anticipato, per un verso la Corte di Giustizia di Lussemburgo, con la sentenza del 18 ottobre 201143, nel sancire la legittimità del divieto dell’utilizzo a fini

commerciali degli embrioni, aveva optato per una nozione di “embrione umano” da intendersi in senso ampio, ovvero includendovi gli ovuli sin dalla fecondazione. Per altro verso, la Corte europea dei diritti dell’uomo, con la sentenza del 28

42 Tale convenzione, detta anche Convenzione di Oviedo, è il primo trattato

internazionale sulla bioetica, firmato, su iniziativa del Consiglio d’Europa, il 4 aprile 1997.

43 Corte Giust. UE, sent. 18 ottobre 2011, procedimento C-34/10, Brustle vs.

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23

agosto 201244, ha ritenuto che non fosse sostenibile

l’assimilazione tra embrione coltivato in vitro e bambino già nato, rilevando l’incoerenza con la tutela della salute della donna della possibilità, ammessa dall’ordinamento italiano, di procedere all’aborto terapeutico per le medesime patologie per le quali è interdetta la diagnosi preimpianto.

Ma se, in molti paesi europei45, si è giunti, con il tempo, ad

asserire che un ovulo umano che non è mai stato fecondato e viene sviluppato in laboratorio può essere utilizzato a scopi commerciali e per la ricerca sulla malattia e, quindi, brevettato, l’ordinamento italiano è ancora restio a permettere qualsiasi intervento sull’embrione umano che non sia prettamente terapeutico.

La Corte costituzionale ha infatti, con la recente sentenza n. 84 del 201646, dichiarato l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, commi 1, 2 e 3, della Legge 40 del 2004, impugnato, in riferimento agli artt. 2, 3, 9, 13, 31, 32 e 33, primo comma, della Costituzione, in quanto vieta in modo assoluto qualsiasi ricerca clinica o sperimentale sull’embrione umano che non sia finalizzata, in assenza di metodologie alternative, alla tutela della salute e

44 Corte EDU, sent. 28 agosto 2012, n. 54270/10, Costa-Pavan vs. Italia (sul punto

v. cap. 2, par. 2

45 Esempio emblematico di tale teoria è rappresentato dall’ordinamento

britannico, che permette, ormai, senza molte limitazioni, l’utilizzo di embrioni umani aldilà del puro scopo terapeutico.

46 Corte cost, sent. 13 aprile 2016, n. 84, con nota di P. MACIOCCHI, La consulta rinvia al legislatore le scelte sull’uso degli embrioni per la ricerca, in Il

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24

allo sviluppo dello stesso. Secondo il Giudice delle leggi il quesito rimanda al conflitto tra il diritto della scienza (e i vantaggi della ricerca ad esso collegati) e il diritto dell’embrione, per il profilo della tutela ad esso dovuta in ragione e in misura del grado di soggettività e di dignità antropologica che gli venga riconosciuto. Sul problema di come trovare una soluzione a questo conflitto, i giuristi, gli scienziati e la società civile sono profondamente divisi; ed anche le legislazioni, i comitati etici e le commissioni speciali dei molti Paesi che hanno approfondito il problema non sono pervenuti a risultati generalmente condivisi. Nella scelta tra il rispetto del principio della vita, che si racchiude nell’embrione, e le esigenze della ricerca scientifica, la linea di composizione tra gli opposti interessi, attiene all’area degli interventi con cui il legislatore, quale interprete della volontà della collettività, è chiamato a tradurre, sul piano normativo, il bilanciamento tra valori fondamentali in conflitto, tenendo conto degli orientamenti e delle istanze che apprezzi come maggiormente radicati nella coscienza sociale. Il differente

bilanciamento, che per mezzo dell’incidente di

costituzionalità, si sarebbe voluto sovrapporre a quello presidiato dalla normativa scrutinata, non potrebbe, infatti, non attraversare una serie di molteplici opzioni intermedie, inevitabilmente riservate al legislatore. Unicamente a quest’ultimo compete la valutazione di opportunità (sulla

