D
IPARTIMENTO DI
F
ARMACIA
Corso di Laurea Magistrale in
Scienze della Nutrizione Umana
TESI DI LAUREA
FISIOLOGIA DEL GUSTO
E BASI CHIMICHE DELLO SVILUPPO DI
NUOVI DOLCIFICANTI
Relatori: Candidato:
Dr.ssa Francesca Simorini Dott. Luca Giordani
Prof.ssa Concettina La Motta
INDICE
Capitolo 1. Il gusto: aspetti generali
1.1 Il concetto di gusto
1.2 Le funzioni del gusto
1.3 Le strutture cellulari e neuronali nella
percezione gustativa
1.4 Integrazione delle percezioni del gusto
Capitolo 2. Il recettore gustativo e i gusti
2.1 I diversi tipi di recettori per il gusto
2.2 I recettori del gusto: le basi genetiche
2.3 I gusti principali
Capitolo 3. I dolcificanti: descrizione e
Relazioni Struttura-Attività
3.1 I dolcificanti: caratteristiche generali
3.2 Dolcificanti nutritivi
3.3 Dolcificanti intensivi
3.4 I dolcificanti artificiali: applicazioni nel settore
alimentare
3.5 Relazioni Struttura Attività: il Glicoforo
3.6 Possibili effetti avversi dei dolcificanti
artificiali
3.7 Nuovi dolcificanti
3.8 Prospettive future: gli enhancer
Conclusioni
CAPITOLO 1. IL GUSTO: ASPETTI GENERALI
1.1 Il concetto di gusto
Il gusto è uno dei cinque sensi identificati originariamente da Aristotele, insieme all’udito, la vista, il tatto e l’olfatto (Di Pizio et al., 2018). La British
Standards Institution definisce il gusto come la combinazione di stimoli
gustativi e olfattivi che possono essere influenzati da sensazioni dolorose, termiche e tattili. L’aroma e tutte le caratteristiche sensoriali degli alimenti, infatti, rappresentano solo un aspetto del fenomeno complesso di riconoscimento da parte dell’individuo quando consuma un alimento. Tuttavia, non è ancora chiaro perché le caratteristiche alimentari sensoriali coesistano con l’aroma, la consistenza e l’apparenza; intuitivamente sembra che l’aroma sia percepito come un fenomeno sensoriale complesso e integrato, mentre le percezioni derivanti dalla consistenza e dall’apparenza sarebbero percepite indipendentemente (Astray et al., 2007). Benché la vista e l’olfatto partecipino al riconoscimento di una potenziale fonte nutritiva, è il senso del gusto a mediare l’atteggiamento di accettazione o rifiuto nel comportamento alimentare (Scott et al., 2005).
Le qualità del gusto sono categorie definite dall’uomo, attraverso le quali si intendono raggruppare le similitudini e le differenze tra i diversi stimoli sulla base delle caratteristiche sensoriali descrittive, e riflettono le sensazioni “familiari”, come ad esempio la sensazione di dolce percepita quando si assapora lo zucchero o la percezione di salato quando si consumano alimenti contenenti sale (Lemon, 2017).
Il concetto dei gusti di base è stato sviluppato in tempi antichi. Esso risale al 384-322 a.C., quando Aristotele originariamente elencò i gusti che egli proponeva come basilari:
1. Dolce 2. Agro 3. Aspro 4. Astringente
6. Pungente 7. Amaro
A questi sette gusti, ne aggiunse altri due: il grasso, derivato dal dolce, ed il salato, derivato dall’amaro.
Nel corso delle ricerche che si sono susseguite a partire da tali primi studi, la lista dei principali sapori è stata alternativamente estesa o ridotta. Tuttavia, indipendentemente dalle specifiche caratteristiche delle teorizzazioni sul tema, alcuni aspetti appaiono invarianti e trasversali alle diverse ipotesi. Ad esempio, si è rilevata una costante ricorrenza del dolce, amaro, salato e acido come gusti di base.
Ricerche condotte nel corso del 1800 hanno permesso di separare le percezioni olfattive e tattili da quelle gustative; il successivo sviluppo della scienza e della tecnologia ha portato a confermare l’esistenza dei quattro gusti principali sopracitati (Hartley et al., 2018).
L’approfondimento scientifico sul tema ha poi affrontato la questione della funzione del gusto per l’essere umano. Ad esempio, la capacità di distinguere le sostanze nocive da quelle ricche di nutrienti è essenziale per la sopravvivenza. Nonostante l’olfatto e la vista partecipino all’identificazione del cibo, il gusto permette all’individuo di orientare definitivamente il proprio comportamento verso il consumo oppure, al contrario, il rifiuto dell’alimento in questione (Melis e Tomassini Barbarossa, 2017). Il gusto, infatti, teoricamente conferisce agli individui la capacità di valutare il contenuto di cibi e bevande, proteggendo l’organismo dall’ingestione di sostanze potenzialmente velenose (Devillier et al., 2015) essendo queste ultime spesso di sapore amaro (Di Pizio et al., 2018).
Il riconoscimento dei sapori richiede una classificazione che si basa su criteri che analizzano lo stimolo, la trasduzione mediante i recettori, la neurotrasmissione e, infine, la percezione. Questi criteri sono generalmente utilizzati per studiare l’appropriatezza di nuovi gusti che possono essere scoperti attraverso le ricerche scientifiche. Al fine di classificare un gusto come nuovo, i criteri di riferimento possono essere indicati come i seguenti:
2. non può essere riprodotto combinando altri gusti di base;
3. è presente comunemente in alimenti consumati e la percezione è indotta da componenti tradizionali del cibo.
Le classificazioni più recenti riconoscono, oltre ai quattro gusti di base principali (dolce, acido, salato e amaro), anche l’umami e il grasso (Hartley et al., 2018).
Oltre a questi 6 gusti maggiormente studiati e riconosciuti dalla comunità scientifica, ce ne sono altri meno studiati, e meglio definibili come sensazioni gustative accessorie. Una di esse è la chemestesi. La piccantezza del peperoncino e dello zenzero, ma anche della capsaicina e dell’allilisotiocianato, è percepita come irritazione o dolore grazie alla stimolazione di specifici recettori canale che determinano variazioni transitorie di potenziale (TRP), localizzati sui nocicettori.
Un’altra sensazione accessoria, meno tangibile della precedente, è comunemente chiamata “kokumi”, ed è descritta come senso di pienezza e complessità al palato. La molecola di riferimento è il glutatione, insapore se assunto da solo, ma capace di esaltare i gusti principali se miscelato con saccarosio, cloruro di sodio e glutammato monosodico.
1.2 Le funzioni del gusto
La percezione del gusto deriva dall’interazione tra i composti chimici non volatili solubili nella saliva con i recettori presenti sulla lingua; questa interazione dà inizio ad una trasduzione del segnale che giunge alle regioni cerebrali che processano lo stimolo e permettono, in ultima analisi, la sensazione gustativa. Tale percezione può riguardare uno dei gusti di base o altre qualità gustative putative.
Si ipotizza che il rilevamento e la percezione dei gusti di base si sia sviluppato come processo evolutivo della sopravvivenza delle specie, al fine di prevenire il consumo di alimenti potenzialmente nocivi e promuovere il
consumo di cibi nutritivi, mediante lo sviluppo di un sistema di rilevamento della dicotomia nutriente-tossina.
I gusti dolce, salato e umami sono infatti associati a specifiche categorie di nutrienti e risultano generalmente gradevoli a concentrazioni che vanno da basse a moderate, mentre le alte concentrazioni non sono ritenute accettabili; al contrario, agli stimoli amaro e aspro sono associate sensazioni sgradevoli che si ritrovano spesso in composti potenzialmente pericolosi (Melis e Tomassini Barbarossa, 2017).
In termini generali, dunque, i gusti dolce, umami e leggermente salato promuovono l’accettazione del cibo mentre i gusti amaro, aspro e molto salato determinano il rifiuto della fonte alimentare.
Alcune ricerche hanno evidenziato che i mammiferi, benché abbiano un sistema olfattivo in grado di discriminare migliaia di diversi odori, presentano una maggiore limitatezza nella distinzione delle categorie gustative; nonostante questa caratteristica di relativa semplicità, in termini di discriminazione, i sistemi gustativi sono altamente evoluti, consentendo di rilevare e discernere alimenti appetitosi e sgradevoli.
