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CAPITOLO 3. I DOLCIFICANTI: DESCRIZIONE E RELAZIONI STRUTTURA-ATTIVITA’

3.3 Dolcificanti intens

I dolcificanti intensivi sono dotati di un grado di dolcezza maggiore di quello del saccarosio; la loro intensità ne permette l’impiego in quantità ridotte. L’apporto calorico è molto basso o addirittura prossimo allo zero, il rischio di cancerogenicità nullo e il rialzo glicemico modesto.

Analizzando i profili dinamici, si osserva che i dolcificanti intensivi hanno funzioni concentrazione/risposta (C/R) di tipo iperbolico, mentre tutti gli zuccheri analoghi del saccarosio hanno funzioni lineari. Ciò suggerisce che i dolcificanti intensivi sono agonisti parziali, mentre il saccarosio e simili sono agonisti puri.

Dolcificanti intensivi naturali

Anche se le principali autorità preposte alla sicurezza degli alimenti, quali FDA ed EFSA, non discriminano i dolcificanti a seconda della loro origine, esistono in natura molecole molto più dolci del saccarosio. Tra di esse possiamo elencare: i glicosidi della Stevia (E960), la taumatina (E957) e la neoesperidina diidrocalcone (E959). Sul mercato troviamo anche tagatosio e glicirrizina, ma il loro utilizzo non è autorizzato in Unione Europea.

Negli ultimi anni l’interesse verso i dolcificanti di origine naturale è cresciuto molto, soprattutto per poter inserire sul mercato delle molecole adatte a particolari regimi alimentari, come quelli indicati ai pazienti diabetici, in alternativa ai prodotti di sintesi di cui si tratterà in seguito; su questi, comunque, regna sempre una parziale sfiducia da parte del consumatore, il quale trovandosi disorientato è più propenso a consumare prodotti di origine naturale piuttosto che sintetica.

La ricerca in materia ha portato ad individuare circa 100 vegetali contenenti zuccheri, polioli o altre molecole dal sapore dolce, quindi dotati di un naturale potere edulcorante. Anche se non tutte le molecole isolate dalle piante sono prive di un contributo in termini di calorie, il loro consumo

prevede quantità talmente esigue che l’aspetto energetico è trascurabile (Carniel Beltrami et al., 2018).

La Stevia rebaudiana Bertoni, un arbusto appartenente alla famiglia delle Asteracee originario del nord del Paraguay, è la fonte di estrazione di una serie di composti edulcoranti non calorici noti come glicosidi steviolici (E960). Se ne conoscono circa 30, ma i più noti sono lo stevioside e il rebaudoside A, ottenuti anche per sintesi chimica, che da soli rappresentano il 90% di tutti i glicosidi contenuti nelle foglie della Stevia.

L’Unione Europea proibisce l’utilizzo della foglia tal quale, pertanto, per ottenere i glicosidi steviolici, è necessario un processo di purificazione della stessa che prevede l’uso di acqua calda per estrarre i composti di interesse, cui segue una ricristallizzazione in soluzione idroalcolica. In termini generali si ritiene che i composti steviolici siano privi di retrogusto amaro (anche se alcune molecole ne sono dotate) e abbiano un potere edulcorante pari a 300 volte quello del saccarosio, con un contributo maggiore rispetto alle altre molecole da parte del rebaudoside A, la più dolce (Grembecka, 2015). I glicosidi delle Stevia hanno l’ADI (acceptable daily

intake) pari a 4 mg/kg di peso corporeo al giorno e sono metabolizzati dai

batteri del colon, i quali riescono a glucuronidarli al fine di espellerli con le urine; sono stabili al calore e in un ampio range di pH, con apporto calorico praticamente trascurabile e adatti ai pazienti diabetici. Dal punto di vista della tossicità e genotossicità questi composti sono considerati sicuri sia da EFSA che da FDA, anche se permangono alcune perplessità circa la loro potenziale allergenicità, aspetto che dovrebbe essere in futuro indagato più a fondo.

La taumatina (E957), come il precedente composto, è una miscela di più componenti, in particolare di due proteine, la taumatina I e la taumatina II, estratte dal Thaumatococcus danielli Bennett, diffusissimo in Africa. Priva di allergenicità o teratogenicità, si configura come una singola catena di 207 aminoacidi, che sprigiona un sapore dolce a concentrazioni inferiori a 50 nM ed è 2000/3000 volte superiore a quello del saccarosio; può essere considerata la capostipite di un gruppo di dolcificanti proteici, al cui interno troviamo anche la brazzeina e la monellina.