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25

base anche delle “evidenze scientifiche” e del loro raggiunto grado di condivisione a livello sovranazionale) in ordine, tra l’altro, all’utilizzazione, a fini di ricerca, dei soli embrioni affetti da malattia, ovvero anche di quelli scientificamente “non biopsabili”; alla selezione degli obiettivi e delle specifiche finalità della ricerca suscettibili di giustificare il

“sacrificio” dell’embrione; all’eventualità, ed alla

determinazione della durata di un previo periodo di crioconservazione; all’opportunità o meno di un successivo interpello della coppia, o della donna, che ne verifichi la confermata volontà di abbandono dell’embrione e di sua destinazione alla sperimentazione; alle cautele più idonee ad evitare la “commercializzazione” degli embrioni residui.

5.

Logica formale della soggettività e sostanza

degli interessi in conflitto

L’impronta iniziale caratterizzante la Legge 40 del 2004, si fondava sul principio cardine che l’embrione era considerato “persona” a cui veniva conferita una posizione di particolare importanza, esplicitando l’intento di voler assicurare a “tutti i soggetti coinvolti” parità di diritti47.

47 L. D’AVACK, La Consulta orienta la legge sulla P.M.A. verso la tutela dei diritti della madre, in Il diritto di fam. e delle persone, 2009.

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26

Nonostante, quindi, sia ormai quasi pacifico considerare l’embrione, e il concepito in generale, portatore d’interessi annoverabili tra i diritti inviolabili dell’uomo48, si ritiene

necessario bilanciare tali interessi con quelli della donna, anch’essi di rilievo primario, con i quali possono venire in collisione.

Si è piuttosto unanimi nel considerare la tutela dell’embrione necessariamente affievolita, nel caso in cui la sua posizione venga a configgere con le ragioni della salute e dell’autodeterminazione della potenziale madre.

Quindi, l’ordinamento italiano, a partire da quando la legge n. 194 del 22 maggio 1978 sulla tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria di gravidanza, pur affermando la tutela della vita umana sin dall’inizio, ha ritenuto prevalente la protezione della salute fisica e psichica della donna sulla vita stessa del prodotto del concepimento49, dopo che già la

Corte Costituzionale50 aveva negato la possibilità di

equiparare il diritto alla salute di chi è già persona e la tutela

dell’embrione, che “persona non è ancora”51.

48 “Il diritto alla vita, inteso nella sua estensione più lata, sia da ascriversi tra i

diritti inviolabili […] essenza dei valori supremi sui quali si fonda la Costituzione italiana” Corte cost. 10 febbraio 1997, n. 35.

49 F. TOVANI, Problematiche della procreazione assistita: uno sguardo comparativo tra Francia e Italia, in Revista de Derecho, 2015, pp. 247 ss.

50 Corte Cost., sent. n. 27 del 18 febbraio 1975.

51 In seguito, con la sent. n. 35 del 10 febbraio 1997, la Consulta si è espressa in

termini più garantisti nei confronti della vita parentale riconoscendo il diritto alla vita fra i diritti inviolabili tutelati dall’art. 2 della Cost..

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27

In conclusione, dunque, se da un lato è tuttora in atto la discussione sulla nozione di “persona” e sul momento in cui inizia la vita umana, non vi sono dubbi sul fatto che l’embrione sia comunque un organismo con un codice genetico che lo configura come appartenente alla nostra specie52. D’altra parte, il fatto stesso che, tanto in materia di procreazione medicalmente assistita, che in materia di interruzione volontaria di gravidanza, si cerchi un bilanciamento di interessi fra concepito e genitori (o anche la sola madre), presuppone l’accettazione implicita di un’identità umana in capo all’embrione, giacchè nessun bilanciamento sarebbe necessario se esso si configurasse come “cosa”.

6.

Diritto a nascere sano e tutela oggettiva del

concepito

In giurisprudenza si era tratto argomento dalla mancanza di capacità giuridica del concepito per negare la risarcibilità del danno da nascita indesiderata.

Ci si domanda se sia risarcibile il danno del nascituro nato malato per effetto di una malattia trasmessa dai genitori; è

52 Corte Cost. sent. n. 151/2009, con nota di G. RAZZANO, L’essere umano allo stato embrionale e i contrappesi alla sua tutela.

