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Due pesi, due misure: l’ira come strumento e segno di una giustizia problematica e non uniforme nelle Eumenidi

Nel documento a cura di Mattia De Poli (pagine 136-140)

dalla Grecia antica ad oggi

2. Due pesi, due misure: l’ira come strumento e segno di una giustizia problematica e non uniforme nelle Eumenidi

ingiustizia che la smuove si spiega alla luce del carattere della lesione, insieme individuale e collettivo. Nel caso dell’omicidio, quello pertinente a queste pagi-ne, il sistema offesa-ira-vendetta raggiunge la tensione maggiore e implica le più estreme conseguenze22.

2. Due pesi, due misure: l’ira come strumento e segno di una giustizia

L’ira come strumento di giustizia sociale e la duplicità, che a tratti diventa ambiguità, nelle modalità della sua applicazione emergono in maniera chiara in due battute. In un accesso scambio nel primo episodio (Eum. 219-223) Apollo contesta alle Erinni24:

Απ. […]

εἰ τοῖσιν οὖν κτείνουσιν ἀλλήλους χαλᾷς

τὸ μὴ τίνεσθαι μηδ’ ἐποπτεύειν κότῳ, 220 οὔ φημ’ Ὀρέστην σ’ ἐνδίκως ἀνδρηλατεῖν.

τὰ μὲν γὰρ οἶδα κάρτα σ’ ἐνθυμουμένην, τὰ δ’ ἐμφανῶς πράσσουσαν ἡσυχαιτέραν.

Ap. […]

Se dunque contro il coniuge che uccide l’altro coniuge sei indulgente, al punto da non punirlo e da non guardarlo con rancore, 220 io dico che non giustamente dai il bando ad Oreste.

Da una parte vedo che sei colma d’ira, dall’altra sei chiaramente più mite nell’agire.

Il Lossia evidenzia un’ambiguità di fondo nel comportamento delle persecu-trici: lo stesso sentimento dell’ira, strumento della giustizia retributiva che le dee più volte nel corso del dramma reclamano a sé stesse come diritto-dovere irri-nunciabile, viene manifestato in maniera disuguale, oscillante tra una smisurata irascibilità (v. 222 κάρτα σ’ ἐνθυμουμένην) nei confronti di Oreste e un’eccessi-va mitezza (v. 223 ἡσυχαιτέραν) rispetto a Clitemestra. Se l’ira delle Erinni per l’uccisione di Agamennone sembra essere fatta sbollire (v. 219 χαλᾷς), al punto da non guardare Clitemestra con rancore (v. 220 ἐποπτεύειν κότῳ), la persecu-zione di Oreste è invece tale da costringerlo al bando (v. 221 ἀνδρηλατεῖν), in una forma per nulla giusta (v. 221 οὔ […] ἐνδίκως) nella prospettiva di Apollo25.

È evidente in questi versi il riflesso di consuetudini codificate in norme nel trattamento degli assassini. Manca, nel tempo mitico della narrazione, la pratica

24  Il testo seguito è quello di Page 1972, integrato là dove ritenuto opportuno con West 1998.

25  Le Erinni giustificano tale discrepanza (dal loro punto di vista, apparente e non sostanziale) in quanto rivendicano il diritto di scacciare chi uccide un proprio consanguineo (vv. 212, 230-231), mentre Apollo contesta loro parzialità nel rifiuto di perseguitare una donna che abbia ucciso il marito, cioè un familiare non consanguineo (v. 211). L’incoerenza che il figlio di Zeus e le figlie della Notte rintracciano l’uno nell’operato delle altre dipende dalla natura intrinseca dell’azione di Oreste: per le Erinni il vaticino dato a Oreste è consistito nell’uccidere la madre (v. 202 ἔχρησας ὥστε τὸν ξένον μητροκτονεῖν), per Apollo invece nel vendicare il padre (v. 203 ἔχρησα ποινὰς τοῦ πατρὸς πέμψαι). Tale contraddittorietà emerge estesamente in buona parte del primo episodio (vv. 198-234): il Lossia si pone quale ricettore del recente sangue versato (v. 204 αἵματος δέκτωρ νέου), il Coro invece lamenta di essere insultato in quanto scorta persecutoria dell’assassino (v.

