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Donne che emigrano: i modelli di “ internal restriction” (“ecco le nostre donne: figlia, mamma e nipote!”)

Nel documento ISLL Papers Vol. 8 / 2015 (pagine 135-138)

ALCUNI RILIEVI SOCIOLOGICO E FILOSOFICO GIURIDIC

4. Donne che emigrano: i modelli di “ internal restriction” (“ecco le nostre donne: figlia, mamma e nipote!”)

Un altro squarcio sulla realtà dell’emigrazione al femminile è aperto, nel film, dalla rappresentazione della condizione della moglie, della figlia e della nipote di uno degli immigrati clandestini: queste donne, deprivate di qualsivoglia socialità, e costrette a vivere con loro nel pollaio e a “servirli”, sono rappresentate rinchiuse in un ambiente sociale nel quale il maschilismo tradizionale italiano, che le vuole servizievoli, pudiche e zitte, viene ancor più accentuato dal contesto chiuso e ristretto della loro vita.

Questa scena rimanda ad un’altra tematica filosofico-giuridica che, nel parlare di emigrazione, viene ad assumere, a livello non solo teorico, un rilievo centrale: quella dell’aspetto “oscuro” del multiculturalismo, denunciato, sin dagli anni ’90 (quando il tema iniziò ad essere dibattuto),

specialmente dalle studiose dei diritti delle donne11, le quali proponevano che condizione per

decidere se concedere o meno alle minoranze culturali il diritto di applicare, nelle questioni private, le norme del loro gruppo di origine (o di farle comunque valere attraverso meccanismi di rappresentanza politica) fosse il passaggio attraverso una verifica preventiva volta ad escludere l’attitudine di tali norme culturali ad opprimere i più deboli tra i membri della stessa.

Tale aspetto “oscuro” delle politiche multiculturali è quello, identificato già nel 1995 da Will

Kymlicka, dato dalle “internal restrictions12” (limitazioni sul piano delle libertà, e lesioni del

principio di eguaglianza) operate dai soggetti dotati di maggior potere all’interno di gruppi culturali minoritari, incastonati all’interno di altre culture ospiti, ai danni dei loro stessi membri più vulnerabili – normalmente, donne e bambini.

11 Il riferimento principale, in relazione a ciò, va all’ormai classico lavoro, di Susan Moller Okin, Is Multiculturalism Bad for Women?, raccolto nel 1999, assieme a altri contributi critici in relazione a tale tema, in Joshua Cohen, Mattew Howard and Martha Nussbaum (eds.), Is Multiculturalism Bad for Women?, Princeton, New Jersey: Princeton University Press. Cfr. anche Ayelet Shachar, 2000, On Citizenship and Mulicultural Vulnerability, in

Political Theory, 28: 64–89; Monique Deveaux, 2006, Gender and Justice in Multicultural Liberal States, Oxford:

Oxford University Press; Sarah Song, 2007, Justice, Gender, and the Politics of Multiculturalism, Cambridge: Cambridge University Press; Paola Parolari, 2008, Femminismo liberale e multiculturalismo. Susan Okin e le forme della diversità culturale, in Ragion Pratica 1: 231-44.

12 Will Kymlicka, 1995, Multicultural Citizenship, Oxford: Clarendon Press, in particolare il cap. VIII. Cfr. anche Leslie Green, 1994, Internal Minorities and Their Rights, in J. Baker (ed.), Group Rights, Toronto: University of Toronto Press, pp. 101–117; Seyla Benhabib, 2002, The Claims of Culture: Equality and Diversity in the Global

Era, Princeton: Princeton University Press; Avigail Eisenberg e Jeff Spinner-Halev (eds.), 2005, Minorities within Minorities: Equality, Rights, and Diversity, Cambridge: Cambridge University Press; Anne Phillips, 2007, Multiculturalism without Culture. Princeton, NJ: Princeton University Press.

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Rispettare, infatti, la richiesta, spesso espressa da parte delle minoranze culturali, di poter

regolare i rapporti interni sulla base di norme proprie13, implica una possibile mancata tutela per

le situazioni di vessazione e per le disuguaglianze che – in nome dei principi consuetudinari del paese di origine – vengono spesso inflitte agli elementi deboli di questi gruppi – una dinamica, questa, che si fa ancor più rischiosa in una situazione in cui le umiliazioni subite all’esterno dai membri del gruppo richiedono di scaricarsi, all’interno, su altri soggetti, per ristorare in qualche maniera l’orgoglio ferito.

La cronaca ci ha offerto, purtroppo, una gran quantità di esempi penalmente rilevanti di casi come questi, che vanno dalle violenze domestiche alle violenze sui figli (in Italia ricordiamo il

caso della giovane Hina Saleem, uccisa dai parenti maschi “perché vestiva all’occidentale14”),

ma il film, pur anticipando, in maniera allusiva, tale tematica, (già vent’anni prima della sua teorizzazione) non sfocia né nella polemica né nella denuncia del caso giuridico e si mantiene ad un livello di narrazione “soft” che affonda più sul sociale e sul culturale.