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quindi meglio la “non vita” alla “vita non sana”? Il danno da nascita indesiderata risulta ad oggi rigettato in modo quasi pacifico per la giurisprudenza53, che ritiene il diritto alla procreazione un diritto inviolabile della persona54.

A risultati di direzione opposta, a favore quindi della risarcibilità, si è pervenuti55 mettendo in opera la tesi che, rifacendosi all’art. 1 del codice civile, ammette il risarcimento del danno alla salute della vittima, causato da un atto illecito avvenuto durante la vita prenatale.

La tutela del nascituro è inoltre regolata in funzione del suo diritto a nascere, ed a nascere sano, mentre un eventuale diritto a non nascere sarebbe un diritto adespota56 in quanto, a

norma dell’articolo 1 del codice civile, la capacità giuridica si acquista al momento della nascita, ed i diritti che la legge riconosce a favore del concepito57 sono subordinati all’evento della nascita.

Nella fattispecie, invece, il diritto a non nascere, fino alla nascita appunto, non ha un soggetto titolare, mentre con il momento della nascita, tale diritto sarebbe definitivamente

53 Cass. 29 luglio 2004, n. 14488, con nota di U. SALANITRO, Spigolature in tema di diritti del concepito e accesso alla procreazione assistita, in Giustizia

civ., 2015, pp. 853 ss.

54 Sul punto v. il divieto di selezione a scopo eugenetico, cap. 2, par. 3.

55 Cass. 2 ottobre 2012, n. 16752, con note di: F.D. BUSNELLI, Verso una giurisprudenza che si fa dottrina. Considerazioni in margine al revirement della Cassazione sul danno da c.d. nascita indesiderata, in Riv. dir. civ., 2015, pp.

1516 ss.; G. BALLARANI, La soggettività del concepito e le incoerenze della

Suprema Corte, in Dir. fam., 2013, pp. 148 ss.

56 E. PALMERINI, Nascite indesiderate e responsabilità civile: il ripensamento della Cassazione, in Nuova giur. civ. comm., 2013, pp. 174 ss.

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29

scomparso. Il nostro ordinamento, infatti, tutela il concepito soltanto verso la nascita e non verso la non nascita.

Il principio di diritto che appare qui eventualmente applicabile è quello secondo cui la propagazione intersoggettiva dell’illecito, legittima un soggetto di diritto, quale il neonato, tramite il suo rappresentante legale, ad agire in giudizio per il risarcimento di un danno che si presume ingiusto.

Una corretta attuazione dei principi cardine della giurisprudenza a proposito degli interessi, sembra condurre, a questo punto, alla conclusione che tutte le norme volte a disciplinare il delicato ambito del concepimento, considerino il nascituro come un oggetto di tutela necessaria.

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CAPITOLO 2

A confronto con i problemi:

LA DIAGNOSI PREIMPIANTO

Sommario: 1. Il diritto alla procreazione responsabile e l’autodeterminazione bilanciata – 2. L’accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita – 3. Il divieto di selezione degli embrioni a scopo eugenetico – 4. L’esperienza degli altri ordinamenti europei – 4.1 La diagnosi preimpianto in Francia – 4.2 La diagnosi preimpianto in Gran Bretagna – 4.3 La diagnosi preimpianto in Germania

1.

Il diritto alla procreazione responsabile e

l’autodeterminazione bilanciata

La diagnosi genetica preimpianto è una tecnica diagnostica che, tramite il prelevamento di una o più cellule dell’embrione creato in vitro, consente di identificare eventuali malattie, prima del suo impianto in utero.

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31

Tale tecnica è duramente contestata dai sostenitori dell’intangibilità dell’embrione in quanto “progetto di persona”58, con diritto al medesimo grado di protezione

riservato a chi persona è già.59

Gli interventi della giurisprudenza italiana sono stati copiosi, e spesso in contrasto tra loro. La prima tesi sostenuta, riconosceva la priorità della tutela dei diritti dell’embrione alla vita e all’integrità fin dal momento del concepimento, e subordinava ad essi il diritto alla procreazione da parte dei

genitori60. Nonostante la campagna referendaria per

l’abolizione della legge 40/200461 non andò a buon fine a

causa del forte astensionismo, e del conseguente non raggiungimento del quorum richiesto, sull’argomento si è dibattuto ancora parecchio.