Da un lato, le cellule gustative rilevano gli zuccheri e gli aminoacidi a concentrazioni molto elevate (100 mM) permettendo agli animali di selezionare gli alimenti più calorici a discapito di quelli con un ridotto valore nutritivo. Dall’altro lato, le cellule del gusto possono rilevare anche piccole quantità di sostanze nocive o tossine, ovvero composti che sono pericolosi anche in ridotte concentrazioni: il senso del gusto presenta dunque un’estesa capacità di rilevamento degli stimoli chimici che si estende da concentrazioni molto elevate a concentrazioni molto piccole, a seconda della natura del composto (Scott et al., 2005).
Il gusto dolce è stimolato dai carboidrati semplici, che indicano la presenza di energia prontamente utilizzabile ed elicitano risposte appetitive edoniche: per tale ragione si è più propensi a consumare degli alimenti che presentano questo gusto.
Se un’eccessiva amarezza degli alimenti indica la presenza di potenziali tossine all’interno del cibo, inducendone il rifiuto, una spiccata asprezza può indicare alimenti danneggiati: questo gusto è evitato per assicurare all’organismo il mantenimento di un adeguato equilibrio acido-base. La percezione del gusto salato permette invece di mantenere un adeguato equilibrio elettrolitico del corpo. Per quanto riguarda il gusto umami, invece, è stato ipotizzato che esso possa segnalare la presenza di aminoacidi e proteine, promuovendo il consumo degli alimenti proteici. Le proteine, in realtà, sono essenzialmente insapori ed è la loro proteolisi, che avviene mediante i processi di fermentazione e trattamento con calore degli alimenti che le contengono, che rilascia aminoacidi e peptidi che possono stimolare la risposta recettoriale. Per tale ragione, il gusto umami può indicare la presenza di aminoacidi accessibili, piuttosto che legati a formare le proteine, negli alimenti che sono stati sottoposti a diversi processi di cottura. Durante la proteolisi è importante considerare che il rilascio di aminoacidi porta non solo allo sviluppo del gusto umami glutammato) ma anche del gusto amaro (L-leucina, L-fenilalanina e L-triptofano) e del gusto dolce (L-glicina, L-alanina e L-prolina): questi aminoacidi si presentano in diverse concentrazioni in ogni specifico alimento (Hartley et al., 2018).
Il sistema fisiologico della percezione del gusto si è quindi evoluto in modo tale da poter guidare le scelte alimentari e garantire un corretto apporto di energia in relazione al fabbisogno, evitando l’assunzione di sostanze tossiche o avariate. Nonostante questo, la relazione tra bisogno e apporto di energia è molto complessa: gli alimenti più saporiti e appetitosi, oggi facilmente disponibili a basso costo, hanno alto contenuto in calorie e contengono sostanze di natura grassa, dolcificanti e sale, rischiando così di essere consumati in eccesso proprio a causa della loro gradevolezza e della sensazione di soddisfazione che provocano, portando al sovrappeso e
all’obesità. La sazietà è una condizione metabolica multifattoriale che coinvolge interazioni tra gusto, risposta edonica e circuiti post-ingestivi sia verso il SNC che verso la periferia. Una conoscenza dei meccanismi biologici responsabili della regolazione dei bisogni energetici e della sazietà potrebbe consentire di combattere gli effetti avversi associati al consumo eccessivo di nutrienti: perciò molti studi sono incentrati sul ruolo dei recettori del gusto presenti nei vari distretti, la regolazione ormonale e le risposte neuronali. (Calvo et. al. 2015)
1.3 Le strutture cellulari e neuronali nella percezione gustativa
Nei mammiferi, la percezione del gusto ha inizio a livello della lingua, dove gli stimoli chimici sono rilevati da cellule derivate dal tessuto epiteliale deputate a tale funzione. Queste si presentano in gruppi di circa 50-100 cellule organizzate in gemme, a loro volta collocate in papille. Le cellule del gusto si estendono attraverso microvilli apicali e si riconoscono tre diverse strutture morfologiche delle papille gustative topograficamente distribuite sulla lingua:
- Le papille fungiformi nella parte anteriore; - Le papille foliate alle estremità laterali;
- Le papille circumvallate nella parte posteriore (Loper at al., 2015).
Localizzazione e struttura delle papille gustative sulla lingua Calvo S.S, Egan J.M. The endocrinology of taste receptors. Nat. Rev. Endocrinol. 2015
Le gemme gustative si sviluppano precocemente nell’uomo: infatti sono già presenti a 7-8 settimane di gestazione nella lingua dei feti umani, anche se la loro forma matura può essere osservata solo nei periodi successivi di sviluppo fetale e il loro numero continua ad aumentare anche dopo la nascita. A tal proposito, test comportamentali rivelano che l’abilità di distinguere gli stimoli gustativi è già presente alla nascita: ciò indica che alcuni attributi delle preferenze del gusto risultano innati e non richiedono alcuna esperienza per la loro espressione. Ad ogni modo, ci sono anche studi che dimostrano che queste attitudini possono essere estesamente modulate dall’esperienza post-natale (Aeran et al., 2015).
Le cellule gustative sono distribuite diversamente sulla lingua e nell’epitelio del palato. Secondo alcuni autori, i gusti dolce, amaro, acido, salato e umami possono essere riconosciuti da diversi tipi di cellule che funzionano da recettori specializzati che poi innescano delle vie indipendenti di processamento del segnale, permettendo di trasformare la qualità gustativa in segnali neuronali.
Un’ipotesi alternativa a questa prevede, invece, che le cellule deputate alla percezione del gusto esprimano diversi tipi di recettori e che il riconoscimento delle sfumature sensoriali possa risultare dalla decodifica dell’attività combinata di diverse classi di tali cellule (Chandrashek et al., 2006).
Nei mammiferi le cellule gustative non sono neuroni e non inviano proiezioni assonali al cervello; esse piuttosto generano un potenziale d’azione e rilasciano neurotrasmettitori in risposta agli stimoli gustativi: quest’attività è trasmessa ai neuroni che innervano la gemma gustativa. Ogni fibra gustativa primaria entra in contatto con molteplici cellule del gusto all’interno delle gemme. La lingua è innervata dalle fibre sensoriali derivanti da tre nervi secondo una topografia ben definita:
- Le fibre dalla corda del timpano (nervo cranico VII) innervano le papille fungiformi che si trovano nella porzione anteriore della lingua e il grande ramo petroso superficiale innerva quelle presenti nel palato (nervo cranico VII).
- Le fibre dal nervo glossofaringeo (nervo cranico IX) contattano le papille foliate e quelle vallate.
- Le fibre dal ramo laringeo superiore (nervo cranico X) innervano l’epiglottide e la laringe.
I tre nervi indirizzano le informazioni gustative al nucleo del tratto solitario. Le proiezioni della corda del timpano sono rostrali alle fibre glosso-faringee, le quali sono, a loro volta, rostrali rispetto alle fibre laringee superiori. Dal nucleo del tratto solitario le informazioni sono trasferite al talamo e poi alle aree gustative della corteccia.
Le cellule del gusto si rigenerano approssimativamente ogni 10 giorni; resta ancora da chiarire se questa rigenerazione avvenga indiscriminatamente per tutte le cellule oppure se esista una dinamicità orientata dai fabbisogni alimentari contingenti (Scott et al., 2005). Le cellule gustative sono suddivise in tre diverse tipologie basate sulle caratteristiche morfologiche, sull’espressione proteica e sulle vie di segnalazione molecolare.
Le cellule di tipo I, che rappresentano il sottotipo più abbondante, possiedono delle lamelle citoplasmatiche che avvolgono altre cellule gustative. Queste cellule esprimono una nucleotidasi, legata alla membrana plasmatica, che degrada ATP extracellulare e limita la diffusione dei neurotrasmettitori. La regolazione dell’ambiente ionico extracellulare all’interno della gemma gustativa sembra essere una funzione chiave di queste cellule. Grazie al loro ruolo nel terminare la trasmissione sinaptica, la
funzione di queste cellule all’interno della gemma gustativa è simile a quella delle cellule gliali nel SNC.