Rappresentativa, al riguardo, è la scena nella quale gli italiani del pollaio si aggrappano alle reti di metallo per guardare, sbavando, i divertimenti delle belle e bionde figlie del padrone che coi loro amici fanno il bagno e giocano esibendo il bel corpo nudo – forse consapevoli e divertite dello sguardo di desiderio frustrato dei clandestini – mentre le due donne italiane, basse e more, si ritirano e, per pudore, non guardano la scena, senza nemmeno minimamente poter esternare la rabbia e l’umiliazione del vedere i propri uomini in simili atteggiamenti.

5. Donne che emigrano e vessazioni di rivalsa: il maschilismo (“L’omo non è de legno”)

Ma se è vero che il film evita di puntare la telecamera su casi veri e propri di “internal

restriction”, d’altro canto esso si sofferma in vari momenti sulla tematica – anch’essa tipica, e

ricollegata al punto sopra commentato – delle “vessazioni di rivalsa” con le quali gli umiliati scaricano all’esterno la loro rabbia.

Una prima modalità di concretizzazione di questa dinamica – che completa, al contempo, la rassegna delle tipologie di emigrazione “al femminile” incontrate nel film – si trova nell’episodio

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In Inghilterra, ad esempio, già da vari decenni funzionano tribunali sciaraitici per i musulmani che, in relazione a questioni di famiglia, di eredità, di vicinato, ecc., giudicano sulla base di norme proprie, diverse da quelle inglesi. In forza di un Arbitration Act tali decisioni vengono poi ad assumere valore pari a quelle assunte da un tribunale ordinario.

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del “siparietto” buffonesco col quale, nella baracca dove vive l’amico Gigi, al quale Giovanni Garofoli ha chiesto per un periodo ospitalità, si cerca di animare la vita dei baraccati dando loro divertimento e conforto. A tal fine Giovanni Garofoli suona una canzone, mentre due uomini vestiti da prostitute (la Gigia e la Rosina) sollevano le sghignazzate beffarde e il “catcalling” degli spettatori.

Rosina, in particolare, rappresenta la donna che viene “da oltre il confine” per fare la domestica in casa, ma che si deve piegare anche ad altri tipi di servizi (sa “fare il letto, spolverare e

scopare”), se non – ed è questo ciò che suscita l’allegria generale – fare di questi la sua prima

occupazione, come fa la prostituta Gigia. La prostituzione femminile del resto, esplicita come nel caso di Gigia, o occasionale e basata su un ricatto implicito come nel caso di Rosina – costituisce, appunto, un altro esempio – peraltro tipico e di dimensioni ragguardevoli – di emigrazione femminile.

Questa rappresentazione suscita negli spettatori uomini risate gioiose e sguaiate, quasi a suggerire l’idea che, pur essendo loro straccioni, emarginati e falliti, in quanto maschi potranno comunque, pur sempre, permettersi, rispetto a certe donne, di sentirsi superiori, di ridere in maniera canzonatoria e di porre in essere un complice atteggiamento di solidale superiorità maschile (espresso nel coro e nel commento: “L’omo non è de legno, di cosa ti lamenti, donna

rimasta a casa? Quando tornerò saprò farmi perdonare”). In tal modo, l’umiliazione

maschilistica della donna agisce come conferma rassicurando gli spettatori sul mantenimento del tradizionale rapporto di potere e, in questo senso, donando loro un gran sollievo a placare

un’ansia inespressa15.

Anche se, ad un certo punto, si nota come questo meccanismo tradizionale (si pensi alle “vivandiere” degli eserciti di una volta, o, anche, in tempi recenti, alle case di piacere per gli

eserciti statunitensi nel sud est asiatico16) di ammortizzamento delle tensioni non basti nemmeno

15 Similmente, John Berger, nel suo Questioni di sguardi (1998, Milano: il Saggiatore, p. 61) raccontava come nell’Ottocento quadri di nudo femminile venissero comunemente esposti nei luoghi pubblici dove avevano luogo le discussioni d’affari tra uomini, in modo che anche coloro che nelle trattative finanziarie risultavano perdenti, guardando quelle immagini, potessero consolare il loro amor proprio sentendosi comunque, pur sempre, superiori in quanto uomini.

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È istruttivo, in proposito, ricordare qual è stata la genesi del fenomeno del turismo sessuale in paesi come la Thailandia (ma uno sviluppo analogo ci fu anche in Cambogia e nelle Filippine): negli anni ’70, per le truppe americane dislocate in Vietnam, erano previsti in Thailandia programmi di “Rest and Recreation”, il cui piatto forte era la prostituzione organizzata ad hoc in bordelli locali. Dopo il ritiro delle truppe, il sistema oramai organizzato fu proposto in pacchetti turistici, che riscossero inizialmente un gran successo in Giappone, come viaggi-premio

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più. Anche se è un uomo a impersonarla, Rosina, infatti, così truccata, quasi quasi piace davvero, ed lì che gli spettatori comprendono fino a che punto sono soli (uno di loro, infatti, a quel punto mormora: “Rosa, perché non scrivi?”).

6. Le vessazioni di rivalsa: l’atteggiamento contro-razzista (gli svizzeri “non si lavano

Nel documento ISLL Papers Vol. 8 / 2015 (pagine 135-138)