Il Tribunale di Roma emanò un’ordinanza62 che, seppur

rigettando l’istanza, presentata da una coppia affetta da malattia geneticamente trasmissibile, di diagnosi genetica

58 Secondo tale orientamento “l’embrione è un essere umano con potenzialità di

sviluppo (non un essere umano potenziale)”: minoranza della Commissione Dulbecco.

59 Impedire la p.m.a. e la conseguente diagnosi preimpianto, in realtà, non

salvaguarda affatto il nascituro, il quale soccombe ugualmente ove la donna, accertata la rilevante anomalia o malformazione di esso, decida di abortire per l’esistenza di un grave pericolo per la propria salute, fisica o psichica.

60 Tale tutela può essere soggetto di “affievolimento”, solo in caso di conflitto con

altri interessi di pari rilievo costituzionale (come il diritto alla salute della donna) che, in termini di bilanciamento, risultino, in date situazioni, prevalenti.

61 Referendum abrogativo, 12 e 13 giungo 2005, in LaRepubblica.it con nota di A.

Sarno, Legge 40, una storia lunga otto anni: così è cambiato a colpi di sentenze.

62 Trib. Roma, sez. I civile, ordinanza 23 settembre 2013, in Altalex, con nota di

G. Rossini, Diagnosi preimpianto consentita a genitori fecondi con malattie

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32

preimpianto, evidenziava l’inadeguatezza del disposto normativo a risolvere i problemi dell’infertilità tramite i principi basilari della buona pratica medica.

Già in precedenza, una questione di illegittimità

costituzionale, sollevata dal Tribunale di Cagliari63, sulla violazione del principio di uguaglianza per quanto concerne il diritto d’informazione sulla salute del nascituro, e quindi alla maternità consapevole, veniva rigettata dalla Corte Costituzionale poiché qualificata come contraddittoria. A

mutare l’orientamento interpretativo fu la Curia cagliaritana64

che, discostandosi dai suoi precedenti, favorì l’accertamento diagnostico preimpianto. Il giudice motivava l’autorizzazione concessa basandosi: 1) sulla mancanza di un esplicito divieto; 2) sulla liceità della ricerca clinica volta ad accrescere le conoscenze nell’ambito della diagnosi e della cura delle malattie; 3) sul diritto alla piena consapevolezza in ordine ai trattamenti sanitari e in generale sul rispetto del fondamentale principio del consenso informato del paziente; 4) sull’illiceità delle Linee Guida ministeriali in materia di procreazione medicalmente assistita65, sotto un profilo gerarchico delle fonti, in quanto la normativa secondaria non può contrastare

63 Trib. Cagliari, 16 luglio 2005, n. 574, in Il corriere giuridico, 2013, con nota di

E. Falletti, La diagnosi genetica preimpianto: una ricostruzione di dottrina e di

giurisprudenza nazionale ed europea, pp. 234 ss.

64 Trib. Cagliari, 24 settembre 2007, in Corr. merito, 2008, con nota di G.

Casaburi, Procreazione assistita: il Tribunale di Cagliari dà luce verde alla

diagnosi preimpianto.

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con la legge; 5) sull’illiceità sotto il profilo clinico, poiché la mera indagine osservazionale sull’embrione non consente di accertarne l’effettivo stato di salute, con conseguente compromissione del diritto ad un’informazione adeguata; 6) sul principio costituzionale di eguaglianza, che vieta una diversità di trattamento di situazioni sostanzialmente analoghe, in relazione al possibile accesso diagnostico sulla salute del nascituro effettuato durante la gravidanza.

