LA TRILOGIA MOZART–DA PONTE Geo Magri *
3. Don Giovanni, ossia il trionfo della Giustizia
3.2. La punizione di Don Giovann
La vendetta, umana e divina, è il tema del secondo atto.
Don Giovanni, per poter operare impunemente, è costretto a cambiarsi di abiti con Leporello. L’idea di sfruttare il travestimento in modo così massiccio nel II atto pare sia venuta dalle grandi qualità d’imitatore di Luigi Bassi, il primo interprete di Don Giovanni. Il cantante, infatti, era capace di imitare le voci degli altri colleghi92, soprattutto quella dell’interprete di Leporello.
Nei panni del proprio servitore, oltre a continuare a sedurre indisturbato, Don Giovanni incontra Masetto al quale dichiara di volersi unire a lui per vendicarsi di “quel birbo di padrone”. In questo modo lo convince a separarsi dagli amici che lo volevano aiutare a punire Don Giovanni e, una volta soli, lo aggredisce.
Se Don Giovanni, travestito da Leporello, riesce a vessare ancora le sue vittime, le cose vanno assai diversamente per Leporello travestito da Don Giovanni. Egli, infatti, viene scoperto da Don Ottavio, Donna Anna, Zerlina e Masetto, che vogliono ucciderlo per vendicarsi.
A salvarlo sarà Donna Elvira, che, impietosita, interviene in suo soccorso. Leporello ha la possibilità di spiegare l’inganno e confessa di essersi soltanto messo nei panni del padrone, per consentirgli di agire indisturbato.
Entrambe le vendette falliscono. Quella ordita da Masetto si rivolge contro di lui; l’altra, invece, avrebbe finito per punire un innocente. Se la vendetta umana non ripaga le vittime di Don Giovanni, a far trionfare la giustizia ci penserà il convitato di pietra: la statua del Commendatore.
Nel corso delle loro avventure, Don Giovanni e Leporello si ritrovano nel cimitero dove è sepolto il Commendatore. Beffardamente, Don Giovanni lo invita a cena.
Il fatto che si sia all’imbrunire, in un cimitero, e che Don Giovanni, entrando, scoppi a ridere ha una valenza. La notte e il cimitero rappresentano, tradizionalmente, le condizioni ottimali nelle quali i morti si ricongiungono ai vivi. La risata, invece, rappresenta la sfida del libertino alla pace dei morti. Non a caso le risate di Don Giovanni sono zittite dalla statua
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del Commendatore che lo intima: “Di rider finirai pria dell’aurora… Ribaldo, audace, lascia a’ morti la pace”.
Anche l’invito a cena ha un significato antropologico importante. In molte culture esiste un tabù profondamente radicato, che vieta ai vivi di mangiare nel mondo dei morti o di condividere, con loro, il cibo. Chi mangia con i morti è destinato a rimanere per sempre nel loro mondo e a non fare più ritorno tra i vivi93.
Esattamente quello che accadrà a Don Giovanni, che, costretto dal suo stesso invito, dovrà accettare quello del Commendatore, consegnandosi al regno dei morti, dove subirà la punizione eterna94. Questo spiega anche il motivo per cui, quando il Commendatore chiede che Don Giovanni gli dia la mano in pegno, egli avverte un gelo terribile. Nel momento esatto in cui Don Giovanni accetta l’invito, il suo destino si compie ed egli cessa di appartenere al mondo dei vivi, per entrare a far parte di quello dei morti95.
Quando Don Giovanni ordina di portare un’altra cena per il Commendatore, il convitato, stentoreamente, lo avvisa che il vero motivo della sua visita è un altro: “Non si pasce di cibo mortale / chi si pasce di cibo celeste. / Altre cure più gravi di queste, / altra brama quaggiù mi guidò!”. Evidentemente la brama che ha spinto il Commendatore è il desiderio di vendetta, mentre le cure più gravi che lo smuovono sono quelle di assicurare che sia fatta giustizia.
Il Commendatore è incalzante, come l’orchestra che accompagna le sue parole. Senza perdere tempo, la statua sollecita Don Giovanni dicendogli: “Tu m’invitasti a cena, / il tuo dover or sai; / rispondimi: verrai / tu a cenar meco?”. È chiaro che cenare con il Commendatore vuol dire scendere agli inferi, da dove Don Giovanni non potrà più fare ritorno.