Le cellule di tipo II esprimono sulla membrana plasmatica recettori accoppiati a proteine G capaci di legare i composti che danno origine alla percezione dei gusti dolce, amaro e umami; è generalmente accettato che ogni cellula di tipo II esprima recettori per una sola di queste qualità, sebbene non vi sia unanimità su questa considerazione.
Le cellule di tipo III, chiamate anche presinaptiche, rilasciano serotonina, GABA e noradrenalina e sono importanti soprattutto per le loro giunzioni sinaptiche, come tipicamente si può osservare nel sistema nervoso; esprimono altresì canali del calcio voltaggio-dipendenti associati con il rilascio di neurotrasmettitori, enzimi per serotonina e GABA, così come di trasportatori per le ammine biogene. Queste cellule, poi, rispondono alle molecole che inducono la percezione del gusto aspro, ma anche dell’effervescenza tipica delle bevande gassate. A questo proposito, studi di risonanza magnetica funzionale hanno evidenziato che quest’ultima particolare sensazione provoca un’attenuazione dell’attività delle aree corticali deputate alla percezione del gusto, soprattutto quello dolce. Ciò potrebbe indurre l’individuo ad aumentare il consumo di bevande gassate e dolci, esponendo così l’organismo ad un aumentato rischio di obesità (Loper et al., 2015).
1.4 Integrazione delle percezioni del gusto
La percezione del gusto è la risultante dell’integrazione tra aspetti di natura diversa.
La saliva
La percezione dei composti aromatici prevede che essi siano rilasciati nella fase aerea. Molti studi sono focalizzati sulle modalità con cui questo rilascio avviene e alcuni di essi hanno evidenziato il ruolo della composizione della saliva in questo processo. Composta principalmente da
acqua, sali, proteine (enzimi quali amilasi), microorganismi, detriti cellulari e residui di cibo (Canon, J. 2018), la saliva rappresenta infatti una componente fondamentale del normale assaporare ed è difficile percepire il gusto degli alimenti in caso di “bocca secca”. Essa, però, agisce non solo come un solvente per le sostanze chimiche contenute negli alimenti, ma anche come trasportatore delle sostanze ai recettori del gusto.
Dal punto di vista delle sostanze aromatiche presenti nella cavità orale è stato riconosciuto che sono diversi i meccanismi che possono avere un impatto sul rilascio degli aromi nella bocca e, mediante l’uso di saliva artificiale composta di sale e mucina, con o senza α-amilasi, si è evidenziata una riduzione del rilascio dei composti aromatici a seconda della loro struttura. Questa osservazione è stata attribuita all’interazione con altri componenti che si verifica tra la mucina e i composti aromatici, come ad esempio l’effetto idrofobico. Risultati simili sono stati osservati non solo in studi con saliva artificiale, ma anche in presenza di saliva umana. Inoltre, altre ricerche hanno ipotizzato che la saliva possa metabolizzare i composti aromatici e hanno sottolineato l’importanza della variabilità interindividuale nel rilascio degli aromi e nella loro percezione (Canon et al., 2018).
Poiché il cibo non è mai in contatto diretto con i recettori e poiché le molecole che attivano il gusto devono essere trasportate affinché diano origine allo stimolo percettivo, si può affermare che il gusto, nel suo insieme, dipende dalla composizione iniziale dell’alimento, dal rilascio dei composti stimolatori, dal loro trasporto verso i recettori e dall’assorbimento sulle superfici della mucosa orale. La presenza della saliva nel cavo orale è determinante per la dissoluzione dei composti chimici al suo interno (a sua volta determinata dall’affinità di questi ultimi per la saliva) e influenza la percezione del gusto mediante l’interazione di suoi componenti, come gli enzimi, con l’alimento ingerito. Inoltre, è presente un sottile strato di proteine salivari, chiamate “pellicola mucosa”, che ricopre l’epitelio della bocca controllando l’accesso delle sostanze; alcune proteine salivari, come la mucina, svolgono anche una funzione di lubrificazione della cavità orale.
La percezione olfattiva degli aromi
Durante la masticazione avviene il rilascio nella bocca di composti aromatici e il loro successivo trasporto, attraverso la cavità retro nasale, ai recettori olfattivi presenti nella cavità nasale stessa. Quando un alimento viene mangiato, gli aromi sono rilasciati direttamente dall’alimento all’aria, ma anche alla saliva (che velocemente si amalgama con la matrice alimentare) e poi successivamente sono diffusi nella fase aerea. I coefficienti di ripartizione tra saliva e aria regolano la quantità di aroma rilasciato nella fase aerea (Canon et al., 2018).
Il gusto rappresenta dunque una percezione multimodale che si esplica mediante l’interazione di segnali gustativi, somato-sensoriali e olfattivi che derivano dai processi innescati all’interno della cavità orale in presenza di specifici stimoli chimici. Il complesso di queste sensazioni, i cui segnali sono trasdotti e processati soprattutto nel cervello, e gli odori che si percepiscono quando si consuma cibo o si beve una bevanda concorrono, quindi, nel loro insieme, a definire la percezione definitiva.
Il linguaggio
Oltre gli stimoli esclusivamente sensoriali, è stato dimostrato che certe parole correlate al gusto possono attivare le aree cerebrali della percezione gustativa; ciò è dimostrato da esperimenti di risonanza magnetica funzionale in cui ai soggetti coinvolti nello studio sono state presentate parole correlate al gusto e parole di controllo e sono state poi analizzate le aree cerebrali attivate. Sebbene tutte le parole abbiano mostrato attivazione delle circonvoluzioni temporale superiore, mediano-posteriore e inferiore sinistra, le parole correlate al gusto hanno prodotto in queste stesse aree un’attivazione significativamente più forte, e hanno interessato anche l’insula anteriore, l’opercolo frontale, la circonvoluzione orbito-frontale laterale e il talamo. Il significato delle parole correlate al gusto, quindi, attiva circuiti corticali che raggiungono aree deputate all’elaborazione delle sensazioni gustative.
Altri interessanti studi riportano gli effetti dell’associazione dei processi di percezione gustativa con la conoscenza della marca di bevande
consumate: è stato osservato che la preferenza dei soggetti che hanno partecipato allo studio cadeva sistematicamente sulla bevanda che si credeva essere associata ad una marca più nota. (Briand L, Salles C., 2016.)
Interazione gusto-gusto
Da un punto di vista più prettamente fisiologico, l’integrazione dei segnali del gusto a livello centrale si verifica anche quando due composti sono mescolati in soluzione ed è stato osservato che l’effetto di amplificazione della percezione è superiore rispetto alla semplice somma degli stimoli percepiti isolatamente. Nella maggior parte dei casi, questa interazione gusto-gusto è stata ritenuta dipendente dalla concentrazione degli stimoli gustativi; gli effetti di percezione possono variare a seconda della concentrazione, la quale può essere subliminale, sopra la soglia o molto elevata. Ad esempio, il gusto salato e acido si amplificano l’un l’altro in termini di intensità a basse concentrazioni, mentre si ha un effetto soppressivo a concentrazioni più elevate. Il gusto amaro è soppresso dal gusto salato indipendentemente dalla concentrazione presentata dai composti che ne inducono la percezione. Il gusto dolce è stato descritto come una qualità gustativa dominante nelle miscele binarie, terziarie e quaternarie. Il salato aumenta la percezione del dolce a concentrazioni basse mentre può sopprimerla a quelle più elevate. Anche il gusto umami può interagire con gli altri gusti e la sua amplificazione può essere dovuta alla presenza di glutammato monosodico, composto che può essere percepito maggiormente quando è in associazione con mononucleotidi. Il salato e l’umami si amplificano vicendevolmente, ma l’amplificazione di umami è rinforzata dalla presenza di fenilalanina a livello subliminale. Inoltre, il gusto umami determinato da peptidi sopprime l’amarezza di sostanze come la salicina. L’interazione gusto-gusto risulta funzionale in mezzi complessi come il cibo generalmente consumato dall’uomo. Ciò può essere utilizzato nella ricerca nutrizionale allo scopo di limitare il consumo di sodio o zuccheri preservando le caratteristiche organolettiche degli alimenti (Briand et al., 2016).