Dopo alcune prime pronunce giurisprudenziali di merito in senso contrario all’ammissibilità della diagnosi preimpianto, quindi, si è consolidata l’opinione maggioritaria di dottrina e giurisprudenza per cui deve ritenersi prioritario il diritto della coppia a conoscere il numero e lo stato di salute degli embrioni prodotti, come ha in seguito ribadito la Corte di Cassazione con la sentenza 7269 del 2013. L’epilogo di tale vicenda interpretativa infatti, è rappresentato dall’ordinanza

del T.A.R. Lazio del 21 gennaio 200866, con cui si pervenne

all’annullamento delle Linee Guida Ministeriali 200467, nella

parte in cui stabilivano che ogni indagine relativa allo stato di salute degli embrioni creati in vitro avrebbe dovuto essere di tipo osservazionale, perché in contrasto con l’art. 13 della L.

66 T.A.R. Lazio, 21 gennaio 2008, n.398, in Famiglia e diritto 2017, con nota di A.

Figone, Illegittimo il divieto di indagine preimpianto sull’embrione?

67 V.d.m. 21 luglio 2004 del Ministero della Salute, con nota di A. Cerato, Diagnosi preimpianto: l’applicazione giurisprudenziale della sentenza n. 96/2015 della Consulta, in Famiglia e diritto 2017, pp. 541 ss.

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34

40/2004 che consentiva interventi diagnostici sull’embrione, volto alla tutela della salute e allo sviluppo dello stesso.

Grazie a numerose pronunce dei giudici di merito68, è stata ritenuta la legittimità della diagnosi preimpianto (anche finalizzata ad evitare la trasmissione di gravi malattie ereditarie) nell’ottica della sua piena compatibilità con i principi costituzionali posti a tutela della dignità e della salute della persona.

Negare la diagnosi preimpianto implica, infatti, condannare la donna a prendere una decisione non informata, inconsapevole, in ordine al trasferimento in utero degli embrioni formati, con il rischio di mettere in pericolo la propria salute e quella del nascituro.

68 Trib. Bologna, 29 giugno 2009 (con la quale venne disposta l’applicazione della

diagnosi preimpianto di un numero minimo di sei embrioni ed il trasferimento in utero dei soli embrioni sani); Trib. Salerno, 9 gennaio 2010 (con cui venne ordinata l’esecuzione dell’indagine reimpianto ed il trasferimento in utero degli embrioni che non presentavano mutazioni genetiche); Trib. Cagliari 9 novembre 2012 (con la quale, in accoglimento del ricorso, accertava il diritto della coppia ricorrente ad ottenere, nell’ambito dell’intervento di P.M.A., l’esame clinico e diagnostico sugli embrioni ed il trasferimento in utero della donna solo degli embrioni sani o portatori sani delle patologie da cui erano risultati affetti i ricorrenti).

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35

2.

L’accesso alle tecniche di procreazione

medicalmente assistita

A questo punto, constatata la liceità della diagnosi preimpianto sull’embrione creato in vitro, bisogna stabilire chi può effettivamente accedere a tali tecniche. Il testo

originario della Legge n. 40 del 19 febbraio 200469

concedeva la possibilità di accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita solo quando fosse “accertata l’impossibilità di rimuovere altrimenti le cause impeditive della procreazione” e nei soli “casi di sterilità o di infertilità inspiegate documentate da atto medico” o in quelli “di sterilità o di infertilità da causa accertata e certificata da atto medico”.

Dal 2010, una serie di pronunce70 in tal proposito, hanno

portato alla dichiarazione della Corte costituzionale71

sull’illegittimità, per violazione degli artt. 3 e 32 della

69 Art. 4 l. 40/2004, “Norme in materia di procreazione medicalmente assistita”. 70 Trib. Salerno, gennaio 2010, per la prima volta vengono ammesse alle tecniche

di p.m.a. coppie non sterili in senso tecnico; Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, caso Costa-Pavan v. Italia, agosto 2012, in cui la Corte ha condannato l’Italia poiché il divieto di accedere alla diagnosi preimpianto imposto alle coppie portatrici di malattie geneticamente trasmissibili contrasta con l’art. 8 della CEDU; Trib. Roma, gennaio 2014 e Trib. Milano, marzo 2015, sollevano questioni di legittimità costituzionale della norma che vieta l’accesso alle tecniche di p.m.a. e alle diagnosi genetiche preimpianto alle coppe fertili portatrici di malattie geneticamente trasmissibili, per contrasto con gli artt. 2, 3, 32 e 117, co. 1 Cost., in riferimento agli artt. 8 e 14 CEDU.