206 τὰς προπομποὺς δῆτα τάσδε λοιδορεῖς;); le Erinni rivendicano un compito prestabilito (v.

208 ἔστιν ἡμῖν τοῦτο προστεταγμένον), Apollo invece svilisce il loro onore (v. 209 τίς ἥδε τιμή;

κόμπασον γέρας καλόν. Cf. etiam v. 228).

comunitaria del processo tribunalizio, che avrà inizio, sempre in quello stesso tempo, con l’istituzione dell’Areopago; la giustizia dunque si manifesta nella forma della persecuzione (διώκειν: vv. 131, 226, 251) guidata dall’ira come rispo-sta emotivo-cognitiva a un oltraggio, cui segue la fuga del condannato (φεύγειν:

vv. 74, 118)26. Il piano metaforico su cui gioca questa persecuzione è quello della caccia (vv. 230-231, 246-247, 323-327) che si trasforma in sacrificio cruento (vv.

264-269, 328-329 = 341-342)27. Si tratta di una rappresentazione volutamente animalesca della rabbia (v. 972 ἀγρίως), che si giustifica innanzitutto sul piano etologico, ovvero alla luce del comportamento all’interno di una comunità in cui manca la gestione tribunalizia della giustizia; poi su quello etico-narrativo, per opposizione all’Areopago con le sue regole e i suoi ordini, in un orizzonte semantico in evoluzione sapientemente costruito da Eschilo. Solo al momento del processo e della deposizione dell’accusa e della difesa, infatti, quello stesso lessico della caccia si specializzerà in senso legale e giuridico, per cui ὁ διώκων sarà l’accusatore (v. 583) in opposizione a ὁ φεύγων, che indica l’accusato esilia-to o assolesilia-to (vv. 462, 652, 752).

Il χαλάω delle Erinni e il loro essere ἡσυχαίτεραι rispetto all’azione omi-cida di Clitemestra testimoniano il placarsi dell’ira, sempre su un piano me-taforico. Il verbo è indicativo dello sbollire delle emozioni28; l’aggettivo evoca la calma e il silenzio successivi all’azione persecutoria, che non mancano di richiamare la calma e il silenzio delle Erinni trasformate in Eumenidi alla fine della tragedia e il culto stesso delle Semnai Theai ad Atene, legato allo specifico γένος degli Ἡσυχίδαι29. L’azione persecutoria delle Erinni a danno di Oreste

26  Si tratta della stessa ira persecutoria che si può immaginare sottintesa nel διώκειν che le Erinni compiono contro Oreste in Ferecide di Atene (FGrHist 3 F 135), in cui però il matricida si rifugia presso un santuario di Artemide; vd. Pucci 2017, pp. 213-237.

27  La metafora della caccia inizia già nel prologo, con le parole del fantasma di Clitemestra alle Erinni, che nel sonno immaginano di inseguire e catturare Oreste (v. 130); nella spiegazione del sogno data dalla donna (vv. 131-139), le dee inseguono la preda (διώκεις θῆρα) e latrano come un cane (κλαγγαίνεις δ’ ἅπερ κύων) che mai abbandona l’affanno della fatica; nell’attesa che si sveglino, Clitemestra invita le persecutrici a soffiare su Oreste l’alito sanguinante (αἱματηρὸν πνεῦμ’ ἐπουρίσασα) e a sfiancare l’eroe in una ennesima caccia (μάραινε δευτέροις διώγμασιν).

Al risveglio del coro, nella parodo, le Erinni stesse, vedendo Oreste avvinghiato all’ὀμφαλός, riconoscono che la loro caccia è interrotta, la preda è sfuggita dalla rete, scomparsa (v. 147 ἐξ ἀρκύων πέπτωκεν, οἴχεται δ’ ὁ θήρ); Apollo, dal canto suo con tono sprezzante, riconosce che esseri come le Erinni dovrebbero abitare l’antro di un leone assetato di sangue (vv. 193-194 λέοντος ἄντρον αἱματορρόφου / οἰκεῖν τοιαύτας [scil. le Erinni] εἰκός). Nel cambio di scena da Delfi ad Atene, le Erinni annusano le tracce di Oreste, come un cane che segue un cervo ferito, guidato nel suo braccare dalle stille di sangue (vv. 246-247 τετραυματισμένον γὰρ ὡς κύων νεβρὸν / πρὸς αἷμα καὶ σταλαγμὸν ἐκμαστεύομεν).