La temperatura
Anche la temperatura ha un ruolo importante nella definizione delle
percezioni gustative associate al consumo di cibo. Ci potremmo aspettare che taluni aromi e gusti siano associati a specifiche temperature e che il cambiamento delle temperature a cui i cibi sono serviti possa alterare gli attributi sensoriali di specifici alimenti e la loro appetibilità. Studi neuropsicologici e psicofisici mostrano che la temperatura dello stimolo gustativo può, in particolari condizioni, modulare l’intensità della risposta sensoriale e il rilevamento dello stimolo stesso. Queste osservazioni suggeriscono che la temperatura operi come una variabile importante dell’informazione gustativa nell’ambito del sistema nervoso (Lemon, 2017).
Ruolo degli ormoni nel gusto
Alla complessità del sistema di percezione del gusto concorre la secrezione ormonale, endocrina e paracrina, poiché gli ormoni che legano i recettori delle cellule gustative modulano la gradevolezza del cibo e di conseguenza il suo consumo. Ad oggi, per citarne alcuni, sappiamo che gli ormoni più degni di nota sono:
- l’insulina, che aumenta la percezione del salato inducendo una
up-regulation delle proteine canale ENaC deputate alla percezione di cloruro di
sodio negli alimenti;
- la leptina, ormone ampiamente prodotto dal tessuto adiposo che agisce sull’ipotalamo sopprimendo l’appetito e interviene anche sulla sensibilità al gusto dolce, diminuendola;
- gli endocannabinoidi, come l’anandamide, che invece la aumentano, seguendo un meccanismo d’azione a livello ipotalamico esattamente opposto a quello della leptina;
- l’ossitocina, per la quale vari studi prefigurano un ruolo nel consumo di cibi dolci e salati (Loper et al., 2015).
CAPITOLO 2. IL RECETTORE GUSTATIVO E I GUSTI
2.1 I diversi tipi di recettori per il gusto
Nei mammiferi il sistema gustativo si compone di cellule, nervi afferenti e strutture cerebrali che sono coinvolte nell’elaborazione centrale degli stimoli del gusto. La cascata del segnale inizia con le cellule recettoriali, organizzate nelle gemme, molte delle quali sono localizzate all’interno delle papille gustative presenti sulla lingua. Le cellule delle gemme come abbiamo visto possono distinguersi in cellule di tipo I, II, III, e presentano recettori maturi esposti nella cavità orale con cui interagiscono gli stimoli del gusto. Questa interazione determina l’avvio di uno stimolo eccitatorio che è trasmesso attraverso i nervi gustativi afferenti che giungono al cervello per evocare la sensazione percettiva.
Come abbiamo visto, cellule diverse dell’epitelio sensoriale esprimono recettori che rilevano solo una singola tipologia di sapore: i neuroni afferenti dei gangli ricevono l’informazione dalle cellule dell’epitelio, che viene in tal modo inviata al sistema nervoso centrale mediante i neuroni del nucleo del tratto solitario (Di Pizio et al., 2018).
La ricerca scientifica, per quasi un secolo si è interrogata sulle modalità con cui questa informazione sia trasmessa al SNC e su quali basi si fondi la distinzione del segnale per i diversi gusti. Gli studi di questo filone di ricerca hanno condotto a diverse ipotesi, che possono essere brevemente descritte come segue.
Da una parte abbiamo la linea scientifica che propone un modello di codifica, e che afferma che certe singole cellule delle papille gustative possono identificare esclusivamente un’unica qualità sensoriale (ad esempio, il gusto dolce) e sviluppano sinapsi con fibre afferenti dedicate a quel tipo di gusto. A supporto di questo modello sappiamo che i recettori T2R, che rilevano il sapore amaro, non sono stati trovati su cellule che contemporaneamente esprimono recettori T1R, deputati al riconoscimento del dolce e dell’umami. Inoltre, le cellule sensibili alle sostanze acide si differenziano da quelle che recano recettori T1R e T2R.
Un modello alternativo si basa sulla convinzione che l’informazione sensoriale sia trasmessa utilizzando un sistema combinatorio di codifica del segnale, in cui cioè un insieme di diverse fibre afferenti sia attivato da un singolo stimolo. La combinazione complessiva delle fibre attivate genera la percezione sensoriale, ad esempio la sensazione di dolcezza.
Queste ultime osservazioni, già emerse nello studio dei sensi vista e olfatto, sono sostenute da evidenze sperimentali piuttosto confortanti. Anzitutto, le papille gustative sono aggregati di cellule molto connesse tra di loro e ampiamente reattive agli stimoli. In secondo luogo, l’analisi dei tracciati elettrofisiologici ha rivelato l’esistenza di una rete d’interconnessione tra neuroni, definiti “specializzati” poiché rispondenti solamente ad una certa qualità di stimolo sensoriale. Oltre a questi, tuttavia, osserviamo anche l’esistenza di neuroni “generalisti”, che rispondono a due o più stimoli diversi. Spesso, una certa percezione sensoriale ha maggiore efficacia per un dato neurone: ciò può non sempre verificarsi, dal momento che aumentando la concentrazione della sostanza dotata di quel determinato sapore si riesce a convertire un neurone debolmente rispondente in uno molto più capace di recepire lo stimolo. In tal modo, certi neuroni che a basse concentrazioni hanno in una determinata molecola il loro stimolo migliore, aumentando la concentrazione della stessa acquisiscono la capacità di rilevare altri stimoli (Roper e Chaudhari, 2017).
Come descritto in precedenza, il gusto è uno dei cinque sensi primari e la sua percezione è indotta da sostanze chimiche che vengono in contatto con le cellule che risiedono nelle gemme presenti sulla lingua. Alcune sotto-popolazioni di queste cellule sintetizzano ormoni la cui presenza è stata ritrovata anche nell’intestino e nel cervello. La descrizione delle cellule che permettono la percezione del gusto è stata già fornita nel capitolo precedente e in questo paragrafo saranno approfonditi i meccanismi di segnalazione (Calvo e Eagan, 2015). Oltre che sulla lingua, le cellule che permettono la percezione del gusto sono state trovate anche nel palato, nella faringe e nella laringe; le proteine recettoriali sono espresse nella parte apicale dei microvilli delle cellule.
Studi recenti sulla biologia molecolare del funzionamento dei recettori hanno permesso di comprendere che:
- la trasduzione del segnale per il gusto acido e salato avviene attraverso recettori canale;
- i gusti dolce, amaro e umami sono rilevati da recettori accoppiati a proteine G (GPCR, G-protein-coupled receptors).
I GPCR sono recettori transmembrana collocati nel doppio strato lipidico generalmente suddivisi in diverse classi (A-F); essi si strutturano in sette α-eliche che attraversano la membrana plasmatica. Nelle tre famiglie principali di questi recettori (A, B e C), vi sono alcune regioni (il loop extracellulare 2 e la parte superiore dell’elica transmembrana III) collegate covalentemente da un ponte disolfuro (Sanematsu et al., 2014).
I gusti dolce e umami sono mediati dalla famiglia dei recettori di tipo 1, ovvero T1R1, T1R2, T1R3, i quali appartengono, a loro volta, ai recettori di classe C.
Questi recettori sono caratterizzati da:
- ampi domini N-terminali, denominati Venus Flytrap Modules (VFT) a causa della loro forma, somigliante a quella delle foglie della pianta carnivora
Dionaea muscipula, che sono modificate e presentano due lobi incernierati da
una nervatura;
- domini ricchi di cisteina legati ai domini transmembrana; - 7 domini transmembrana comuni a tutti i GPCR.
Nel 2001 Zuker e Ryba in uno studio su ratti hanno descritto un recettore per il gusto dolce; in un saggio funzionale il riconoscimento da parte dei ratti di tutte le sostanze con gusto del saccarosio era mediato da un eterodimero con due domini transmembrana denominato T1R2 e T1R3. A seguito di questa scoperta, Li e collaboratori hanno riscontrato gli stessi risultati nell’uomo (eterodimero T1R2/T1R3). Altri gruppi di ricerca hanno identificato il componente T1R3, riconoscendone i domini (VFT, regione ricca di cisteina, domini TM). In un altro GPCR di classe C, il recettore metabotropico per il glutammato, mGluR1, Kunishima e coll. hanno dimostrato che il dominio VFT si chiudeva nel legare il glutammato, da cui l’analogia con la pianta carnivora Venus Flytrap (Dionaea). Questa evidenza, insieme al fatto che il recettore per il gusto dolce e quello per il gusto umami condividono il monomero T1R3, ha portato all’ipotesi che i dolcificanti si legassero al dominio VFT di T1R2.