Dal punto di vista organolettico, se usata da sola, presenta un sapore dolce tendente alla liquirizia, caratteristica peculiare che la porta ad essere spesso associata ad altri dolcificanti; sotto l’aspetto normativo, invece, è approvata sia negli Stati Uniti che nell’Unione Europea ma non c’è l’ADI di riferimento. Date le difficoltà del sito di coltivazione nel continente africano, la produzione di taumatina non soddisfa completamente la domanda ed è per questo motivo che la ricerca si è orientata verso metodi di produzione per via ricombinante.

Un altro dolcificante solo parzialmente sintetico è la neoesperidina diidrocalcone (E959), approvata da EFSA nel 1994 ed estratta dalla buccia del frutto immaturo del Citrus aurantium L. (l’arancio amaro): la neoesperidina di partenza, un flavone, è convertita in diidrocalcone dopo idrolisi.

Un metodo alternativo per ottenere questo dolcificante consiste in una via sintetica che inizia dalla naringenina, estratta dal frutto di Citrus paradise Macfad. L’aspetto tecnico che ne complica parzialmente l’utilizzo nell’industria alimentare è la sua scarsa solubilità in acqua, anche se le ridotte quantità impiegate, in associazione con altri dolcificanti, permettono fortunatamente di non incorrere mai in questo rischio. Il suo potere edulcorante, benché intenso, non è uno dei più forti, né uno dei più chiari e decisi, in quanto associato ad un retrogusto mentolato molto marcato. La ragione principale del suo utilizzo è quella di tentare di mascherare il sapore amaro o metallico indotto da molte altre molecole di largo uso. La sua ADI è di 35 mg/kg di peso corporeo al giorno, ha un rapido metabolismo ed un’altrettanto veloce escrezione, tale da non consentire alcun fenomeno di accumulo.

La glicirrizina, o più correttamente acido glicirrizico, è un glicoside saponinico tri-terpenoide, ottenuto dalla radice e dal rizoma della liquirizia (Glycyrrhiza glabra); è dotata di un potere dolcificante 30-200 volte più intenso del saccarosio, anche se la sua notorietà è dovuta a proprietà ipertensive ampiamente descritte in letteratura, che hanno indotto l’Unione Europea a individuare un limite di consumo giornaliero non superiore a 100 mg.

Il tagatosio, un chetoesoso, è sintetizzato per via enzimatica a partire dal galattosio, dal quale si differenzia per la presenza di un gruppo ossidrile in C4. Ha alcune particolarità che lo rendono piuttosto interessante, come il fatto che, pur essendo uno zucchero, non promuove la carie dentaria né alza i livelli di glucosio nel sangue, per effetto di una via metabolica diversa rispetto al saccarosio: questo lo rende adatto al consumo nel paziente diabetico; in più, una quota del 20% rispetto al totale assunto per via orale è escreta nell’intestino, dove agisce come prebiotico. Il tagatosio è presente anche in natura, come nel frutto del cacao anche se in piccola quantità, ma lo si ottiene solo industrialmente, senza ricorrere all’estrazione che sarebbe poco fruttuosa.

È un dolcificante con un alto grado di sicurezza, anche se può avere effetti lassativi a dosi elevate. (Shankar et. al 2013)

Dolcificanti intensivi sintetici

Le molecole più importanti che analizzeremo sono: • acesulfame K • aspartame • ciclammato • saccarina • sucralosio • neotame

L’acesulfame K (E950), il sale di potassio della molecola acesulfame, è stato sintetizzato per la prima volta nel 1967.

È uno dei dolcificanti più utilizzati, soprattutto in associazione ad altre molecole della stessa categoria, anche grazie all’assenza di retrogusto ed al suo grado di dolcezza 200 volte superiore a quello del saccarosio. A differenza dei polioli, l’acesulfame K viene metabolizzato dall’organismo, e ciò comporta un limite massimo nell’assunzione giornaliera (ADI) fissato in 15 mg per kg di peso al giorno. A dosi maggiori si documentano reazioni di ipersensibilità dose-dipendenti. Dato l’ampio utilizzo di questo dolcificante da parte dell’industria alimentare, il suo conseguente consumo e quindi la relativa immissione nelle acque reflue, sono in corso studi per diminuire la contaminazione nell’ambiente, soprattutto per il fatto che l’acetacetamide, metabolita principale dell’acesulfame K, è più tossica di quest’ultimo.

Nel 1965 è stato sintetizzato per la prima volta l’aspartame (E951), ottenuto attraverso la combinazione di due aminoacidi, L-fenilalanina e acido L-aspartico e caratterizzato da un gruppo metilestere.