28  Cf. Ar. Ve. 727 (τὴν ὀργὴν χαλάσας), Plat. Resp. 329c (ἐπειδὰν […] αἱ ἐπιυθμίαι χαλάσωσι), Plut.

Sanit. 133a ([…] ἐπιθυμίαν […] χαλῶντος).

29  Sul silenzio cf. Aesch. Eum. 1035, 1038; per il culto e gli Ἡσυχίδαι (schol. ad Soph. OC 489 Xenis (= Polemo fr. 49 Preller + Apollod. 244F101 FGrHist + Call. fr. 681 Pfeiffer) vd. Valdés 2002 e

si manifesta con un’espressione pregnante, anch’essa sul piano metaforico. Il verbo ἐποπτεύω indica l’azione del sorvegliare, lo stesso che usa Atena rispetto alla giustizia (v. 224), e per le Erinni questo atto si concretizza nel guardare con κότος il matricida. Questo κότος è uguale a quello che nelle Supplici di Eschilo ricorre a indicare, per altro con chiari echi formulari da Omero, l’ira di Zeus protettore dei supplici30. Si tratta di un’ira legata a eventi nodali nell’evoluzione della società, durante i quali le norme di convivenza sono soggette a problema-tizzazione o a eventuale modifica.

La messa in discussione dell’equità dell’ira delle Erinni emerge una seconda volta durante il confronto tra queste e Atena (Eum. 424-426), sempre in rela-zione ai presupposti dell’arela-zione di Oreste. Nel serrato dibattito che copre tutto il secondo episodio, Atena si chiede se le dee stiano reclamando la morte del giovane che lei vede nel suo santuario e, alla risposta affermativa, la dea solleva il dubbio sul motore primo dell’azione:

Αθ. ἦ καὶ τοιαύτας τῷδ’ ἐπιρροιζεῖς φυγάς;

Χο. φονεὺς γὰρ εἶναι μητρὸς ἠξιώσατο. 425 Αθ. ἄλλης ἀνάγκης ἤ τινος τρέων κότον;

At. Anche a costui tu reclami tale esilio?

Co. Si, egli ritenne giusto farsi assassino di sua madre. 425 At. Forse costretto, o in quanto temeva l’ira di qualcuno?

L’ira ritorsiva delle persecutrici diventa problematica alla luce dell’inten-zionalità o meno nell’agire di Oreste, ovvero della costrizione all’atto, in quanto il matricidio può essere considerato ora come frutto di necessità ora della paura per l’ira di qualche divinità, nel caso specifico per la contrarietà di Apollo31.

Il dibattito che si tiene prima a Delfi poi ad Atene tra Apollo ed Erinni ed Erinni e Atena riguarda l’opportunità o meno del matricidio come strumento con cui Oreste ha vendicato il padre Agamennone, ma ancor prima, e in forma più radicale, pertiene la manifestazione e l’incanalamento dell’ira provata da Clitemestra dopo l’assassinio di Ifigenia, da Oreste e da Apollo, a diverso titolo, dopo l’assassinio di Agamennone e dalle Erinni dopo l’uccisione di Clitemestra.

È l’ira in sé, che denuncia l’offesa ricevuta e reclama giustizia rispetto a essa, a essere dibattuta e discussa, un’emozione che guida le azioni umane ma deve fare i conti con una società di tipo restrittivo e controllante. La trasformazione finale delle Erinni in Eumenidi, come vedremo, offre una soluzione altrettanto

Valdés, Fornis, Plácido 2007, e infra pp. 143-145.

30  Aesch. Suppl. 347, 385, 478-479, 626; vd. Walsch 2005, pp. 79-106 et passim; Walsch 2010.

31  Oreste stesso non mancherà di rievocare ad Atena stessa i dolori e pungoli al cuore minacciati da Apollo se non avesse agito contro i responsabili dell’assassinio di Agamennone (vv. 465-467);

sull’ira di Apollo vd. infra.

radicale a questo dibattito, consegnando al pubblico una conclusione ispirata all’integrazione dell’ira nel sistema tribunalizio della giustizia.

Nel documento a cura di Mattia De Poli (pagine 136-140)