71 Corte Costituzionale, 10 giugno 2015, sent. 96/2015, in Diritto24, con nota di F.

Gallo, G. Baldini, A. Calandrini, Corte Costituzionale sentenza n. 96/2015:

cancellato il divieto di accesso alle tecniche per le coppie fertili affette o portatrici di patologie genetiche.

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Costituzione, degli artt. 1, commi 1 e 2, e 4, comma 1, della legge 40/2004, “nella parte in cui non consentono il ricorso alle tecniche medicalmente assistite alle coppie fertili portatrici di malattie genetiche trasmissibili, rispondenti ai criteri di gravità di cui all’art. 6, comma 1, lettera b) della legge 22 maggio 1978, n. 194 (Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria di gravidanza), accertate da apposite strutture pubbliche”.

È, di conseguenza, illegittima la sanzione penale che assisteva il divieto di selezione degli embrioni, nei casi in cui questa era finalizzata esclusivamente ad evitarne l’impianto nell’utero della donna, nei casi di malattie genetiche, rispondenti ai medesimi criteri normativi di gravità.

Si è quindi giunti a concedere l’accesso alle tecniche di p.m.a. non solo alle coppie sterili o non fertili, ma anche a quelle fertili che potrebbero generare figli affetti da malattie infettive, o che necessitano della diagnosi preimpianto per procreare un figlio non affetto dalla loro patologia genetica. La Corte ha infatti rilevato l’evidente incoerenza del legislatore nel concedere alla donna l’interruzione della gravidanza in presenza di feto che presenti la medesima grave patologia trasmessagli dai genitori, precludendole però l’accesso alla procreazione assistita, e la possibilità di ottenere preventivamente informazioni relative alle anomalie del feto.

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È nota, in quest’ambito, la vicenda alla base della sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo nel caso

Costa-Pavan v. Italia72: due coniugi, dopo una prima gravidanza al

termine della quale avevano scoperto di aver trasmesso alla figlia la malattia di cui erano inconsapevolmente portatori sani (fibrosi cistica), e dopo aver interrotto una seconda gravidanza per aver scoperto che anche quel feto era affetto dalla medesima patologia, ricorrono direttamente alla Corte EDU (sul presupposto dell’assolutezza del divieto di accesso alle tecniche di p.m.a. per le coppie che non erano sterili o infertili, posto dalla legge italiana) per chiedere l’accesso alla diagnosi preimpianto al fine di sapere in anticipo se l’embrione fosse affetto da fibrosi73.

La Corte ritenne da una parte che il divieto in questione rispondesse al canone della preordinazione al perseguimento di uno scopo legittimo di “tutela della morale e dei diritti e delle libertà altrui”, ma dall’altra affermava la contraddizione della legislazione italiana in quanto vieta l’impianto limitato ai soli embrioni non affetti dalla malattia di cui i ricorrenti sono portatori, ma autorizzava gli stessi a ricorrere ad aborto nel caso in cui il feto fosse stato affetto da tale patologia.

72 Corte eur. Dir. Uomo, 28 agosto 2012, divenuta definitiva l’11 febbraio 2013 a

seguito del rigetto dell’istanza di rinvio alla Grande Camera presentata dal governo italiano.

73 R. Pomiato, Diagnosi reimpianto e tutela dell’embrione: un equilibrio ancora precario, in Europa dir. priv., 2016, pp. 219 ss.

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Per quanto concerne la sentenza del 5 giugno 2015, n. 96, della Corte Costituzionale, essa trae origine da due ordinanze del Tribunale di Roma emesse in procedimenti nei quali altrettante coppie fertili chiedevano l’accesso alla diagnosi preimpianto per evitare la trasmissione al figlio della malattia genetica di cui uno dei componenti era, in entrambi i casi, portatore.