Per la prima volta il libertino è messo di fronte ad una regola, di origine cavalleresca, chiaramente in contrasto con la sua volontà (accettare l’invito e cenare con il Commendatore negli inferi), e non la rifiuta. Se declinasse l’invito, infatti, diverrebbe un vile cosa per lui intollerabile. Ecco quindi che Don Giovanni risponde alla richiesta del Commendatore accettando: “A torto di viltate / tacciato mai sarò!... Ho fermo il core in petto: / non ho timor, verrò!”.
Siamo giunti alla fine dell’Opera e scopriamo un volto diverso del protagonista. Nel corso dei due atti lo abbiamo visto comportarsi come un comune delinquente, ma, alla fine della sua esistenza, Don Giovanni dimostra di avere una sua morale, alla quale non è disposto a rinunciare e che rispetta a qualunque costo.
È proprio in questo momento, a mio parere, che Don Giovanni diventa un eroe, meglio un anti-eroe96. Uno di quei personaggi che non potrà mai essere indicato come modello da seguire, che sembra creato unicamente con lo scopo di irritare l’opinione pubblica97, ma che finisce per conquistare il pubblico, che lo guarda con ammirazione e un po’ d’invidia. Questa sua scelta finale spiega anche il motivo per cui, in fondo, Mozart (e noi come lui) solidarizzasse con il libertino.
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R. RAFFAELLI, op. cit., passim. 94 R. R
AFFAELLI, op. cit., p. 41.
95 Sul contatto tra Don Giovanni e Commendatore cfr. S. R
UMPH, op. cit., spec. p. 583 ss. 96 L. O
GNO, op. cit., p. 17 e s. 97
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Don Giovanni è il malvagio che vive libero dalle regole che la società ha deciso di darsi per consentire la convivenza dei consociati. Egli personifica un individualismo radicale, che appare attuale anche nella nostra epoca98. Persino la sua morte, per quanto sia il trionfo della giustizia, finisce per essere la sublimazione di una vita dissoluta99. Don Giovanni rifiuta ripetutamente di pentirsi100. Il Commendatore lo invita: “Pentiti, cangia vita: / è l’ultimo momento!”, ma Don Giovanni risponde: “No, no, ch’io non mi pento, / vanne lontan da me!”. Il Commendatore riprova a portare Don Giovanni al pentimento: “Pentiti scellerato”, ancora una volta, però, la risposta è negativa: “No, vecchio infatuato!” e così avanti, sino a quando, ahimè, tempo per pentirsi “più non v’è” e un coro infernale accoglie Don Giovanni con le parole “Tutto a tue colpe è poco. / Vieni: c’è un mal peggior!”.
Musicalmente questa scena è un capolavoro. Correttamente è stato scritto che «vi sono ben poche cose, in tutta la Musica, di una potenza così sovrumana»101. Mozart alterna magistralmente un’orchestrazione che ricrea l’atmosfera di attesa, quando il Commendatore aspetta le risposte di Don Giovanni, trasformandosi in un ritmo risoluto quando il Commendatore prende la parola e, infine, in un’angosciosa melodia che accompagna Don Giovanni agli inferi102. L’orchestra ed il coro dipingono, con estrema chiarezza, il dramma della dannazione eterna103.
Dopo la scena nella quale Don Giovanni sprofonda negli inferi, inizia la scena finale, che è anche una delle più discusse dell’Opera. In questa scena rientrano gli altri protagonisti, che si compiacciono di come la loro vita migliorerà senza il perfido Don Giovanni104: si tratta della libertà (che vien dal cielo), che consegue alla punizione del libertino.
Alcuni considerano la scena ultronea; Gustav Mahler, ad esempio, era solito sopprimerla105, ritenendo (probabilmente) che danneggiasse la drammaticità dello spettacolo. Mozart, come si è detto, non la ripropose nell’edizione viennese del Don
Giovanni. Altri la ritengono necessaria, perché Don Giovanni resta un’opera buffa e quindi
necessita del lieto fine106.
La scena mi pare rendere bene l’idea di come Don Giovanni sia, in un certo senso, un capro espiatorio. Molti protagonisti, in qualche modo, erano suoi complici. Donna Anna lo
98 Cfr. sul punto, le interessanti osservazioni di Herbert Lachmayer, nel programma di sala di Don Giovanni al Festival di Salisburgo 2002 (H. LACHMAYER, Obsession und Selbstauflösung. Don Giovanni als Figur des
radikalen Individualismus, in Programmheft zu Don Giovanni, Salzburger Festspiele 2002, p. 22 ss.