Ha un sapore gradevole, privo di asprezza o retrogusto metallico, caratteri abbastanza frequenti tra i dolcificanti sintetici, ed una dolcezza 180-200 volte superiore a quella del saccarosio. Nell’intestino è idrolizzato negli aminoacidi costituenti i quali, unitamente al metanolo che si libera, sono assorbiti nella circolazione portale; il metanolo è poi convertito prima in formaldeide, poi in acido formico, ma la sua concentrazione nell’organismo umano dopo assunzione di aspartame può considerarsi praticamente trascurabile. È sconsigliato in pazienti affetti da fenilchetonuria, poiché è una fonte di fenilalanina, ed ogni alimento in cui viene aggiunto deve riportare a chiare lettere l’avvertenza circa la sua presenza, in accordo con il Regolamento Europeo 1169/2011.

La sua ADI è di 40 mg per kg di peso corporeo, più alta di quella dell’acesulfame K, ha bassa solubilità in acqua, scarsa resistenza al calore e una maggiore stabilità a pH acido, ma in un range piuttosto stretto. La sua presenza, infatti, in alimenti che hanno un pH prossimo alla neutralità costituisce un rischio per la salute, essendo favorita la conversione dell’aspartame in dichetopiperazina, un composto cancerogeno. Negli ultimi tempi, più che delle sue caratteristiche di utilizzo, ogni studio riguardante l’aspartame verteva quasi esclusivamente sulla sua sicurezza: una parte di questi report riferiscono l’effetto collaterale di indurre mal di testa, altri patologie più complesse come la malattia di Alzheimer, il cancro, il diabete, ma anche convulsioni causate dall’accumulo di fenilalanina. (Shankar et. al 2013). Nella storia recente dell’aspartame poi, ha avuto un ruolo cruciale il

lavoro pubblicato su Nature da Suez et al. (2014), in cui il consumo eccessivo di questo e degli altri dolcificanti sintetici veniva associato allo sviluppo di intolleranza al glucosio attraverso alterazioni del microbiota intestinale. Come conseguenza di questa pubblicazione, nel 2015 PepsiCo annunciò di volerlo rimuovere dalla sua celebre omonima bibita, quella prodotta nella versione cosiddetta “dietetica”, lasciandosi in tal modo trasportare dal sentimento di diffidenza che si era sviluppato nel consumatore sull’uso di questo dolcificante. Un anno dopo, in seguito ad una flessione preoccupante nelle vendite, derivante certamente dal sapore diverso che il nuovo dolcificante sostitutivo naturale (sucralosio) forniva alla bevanda rispetto all’aspartame, la multinazionale americana come nuova strategia di marketing reintrodusse in commercio la versione dietetica di Pepsi-Cola con aspartame, da affiancare a quella con sucralosio e a quella con la ricetta originale: quindi si trovarono in commercio tre versioni della bibita, aumentando in tal modo le perplessità e la confusione dei consumatori riguardo al dolcificante in questione.

Concludendo l’analisi su questo dolcificante è necessario però sottolineare che nel maggio 2011 la Commissione Europea ha chiesto all'EFSA di anticipare la nuova valutazione completa della sicurezza dell'aspartame, originariamente prevista per il 2020. L’EFSA ha pubblicato la sua prima e completa valutazione del rischio nel dicembre 2013: nel parere si concludeva che l'aspartame e i suoi prodotti di degradazione sono sicuri per la popolazione in generale (compresi neonati, bambini e donne in gravidanza). (Fonte: efsa.europa.eu)

Scoperto nel 1937 presso i laboratori di ricerca dell’Università dell’Illinois, il ciclamato (E952) è il tipico caso di molecola sulla quale due diversi organismi regolatori hanno tratto conclusioni opposte: la FDA lo ha bandito definitivamente nel 1970, mentre l’EFSA ne concede l’utilizzo in Unione Europea, fissando ADI a 11 mg/kg di peso corporeo. Il motivo di questa diversa interpretazione è da ricercare in uno studio che documenta la presenza di cicloesilamina, composto tossico, tra i suoi metaboliti: nulla ha valso, per FDA, un successivo lavoro nel quale si fa notare che questa via metabolica è presente in un numero molto ridotto di individui. Nella ferma

opposizione dell’autorità americana gioca probabilmente un ruolo molto importante la sintesi industriale del ciclamato e la consapevolezza che lo si ottenga per sulfonazione proprio della cicloesilamina.

A livello organolettico il ciclamato presenta un retrogusto parzialmente aspro, anche se la sua dolcezza è da 35 a 50 volte superiore a quella del saccarosio: allo scopo di rendere maggiormente gradevole il suo sapore, si è soliti miscelarlo alla saccarina, in opportune proporzioni.