In particolare la questione riguardava l’art. 1, comma 1 e 2, e l’art. 4, comma 1, della legge n. 40/2004, poiché non rispettavano i parametri:

- dell’art. 2 Cost., per violazione di diritti inviolabili della persona quale il diritto di autodeterminazione nelle scelte procreative;

- dell’art. 3 Cost., sotto il profilo della ragionevolezza, in quanto il divieto di diagnosi preimpianto costringerebbe le coppie “desiderose di avere un figlio non affetto dalla patologia ad avere una gravidanza naturale e ricorrere eventualmente alla scelta tragica dell’aborto terapeutico del feto malato”;74

74 Non può nascondersi la differenza tra tutela della salute a fronte di una

gravidanza già in atto, e quella rispetto ad una gravidanza che non sia ancora iniziata. La distinzione dunque tra la condizione di embrione non impiantato e quella di feto, potrebbe portare con sé una diversa composizione degli interessi contrapposti, tenendo conto inoltre del fatto che quell’elemento di conflittualità tra l’interesse alla vita del concepito e la salute della donna, risulta attenuato nella p.m.a., non essendo la gravidanza ancora in corso. Se si assume, perciò, che l’embrione non impiantato non possa godere del medesimo grado di protezione del feto, si potrebbe ipotizzare che non sia necessaria una lesione al bene “salute della donna” per giustificare il suo sacrificio, oppure che, se pur un pregiudizio sia necessario, esso non debba essere grave.

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- dell’art. 3 Cost., sotto il profilo del divieto di discriminazione, poiché vi sarebbe disparità fra coppie fertili ma portatrici di malattie genetiche e coppie in cui l’uomo risulti affetto da malattie virali contagiose;75

- dell’art 117, comma 1, Cost.76, in relazione alle norme interposte di cui agli artt. 8 sul diritto al rispetto della vita privata e familiare, e 14 sul divieto di discriminazione, CEDU.

Sono dunque le specifiche patologie genetiche che affliggono i genitori come portatori sani, ad essere presupposto di accesso alle tecniche e limite all’oggetto dell’indagine preimpianto, che non si estende ad anomalie cromosomiche diverse da quelle da ricercarsi nell’embrione perché diagnosticate ai genitori, e non può comunque escludere che il figlio manifesti patologie conseguenti alla gestazione o al parto.

È il “criterio normativo di gravità”77 a fungere da parametro

al quale dovrà ancorarsi l’ammissione delle coppie portatrici delle sole alterazioni genetiche che comportano il pericolo di

75 Sono ammesse alle tecniche di p.m.a. le coppie il cui partner di sesso maschile

sia affetto da patologie virali sessualmente trasmissibili. Attraverso il cosiddetto “lavaggio spermatico”, che separa la frazione fertile dai virus, si impedisce infatti la trasmissione dell’HIV o dell’epatite alla compagna ed al feto, ma non viene effettuata alcuna indagine sul corredo cromosomico degli embrioni prodotti in vitro, né sono esclusi dall’impianto quelli che evidenzino patologie.

76 “La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della

Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e degli obblighi internazionali”.

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rilevanti anomalie o malformazioni, se non della morte precoce, del nascituro.

La disciplina a tutela del diritto delle coppie fertili di accedere alla p.m.a. è stata infine adeguata, anche sotto il profilo penale, con la sentenza della Corte Costituzionale 21 ottobre 2015, n. 229, che ha dichiarato l’incostituzionalità della norma che vietava la condotta selettiva del sanitario se volta esclusivamente ad evitare il trasferimento nell’utero di embrioni affetti da malattie genetiche accertate.