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M. COMETA, op. cit., p. 965 afferma che Don Giovanni sfida il Commendatore con la spiritualità del suo non pentimento. Particolare interessante dato che Don Giovanni è, per tutta l’opera, un eroe tutt’altro che spirituale. Sul pentimento di Don Giovanni, cfr. anche L. OGNO, op. loc. cit. e J. ORTEGA Y GASSET, op. cit., p. 65. 100 L. O
GNO, op. cit., p. 18. 101
P. J. JOUVE, op. cit., p. 155.
102 Si è osservato che nella scena del Commendatore, i violini riprendono un tema che richiama quello che avevano eseguito nel duello tra Don Giovanni e il Commendatore all’inizio dell’opera. Cfr. S. RUMPH, The
sense of touch in Don Giovanni, in Music and Letters (2007) 88 (4), p. 561 ss., in specie 563.
103 Cfr. P. J. J
OUVE, op. cit., p. 159 ss.
104 Riportiamo il testo della scena ultima: “Don Ottavio: Or che tutti, o mio tesoro,/vendicati siam dal cielo,/porgi, porgi a me un ristoro:/non mi far languire ancor. Donna Anna: Lascia, o caro, un anno ancora /allo sfogo del mio cor. Don Ottavio: Al desio di chi t’adora/ceder deve un fido amor. Donna Anna: Al desio di chi m’adora/ceder deve un fido amor. Donna Elvira: Io men vado in un ritiro/a finir la vita mia. Zerlina: Noi, Masetto, a casa andiamo,/a cenar in compagnia. Masetto: Noi, Zerlina, a casa andiamo,/a cenar in compagnia. Leporello: Ed io vado all’osteria/a trovar padron miglior”.
105 Cfr. P. J. J
OUVE, op. cit., p. 171. 106
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ha fatto entrare in casa e non sappiamo quanto abbia davvero respinto le sue lusinghe. Sebbene lei spergiuri di averlo scambiato per Don Ottavio, possiamo dubitare che ciò sia vero.
Leporello ha sempre fatto ciò che il padrone gli ordinava, senza mai abbandonarlo e senza mai chiedersi quali fossero le conseguenze dei suoi atti.
Zerlina ha accettato la sua corte, pur sapendo che avrebbe tradito Masetto e, se è pur vero che Don Giovanni ha tentato di stuprarla, è altrettanto vero che lei gli si era gettata tra le braccia. Significativo, peraltro, che quando Zerlina subisce il tentato stupro, nessuno dei soccorritori si curi del fatto che lei, di sua sponte, si fosse appartata con il nobiluomo, ma tutti la vedano unicamente come la vittima della perfidia di Don Giovanni107.
Donna Elvira, infine - pur essendo la vittima più innocente - ben sapeva che razza di uomo fosse Don Giovanni, eppure non riusciva a separarsi da lui. Ora che Don Giovanni è punito, diventa facile per tutti ripulirsi la coscienza e affermare che la fine di Don Giovanni “è il fin di chi fa mal! / E de’ perfidi la morte / alla vita è sempre ugual!”.
Il libretto in questo punto è sicuramente debole, la musica è poca cosa rispetto alla tragicità della scena precedente, ma il messaggio che Mozart e Da Ponte ci lasciano mi sembra altrettanto forte e forse un po’ sottovalutato: Don Giovanni è punito perché vive non rispettando le regole e rifiutando le leggi. All’ombra degli uomini come Don Giovanni, però, vivono persone che condividono parzialmente le stesse colpe e che non esitano a gioire della punizione altrui, dimenticando il proprio ruolo nella storia.
La punizione del reo finisce per essere un momento catartico, che consente a tutti i correi, che hanno avuto un ruolo secondario, di lavarsi la coscienza e di voltare pagina. Questo è generalmente valido anche ai giorni nostri. Pensiamo, per analogia, ai molti dittatori che hanno insanguinato il Novecento. Spesso queste figure sono circondate da una costellazione di personaggi secondari. Eliminato il dittatore, i personaggi che lo circondavano e lo servivano, si riciclano alla normalità e vengono assolti dall’opinione pubblica, quasi come se non avessero giocato alcun ruolo, anzi, talvolta sono i primi detrattori del malvagio caduto in disgrazia.
La scena finale del Don Giovanni sembra un po’ un avvertimento a vigilare affinché il ruolo catartico della punizione del delinquente non estenda i suoi effetti, trasformandosi in un’autoassoluzione generalizzata. Per questo motivo, anche se il valore della musica e del libretto non è pari a quello, irraggiungibile, della scena precedente, il finale del Don
Giovanni pare assai importante nell’economia dell’opera.