In alcuni organismi, come osservato in modelli animali (roditori) il recettore umami risponde a tutti gli L-aminoacidi, mentre nell’uomo risponde solo a stimolazione con L-glutammato. L’interazione con il ligando si verifica nel dominio N-terminale del monomero T1R1; inoltre, è stato osservato, sia nei roditori sia nell’uomo, che il recettore T1R1 è potenziato fortemente dalla presenza di 5’-ribonucleotidi come l’inosina-5-monofosfato e la guanosina-5-monofosfato che legano il recettore in un sito allosterico e ne stabilizzano, in tal modo, la forma attiva.
Il recettore per il dolce (T1R2/T1R3) lega gli zuccheri, i D-aminoacidi, i dolcificanti sintetici e alcune proteine dolci, ovvero praticamente tutti i composti che sono riconosciuti al gusto come dolce. Nonostante la maggior parte dei ligandi riconosca un sito nel dominio N-terminale di T1R2, alcuni legami, in particolare per le proteine di dimensioni estese, interessano anche alcune regioni di T1R3, come tratteremo nel prosieguo (Sanematsu et al., 2014; Kinnamon, 2012).
Il gusto amaro è percepito dai recettori di tipo 2 (T2R) che appartengono ai recettori di classe A, con struttura simile a quella delle opsine e dei recettori olfattivi. Essi presentano un dominio N-terminale breve e i ligandi si
legano nella regione che si avvolge a formare il loop extracellulare e nei domini transmembrana. I risultati ottenuti da alcuni studi suggeriscono che le regioni C-terminali sono particolarmente importanti nella selettività per gli agonisti. Questa famiglia di recettori consta di circa 30 membri nei mammiferi, ciascuno dei quali lega composti amari strutturalmente simili. Studi recenti che hanno impiegato sistemi di espressione eterologa ed esperimenti di modelling molecolare hanno identificato dei siti di legame dei recettori T1R e T2R per i loro ligandi. Questi recettori funzionano prevalentemente come monomeri, anche se da alcune ricerche emerge che possono svolgere la propria azione anche in forma di oligomeri (Sanematsu et al., 2014; Kinnamon, 2012).
Chandrashekar J, Hoon MA, Ryba NJ, Zuker CS. The receptors and cells for mammalian taste. Nature. 2006 Nov 16;444(7117):288-94.
Nonostante i recettori descritti siano generalmente considerati come i principali recettori per il gusto, altre GPCR sono state identificate nelle gemme gustative dove probabilmente contribuiscono al rilevamento di nutrienti, anche se non sembrano mediare la percezione di un gusto distinto. Tra questi troviamo GPR40 e GPR120, entrambi espressi in alcuni tipi di cellule gustative e coinvolti nel rilevamento di acidi grassi a catene lunghe e medie.
Un altro GPCR espresso abbondantemente nelle cellule gustative è il recettore sensibile al calcio CaSR; studi recenti hanno dimostrato che gli agonisti di questo recettore, che includono il calcio e il glutatione, promuovono la percezione del cosiddetto gusto “kokumi”, risultando in un
potenziamento dei gusti dolce, salato e umami. Per tale ragione, i recettori CaSR e i recettori per gli acidi grassi sembrano modulare la percezione del gusto piuttosto che condurre ad una specifica qualità gustativa (Kinnamon, 2012).
I gusti dolce, amaro e umami sono percepiti mediante una via di segnalazione comune nonostante utilizzino GPCR diversi: l’interazione coi ligandi attiva proteine G eterotrimeriche che comprendono Gβ3, Gγ13, Gαgus
(conosciuta come gustducina), Gα16, Gα3. Si ritiene che α-gustducina abbia
come funzione primaria la regolazione delle altre due subunità Gβγ che sono rilasciate e successivamente stimolano la fosfolipasi Cβ2 (PLCβ2,
phospholipase Cβ2). L’attivazione di quest’ultima produce
inositolo-1,4,5-trifosfato, che lega il suo recettore di tipo 3 nei depositi di Ca2+. A quel punto gli ioni Ca2+ sono rilasciati dai depositi ed il canale M5 (TRPM5, transient
receptor potential channel M5) è stimolato a depolarizzare le cellule del
gusto. Tale depolarizzazione genera dei potenziali d’azione nelle cellule e il rilascio di neurotrasmettitori come l’ATP attraverso i modulatori dell’omeostasi del calcio (CALHM1, calcium homeostasis modulator 1) (Sanematsu et al., 2014).
Gusto dolce, umami, amaro: trasduzione del segnale nella cellula
Come atteso dalla descrizione di questo modello, gli studi sul topo hanno dimostrato che la mancanza della gustducina, della PLCβ2 o della TRPM5 determina deficit nella percezione dei gusti dolce, umami e amaro.
Recettori extra-orali
I recettori per il gusto, originariamente scoperti nelle gemme gustative,
sono espressi anche in tessuti non propriamente sensoriali, come l’epitelio del tratto respiratorio, i tessuti gastrointestinali, gli organi riproduttivi e l’encefalo. In particolare, un crescente numero di studi ha individuato:
- cellule che esprimono gustducina nell’organo vomeronasale;
- i recettori T1R e T2R e la cascata di trasduzione del segnale nei tessuti respiratori;
- i recettori T2R sulle ciglia delle cellule epiteliali ciliate;
- i recettori T2R, gustducina e alcuni componenti della cascata di segnalazione di PLCβ2 nelle cellule muscolari lisce delle vie respiratorie umane;
- cellule per il gusto gustducina-specifiche tra le cellule dell’orletto a spazzola nello stomaco e nell’intestino.
La figura che segue illustra la distribuzione delle cellule coinvolte nella percezione del gusto.
Degno di nota è il riscontro della presenza di recettori per il gusto nelle vie respiratorie: secondo alcuni autori, infatti, ciò rappresenta un meccanismo di difesa. I recettori presenti sulle cellule dell’epitelio ciliato agiscono come sentinelle contro l’inalazione di sostanze irritanti grazie al riconoscimento di metaboliti batterici e sostanze amare; l’innalzamento della concentrazione del calcio intracellulare mediato dai recettori T2R porta ad un aumento della frequenza del moto di battito ciliare.
Nelle cellule intestinali murine e umane sono stati riscontrati recettori T1R1/T1R2/T1R3 e T2R e molti studi hanno rilevato che la trasduzione del segnale dello stimolo gustativo si verifica in molti tipi cellulari nell’intestino e nello stomaco. Nelle cellule gastriche, sono stati ritrovati i recettori per il gusto dolce e umami che, se attivati, inducono il rilascio di grelina, un peptide che stimola l’appetito. Inoltre, l’espressione della gustducina è stata riscontrata anche in tre sottotipi di cellule entero-endocrine, le cellule K, L e K/L che secernono ormoni intestinali come il peptide 1 glucagone-simile (GLP-1, glucagon-like peptide 1) e il peptide insulinotropico glucosio-dipendente (chiamato anche peptide gastrico inibitorio). Dunque, la presenza di recettori per il gusto nell’intestino potrebbe essere correlata allo sviluppo di disturbi legati alla dieta. E’ interessante osservare che gli ormoni che regolano la sazietà come GLP-1 e colecistochinina hanno emivita molto breve poiché sono rapidamente degradati: questo permette di fare solo brevi intervalli nell’assunzione del cibo e quindi di poter mangiare frequentemente. (Calvo et. al. 2015). I recettori per il dolce sono selettivamente espressi nelle cellule enteroendocrine, le quali possono rilasciare GLP-1 dopo l’ingestione degli zuccheri e, di conseguenza, aumentare il rilascio dell’insulina da parte del pancreas. A differenza dell’espressione dei recettori T1R, quella dei recettori T2R nell’intestino è più difficile da spiegare: essi sono riscontrati in una linea cellulare enteroendocrina (STC-1) che, in seguito all’attivazione recettoriale dopo il legame con composti amari, rilascia l'ormone peptidico colecistochinina, che può ridurre la motilità intestinale (Li, 2013).