La saccarina (E954) è certamente il dolcificante di sintesi più longevo. Scoperta nel 1878, infatti, è ad oggi ampiamente prodotta ed utilizzata grazie ad una tecnica sintetica nota come “Maumee”, dal nome dell’industria chimica che l’ha sintetizzata. Il processo Maumee prevede l’utilizzo di anidride ftalica, convertita in estere antranilico, per reagire poi con acido nitroso, biossido di zolfo, cloro e infine ammoniaca per formare saccarina.

Per la sua stabilità a pH acido e alle alte temperature, la saccarina trova ampio impiego nell’industria alimentare, spesso in associazione con aspartame o ciclamato per mitigarne il retrogusto parzialmente acidulo. Il suo potere dolcificante è, invece, pari a circa 300 volte quello del saccarosio, ma ha un’ADI di 5 mg/kg, la più bassa tra le molecole di sintesi e comunque apparentemente difficile da raggiungere: ciononostante è stato dimostrato che la saccarina viene troppo spesso assunta in eccesso. È assorbita nell’intestino ed escreta immodificata nelle urine quasi completamente, riuscendo anche ad oltrepassare la barriera placentare, caratteristica che la rende controindicata in gravidanza.

L’utilizzo di questo dolcificante è sempre stato controverso ed ha visto vari paesi esprimersi con posizioni diverse riguardo alla sua sicurezza alimentare: il Canada, ad esempio, nel 1977 ne ha bandito l’utilizzo, ma in quello stesso anno il Congresso statunitense ne confermava la legittimità con una specifica moratoria. Alla base della scelta di proibire il consumo di saccarina da parte di alcune autorità regolatorie c’erano degli studi che indagavano gli effetti collaterali di questo dolcificante sui ratti, i quali sviluppavano tumore alla vescica dopo costante consumo (Spencer et al., 2016). Ad oggi, però, pur ritenendo la saccarina sicura ed utilizzata ampiamente in tutto il mondo, si sono sollevate perplessità circa i suoi effetti metabolici. Uno studio effettuato su 381 pazienti non diabetici sottoposti ad un regolare consumo giornaliero di saccarina ha permesso di constatare, nel campione analizzato, un aumento dei casi di obesità e dei valori di emoglobina glicata.

Il neotame (E961) è un analogo dell’aspartame, rispetto al quale ha un potere dolcificante molto più grande, da 7000 a 13000 volte quello del saccarosio. Ottenuto dall’aspartame stesso per amminazione riduttiva, ha un sapore dolce privo del retrogusto acido o metallico che molte molecole di sintesi invece possiedono e trova impiego in sinergia con altri dolcificanti.

Il neotame non è però una fonte di fenilalanina, pertanto può essere assunto da chi è affetto da fenilchetonuria ed è anche sicuro per i pazienti diabetici. Riguardo al suo metabolismo, metà del neotame assunto è escreto immodificato nelle feci, mentre l’altra metà si ritrova nelle urine in forma de- esterificata. Il neotame ha tutte le caratteristiche per essere considerato un dolcificante modello, in quanto ha un sapore puramente dolce, è molto solubile, è stabile sia sotto il profilo del pH che su quello della temperatura, ha un costo contenuto ed è sicuro. Riguardo a quest’ultimo aspetto, poi, numerosi studi sono concordi nel sostenere la totale assenza di effetti avversi, a qualsiasi livello, anche alzando di molto le dosi assunte.

Di recente sintesi, l’advantame (E969) è stato prodotto per la prima volta nel 2013 a partire da aspartame e isovanillina.

A differenza del precedente neotame è una fonte di fenilalanina, ma è chimicamente molto differente dall’aspartame, mostrando anche un potere edulcorante molto più accentuato, circa 20000 volte superiore a quello del saccarosio, ma con un lieve retrogusto aspro e amaro. Nel momento in cui EFSA ne ha autorizzato l’utilizzo senza restrizioni nell’Unione Europea, lo ha definito sicuro sia dal punto di vista della tossicità che da quello della cancerogenicità, fissandone l’ADI di 5 mg/kg di peso corporeo al giorno.

Il sucralosio (E955) è un dolcificante di ampio utilizzo, sintetizzato sostituendo tre gruppi ossidrilici del saccarosio con il cloro: ciò fornisce a questa molecola un potere edulcorante 750 volte maggiore rispetto al saccarosio.

Nonostante per alcuni anni il consumo di sucralosio si ritenesse associato ad un aumento del rischio tumorale, nel 2016 Berry et al. dimostrarono l’assenza di qualsiasi relazione, anche spingendosi molto al di sopra rispetto alla quantità raccomandata dalle autorità competenti: ciò ha permesso a questo dolcificante di essere infine definito come un prodotto alimentare sicuro (Spencer et al., 2016; Carocho et al., 2017).

3.4. I dolcificanti artificiali: applicazioni nel settore

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