3. Il divieto di selezione degli embrioni a scopo

eugenetico

L’art. 13, comma 3, lett. b), della legge n. 40/2004, sancisce l’assoluto divieto di “ogni forma di selezione a scopo eugenetico degli embrioni e dei gameti, ovvero interventi che, attraverso tecniche di selezione, di manipolazione o comunque tramite procedimenti artificiali, siano diretti ad alterare il patrimonio genetico dell’embrione o del gamete ovvero a predeterminarne caratteristiche genetiche, ad eccezione degli interventi aventi finalità diagnostiche e terapeutiche”, volte in ogni caso alla tutela della salute o allo sviluppo dell’embrione stesso. Il prelievo di cellule, invece, potendo determinare la fine dell’embrione, dovrebbe ritenersi

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vietato; oltretutto, l’eventuale scoperta di una malattia genetica, quale la talassemia, non permetterebbe, allo stato attuale delle conoscenze scientifiche, di intervenire con un trattamento curativo, per cui l’embrione sarebbe violato al di fuori della finalità terapeutica espressamente selezionata dal legislatore come unica possibilità.

Si sono però registrati tentativi, sia in dottrina che in giurisprudenza, volti a ricavare l’ammissibilità di tale tecnica, sul presupposto che l’art. 14, comma 5, della medesima legge, prevede che i soggetti che accedono alla p.m.a. siano “informati sul numero e, su loro richiesta, sullo stato di salute degli embrioni prodotti”.

Una prima indicazione circa l’interpretazione dell’art. 13 proviene dalle Linee Guida ministeriali78, che vietavano

chiaramente “ogni diagnosi preimpianto a finalità eugenetica”, disponendo inoltre che le indagini riguardanti lo stato di salute degli embrioni creati in vitro, dovessero essere di tipo puramente “osservazionale”79, al fine di tutelare il

diritto all’integrità della persona (diritto che si realizza

78 V.d.m. 21 luglio 2004 del Ministero della Salute, la cui previsione fu dichiarata

illegittima (perché non si limitva a dettare norme di alto contenuto tecnico, bensì disciplinava nel merito una materia coperta da riserva di legge) dal Tar Lazio 21 gennaio 2008, n. 398, in Nuov. Giur. civ. comm., 2008, con nota di S. Penasa,

Tanto tuonò che piovve: l’illegittimità parziale delle Linee Guida e la questione di costituzionalità della l. n. 40/2004 in materia di procreazione medicalmente assistita.

79 L’indagine di tipo “osservazionale” consiste nell’esame al microscopio

dell’embrione, per accertare la sua regolarità morfologica ed eventuali anomalie nel suo sviluppo.

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attribuendo rilevanza giuridica all’embrione)80. Così facendo,

tuttavia, il decreto ministeriale finiva per precludere anche quelle attività di ricerca clinica e sperimentale che la legge n. 40/2004 ammette (anche se solamente per finalità terapeutiche e diagnostiche e a tutela della saluta dell’embrione).

Il Tribunale di Cagliari81, e successivamente il Tar del

Lazio82, disposero la disapplicazione delle Linee Guida

ministeriali che escludevano qualsiasi forma di selezione, affermando la liceità della diagnosi, richiesta da coppie aventi diritto ad accedere alle tecniche di p.m.a., “avente ad oggetto gli embrioni destinati all’impianto nel grembo materno, strumentale all’accertamento di eventuali malattie dell’embrione e finalizzata a garantire a coloro che abbiano avuto legittimo accesso alle tecniche di procreazione assistita una adeguata informazione sullo stato di salute degli embrioni da impiantare”. Si insiste inoltre sul diritto dei ricorrenti “all’effettuazione dell’accertamento diagnostico richiesto, da eseguirsi, anche con tecniche invasive, secondo

80 Tale posizione è rafforzata dal divieto di discriminazione genetica sancito

dall’art. 81 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE.

81 Trib. Cagliari 24 settembre 2007, in “Nuova g. civ. comm.”, 2008, I, con nota

di E. Palmerini, Procreazione assistita e diagnosi genetica: la soluzione della

liceità limitata.

82 Tar Lazio 21 gennaio 2008, n. 398: la pronuncia ribadiva da un lato che

“l’indagine genetica preimpianto è consentita solamente nell’interesse del concepito”, mentre dall’altro osservava che “non esistono ancora terapie genetiche che permettono di curare un embrione malato, con possibile incidenza dunque sullo stato di salute del medesimo; di conseguenza la diagnosi preimpianto invasiva non potrebbe che concernere le sole qualità genetiche dello stesso embrione”.

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