Nella seguente tabella si riportano le principali caratteristiche dei recettori e delle molecole che intervengono nella percezione del gusto.
Qualità percepita Recettori Classe di molecole Esempi di molecole
Umami T1R1+T1R3 Amminoacidi L-glutammato, glicina, L-amminoacidi Nucleotidi IMP, GMP, AMP Dolce T1R2+T1R3 Zuccheri Saccarosio, fruttosio,
glucosio, maltosio Dolcificanti artificiali Saccarina, acesulfame-K, aspartame D-amminoacidi D-fenilalanina, D- alanina, D-serina Proteine dolci Monellina,
taumatina, curculina Amaro T2R5 Cicloesimide T2R8, T2R4, T2R44 Denatonio T2R16 Salicina T2R38 PTC T2R43, T2R44 Saccarina Non conosciuto Altri composti
tossici, nocivi
Chinina, stricnina, atropina
Acido PKD2L1 Acidi Acido citrico, acido tartarico, acido acetico, acido cloridrico
2.2 I recettori del gusto: le basi genetiche
La percezione del gusto si caratterizza per diversi aspetti: • intensità,
• componente edonica (correlata alla gradevolezza), • qualità.
Il riconoscimento di diversi tipi di gusto implica che vi siano dei meccanismi di codifica specifici mediati dai diversi recettori, i quali presentano una struttura conservata tra i vertebrati. I geni che codificano per le proteine recettoriali sono considerati ortologhi sulla base della similarità di sequenza tra loro presentata e questo suggerisce che essi si siano originati da un comune gene ancestrale.
Non solo la sequenza, ma anche l’ordine della collocazione nei cromosomi dei geni ortologhi per i recettori del gusto risulta conservata tra le diverse specie e ciò fornisce un esempio di sintenia conservata. Nonostante questo riconosciuto livello di conservazione, le specie dei vertebrati differiscono sia nella sequenza sia nel numero dei geni presentati per i recettori, a seguito di meccanismi di duplicazione genica, delezioni e formazione di pseudo-geni che contribuiscono, nel loro insieme, alle variazioni osservate oggi tra le diverse specie.
Le differenze inter-specie sono state modellate dalle forze evolutive, probabilmente come riflesso dell’adattamento alla variabilità presentata negli stili alimentari. La sopravvivenza di tutti gli animali, infatti, dipende dal consumo di nutrienti e quindi dal gusto degli animali nella scelta di cibo che risulti sicuro da consumare e appropriato per le necessità del corpo.
Molti nutrienti principali sono comuni alle varie specie, come ad esempio gli zuccheri, gli aminoacidi e i sali, pur essendo consumati nel contesto di regimi alimentari molto diversi ai cui estremi troviamo gli erbivori e i carnivori. Tuttavia, le fonti di nutrienti possono contenere sostanze tossiche ed ogni specie può essere esposta a differenti tipi di tossine nella propria dieta; a tal proposito è stato osservato che, durante il processo evolutivo, il
sistema del gusto si è adattato per supportare le necessità alimentari delle singole specie (Bachmanov et al., 2014; Lindermann, 2001).
Le variazioni nelle frequenze alleliche presentate dai geni che codificano per i recettori del gusto sono documentate soprattutto nell’uomo e nel topo. I polimorfismi genetici che si presentano naturalmente contribuiscono alle variazioni individuali nelle risposte al gusto osservate in entrambe le specie; tali variazioni possono influenzare la modalità di percezione del cibo, le scelte e, conseguentemente, il consumo di alimenti, e predisporre allo sviluppo di determinate patologie. Mediante esperimenti di mutagenesi mirata nel topo, oltre ai polimorfismi che si presentano in maniera naturale, sono stati prodotti artificialmente mutanti allelici dei geni che codificano per i recettori del gusto. Gli studi di associazione delle varianti geniche con i cambiamenti nella risposta agli stimoli gustativi forniscono un importante strumento di studio per la valutazione delle interazioni recettore-ligando (Bachmanov et al., 2014).
In esperimenti condotti sia sul topo sia sull’uomo è stato dimostrato che i fattori genetici che influenzano i recettori del gusto sono correlati con differenze individuali nella sensibilità alla percezione di sostanze chimiche. Queste differenze sono causate da polimorfismi di un singolo nucleotide e i risultati finora ottenuti possono essere riassunti come segue:
- la sensibilità per la saccarina in organismi modello (topi) è determinata da polimorfismi a carico del gene T1R3 (una variazione di sei aminoacidi);
- la sensibilità per il gusto umami è associata con polimorfismi nella regione codificante dei geni umani T1R1 e T1R3 nella popolazione caucasica francese, giapponese e americana;
- alcuni polimorfismi nei geni che codificano per T1R1 e T1R3 sono correlati con una diversa soglia di riconoscimento delle sostanze dal gusto umami (Sanematsu et al., 2014).
2.3 I gusti principali
Si riepiloga di seguito quanto adesso noto in merito alla percezione dei diversi gusti, sottolineando le attuali conoscenze che emergono dagli studi scientifici disponibili.
Dolce
Il gusto dolce è quello generalmente preferito dai bambini e, benché questo aspetto possa modificarsi con l’età, la dolcezza resta sempre la sensazione più gradita agli esseri umani. Molti studi concordano nel dire che questo è un carattere innato e correla con l’idea di piacere e felicità, ma anche di sicurezza, forza ed energia (Grembecka, 2015). Inoltre, alcune ricerche indicano che il desiderio di alimenti dolci potrebbe avere origini genetiche, le quali, oltre ad orientare le scelte alimentari, concorrerebbero a predisporre certi individui agli effetti avversi legati ad un consumo abnorme di tali cibi o bevande (Carocho et al., 2017).
Il recettore per la dolcezza è stato descritto per la prima volta nel 2002 come un recettore accoppiato a proteina G capace di riconoscere stimoli dolci generati da carboidrati, dolcificanti, aminoacidi, peptidi, proteine. La risposta che si origina dipende da persona a persona e ciò potrebbe essere dovuto a piccole differenze fisiologiche, anatomiche, recettoriali, di concentrazione o d’interferenza della molecola dotata di dolcezza.
Come già descritto nel cap. 2.1, il recettore per il gusto dolce è costituito da due subunità, T1R2 e T1R3, con un grande dominio N-terminale detto VFT, un dominio sottostante ricco di residui di cisteina a sua volta legato ad un altro formato da 7 domini transmembrana.
Esperimenti condotti su organismi modello hanno evidenziato che topi privi di T1R2 e T1R3 perdono tutte quelle reazioni tipiche mostrate invece dagli individui dotati di tali subunità quando vengono a contatto con il saccarosio o altri dolcificanti. Un campione di topi privati del gene che codifica per la sola subunità T1R3 dimostra una variabile alterazione nella capacità di rilevazione del saccarosio, ma sopprime del tutto quella ai
dolcificanti artificiali: questo suggerisce che esiste un meccanismo che può prescindere in parte dalla subunità T1R3. A questo proposito, potrebbero avere un ruolo il trasportatore di glucosio di tipo 4 (GLUT4) e il co-trasportatore Na+/glucosio di tipo 1 (SGLT1), la cui attività permette un aumento del glucosio nelle cellule sensoriali, cui segue un aumento transiente di ATP intracellulare. Ciò porta al blocco dei canali del K+ ATP-sensibili e questo depolarizza la membrana.
I disaccaridi come il saccarosio sono idrolizzati ad esosi e così possono attivare questo pathway. Interessante è ruolo del trasportatore SGLT1 sopracitato, il cui coinvolgimento nella trasduzione del sapore dolce offre una possibile spiegazione del potere che hanno alcuni sali di sodio di incrementare la dolcezza di composti già intrinsecamente edulcoranti.
Il meccanismo di trasduzione del segnale di T1R3 può anche innescare degli effetti riflessi che prescindono dalla percezione di dolcezza: è noto che una somministrazione orale di saccarosio provoca un lieve ma netto rialzo della concentrazione di insulina nel plasma nel giro di pochi minuti e, comunque, molto tempo prima del suo assorbimento a livello intestinale. Questo meccanismo, documentato nei roditori e nell’uomo, è noto come rilascio dell’insulina in fase cefalica (CPIR) e necessita di una stimolazione vagale sul pancreas. La secrezione di insulina dal pancreas può anche essere indotta dal GLP1 (glucagon-like peptide 1), peptide noto come incretina, secreto dalle cellule delle papille gustative sensibili al sapore dolce. Esistono pertanto due meccanismi distinti ma paralleli capaci di percepire il sapore dolce: uno che riconosce gli alimenti ricchi di carboidrati e che passa per la via T1R2/T1R3 ed un altro che induce un aumento di riflesso dei livelli di insulina nel sangue per mezzo di un trasportatore. Tutto ciò è coerente con il valore nutrizionale dei carboidrati, dal cui consumo è difficile prescindere, e le vie parallele di riconoscimento appena descritte hanno la funzione di assicurarne un sufficiente consumo.
Il saccarosio, il tradizionale zucchero da tavola, rappresenta la più comune sostanza dolce ed è usato come standard internazionale per misurare la dolcezza dei composti chimici, assumendo il valore di riferimento pari ad
1. La sua percezione fornisce una sensazione di dolcezza pura, senza alcun retrogusto anche ad alte concentrazioni ed è ottenuto da fonti rinnovabili ed economiche (Rojas et al., 2017). Oltre al saccarosio ci sono anche altri zuccheri come il glucosio, con valore di 0,8, e il fruttosio, con valore pari a 1,7 (quindi più dolce del saccarosio): li possiamo trovare sia in fonti naturali, come frutti o miele, sia come zuccheri aggiunti (Grembecka, 2015). Il consumo eccessivo di zucchero, e quindi di calorie, a cui siamo oggi abituati ha condotto ad un progressivo aumento delle patologie correlate a tale abitudine. Dalla fine del XX secolo, infatti, l’obesità è stata, e continua ad essere, uno dei più grandi problemi di salute pubblica: oltre le semplici implicazioni di tipo estetico, si generano condizioni di salute che espongono il soggetto obeso ad un maggiore rischio di sviluppo di patologie cardiovascolari, che possono indurre all’ipertensione e ad una maggiore predisposizione per l’insorgenza del diabete. Per limitare la prevalenza di disturbi correlati ad uno stato di sovrappeso o obesità, la ricerca attuale è orientata ad individuare o progettare sostanze, siano esse dolcificanti o
enhancer, che possano sostituire totalmente o parzialmente l’uso alimentare
del saccarosio. L’aspetto più complicato della ricerca in questo ambito è l’isolamento di molecole dolci, il cui sapore abbia un alto grado di purezza senza alcun retrogusto e che non provochino effetti collaterali dopo l’assunzione, anche a lungo termine (Carniel Beltrami et al., 2018).
Amaro
La percezione del sapore amaro è il risultato di uno stimolo generato da una varietà molto ampia di composti, molti dei quali tossici, con strutture chimiche anche significativamente diverse tra loro, che hanno le caratteristiche di sali semplici o di molecole più grandi e complesse (Roper e Chaudhari, 2017).
I recettori deputati al riconoscimento di questo sapore appartengono alla classe dei GPCR, sono del tipo T2R, e si differenziano dai T1R poiché, a differenza di questi, agiscono prevalentemente come monomeri, anche se
eterodimeri; si è potuto rilevare altresì che i recettori T1R e quelli T2R non sono espressi contemporaneamente sulla medesima cellula, suggerendo così una separazione tra cellule che individuano stimoli appetibili da altre che invece percepiscono stimoli avversi. Come per il gusto dolce, gli esseri umani hanno la capacità di percepire il sapore amaro da un’amplissima varietà di molecole, con una particolare proprietà: una singola molecola come il chinino è capace di attivare almeno nove differenti recettori T2R, mentre il paracetamolo ne stimola soltanto uno. Presumibilmente questa ridondanza è alla base della capacità del nostro senso del gusto di proteggerci dai contatti con sostanze amare, potenzialmente tossiche (Roper e Chaudhari, 2017).
Infine, si sottolinea come il gusto possa incidere significativamente anche sul mantenimento di un buono stato di salute dell’organismo e sulla
compliance di un farmaco, soprattutto per quanto riguarda la popolazione
pediatrica, poiché i bambini sono più sensibili a questo sapore rispetto agli adulti; un miglioramento del profilo organolettico potrebbe certamente garantire in molti casi un’aderenza maggiore alla terapia (Mennella et al., 2013).
Salato
Il meccanismo che si trova alla base della percezione del sapore del cloruro di sodio ancora oggi non è completamente noto, anche se sembra che, come per il sapore aspro, siano coinvolti come recettori specifici canali ionici (Barretto et al., 2012). Resta ancora poco chiaro quale sia il meccanismo di trasduzione del segnale e quali cellule sensoriali coinvolga.
Roper SD, Chaudhari N. Taste buds: cells, signals and synapses. Nat Rev Neurosci. 2017 Aug;18(8):485-497.
Animali e uomini consumano frequentemente NaCl a concentrazioni che sono inferiori a quelle isotoniche, probabilmente per garantire un consumo adeguato di questo composto essenziale; d’altra parte però, alte concentrazioni sono normalmente sgradite e ciò presumibilmente riflette un meccanismo di sopravvivenza che protegge gli individui da ipernatriemia e disidratazione. Il meccanismo di percezione del gusto salato è ancora da comprendere pienamente: una delle osservazioni-chiave su questo meccanismo deriva da un esperimento condotto su roditori: il diuretico amiloride si è dimostrato capace di abbassare il livello di risposta degli animali a NaCl registrata nei nervi afferenti, riducendo pertanto anche la risposta comportamentale delle cavie da laboratorio, cioè la frequenza nel leccare il dispositivo di erogazione della soluzione salina posta nelle loro vicinanze: la stessa cosa non succede per altre tipologie di sali. L’amiloride, tuttavia, non sembra cambiare la percezione della salinità del cloruro di sodio nell’uomo. Tali evidenze sono servite per comprendere il ruolo essenziale dei canali per il Na+ (ENaC) sensibili all’amiloride nei roditori, ma non ci sono ad oggi certezze che ciò valga anche per gli esseri umani: attualmente, infatti, l’identità delle papille gustative che sono in grado di percepire il sapore salato resta sconosciuta (Roper e Chaudhari, 2017).
Acido
Lo stimolo per questo tipo di gusto è l’acidificazione intracellulare piuttosto che la presenza di protoni extracellulari. Gli acidi organici deboli, come l’acido citrico e l’acido acetico, generano uno stimolo più potente rispetto agli acidi minerali forti come HCl. Si pensa che ciò sia dovuto alla maggiore permeabilità degli acidi organici in forma non dissociata e la successiva liberazione di protoni nel citoplasma. Al contrario, gli acidi forti sono completamente dissociati nell’ambiente extracellulare, ma la maggior parte delle membrane cellulari è relativamente impermeabile ai protoni. Le cellule delle papille gustative che depolarizzano e liberano Ca2+ in seguito a stimolazione di acidi sono di tipo III.
Roper SD, Chaudhari N. Taste buds: cells, signals and synapses. Nat Rev Neurosci. 2017 Aug;18(8):485-497.
Negli ultimi vent’anni, numerosi canali ionici di membrana sono stati proposti come trasduttori per il gusto dell’asprezza, compresi gli ENaC, i canali epiteliali del Na+ e alcuni canali ionici acido-sensibili (ASIC). Di recente sono stati proposti come coinvolti nel processo anche PKD1L3 e PKD2L1, due membri della superfamiglia dei canali ionici TRP. Ultimamente, però, tutti i trasduttori proposti sono stati dichiarati inattendibili, a seguito di un test su ratti in cui i geni codificanti per i canali ionici sopra elencati erano stati soppressi: si è osservato che tutti gli animali mantenevano del tutto o quasi la tipica sensibilità ai composti di sapore acido. Dall’imaging confocale del pH e del Ca2+ si è osservato che gli acidi organici permeano la membrana delle cellule di tipo III, acidificano il citoplasma e bloccano i canali di eliminazione del K+, depolarizzando così la membrana cellulare. Uno di questi canali, il KIR2.1, recentemente identificato, è inibito dai protoni intracellulari. I protoni extracellulari, come quelli derivanti dagli acidi inorganici o dagli acidi organici dissociati, passano attraverso una conduttanza protonica che sembra essere concentrata agli apici delle cellule di tipo III. Premesso che le caratteristiche molecolari di questi canali protonici restano tuttora da approfondire, il flusso di cariche positive che si genera dà luogo ad una piccola corrente depolarizzante ma, soprattutto, costituisce il segnale di blocco per i canali KIR2.1. La risultante è la depolarizzazione della
cellula di tipo III affinché si raggiunga la soglia per l’inizio di un potenziale d’azione (Roper e Chaudhari, 2017).
Umami
Alcuni aminoacidi, come il glutammato e l’aspartato, hanno un sapore “gustoso e saporito” chiamato umami. Il prototipo tra le molecole stimolanti è il glutammato monosodico (MSG), presente in abbondanza nella carne, nel pesce, nel formaggio e in molte verdure (Roper e Chaudhari, 2017); tale composto fu estratto ed identificato per la prima volta nel 1908 da Ikeda da un’alga marina chiamata kombu (Kurihara, 2015). Quando 5'-nucleotidi, come ad esempio la 5'-inosina monofosfato, sono presenti in piccole quantità insieme al glutammato, c’è un potenziamento sinergico della percezione sensoriale dell’umami.
Le cellule gustative percepiscono questo sapore attraverso diversi recettori: molti riferimenti di letteratura a riguardo documentano che l’eterodimero T1R1-T1R3 assume un ruolo chiave in questo contesto. Le papille gustative hanno anche altri recettori per questo gusto, come ad esempio due varianti sensoriali dei recettori metabotropici del glutammato mGluR4 e mGluR1, i quali sono attivati da concentrazioni di MSG pari a quelle naturalmente presenti negli alimenti (Roper e Chaudhari, 2017). Per lungo tempo il gusto umami non è stato accettato in Europa e in America; anzi, le sostanze che possedevano questa proprietà venivano considerate pressoché degli esaltatori del sapore piuttosto che generatrici di un gusto a sé. È stato durante il Simposio Internazionale tenutosi alle Hawaii (1985) che, dopo aver compreso l’esistenza di recettori specifici, la comunità scientifica accettò di considerare l’umami uno stimolo sensoriale a sé stante. (Kurihara, 2015).
Grasso
La componente grassa nella nostra dieta è rappresentata principalmente da trigliceridi. I grassi solidi differiscono da quelli oleosi per
il grado di lunghezza delle catene degli acidi grassi del trigliceride e per il loro numero di insaturazioni.
La maggior parte degli animali ha una spiccata preferenza per gli alimenti grassi. La percezione sensoriale indotta da questi composti è per la maggior parte determinata da caratteristiche fisiche quali viscosità e texture: se accanto a tali caratteristiche ci sia un vero e proprio riconoscimento di tipo prettamente gustativo è un aspetto tutt’oggi ancora molto dibattuto. A questo riguardo, infatti, sappiamo che i roditori perdono la capacità di riconoscere i grassi qualora venga interrotta l’innervazione delle papille gustative; d’altra parte, però, sappiamo che manca la prova di un’effettiva interazione recettoriale tra l’epitelio sensoriale della lingua e i trigliceridi, anche se su questi ultimi, già nella bocca, agisce una lipasi in grado di intraprendere una primitiva digestione degli stessi: gli acidi grassi liberi possono indurre una percezione di volta in volta molto varia, in relazione alla lunghezza della catena e alla concentrazione.
Uno dei primi studi in letteratura sulla percezione del gusto dei grassi riporta che certi acidi grassi polinsaturi agiscono direttamente sui canali del K+ provocando una più duratura depolarizzazione della cellula. Di recente, poi, sono stati documentati meccanismi mediati da recettori, individuati in due GPCR, il GPR40 e il GPR120, e in un trasportatore per i grassi, il CD36 che, se stimolato, provoca un aumento del Ca2+ intracellulare e induce un aumento delle attività pancreatiche, suggerendo il verificarsi di una fase cefalica in attesa della futura digestione dei grassi ingeriti. Nei topi, il
knock-out del gene che codifica per GPR40, GPR120 e CD36 porta ad una
percezione del gusto del grasso parziale e deficitaria (Roper e Chaudhari, 2017). In sintesi, il riconoscimento del gusto del grasso è complesso e per esso non è stato identificato uno specifico meccanismo di trasduzione; infatti, diverse proteine possono interagire per generare questo tipo di percezione.
CAPITOLO 3. I DOLCIFICANTI: DESCRIZIONE E
RELAZIONI STRUTTURA-ATTIVITA’
3.1 I dolcificanti: caratteristiche generali
I dolcificanti
L’aspetto più importante dei dolcificanti è ovviamente la loro dolcezza, che viene misurata in relazione a quella del saccarosio, lo zucchero di riferimento. Pertanto, una soluzione la cui concentrazione di saccarosio è pari a 30 gL-1 alla temperatura di 20 °C ha un potere dolcificante pari a 1. Affinché la percezione della dolcezza si manifesti, la sostanza deve essere solubilizzata nella saliva e poi venire a contatto con i recettori presenti sull’epitelio della lingua. Assegnando un valore unitario allo zucchero da tavola, questo ha un potere dolcificante maggiore rispetto ad altri zuccheri semplici, come il galattosio (0,3), ma inferiore rispetto al fruttosio (1,7); tuttavia sono state individuate molecole, oggetto della trattazione seguente, che possiedono un grado di dolcezza di molti ordini di grandezza superiore rispetto al saccarosio (Carocho et al., 2017).
I dolcificanti sono composti chimici isolati in natura o sintetizzati chimicamente ed utilizzati dall’uomo per il loro potere edulcorante; da milioni di anni la dieta degli esseri umani ha visto l’utilizzo a questo scopo di specifici alimenti quali bacche, frutti o miele, noti per la loro dolcezza. Dall’inizio del XX secolo però, è stato il saccarosio a diventare lo zucchero da tavola più usato in assoluto, prodotto in quasi 120 paesi per circa 165 milioni di tonnellate all’anno e ricavato per l’80% dalla canna da zucchero e per il restante 20% dalla barbabietola da zucchero; il più grande produttore mondiale di zucchero negli ultimi anni è stato il Brasile, seguito dall’India e dalla Cina (Grembecka, 2015).
I dolcificanti possono essere classificati per le loro proprietà intrinseche o per la loro origine. Alcune delle più comuni classificazioni sono effettuate sulla base del loro valore nutrizionale, del potere dolcificante oppure della loro provenienza. A questo proposito può essere fatta una
distinzione tra dolcificanti nutritivi ed intensivi, ma anche tra molecole naturali e di sintesi, dove la discriminante è rappresentata semplicemente dalla loro origine.
Il gruppo dei dolcificanti cosiddetti nutritivi comprende gli zuccheri semplici, lo sciroppo di mais ad alto contenuto di fruttosio (HFCS,
high-fructose corn syrup, utilizzato soprattutto dall’industria statunitense nella
produzione dei cibi pronti), ed altre sostanze quali l’isomalto e il trealosio: tutti questi dolcificanti sono considerati ingredienti e non additivi alimentari ai sensi del Regolamento Europeo n° 1333/2008. I polioli, invece, quali ad esempio eritritolo, sorbitolo e xilitolo, rientrano nel gruppo dei “nutritivi” ma in qualità di additivi alimentari. Nell’ambito dei dolcificanti intensivi, invece, possiamo osservare che tutti sono classificabili come additivi, e possono fornire un contributo calorico trascurabile a fronte di un grande potere dolcificante: sono pertanto sempre utilizzati in piccola quantità. In conseguenza delle loro caratteristiche, queste sostanze sono ampiamente impiegate nelle diete ipocaloriche, ma anche nei pazienti diabetici, poiché non inducono un rialzo glicemico apprezzabile (Carocho et al., 2017).
3.2 Dolcificanti nutritivi
Saccarosio
Il saccarosio, un disaccaride, è lo zucchero da tavola più utilizzato in assoluto, conosciuto pertanto comunemente come “zucchero” (Carocho et al., 2017). Negli ultimi anni c’è stato un aumento significativo del consumo di zuccheri in generale, soprattutto se riferito al saccarosio e al fruttosio. In particolare, sia in Europa sia negli Stati Uniti d’America, la media dei